Lo story-concept del film
Senza le pretesa di fornire uno schema fisso, solitamente le tappe che portano alla stesura di una sceneggiatura sono quattro: l’idea drammatica, il soggetto, la scaletta e il trattamento. Alla base di una storia per immagini c’è sempre un’idea drammatica: ma non la scintilla nella mente dello sceneggiatore, bensì ciò di cui il film parla, ciò che nei manuali di sceneggiatura è definito story-concept: non il tema trattato, ma il riassunto della storia, il suo nucleo.
Lo story-concept è ciò che gli addetti ai lavori chiamano telegramma: le venticinque parole con cui i produttori pretendono di farsi riassumere la storia del film. Se tutti i film sono basati su un’idea narrativa, non tutte le idee narrative posseggono uguale forza drammatica. I manuali distinguono high-concept e low-concept: il primo è una narrazione dominata dall’intreccio, il secondo una nar-razione incentrata sul personaggio. Tale distinzione richiama quella tra drammaturgie forti e deboli.
Per inventare un’idea drammatica è anche possibile partire dalla riscrittura di un mito, di un archetipo, di un evento reale. Ma si può anche narrare il seguito o l’antefatto, utile escamotage per ritrovare un’ispirazione personale dietro storie e personaggi inventati da altri.
In Manuale di sceneggiatura cinematografica (1998) Aimeri propone di definire l’idea drammatica come un’ipotesi sulla realtà, una domanda: cosa succederebbe se? Volendo paragonare una storia a un percorso a bivi, la prima domanda è l’imbocco del sentiero: cosa succederebbe se un drammaturgo colto e impegnato fosse chiamato a Hollywood per scrivere un film sul wrestling (Barton Fink)? O se in un gagster-movie i cattivi fossero spiritosi e simpatici (Pulp Fiction)?
Tali domande sono anche delle prospettive critiche sulla realtà, un modo per abbordarla da una visuale inconsueta, e per esplorare nelle sue connessioni più nascoste. Per questo esse finiscono spesso per mettere in relazioni mondi a prima vista incomparabili. E per questo i film spesso anticipano la realtà: perché fanno continuamente delle ipotesi sul suo svolgimento futuro.
In senso più ampio, inventare storie è sempre un atto di responsabilità morale: una domanda implica l’assunzione di un punto di vista. Una storia è sempre un’interrogazione sul possibile e sul rapporto tra possibile e necessario, dunque è intrinsecamente etica. Come scrive Warthon: “Un buon soggetto deve contenere qualcosa che getti la luce sulla nostra esperienza morale”.
Continua a leggere:
- Successivo: Il soggetto cinematografico
- Precedente: La pre-produzione cinematografica: composizione della troupe e dell'organizzazione
Dettagli appunto:
- Autore: Domenico Valenza
- Università: Università degli Studi di Catania
- Esame: Storia e Critica del Cinema, a. a. 2008/09
- Titolo del libro: Il film. Dalla sceneggiatura alla distribuzione
- Autore del libro: V. Buccheri
- Editore: Carocci, Roma
- Anno pubblicazione: 2003
Altri appunti correlati:
- Linguaggi del Cinema
- Il linguaggio cinematografico. Fasi e tecniche per girare un film
- "Quarto potere" e il cinema di Welles
- Critica del Cinema
- Il remake di Psyco
Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:
- L'evidenza celata: le trame invisibili del cinema horror
- Politiche autoriali. Sceneggiatura contro regia, da Aristotele alle serie tv contemporanee
- Qualcuno era comunista...Storia, speranza e poesia in ''Ceravamo tanto amati'' di Ettore Scola.
- Nouvelle vague e Dogma 95, assonanze e dissonanze
- L'America oggi: da Raymond Carver a Robert Altman. Destrutturazione della trama e ricomposizione dei frammenti.
Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.