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Segno, semiosi, codice: prime definizioni


Per segno intendiamo, genericamente, un aliquid stat pro aliquo, ovvero qualcosa che sta al posto di qualcos’altro, secondo la tradizionale definizione della filosofia scolastica. Il segno mette in relazione, dunque, un elemento fisico o espressione e un elemento astratto o contenuto o, secondo la contemporanea consolidata terminologia saussuriana, un significante e un significato. È bene precisare che nulla nasce “spontaneamente” come segno, ma, come già individuato da S.Agostino, tutto può diventarlo a patto che ci sia qualcuno che attribuisca ad un qualcosa, in determinate circostanze, tale statuto. Un segno è qualcosa che sta al posto di qualcos’altro, per qualcuno, in determinate circostanze. Si definisce semiosi il rapporto che un utente stabilisce tra le due facce del segno, ovvero la relazione secondo cui si costituisce il segno (rapporto semiotico). La semiopoiesi è pertanto la facoltà simbolica propria all’essere umano attraverso cui non solo interpretare ma anche creare sogni. I segni fissati nella corrispondenza e consolidati nel loro uso, vengono organizzati in insiemi strutturati, in sistemi con proprie regole di funzionamento che cominciano a definire codici.
L’intenzionalità di emissione del segno: segnali e indici. I segni si distinguono in non intenzionali o involontari e intenzionali o volontari, opposizione sulla quale si sono sviluppati due filoni della semiotica del Novecento, ovvero la semiotica della comunicazione (che si occupa dei segni non intenzionali) e la semiotica della comunicazione (che si occupa dei segni intenzionali).
A) I segni non intenzionali, genericamente chiamati indici sono un accenno palese da cui si traggono deduzioni  su qualcosa di latente in base a rapporti di continuità o di causa-effetto, su una realzione inferenziale del tipo se A allora B. Il processo di semiosi è dovuto esclusivamente all’intenzionalità dell’interprete che vuol intendere un evento come segno di qualcos’altro. Non di meno si chiameranno indici i segni con statuto simile a questi finora descritti, generalmente riconducibili a variazioni di uno stato fisico anche se non immediatamente collegati ad un’origine naturale.
B) I segni volontari, invece, che sono i veri e propri segni della comunicazione, li definiamo genericamente simboli. Ciò prevede che il segno venga codificato, dunque, istituito tramite corrispondenze predefinite, del tipo “uno a uno”. Nel momento dell’emissione del testo, si presuppone, infatti, che chi lo riceve sia a conoscenza della corrispondenza e sia in grado di decodificare il messagggio. L’equivalenza è così A=B. L’arbitrarietà è manifestata qui dalla possibilità di mutua sostituzione di materia espressiva e contenuto. L’uomo, dunque, può inventare all’occorrenza una molteplicità di segni e codici da impiegare a seconda delle facoltà attivate e di condizioni fisiche e spazio-temporali. I complessi sistemi dei segni linguistici, seppur con caratteristiche del tutto particolari, e seppur prevedendo meccanismi di ordine inferenziale che appronfondiremo in seguito, si riconducono alla categoria dei segni arbitrari, ovvero dei segni non dati in natura ma istituiti per convenzione dalle comunità parlanti.

Tratto da SEMIOTICA E COMUNICAZIONE di Niccolò Gramigni
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