Appunti sul testo di Anna Cicalese "Semiotica e Comunicazione" utile per l'esame - Linguistica e Semiotica - del prof Marchese
Semiotica e Comunicazione
di Niccolò Gramigni
Appunti sul testo di Anna Cicalese "Semiotica e Comunicazione" utile per
l'esame - Linguistica e Semiotica - del prof Marchese
Università: Università degli Studi di Firenze
Corso: Teorie della Comunicazione
Esame: Linguistica e Semiotica
Docente: Prof. Marchese
Titolo del libro: Semiotica e Comunicazione
Autore del libro: Anna Cicalese
Editore: Franco Angeli
Anno pubblicazione: 20041. La semiotica dalle origini al Novecento
Una disciplina che nasce due volte. Come già accennato nelle note introduttive, la semiotica è una disciplina
dai confini difficilmente identificabili che mostra la sua poliedricità sin dal principio: fondata due volte a
cavallo tra Ottocento e Novecento, la scienza dei segni si denomina semiologia e semiotica in rapporto a due
orientamenti teorici di derivazioni linguistico-teorico l’uno e filosofico l’altro. Il primo termine semiologia,
diffusosi sostanzialmente in Europa, corrisponde al neologismo dal linguista ginevrino Ferdinand de
Saussure che nel Cours de linguistique generale postula la necessità di una scienza che studi la vita dei segni
votati ad esprimere delle idee nel loro contesto storico-sociale. Il termine semiotica, riferito agli
orientamenti del filosofo americano Ch S.Peirce, si diffonde in area anglofona, in relazione al superamento
della nozione di “segno” e di “segno linguistico”. La semiotica si risolve in un approccio pragmatico-
cognitivo e assume lo statuto di una teoria generale rivolta alla conoscenza non diretta né certa, dove
l’individuo, parte attiva del processo, interpreta segni non necessariamente prodotti volontariamente. La
semiotica di Peirce privilegia un’idea di segno fondata sulla logica dell’alterità, che a sua volta genera
apertura, plurivocità, ambiguità, polisemia. La semiotica di Peirce si orienta, pertanto, verso ciò che è
indeterminato, verso una più articolata teoria dei sistemi e dei prcoessi di significazione, verso la scoperta
del senso. Dalle teorie saussuriane deriverà il movimento dello strutturalismo: in ambito più segnatamente
semiologico, gli orientamenti saussuriani daranno origine alla semiologia della decodificazione,
un’impostazione metodologica basata sul concetto di codice, che vedrà al suo interno un doppio filone
dedicato alla differenza tra comunicazione e significazione. Viene aperta la strada alla infinitizetta stessa
delle interpretazioni, ad una visione intertestuale per la quale ogni segno non vive più isolato, bensì in una
rete di relazioni senza limiti.
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Semiotica e Comunicazione 2. Segno, semiosi, codice: prime definizioni
Per segno intendiamo, genericamente, un aliquid stat pro aliquo, ovvero qualcosa che sta al posto di
qualcos’altro, secondo la tradizionale definizione della filosofia scolastica. Il segno mette in relazione,
dunque, un elemento fisico o espressione e un elemento astratto o contenuto o, secondo la contemporanea
consolidata terminologia saussuriana, un significante e un significato. È bene precisare che nulla nasce
“spontaneamente” come segno, ma, come già individuato da S.Agostino, tutto può diventarlo a patto che ci
sia qualcuno che attribuisca ad un qualcosa, in determinate circostanze, tale statuto. Un segno è qualcosa che
sta al posto di qualcos’altro, per qualcuno, in determinate circostanze. Si definisce semiosi il rapporto che un
utente stabilisce tra le due facce del segno, ovvero la relazione secondo cui si costituisce il segno (rapporto
semiotico). La semiopoiesi è pertanto la facoltà simbolica propria all’essere umano attraverso cui non solo
interpretare ma anche creare sogni. I segni fissati nella corrispondenza e consolidati nel loro uso, vengono
organizzati in insiemi strutturati, in sistemi con proprie regole di funzionamento che cominciano a definire
codici.
L’intenzionalità di emissione del segno: segnali e indici. I segni si distinguono in non intenzionali o
involontari e intenzionali o volontari, opposizione sulla quale si sono sviluppati due filoni della semiotica
del Novecento, ovvero la semiotica della comunicazione (che si occupa dei segni non intenzionali) e la
semiotica della comunicazione (che si occupa dei segni intenzionali).
