Riassunto del libro “Lo stile cinematografico” di E. Biasin, G. Bursi e L. Quaresima. Una carrellata di opinioni e definizioni che cercano di inquadrare il concetto di "stile" cinematografico, attraverso esempi autoriali quali le pellicole di Hitchcock, Kurosawa e Bergman o quelli divenuti noti come "Film manifesto". Nel cinema classico americano si cerca di identificare come distintivo il film noir in un dibattito tra stile e genere, per poi illustrare le tipologie di critica filmica nei diversi decenni del dopoguerra. Viene presa in esame l'immagine cinematografica della Berlino di Weimar negli anni '30, così come la critica al cinema politico italiano di Germi o Petri. Si chiude con l'influenza della televisione nelle dinamiche della creazione di un film.
Lo stile cinematografico
di Laura Righi
Riassunto del libro “Lo stile cinematografico” di E. Biasin, G. Bursi e L.
Quaresima. Una carrellata di opinioni e definizioni che cercano di inquadrare il
concetto di "stile" cinematografico, attraverso esempi autoriali quali le pellicole
di Hitchcock, Kurosawa e Bergman o quelli divenuti noti come "Film manifesto".
Nel cinema classico americano si cerca di identificare come distintivo il film noir
in un dibattito tra stile e genere, per poi illustrare le tipologie di critica filmica nei
diversi decenni del dopoguerra. Viene presa in esame l'immagine
cinematografica della Berlino di Weimar negli anni '30, così come la critica al
cinema politico italiano di Germi o Petri. Si chiude con l'influenza della
televisione nelle dinamiche della creazione di un film.
Università: Università degli Studi di Bologna
Facoltà: Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo
Corso: Discipline dell’Arte, della Musica e dello
Spettacolo
Esame: Dinamiche dei processi intertestuali e
intermediali
Docente: Leonardo Quaresima
Titolo del libro: Lo stile cinematografico
Autore del libro: E. Biasin, G. Bursi e L. Quaresima
Editore: Forum
Anno pubblicazione: 20071. Barilli, cinema nella "Poetica" di Aristotele?
Ai tempi di Aristotele erano già chiari e presenti due generi cruciali: i componimenti narrativi, condotti in
terza persona erano allora i poemi epici, divisi tra romance e narrative; e l’opera teatrale, suddivisa nelle
branche minori della tragedia e della commedia.
Barilli sostiene che la forza dell’insegnamento aristotelico non sta nel predicare un rapporto di annessione,
non significa che la dimensione teatrale debba far atto di vassallaggio a favore dell’epica, e così pure il
cinema non si deve arrendere alla supremazia del momento teatrale. Aristotele, piuttosto predica una sorta di
par condicio, viene a dirci che i vari poemi sono della stessa natura per un lungo tratto di strada, appoggiati
agli stessi organi. Insomma è lecito essere cultori generalisti di un’estesa dimensione poetica, comprendente
allo stesso titolo sia opere narrative, sia drammi e film, senza inibizioni e divieti.
Aristotele fissa in sequenza le categorie principali di un qualsivoglia poema: al primo posto troviamo la
trama, la dieresi, ovvero il “mythos”, non c’è poema lungo senza lo scorrimento di una storia. Al secondo
posto viene l’ethos, che sarebbe lo spessore etico, psicologico, sociologico del personaggio. Poi la lexis
ovvero il linguaggio che viene messo in bocca ai personaggi.
Barilli sostiene inoltre che un Aristotele redivivo, chiamato al paragone finale, cioè a pronunciarsi circa il
ruolo da assegnare al cinema, probabilmente si sarebbe pronunciato a favore di quest’ultimo, perché la
performance fornita dal film è più piena, organica, totalizzante, nei movimenti, nei suoni, nella cattura dei
dati ambientali, di quanto sia concesso alla controparte teatrale. I poemi più risolti e salutati da maggior
consenso popolare, al giorno d’oggi, sono proprio i film. Nonostante ciò sembra che ci sia un tratto
separante e pesante, tra la vita dei poemi affidati alla stampa e alla trascrizione verbale e quelli che vivono
sulla celluloide, o sul supporto elettronico, nella pienezza dei dati sensoriali, a cominciare da quelli visivi.
Un famoso cultore del campo delle arti visive, Carlo Ludovico Ragghianti, sul finire degli anni Trenta, ha
avuto il coraggio di proclamare che il cinema sarebbe un arte visiva, insistendo sul dato estrinseco secondo
cui i prodotti filmici colpiscono prima di tutto l’organo della percezione. Il bello è che si può dare ragione
per gran parte a quell’illustre e teorico dell’arte; ovvero c’è un vasto continente in cui i prodotti filmici
risultano del tutto inerenti all’ambito delle arti visive; ma a fare la differenza possono intervenire ancora una
volta le categorie aristoteliche, ovvero bisogna fare una distinzione di fondo tra opere di lunga durata, e di
breve durata.
