In questi appunti vengono schematizzate le fasi principali della nascita di un film.
Si parte con la fase di pre-produzione, dove si definisce il soggetto della sceneggiatura, si costruiscono i personaggi e la storia e si definisce il casting e la scelta della troupe.
Nella seconda fase chiamate della produzione, il film viene concretamente realizzato: è il momento della scelta della scenografia, dei costumi, del tipo di regia da utilizzare nelle varie scene.
si apre infatti una scelte tra diversi tipi di inquadrature, di obiettivi da utilizzare, in virtù dell'effetto che si vuole ottenere.
Si passa poi all'importante fase della post-produzione, che si identifica con il momento del montaggio, del missaggio e della fase di distribuzione e promozione del film.
La nascita del film: dalla sceneggiatura alla distribuzione
di Domenico Valenza
In questi appunti viene riassunto il libro di Buccheri 'Il film. Dalla sceneggiatura
alla distribuzione' dove vengono schematizzate le fasi principali della nascita di
un film.
Si parte con la fase di pre-produzione, dove si definisce il soggetto della
sceneggiatura, si costruiscono i personaggi e la storia e si definisce il casting e
la scelta della troupe.
Nella seconda fase chiamate della produzione, il film viene concretamente
realizzato: è il momento della scelta della scenografia, dei costumi, del tipo di
regia da utilizzare nelle varie scene.
si apre infatti una scelte tra diversi tipi di inquadrature, di obiettivi da utilizzare,
in virtù dell'effetto che si vuole ottenere.
Si passa poi all'importante fase della post-produzione, che si identifica con il
momento del montaggio , del missaggio e della fase di distribuzione e
promozione del film.
Università: Università degli Studi di Catania
Esame: Storia e Critica del Cinema, a. a. 2008/09
Titolo del libro: Il film. Dalla sceneggiatura alla distribuzione
Autore del libro: V. Buccheri
Editore: Carocci, Roma
Anno pubblicazione: 20031. Le fasi della produzione cinematografica
Il ciclo industriale di un film si articola in tre fasi: la pre-produzione, la produzione e la post-produzione. La
pre-produzione è la fase che precede le riprese: comprende la progettazione del film (che culmina con la
stesura della sceneggiatura), la sua pianificazione e preparazione.
La produzione è la fase delle riprese ed è suddivisa in due momenti: la lavorazione (cioè le routines
organizzative e amministrative della troupe sul set) e lo shooting, le riprese vere e proprie. La post-
produzione è la fase successiva: comprende il montaggio (l’assemblaggio delle inquadrature girate),
l’edizione (la preparazione della copia definitiva), il lancio e la distribuzione.
Domenico Valenza Sezione Appunti
La nascita del film: dalla sceneggiatura alla distribuzione 2. La pre-produzione cinematografica: composizione della troupe e
dell'organizzazione
La prima fase della produzione coincide con la fase di stesura della sceneggiatura. Il contenuto narrativo del
film (la trama) è messo per iscritto. Di solito questo momento è indicato come la fase letteraria della
produzione. La sceneggiatura non ha però un valore letterario autonomo; essa consente di formulare un
preventivo economico. Con lo studio-system è diventata una tappa fissa.
Una troupe cinematografica è composta da numerosi reparti, la maggior parte dei quali già attivi in pre-
produzione e coinvolti fino alla fine. Un caso a parte sono i reparti sceneggiatura e montaggio, alfa e omega
del film. Ma spesso chi scrive la storia continua a lavorare anche in fase di riprese.
1. Regia. Il regista è il responsabile artistico del film, spesso scrive soggetto e/o sceneggiatura. Nella pre-
produzione sceglie gli attori d’accordo con il produttore e decide l’impostazione visiva del film. L’aiuto-
regista non ha un ruolo artistico ma di coordinamento. Gli assistenti alla regia colla-borano con l’aiuto nel
gestire attori e comparse. Al reparto di regia afferisce anche la segreteria di edizione (continuity girl). Il
capogruppo delle comparse (crowd marshall) reperisce le comparse.
2. Produzione. Il produttore (producer) è il finanziatore del film, colui che decide se intraprendere la
produzione. Oggi non rischia capitali personali, raccogliendo le finanze attraverso prestiti privati,
finanziamenti statali, vendita dei diritti televisivi, diritti di distribuzione. Il produttore esecutivo (executive
producer) realizza il progetto utilizzando il budget messo a disposizione dal produttore.