A) I segni non intenzionali, genericamente chiamati indici sono un accenno palese da cui si traggono
deduzioni su qualcosa di latente in base a rapporti di continuità o di causa-effetto, su una realzione
inferenziale del tipo se A allora B. Il processo di semiosi è dovuto esclusivamente all’intenzionalità
dell’interprete che vuol intendere un evento come segno di qualcos’altro. Non di meno si chiameranno indici
i segni con statuto simile a questi finora descritti, generalmente riconducibili a variazioni di uno stato fisico
anche se non immediatamente collegati ad un’origine naturale.
B) I segni volontari, invece, che sono i veri e propri segni della comunicazione, li definiamo genericamente
simboli. Ciò prevede che il segno venga codificato, dunque, istituito tramite corrispondenze predefinite, del
tipo “uno a uno”. Nel momento dell’emissione del testo, si presuppone, infatti, che chi lo riceve sia a
conoscenza della corrispondenza e sia in grado di decodificare il messagggio. L’equivalenza è così A=B.
L’arbitrarietà è manifestata qui dalla possibilità di mutua sostituzione di materia espressiva e contenuto.
L’uomo, dunque, può inventare all’occorrenza una molteplicità di segni e codici da impiegare a seconda
delle facoltà attivate e di condizioni fisiche e spazio-temporali. I complessi sistemi dei segni linguistici,
seppur con caratteristiche del tutto particolari, e seppur prevedendo meccanismi di ordine inferenziale che
appronfondiremo in seguito, si riconducono alla categoria dei segni arbitrari, ovvero dei segni non dati in
natura ma istituiti per convenzione dalle comunità parlanti.
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Semiotica e Comunicazione 3. La storia del segno linguistico
Il dibattito sull’arbitrarietà del segno linguistico comincia già prima di Platone e si protrae, con riflessioni e
teorizzazioni diverse, fino ai giorni nostri. Platone. Nel Cratilo Platone espone nei dialoghi tra Cratilo ed
Ermogene le due concezioni tradizionali sulla costituzione del segno linguistico basata sulla orthotes ton
onomaton ovvero sulla correttezza dei nomi; la discussione è mediata da Socrate attraverso cui Platone
rivela i propri dubbi e le proprie convinzioni. La prima concezione, quella naturalistica, viene difesa da
Cratilo. Ermogene: “La correttezza del nome è per ciascuna delle cose che sono già predisposte per natura”.
Secondo Cratilo, dunque, i nomi prescindono dalla decisione dell’individuo: la forma materiale
rispecchierebbe le cose della realtà cogliendo la giustezza che nelle cose esiste intrinsecamente allo stesso
modo per tutti. Il linguaggio avrebbe una origine motivata, derivata da quello che oggi definiremmo
iconismo. La seconda concezione, detta nominalista, è così espressa da Ermogene. La tesi contraria sostiene,
ora, che nessun nome può essere inerente a nessuna cosa per natura ma nasce in virtà di una volontà umana.
Dopo aver esposto le estreme conseguenze delle due tesi, Platone riferisce infine la propria opinione
attraverso le sembianze di Socrate: se anche il segno linguistico avesse un’origine naturale, questa ne
spiegherebbe solo la nascita, dato che una volta entrato nell’uso, questo assumerebbe indiscutibilmente una
forma convenzionale.
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Semiotica e Comunicazione 4. Aristotele e la concezione del segno
Con Aristotele si apre una svolta decisiva nella concezione del segno. In Dell’espressione il segno
linguistico si arricchisce, rispetto all’idea platonica, di un terzo livello mentale. Si ha così una prima triade
semiotica in cui compaiono due tipi di relazioni: una relazione convenzionale, dunque immotivata, tra
immagine e suono e l’altra naturale, dunque motivata, tra cosa e immagine. I significati stessi sono
intrinsecamente legati alle cose, ai referenti, per cui concetto e cosa hanno un legame motivato e necessario.
La visione aristotelica, denominata referenzialista sostiene che la realtà è “fotografata” nei concetti che si
presentano stabili e identici per tutti, ma ogni comunità linguistica decide per convenzione di attribuire delle
etichette fonsiche dissimili a tale realtà.