Laura Righi Sezione Appunti
Lo stile cinematografico 2. Romanzo e film. Il caso Robbe Grillet
I film come si danno nei circuiti delle sale di proiezione, e come vengono inviati ai festival di settore, e
come vengono recensiti dai critici specifici nelle rubriche apposite sugli organi di stampa, appartengono alla
categoria aristotelica dei poemi lunghi, e non riescono a dividere la loro sorte da romanzi e narrazioni, o da
drammi concepiti per il palcoscenico. Se viceversa si tratta di opere, brevi o lunghe, comunque rinunciatarie
alla trama e volte invece ad esplorare, a valorizzare le varie condizioni di esperienza sensoriale affidate alla
vista, ma con la stessa correlazione sinestetica con ogni altro responso dei sensi, allora siamo all’interno del
campo riservato agli artisti, agli operatori delle arti visive, a coloro che fino a pochi decenni fa dovevano
limitarsi a inseguire appunto questi valori col solo dono della vista. Oggi la possibilità di registrazione si
allarga, grazie alla macchina fotografica, la cinepresa e la telecamera, ma se il fine è di rendere conto di un
estratto di valori aptici – ottici allo stato puro, a prescindere da un nocciolo di racconto, allora si può asserire
con sicurezza che prodotti di tal fatta appartengono a pieno diritto all’ambito dei cultori delle arti visive.
Il succo di questo discorso sta nella confutazione degli specifici settoriali, di fronte alla vasta influenza di
fattori generali come la trama, lo spessore del personaggio, le modalità di lingua, i contenuti ideologici,
impallidiscono le differenze che si pongono tra romanzi e film, discendenti dal carattere neutro e amorfo
delle modalità di fruizione usate dai primi, e dalla pienezza di stimoli sensoriali consentita alle opere
dell’altro fronte.
In conclusione Barilli porta ad esempio il narratore Alain Robbe Grillet, perfetto per indicare le anime del
dibattito, poiché egli è stato allo stesso tempo narratore e creatore dei suoi film. Nonostante le opere narrate
da Grillet abbiano avuto un ottima trasposizione cinematografica, egli ha comunque spesso insistito per
essere lui stesso il regista di se stesso. Ma nonostante ciò, pur essendo un eccellente autore di prosa, quando
impugna una cinepresa le cose non gli risultano così perfette e scorrevoli.
In conclusione hanno ragione gli autori dello specifico, se si tratta di valutare l’opera finale in sé, ben pochi
autori sono capaci di condurre con la stessa abilità i loro esperimenti in prosa o nel cinema.
Laura Righi Sezione Appunti
Lo stile cinematografico 3. Definizione di stile. Segre, Bordwell e Wolfflin
L’idea di stile ha una storia complessa, autorevole e significativa. Sebbene non si possa non riconoscere
l’importanza di studi sull’analisi dello stile, come quelli di Bordwell e Thompson e di Barry Salt, è
necessario sottolineare come il concetto di stile sollevi una serie di perplessità teoriche.
Cesare Segre nel suo Avviamento all’analisi del testo letterario definisce lo stile come “l’assieme dei tratti
formali che caratterizzano il modo di esprimersi di una persona o il modo di scrivere di un autore”.
Successivamente parla dello stile come di un “assieme di tratti formali che caratterizzano un gruppo di opere
costituito su basi tipologiche o storiche”. Segre individua livelli modi diversi dello stile: lo stilus humilis, lo
stilus mediocris, lo stilus gravis. Meyer Schapiro considera lo stile come la forma costante di un individuo o
di un gruppo. Prima di quest’ultimo Wolfflin ha elaborato i fondamenti per lo studio degli stili visivi
avviando una grande ricerca sulle configurazioni formali delle opere che si propone di cogliere gli elementi
distintivi delle varie epoche. Wolfflin dice che lo stile è espressione di un epoca, in cui si rivela un nuovo
ideale di vita incarnato nella pittura, scultura e architettura. Riconosce anche esempi di “stile individuale,
stile nazionale e stile dell’epoca”, quest’ultimo è legato al modo di vedere.
