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Anselmo e "De libertate arbitrii". Libertà e peccati dell'uomo


Anselmo volendo risolvere tale questione che vedeva due prospettive opposte aveva fatto nel De libertate arbitrii una differenza tra la libertà di giudizio della natura (e quindi delle creature) e quella di Dio: la prima non è mai vera libertà in senso pieno, perché può scegliere il peccato. La libertà adeguata alla perfezione dell’essere è quella che agisce solo all’interno e in vista del Bene. In effetti il De libertate arbitrii di Anselmo, precedente al Cur Deus homo, è dedicato quasi esclusivamente alle creature soggette al peccato e poco si occupa dell’onnipotenza di Dio. Parla allora di libertà in senso proprio (per sé) e di libertà partecipata, ossia quella degli angeli e degli uomini che hanno di fronte sia la scelta del bene che quella del male. Inoltre Anselmo sostiene che ogni uomo è per natura tendente alla rectitudo che Dio ha messo in lui e che corrisponde alla sua volontà. Dio allora certamente non priverà mai l’uomo di tale rectitudo ma non perché incapace, ma perché ciò andrebbe necessariamente contro la volontà stessa del Creatore. La sua volontà è allora necessitata a rifiutare tutto ciò che è mancanza di perfezione, ciò che chiamiamo male. Già da questo si capisce come Anselmo non rinunci ad utilizzare la dialettica anche nei discorsi più scottanti riguardanti Dio.

Tratto da LA DOTTRINA DEI TEOLOGI di Carlo Cilia
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