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Semiotica e Comunicazione 5. Agostino di Ippona e il segno
Con S.Agostino l’attenzione si sposta per la prima volta verso considerazioni proprie alla semiotica
contemporanea, già accennate nei precedenti paragrafi. Nel De docrtina christiana il segno è ciò che fa
venire alla mente qualche altra cosa, ha una funzione di rinvio, ed è tale solo se c’è una duplice volontà: di
produzione da parte di chi lo emette e di riconoscibilità da parte di chi lo riceve. Le sue riflessioni
precorrono, dunque, gli studi su quella che oggi chiamiamo abitualmente “comunicazione”, processo che
vede il segno come un tramite sociale, relazionale. S. Agostino introduce, inoltre, il tratto della
intenzionalità, nel momento in cui afferma che non tutto è segno, ma tutto può diventarlo in certe
circostanze se esiste tale volontà, se cioè esiste l’intenzione di attribuire un significato a qualcosa che non
nasce come segno. Il vescovo di Ippona distingue, così, i segni naturali da quelli intenzionali. È solo nell’età
moderna che l’attenzione si sposta verso l’epistemologia.
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Semiotica e Comunicazione 6. J. Locke e il segno
Tra i massimi esponenti dell’empirismo, Locke segna un ulteriore passaggio nella concezione del segno.
Nelle sue riflessioni, il linguaggio comincia a perdere la sua forma analogica e assume a poco a poco lo
statuto di sistema digitale, di insieme di unità discrete create dall’uomo, dunque di un codice. Nel Saggio
sull’intelletto umano, considerato il primo vero trattato di semiotica, si discute della mente degli uomini e
dell’arbitrarietà del linguaggio e del pensiero: le idee stesse non si determinano più per analogia, per effetto-
copia nei confronti del reale, ma per volontà dell’uomo che attribuisce confini tra le percezioni. Le idee non
si riferiscono più alle cose ma si formano in base a due facoltà: la percezione e la volizione. Dalla prima
nascono solo idee “semplici”, la volizione permette di produrre idee “complesse” attraverso l’associazione
di idee semplici. Mentre le idee semplici sono universali perché rispondono a modelli che possono essere
trovati in natura, le idee complesse sono arbitrarie perché derivano da una nececessità sociale, dalla mente
collettiva che deliberatamente crea associazioni di idee semplici. Riconoscenza ai segni uno statuto sociale,
Locke introduce il tema della “comprensione” e dello “scetticismo comunicativo”: se le persone parlano tra
di loro è perché “quando un uomo parla ad un altro lo fa per essere capito”. La relazione tra parole, idee e
cose non è perfetta, seppur gli uomini nel parlare agiscono su quesa presunta perfezione pensando che
sussista una condivisione sempre certa delle idee e del senso comune.
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Semiotica e Comunicazione 7. E.B. de Condilac e il segno
Anche negli studi di Condilac il segno non è visto in rapporto ad una semiologia generale ma ad una
semiotica quale teoria del pensiero e dell’espressione. Il seguace di Locke attribuisce al linguaggio un ruolo
fondamentale nell’evoluzione del pensiero umano che non può, pertanto, generare imperfezioni né
scetticismi comunicativi, essendo piuttosto lo strumento che fa funzionare tutto e che rende gli uomini
civilizzati rispetto agli animali. Nel Saggio sull’origine delle conoscenze umane si distinguono: a) segni di
natura involontaria che si dividono a loro volta in segni accidentali e naturali: i primi si riferiscono ad
evocazioni, i secondi riguardano risposte biologiche che, rispondendo a stimoli, non sono controllabili; b)
segni artificiali o istituzionali dove l’associazione tra un evento mentale e segno è invece volontario: tali
segni sono determinati dall’imposizione di un particolare suono a una certa idea. Per Condillac, dunque, è
sventato ogni scetticismo comunicativo perché, da fautore della teoria del codice, egli sostiene che si
comunica e ci si comprende proprio perché si parla la stessa lingua.