Laura Righi Sezione Appunti
Lo stile cinematografico 4. Stile per Compagnon. Norma, ornamento, sintomo e cultura
Il concetto di stile ha presentato varie fluttuazioni semantiche ed è stato di volta in volta ricondotto ad alcuni
concetti centrali, che Compagnon ha così sintetizzato: norma, ornamento, scarto, genere o tipo, sintomo e
infine cultura. Il concetto di stile è stato inizialmente legato alla norma: i testi devono seguire regole precise
che variano in rapporto alle caratteristiche del discorso. L’idea di stile è qui correlata da un lato alla
proprietà stilistica e dall’altro all’accettazione di criteri di carattere generale. C’è stile se vengono rispettate
certe norme di organizzazione e qualificazione dei livelli del discorso. Legato al concetto di norma è anche
il concetto di ornamento, cioè l’idea che su un fondo comune sia opportuno per realizzare un opera
stilisticamente adeguata elaborare una serie di variazioni ornamentali in grado di rendere il discorso più
efficace. La concezione di stile come ornamento implica una distinzione tra cose e parole. L’idea di stile è
poi legata al genere o al tipo cioè alla convinzione che ci sia uno stile adatto e una convenienza ad elaborare
il discorso secondo certe modalità. Altra concezione è che lo stile sia legato allo scarto, posizione opposta a
quella della norma. Lo stile è collegato allo scarto in quanto si presuppone che esista un linguaggio ed un
modo di comunicazione comune e che lo stile sia segnato dagli elementi di scarto e di differenza che lo
scrittore e l’artista sanno introdurre. Si è poi formata un'altra idea di stile, quella di sintomo, (sviluppo a
partire dal XVIII secolo) cioè di segno che rinvia ad un soggetto e ne qualifica alcune componenti
essenziali. In questa prospettiva lo stile diventa l’insieme dei segni e delle procedure che qualificano la
personalità di un autore rendendola differente rispetto agli altri. Così facendo essa afferma la particolarità
dei segni e la singolarità del soggetto cui si riferisce. Un'altra accezione di stile analizzata da Compagnon è
quella di stile come cultura: è l’idea che lo stile sia espressione di una visione del mondo, un insieme di
caratteri che definiscono appunto la cultura. In tal caso lo stile identifica una molteplicità omogenea. Va
subito affermato che tutte queste idee di stile presentano delle mancanze come la contraddizione fra l’idea di
stile collegata ad un individualità e l’idea di stile legata ad una collettività. Il fatto che lo stile sia stato
ricondotto ora all’universo semantico della norma, ora a quello di scarto è una contraddizione così radicale
che sembra decisamente più ragionevole optare per un accezione più limitata della nozione di stile: o la
nozione indica insiemi plurali o avventure individuali. C’è poi il problema della sinonimia c’è uno stile
perché c’è qualcosa da dire, un contenuto da comunicare e lo si può proporre in modi diversi. La questione
della sinonimia pone il problema che possa esistere un pensiero in se, svincolato dalle parole e che questo
pensiero possa essere espresso in maniera diversa. Come sostiene Benveniste il pensiero è strettamente
correlato al linguaggio e se non lo è rimane qualcosa di estremamente vago. Però è anche possibile, come
nota Compagnon elaborare una rilettura dell’idea di sinonimia e considerare che esistono modi diversi di
dire cose molto simili.
Laura Righi Sezione Appunti
Lo stile cinematografico 5. Idea di stile nel cinema per Bordwell e Thompson
Nel campo degli studi sul cinema le ricerche di Bordwell e Thompson costituiscono l’esempio di lavoro più
sistematico e più produttivo sullo stile. Per essi lo stile è quel sistema formale del film che organizza le
tecniche cinematografiche. Le tecniche del mezzo cinematografico interagiscono le une con le altre per
creare un altro sistema formale del film, lo stile. Lo stile del film risulta da una combinazioni di costrizioni
storiche e scelte deliberate. Bordwell sottolinea come la messa in scena sia definita dal sistema produttivo e
come l’operatività del regista si sviluppi entro determinati limiti. Da ciò si evince che la posizione Bordwell-
Thompsoniana è lontanissima da ogni politique des auteurs, come appare distante da quell’orizzonte
dell’analisi stilistica che puntava a legare le opinioni stilistiche in relazione al sentimento e alla visione del
mondo di un autore. I risultati più significativi nell’orizzonte dell’analisi dello stile nel cinema appaiono
legati all’analisi degli insiemi, dei sistemi, più che degli autori, nonostante ciò i presupposti teorici di questi
libri sono discutibili.
L’analisi dello stile implica la subordinazione dell’immaginario: richiede cioè una serie di operazioni di
segmentazione e di separazione che viene compiuta all’interno del testo e che presenta aspetti discutibili
sotto il profilo concettuale. L’interpretazione della procedura stilistica per comprenderne la profondità
significante, deve allargarsi all’immaginario, deve operare sulla complessità del testo senza escludere nessun
elemento. L’interpretazione deve coglier il testo come totalità perché solo così può comprendere il senso
delle configurazioni linguistiche e della costruzione dell’intrigo.