Se la produzione è grossa, esiste anche la figura dell’organizzatore (production manager), responsabile di
tutte le fasi della produzione. Altrimenti tali funzioni sono assorbite dal direttore di produzione (unit
manager) che ha un ruolo più logistico-operativo: fissa le location, richiede i permessi per girare, organizza i
trasporti. Alle sue dipendenze vi sono gli ispettori di produzione, che si occupano di permessi e assicurano la
comunicazione tra i reparti; gli assistenti di produzione e i segretari di produzione, che hanno compiti di
segreteria organizzativa.
3. Amministrazione. L’amministratore cura la contabilità, le assunzioni e provvede alle paghe e della troupe.
E’ assistito da uno o più cassieri. 4. Fotografia. Il direttore della fotografia esegue dei sopralluoghi sui
luoghi delle riprese e stendendo una lista dei materiali tecnici necessari.
5. Scenografia. Lo scenografo discute con il regista lo stile visivo del film, disegna e fa disegnare i progetti
delle scenografie per gli studi o gli interventi da fare ai luoghi reali. L’attrezzista di scena (propman)
realizza le scenografie con gli attrezzisti di preparazione, costruttori, manovali e pittori. Gli assistenti
scenografi, con gli aiuti (runners) collaborano con lo scenografo nei sopralluoghi.
6. Costumi. Il costumista, coadiuvato dall’assistente costumista stende una lista dei costumi necessari. Se
questi vengono creati ex novo, segue da vicino la realizzazione in sartoria.
Domenico Valenza Sezione Appunti
La nascita del film: dalla sceneggiatura alla distribuzione 7. Trucco e parrucchieri. In caso di film storici, il truccatore (make-up artist) e il parrucchiere (hair stylist)
ricevono dal costumista i bozzetti per la creazione delle parrucche.
Nella pre-produzione di un film il percorso più comune è il seguente: mentre il produttore elabora un piano
finanziario per individuare le fonti di finanziamento, l’aiuto regista e l’organizzatore sottopongono la
sceneggiatura a un’operazione di spoglio. Il risultato è da un lato un preventivo di massima, dall’altro un
piano di lavorazione, un calendario dei tempi e dei luoghi delle riprese.
Domenico Valenza Sezione Appunti
La nascita del film: dalla sceneggiatura alla distribuzione 3. Lo story-concept del film
Senza le pretesa di fornire uno schema fisso, solitamente le tappe che portano alla stesura di una
sceneggiatura sono quattro: l’idea drammatica, il soggetto, la scaletta e il trattamento. Alla base di una storia
per immagini c’è sempre un’idea drammatica: ma non la scintilla nella mente dello sceneggiatore, bensì ciò
di cui il film parla, ciò che nei manuali di sceneggiatura è definito story-concept: non il tema trattato, ma il
riassunto della storia, il suo nucleo.
Lo story-concept è ciò che gli addetti ai lavori chiamano telegramma: le venticinque parole con cui i
produttori pretendono di farsi riassumere la storia del film. Se tutti i film sono basati su un’idea narrativa,
non tutte le idee narrative posseggono uguale forza drammatica. I manuali distinguono high-concept e low-
concept: il primo è una narrazione dominata dall’intreccio, il secondo una nar-razione incentrata sul
personaggio. Tale distinzione richiama quella tra drammaturgie forti e deboli.
Per inventare un’idea drammatica è anche possibile partire dalla riscrittura di un mito, di un archetipo, di un
evento reale. Ma si può anche narrare il seguito o l’antefatto, utile escamotage per ritrovare un’ispirazione
personale dietro storie e personaggi inventati da altri.
In Manuale di sceneggiatura cinematografica (1998) Aimeri propone di definire l’idea drammatica come
un’ipotesi sulla realtà, una domanda: cosa succederebbe se? Volendo paragonare una storia a un percorso a
bivi, la prima domanda è l’imbocco del sentiero: cosa succederebbe se un drammaturgo colto e impegnato
fosse chiamato a Hollywood per scrivere un film sul wrestling (Barton Fink)? O se in un gagster-movie i
cattivi fossero spiritosi e simpatici (Pulp Fiction)?
Tali domande sono anche delle prospettive critiche sulla realtà, un modo per abbordarla da una visuale
inconsueta, e per esplorare nelle sue connessioni più nascoste. Per questo esse finiscono spesso per mettere
in relazioni mondi a prima vista incomparabili. E per questo i film spesso anticipano la realtà: perché fanno
continuamente delle ipotesi sul suo svolgimento futuro.
In senso più ampio, inventare storie è sempre un atto di responsabilità morale: una domanda implica
l’assunzione di un punto di vista. Una storia è sempre un’interrogazione sul possibile e sul rapporto tra
possibile e necessario, dunque è intrinsecamente etica. Come scrive Warthon: “Un buon soggetto deve
contenere qualcosa che getti la luce sulla nostra esperienza morale”.