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Semiotica e Comunicazione 8. Ferdinand de Saussure, il segno e la langue
Saussure stabilizza l’opposizione tra patrimonio linguistico sociale ed esecuzione individuale. Gli individui
sono collegati nel linguaggio perché condividono una stessa struttura linguistica ovvero la langue
(traducibile con lingua) prodotto astratto, sociale, che consente alle persone di comunicare. Sulla base della
langue, ciascuno produce degli atti di parole, esecuzioni concrete, personali, di natura psicologica e fisica,
dpendenti dalla volontà individuale, attraverso cui si producono approssimativamente gli stessi sociali,
associati agli stessi concetti. Saussure delega alla langue una forma di garanzia alla comunicazione e
riconosce allo stesso tempo che la parole è individuale e non sociale: conclude dunque che la prima esiste
nella collettività sotto forma di una somma di impronte depositate in ciascun cervello ed è necessaria
affinchè la seconda sia intelligibile. La parole è indispensabile per lo stabilirsi della lingua, quindi
storicamente, il fatto di parole precede sempre. Il segno “interamente arbitrario” realizza meglio di ogni altro
l’ideale del procedimento semiologico ed è perciò che la lingua, come più diffuso e complesso tra i sistemi
di espressione, ne diviene per Saussure il più caratteristico di tutti. In questo senso, la semiologia è la
scienza generale dei segni e la linguistica ne è parte, sebbene assunga contemporaneamente a potenziale
modello generale di ogni semiologia.
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Semiotica e Comunicazione 9. Il segno, la significazione e il valore linguistico
Seppur sia necessario alle comunità per poter articolare la realtà, il segno perde ogni riferimento obbligato e
logico con le cose essendo composto non più da tre elementi, bensì da sole due facce, di ordine psichico:
Non esistendo più un altrove metafisico, la visione antireferenzialista rifiuta categoricamente una relazione
del tipo:
- rappresentando invece il linguaggio come ciò che si autodefinisce al suo stesso interno, ovvero come
relazione sistemica tra termini: a-b-c. Il rimando tra le due facce restanti crea un supporto diadico, che
unisce in maniera inscindibile il concetto, definito significato, e un’immagine acustica definita significante,
in uno schema siffatto in cui le frecce verticali indicano questo rinvio interno che crea la significazione del
segno:
Dunque, non esiste relazione con alcun oggetto esterno alla lingua stessa, le realtà non sono predefinite e
trasportate nei segni linguistici, né il linguaggio può mescolarsi ad oggetti di natura diversa da se stesso,
pertanto i significati non sono dati preliminarmente ma provengono da valori promanati dal sistema. Dire
che i segni si definiscono nell’ambito stesso del sistema linguistico significa considerarli nei loro rapporti
reciproci di relazioni ed opposizioni. Pertanto il sistema si configurerebbe come un ordito in cui ciascun
segno acquisisce un valore determinato dalla presenza simultanea degli altri segni, relazione rappresentabile
ora attraverso frecce orizzontali. Dunque nella lingua non vi sono se non differenze. Dunque una parola
riveste una significazione (interna) ed un valore (relazionale). Il valore di ciascun termine è determinato da
ciò che lo circonda. Il valore non riguarda soltanto il significato ma anche il significante, dato che il suono di
una parola non è determinabile in se stesso ma in quanto si differenzia dagli altri, permettendo di distinguere
le immagini acustiche.
Primi due principi: arbitrarietà e linearità del segno. Il legame tra significante e significato è arbitrario
radicitus (in modo radicale) nelle sue stesse fondamenta, in qunato collega due entità paritmenti ricavate
mercè un taglio arbitrario nella sostanza dei suoni e dei contenuti. Si distingue una arbitrarietà verticale tra
significato e significante e una seconda arbitrarietà definita orizzontale che riguarda i segni relazionali nel
sistema che oppongono piani della stessa natural ovvero significato/significato e significante/significante.
Tale carattere viene spiegato in termini di sostanza e forma. Ciascuna lingua segue una propria arbitrarietà
formale, ovvero un proprio sistema di forme, con cui forgiare (formalizzare) le due masse informi, sulla
sostanza prelinguistica indistinta del continuum fonico (espressione) e del mondo sensibile (contenuto).
Riprendendo il concetto di “digitalizzazione”, è qui evidente che tanto il continuum dei suoni quanto quello
dei concetti vengono segmentati, ritagliati, resi discreti, attraverso griglie arbitrarie. In quest’ottica possiamo
definire il linguaggio come “ciò che divide il reale”. Questo tipo di arbitrarietà orizzontale definirebbe per
ciascuna lingua proprie griglie di identificazione delle entità linguistiche, tale che ciascuna lingua avrebbe
propri modi di formare, quindi di codificare. Esiste un terzo tipo di arbitrarietà definita relativa che
ridimensiona l’irrazionale nascita dei segni attribuendo così una sorta di ordine e regolarità in certe parti del
sistema. Tali segni, in cui il rapporto interno tra i piani del segno sono “relativamente motivati” o
parzialmente arbitrari, sono generalmente frutto delle regole grammaticali. Anche dal punto di vista grafico
si riscontra una sola dimensione: contrariamente ad altri segni visivi dove è possibile la simultaneità di più
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Semiotica e Comunicazione elementi, nei significanti linguistici non si possono sovrapporre grafemi, né si possono pronunciare due
suoni accavallandoli: in entrambi i casi sono espressi in una linea temporale che forma una catena di
elementi in successione.
