Brevi appunti su alcune dottrine teologiche. La disputa eucaristica tra Lanfranco di Pavia e Berengario di Tours, la sacra dottrina contesa da "ratio" e fede negli scritti di Anselmo d'Aosta, che sviluppa un discorso sull'importanza della conoscenza razionale, così come Ildeberto di Lavardin.
La dottrina dei teologi
di Carlo Cilia
Brevi appunti su alcune dottrine teologiche. La disputa eucaristica tra Lanfranco
di Pavia e Berengario di Tours, la sacra dottrina contesa da "ratio" e fede negli
scritti di Anselmo d'Aosta, che sviluppa un discorso sull'importanza della
conoscenza razionale, così come Ildeberto di Lavardin.
Università: Università degli Studi di Catania
Facoltà: Lettere e Filosofia1. Lanfranco di Pavia e la scienza sacra
Lanfranco di Pavia: nella seconda metà dell’XI secolo lo sviluppo della dialettica in campo del sapere
profano, porta gli ambienti monastici a ridiscutere l’importanza che la dialettica ha e può avere all’interno
della Rivelazione e più in particolare della scienza sacra. Lanfranco ci tiene ad un tale distinzione tra
Rivelazione e scienza sacra poiché considera la prima come l’insieme delle verità che Dio ha, attraverso lo
Spirito, rivelato agli uomini; mentre parla della seconda come una scienza, che utilizzando la dialettica e i
metodi razionali delle scienze profane, è in grado di sistemare le verità di fede in un ragionamento coerente.
È chiaro quindi che la prima è strettamente legata alla verità e alla sapienza, la seconda è un’ancella, una
scienza che aiuta, appoggia ma che da sola non è in grado di dare sapienza all’uomo. Infatti la dialettica è
considerata assolutamente inadeguata a spiegare i dogmi della fede. È chiaro infatti che secondo i principi
dialettici a parere di Lanfranco, un uomo non può nascere da una vergine, un morto non può resuscitare. Ma
soprattutto se dovessimo seguire i principi dialettici dovremmo non accettare la morte in croce del Cristo,
perché in contraddizione con la sua immortalità. Se Cristo è Dio e Dio è immortale, Gesù non può essere
morto in croce. Lanfranco “giustifica” per così dire la legittimità della dialettica proprio partendo dal
principio che essa non ha valore dimostrativo per ciò che riguarda le verità di fede e quindi non contraddice
le manifestazioni di Dio anzi in certi casi ha il potere di sostenerle.
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La dottrina dei teologi 2. Lanfranco, Berengario e la disputa eucaristica
Nello scritto Liber de corpore et sanguine Domini Lanfranco si confronta con Berengario a proposito della
disputa eucaristica. Entrambi sono d’accordo nel fatto che tale disputa va inserita all’interno di quella più
ampia tra dialettica e fede, quindi tra scienza profana e scienza sacra. Innanzi tutto Lanfranco afferma che la
contrapposizione dialettica-ratio è una contrapposizione che va superata dando alla ratio un significato molto
ampio che fa rientrare la dialettica negli strumenti per il raggiungimento di “un’intelligenza della fede”.
Dall’altra parte però distingue nettamente le sacrae auctoritates alle dialectae rationes per cui le prime si
basano sulla Rivelazione e nulla hanno a che fare con i contenuti del sapere profano, mentre le seconde
rappresentano i contenuti e la forma propri delle scienze profane. Lanfranco precisa inoltre di voler fare a
meno della dialettica per parlare di Dio dimostrando tra l’altro che tale procedimento non è contro ragione
ma che anzi è contro ragione chi è convinto di poter parlare di Dio solo attraverso la dialettica. Dopodichè L.
comincia con il criticare le tesi sull’eucaristia di Berengario il quale sosteneva che sia che si dica che il pane
e il vino dell’altare sono soltanto sacramento sia che si dica che sono solo corpo e sangue di Cristo, bisogna
affermare che il pane e il vino permangono. Ora prima di tutto L. sostiene che sbaglia chiunque sostenga una
delle due affermazioni in quanto attraverso la consacrazione non solo il pane e il vino diventano sacramento,
ma si trasforma realmente in vero corpo e vero sangue.