Domenico Valenza Sezione Appunti
La nascita del film: dalla sceneggiatura alla distribuzione 4. Il soggetto cinematografico
Una volta chiarita l’idea drammatica dal principio alla fine (salvo poche eccezioni, è sconsigliabile iniziare a
scrivere una storia se non si sa come concluderla), lo sceneggiatore comincia a stendere il soggetto. Il
soggetto è la storia sotto forma di breve racconto letterario, e deve contenere indicazioni sintetiche ed
esaustive sugli elementi necessari della vicenda: il protagonista e i personaggi principali; la localizzazione
spazio-temporale, l’inizio, il centro e la fine della storia.
La lunghezza di un soggetto può andare dalle tre alle dieci cartelle, ma per Syd Field la misura ottimale è di
quattro cartelle, così distribuite: una cartella e mezza per il primo atto (mezza pagina per la scena di
apertura, mezza per l’azione generale, mezza per il primo colpo di scena); una cartella per il secondo atto, lo
sviluppo della storia (mezza per l’azione e mezza per il secondo colpo di scena); una cartella per il terzo
atto, la risoluzione.
Field è fin troppo dettagliato, ma tale suddivisione ha lo scopo di evitare ciò che Cerami chiama “effetto
uomo Michelin”: un racconto sproporzionato come il pupazzetto, in cui ci si dilunga troppo su una singola
situazione o su particolari accessori, dimenticando la linea d’azione principale.
Occorre permettere al lettore di farsi subito un’idea della storia, deve balzare agli occhi lo story-concept.
L’intreccio deve essere semplificato, i personaggi ridotti al minimo, la scrittura semplice e coinvolgente. Si
può scrivere al presente o al passato: il primo si adatta meglio ai film d’azione, il passato alle sfere
d’atmosfera. Il soggetto può essere tratto da fonti diverse: se è tratto da opere letterarie preesistenti si dice
derivato; originale se è stato pensato e scritto per il grande schermo.
Domenico Valenza Sezione Appunti
La nascita del film: dalla sceneggiatura alla distribuzione 5. La scaletta cinematografica
La fase successiva di elaborazione è la scaletta, lo scheletro del film, il suo schema: un elenco degli eventi
principali organizzato per punti, per scene-azioni numerate. Si scrive senza preoccu-pazione di stile, come
lista dei fatti su cui lo sceneggiatore può tornare aggiungendo o spostando.
La scaletta è il progetto della sceneggiatura. Un punto numerato di scaletta può contenere una o più scene.
L’importante è che si isoli un’unità narrativa, un’azione-cerniera, una delle azioni che fanno progredire il
racconto. Per un lungometraggio tra i 90 e i 110 minuti si va da una prima scaletta di sei/sette punti a una,
più dettagliata e detta da Cerami scalettone, di venticinque punti.
Il soggetto contiene la fabula (cioè l’esposizione degli eventi in ordine cronologico e causale, senza
flashback e flashforward) mentre la scaletta è l’intreccio, cioè l’ordine di presentazione degli eventi sullo
schermo. La differenza tra soggetto e scaletta può essere molto rilevante, specie nei film che sperimentano
sulla manipolazione del tempo narrativo (caso estremo è Memento).
Domenico Valenza Sezione Appunti
La nascita del film: dalla sceneggiatura alla distribuzione 6. Il trattamento della sceneggiatura cinematografica
Una volta completata la scaletta, lo sceneggiatore può svilupparla nel trattamento, il racconto in prosa
dell’intera storia, scena dopo scena. Può essere il soggetto ampliato, oppure una storia sotto forma di
romanzo. Di solito è scritto al presente, in prima o terza persona, prediligendo il discorso indiretto; pochi i
dialoghi ma molto dettagliate le descrizioni degli ambienti.
Il trattamento serve a risolvere tutti i problemi di costruzione prima della sceneggiatura: lo scopo è creare il
mondo narrativo che confluirà nel film. E’ il momento dell’evocazione, in cui si approfondiscono biografia e
interiorità dei personaggi. Tali informazioni aiutano lo sceneggiatore a familiarizzare con un universo
poetico, ma che in sceneggiatura saranno accorciate, selezionate.
In Italia l’esigenza di scrivere il trattamento varia da uno sceneggiatore all’altro. Gli americani passano
direttamente dal soggetto alla sceneggiatura, scrivendo a parte, in piccole schede volanti, biografie e storie
dei personaggi. Anche perché, come ricorda Rovescalli, nel cinema americano si girano spesso film tratti da
romanzi, il che rende superfluo il trattamento come soggetto romanzato.