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Semiotica e Comunicazione 10. Sintagma e paradigma
La linearità porta a definire ulteriori relazioni tra segno e segno. La catena della parole non è che una
successione, una combinazione di unità consecutive e contigue che si chierano le une dopo le altre: il
sintagma. Avranno forma sintagmatica tutte le sequenze lineari, siano esse una sequenza di fonemi, parole
composte da più morfemi o una parola composta da più parole o una frase composta da più parole. I rapporti
nel sintagma sono in presentia, essendo virtualmente disponibili. Il sintagma è, dunque, il risultato di una
combinatoria, di un processo di selezione di entità messe a disposizione dal sistema dei paradigmi.
Terzo principio: tempo e massa parlante. Seppur non dichiarato da Saussure come “terzo principio”, il
concetto che relaziona il tempo alla massa parlante ha assunto tra gli studiosi tale statuto. Si spiega così
l’evoluzione e la mutabilità dei sistemi linguistici in senso diacronico e sincronico. È dalla parole, dunque
dai prodotti dei singoli individui facenti parte della massa parlante, che la langue acquisisce le variazioni, le
consolida nel sistema e le rimette a disposizione della massa parlante stessa nel corso del tempo.
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Semiotica e Comunicazione 11. La semiotica di C.S. Peirce
Contemporaneamente alle europee idee saussuriane, in America si fa strada la semiotica del filosofo
pragmatista Peirce, una semiotica di tipo cognitivo, basata sulla teoria della conoscenza che contraddice i
fattori di oggettività propri alle impressioni strutturaliste: la semiotica di Peirce si fonda su due principi: il
realismo e il mentalismo. Il primo principio è strettamente collegato alla posizione “ontologica realista” in
quanto nel processo di conoscenza Peirce riconosce nuovamente un primato alla realtà esterna al soggetto. Il
segno è, come già in Aristottele, motivato da un oggetto, motore della semiosi, ma l’idea non è speculare né
universale, al contrario viene determinata nella mente di ciascuno da un complesso processo di relazioni
messe in atto grazie a processi cognitivi soggettivi. L’individuo, lungi dall’assumere passivamente la realtà,
la rielabora attraversando similarità e creando relazioni che possono anche non avere in apparenza nessuna
connessione. Ecco che il secondo principio (il mentalismo) cancella la meccanicità per cedere il posto alla
mente, alla ragione, liberamente istituita dal soggetto che instaura, così, percorsi interpretativi non codificati
a priori.
La definizione di segno. Le classificazioni dei segni in Peirce sono numerose e complesse, si pensi che
annova circa settantasei tipi diversi. Ecco la triade più citata:
a) simboli: sono segni fondati su una convenzione che rende tale rapporto completamente arbitrario. Sono
simboli quelli in cui non c’è motivatezza tra ordine dell’espressione e del contenuto;
b) indici: sono segni fondati su un rapporto di casualità o contiguità. Esiste stavolta una motivatezza di
ordine naturale, un rapporto di causa-effetto che deve essere ricostruito attraverso un ragionamento;
c) icone: sono segni fondati su una similarità topologica, ovvero su rapporti di analogia che esprimono il
contenuto attraverso un’espressione rassomigliante. Il concetto di cona è predominante in Peirce.
L’icona ricopre tre funzioni: invenzione iconica, confronto verificatore di somiglianze, interpretazione
teorica. Affinchè ci sia segno c’è bisogno di qualcuno che elabori il segno stesso: questi, l’interprete, ha un
ruolo incisivo nel processo perché è grazie alla sua mente che avviene l’elaborazione del segno, rinvio
determinato da un oggetto non necessariamente concreto. Il segno non si risolve nelle due facce saussuriane
ma presenta una dimensione ben più complessa, un incontro poliadico tra più elementi – Segno,
Interpretante, Oggetto Immediato, Oggetto Dinamico, Ground, Interpete – rappresentabili di nuovo
attraverso uno schema triangolare
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Semiotica e Comunicazione