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La dottrina dei teologi 3. Disputa tra Lanfranco e Berengario sul testo di Ambrogio
Inoltre L. fa notare che l’argomento di Berengario è posto in termini strettamente grammaticali e si allontana
anni luce dal “mistero” che sta dietro l’eucaristia. Ad ogni modo L. rimprovera a Berengario anche il fatto
che la sua argomentazione è fondata su un sillogismo errato in quanto nemmeno la prima premessa risulta
essere universale (non ogni affermazione potrà sussistere privata di una sua parte questa è la premessa
maggiore del sillogismo di Berengario). Rimane però aperto, nonostante la critica lanfranchiana a
Berengario, il problema del significato che all’interno delle tesi ortodosse assumono i termini panis e vinum,
cioè del tipo di sostanze che essi esprimono. Quello che viene fuori da questo confronto è l’importanza che
L. dà al principio di non contraddizione. Quando infatti Berengario citando un testo di Ambrogio mette in
luce come egli avesse affermato che al tempo stesso il pane e il vino si trasformano in vero corpo e vero
sangue mantenendo le caratteristiche del pane e del vino, L. interviene sostenendo che Ambrogio sarebbe
stato un pazzo se avesse inteso ciò che Berengario vuole tirar fuori dagli scritto del Padre della Chiesa. L.
allora interpreta gli scritto di quest’ultimo in termini non contraddittori per cui sensibilmente il corpo e il
sangue permangono, ma nell’essenza sono trasformati in vero corpo e vero sangue. Per L. allora il principio
di non contraddizione è a pieno titolo da considerarsi un buon strumento per il dibattito teologico. Inoltre nei
testi di L. non può sfuggire l’uso di una variegata e ricca terminologia riguardante il termine ratio e le sue
forme.
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La dottrina dei teologi 4. Lanfranco di Pavia. "Essentia principalis" ed "essentia seconda"
Ma l’aspetto forse più importante di tutta la sua riflessione è la sua riformulazione in campo logico-
ontologico dei concetti di essentia principalis ed essentia seconda. Tali concetti sono molto più vicini a
quelli boeziani di essere in sé (ipsum esse) ed essere determinato (id quod est) che a quelli aristotelici di
sostanza prima e sostanza seconda. In particolare L., ammettendo l’imperscutabilità del mistero del
mutamento da pane e vino in corpo e sangue, forza un po’ i concetti boeziani che utilizza sostenendo che
l’alterazione delle sostanze prime può non corrispondere all’alterazione delle sostanze seconde, per cui ciò
che ai nostri occhi appare come pane e vino nell’essenza è corpo e sangue. Quindi si vede come alla fine il
linguaggio concettuale sul quale si basa la concezione del mutamento è molto vicino a quello aristotelico pur
presentandosi come un’alternativa. Questo dimostra allora come risulti impossibile in ultima analisi non
considerare gli “influssi dialettici” che sono presenti nell’opera di un pensatore che si definisce anti-
dialettico. La “teologia razionale” allora diventa un’alternativa allo studio allegorico dei testi che mantiene
ancora le distanze dalla “filosofia” in senso stretto perché ha paura di cadere nelle grinfie delle scienze
profane.
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La dottrina dei teologi 5. Scienza profana e sapienza cristiana in Pier Damiani
Pier Damiani: la distinzione tra scienza profana e sapienza cristiana e il rapporto di entrambe con la ragione
sono temi centrali anche nella riflessione di Pier Damiani. I toni che egli utilizza nel suo de sancta
simplicitate sono talmente polemici che sembrano addurre ad un’ostilità totale verso la filosofia. In realtà i
tratta solo della netta distinzione tra fede e discipline profane. Esiste infatti secondo D. una disciplina che
risana il cuore e le menti e una che non ha permesso a tanti uomini di godere dei beni desiderati. L’opuscolo
allora non va considerato come una condanna alla filosofia, ma piuttosto come una esortazione alla vita
monastica fatta di preghiera e vera sapienza, donata dalle sacre Scritture. La scienza profana, i origine
pagana, è quella scienza che inebria le menti fino a portarle alla pazzia e alla perdizione del proprio spirito.
Tale allontanamento dal sapere profano è legato alla convinzione che la sapienza non si acquista
razionalmente; ciò però non permette che egli rifiuti completamente la ragionevolezza teologica ma fa si che
egli come i suoi contemporanei precisi i termini entro i quali la ricerca razionale deve muoversi e il limite
oltre il quale la ratio non deve andare. Quando parliamo di ragionevolezza quindi, nel caso di Damiani come
in quello di Lanfranco, facciamo riferimento alla capacità di un uomo religioso di cogliere il senso e la non
a-razionalità delle verità di fede, la quale rimane anche di fronte a contraddizioni la fonte di verità.
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