Stanley Kubrick, in merito, sosteneva che i romanzi meglio adattabili al cinema sono quelli psicologici, che
descrivono in ogni momento cosa stia pensando o provando un personaggio: ciò rende più facile allo
sceneggiatore cercare azioni che siano il correlativo di quegli stati psicologici.
Domenico Valenza Sezione Appunti
La nascita del film: dalla sceneggiatura alla distribuzione 7. La sceneggiatura cinematografica
La sceneggiatura è la tappa finale del processo di ideazione di una storia cinematografica, e punto di
partenza per la realizzazione del film. Secondo Pisolini, essa è “una struttura che aspira ad essere un’altra
struttura”; è una forma di confine, fatta di parole destinate a diventare immagini, concepita in funzione della
dimensione visiva. Se Rossellini sosteneva che l’unica sua funzione è rassicurare i produttori, per Hitchcock
il film può dirsi concluso quando questa è conclusa.
In La sceneggiatura (2000) Robbiano distingue due scuole di sceneggiatura. Da un lato c’è l’empi-rismo
della manualistica statunitense (Syd Field) che esorta ad applicare semplici regole di scrit-tura. Dall’altro c’è
un versante europeo più attento all’indagine linguistica, che rifiuta vincoli creativi.
Domenico Valenza Sezione Appunti
La nascita del film: dalla sceneggiatura alla distribuzione 8. La struttura in tre atti della sceneggiatura
Secondo i manuali statunitensi, gli elementi fondamentali di una sceneggiatura sono due: la centralità del
personaggio e della sua azione, e la struttura in tre atti, uno schema narrativo basato sulla drammaturgia
dell’antico teatro greco, così come teorizzata da Aristotele. Per questo motivo, il modello statunitense è stato
battezzato neo-aristotelico.
La storia deve ruotare attorno a un personaggio principale, un eroe attraverso il quale passa l’identificazione
dello spettatore. La psicologia del personaggio deve essere definita da una motivazione profonda, un need,
un bisogno. Tale bisogno all’inizio della storia è latente, nascosto tra le pieghe della coscienza del
personaggio che vive in una situazione di equilibrio.
A un certo punto, al personaggio succede qualcosa: un incidente o un evento che lo pongono di fronte a una
scelta. In Il Grande Lebowsky i protagonisti vanno in cerca dell’uomo per cui sono stati scambiati. Ne
deriva una catena di complicazioni che conducono al primo punto di svolta.
Il punto di svolta chiude la prima parte della storia e la fa ripartire in un’altra direzione;
contemporaneamente, è un momento di presa di coscienza da parte del protagonista. Il primo plot point
chiude il primo atto del racconto e finisce a circa trenta minuti dall’inizio del film (pag. 30). Dopo di esso è
come se calasse un sipario immaginario rilanciando la domanda su cosa succederà.
Il costituirsi di un obiettivo implica sempre la delineazione di un antagonista. Ciò porta a una situazione di
conflitto che si sviluppa nella seconda parte del film. Comincia così il secondo atto, che sviluppa del primo
le premesse drammatiche in una durata di circa sessanta minuti, da p. 30 a p. 90. E’ la fase più difficile di
una sceneggiatura: inventare ostacoli credibili che si frappongano fra il protagonista e il suo obiettivo,
facendo ripartire la storia e tenendo vivo il conflitto.
Per Linda Seger il conflitto del secondo atto prende linfa da tre tipi di elementi narrativi: le barriere, le
complicazioni e le svolte. Le barriere sono ostacoli che impediscono al protagonista di ottenere il risultato
voluto: il protagonista procede per tentativi. La complicazione è un’azione la cui conseguenza sarà visibile
in seguito, ad esempio l’ingresso di un nuovo personaggio.
La svolta è un elemento che capovolge la direzione della storia. Diversamente dai cortometraggi, nei
lungometraggi non può essere giocata come conclusione a sorpresa. E’ una svolta anche il punto di non
ritorno collocato a metà film, cioè a metà del secondo atto, a un’ora dall’inizio: il protagonista ora si trova
davanti a un evento che gli rende impossibile tornare indietro.
La posta in gioco si alza: il personaggio farà qualcosa di impensabile che lo cambierà per sempre. In E. T.
l’extraterrestre sente nostalgia di casa. Il punto di non ritorno è un evento cruciale quasi quanto i due turning
point: ma se quelli cambiano la direzione degli eventi, il punto di non ritorno li accelera. Esso apre la
seconda metà del secondo atto (da p. 60 a p. 90): il conflitto si radicalizza.
Questi eventi sempre più concitati conducono al secondo punto di svolta, in cui l’ennesimo ostacolo sembra
Domenico Valenza Sezione Appunti
La nascita del film: dalla sceneggiatura alla distribuzione