Laura Righi Sezione Appunti
Lo stile cinematografico 6. Stile, testo, forma e interpretazione. Bordwell e Pareyson
Il rapporto stile testo va considerato in termini di opposizione, perché le concezioni più avanzate del testo
non possono certo convivere con le concezioni dello stile come insieme più o meno irrelato di tecniche.
Barthes: “il testo è pluralità. Ciò non significa soltanto che possiede più sensi ma che realizza la pluralità
stessa del senso.
S’interpretano forme e s’interpretano testi. Si interpretano anche gli stili? Nella prospettiva Bordwell-
Thompson-Salt le componenti stilistiche si descrivono, quantificano, analizzano, ma non si interpretano.
L’interpretazione lavora sul senso secondario e sui sensi multipli e lavora sull’architettura del senso.
Un’interpretazione delle forme filmiche nello sviluppo storico non si è ancora realizzato in quanto non si
sono ancora definite le condizioni e le metodologie di un progetto così rilevante. Un’esperienza importante
ma parziale è quella di Deleuze quando analizza i modelli di montaggio del cinema muto.
Mentre lo stile è un insieme di rigidità e di paradigmi (Bordwell-Thompson-Salt), oppure il touch ( il
Lubisch touch), che è la vaghezza per eccellenza dell’impressionismo critico, la forma nella riflessione di
molti studiosi è qualcosa di vivente, un organismo. Certo le riflessioni sulla forma risalgono spesso a molti
anni fa, un epoca non ancora segnata dalla semiotica. Forse un destino non diverso da quello dello stile può
essere assegnato al concetto di forma. Naturalmente in queste concezioni la forma non è opposta al
contenuto ma è un’unità superiore complessa, insieme coerente e molteplice. Nella riflessione di Pareyson la
forma è un organismo prodotto attraverso la realizzazione di una formatività che è un fare, impegnato a
definire esso stesso le regole del proprio operare, in una dialettica costante tra forma formata e forma
formante.
Nella forma c’è una seconda significazione, un senso secondo non solo legato alla testualità in quanto tale,
ma che è una significazione aggiuntiva prodotta dalla configurazione testuale stessa. Nell’interpretazione del
testo come forma possono emergere da un lato una serie di nozioni evocati dagli studi più avanzati,
dall’altro la centralità della configurazione degli eventi e dei modi di articolazione delle configurazioni
stesse; e infine l’orizzonte dell’invisibile che una analisi dello stile forzatamente ignora. Il sapere che ci
interessa punta all’interpretazione della ricchezza del molteplice, alla comprensione dell’occultato, alla
capacità di fare emergere la complessità, l’enigma, che spesso sono nei testi e che l’interpretazione fa
emergere e dilata ulteriormente: un’interpretazione che coglie non i rilevamenti statistici che coglie non i
rilevamenti statistici ma le forme e il pensiero innervati nella visione.
Laura Righi Sezione Appunti
Lo stile cinematografico 7. Pierre Sorlin. Idea di maniera e stile
Critici e storici si servono di due nozioni diverse, maniera e stile, per caratterizzare una scuola artistica, un
opera, un epoca. Maniera si riferisce all’eredità e alle continuità, designa una pratica che evidenzia la sua
parentela con pratiche anteriori; il termine non è necessariamente sinonimo di imitazione, può essere un
omaggio a un modello precedente con l’intenzione di superarlo o rinnovarlo. Es. Il cinema di Dario Argento
ostenta la sua filiazione in rapporto a Hitchcock nella costruzione delle situazioni e dei personaggi. In questo
caso si può parlare di maniera hitchcockiana. La mistione tra maniera e stile sembra chiara: maniera designa
una derivazione, stile un innovazione. Qual è però la relazione tra lo stile di Hitchcock e la maniera
hitchcockiana? Rispondere risulta complesso dato che la parola stile si presta a varie definizioni. Unita ad un
aggettivo la parola stile indica sia un carattere dominante, sia un insieme di tratti propri di certe opere e di
certe epoche che consente di distinguerle dalle altre. All’opposto lo stile può designare e soluzioni inedite
proposte da un artista, le forme particolari nuove e indipendenti da modelli precedenti, che caratterizzano le
sue produzioni. Un artista ci interessa se il suo lavoro è originale e la parola stile serve per designare
l’insieme dei rapporti formali ed espressivi che è riuscito a creare. La cosa si complica quando si cerca di
individuare e descrivere questi rapporti nell’opera di un regista. Preso come complesso, un film è una
combinazione spazio temporale che manifestandosi come un flusso di immagini e suoni concentrato su una
superficie circoscritta, partecipa tanto dalle arti dello spazio quanto da quelle del tempo.
Laura Righi Sezione Appunti
Lo stile cinematografico