Organico riassunto del manuale per lo studio dell'antropologia. Tutti i capisaldi della materia vengono ampiamente definiti e descritti: dopo un inquadramento storico della materia, con i principali autori che si sono occupati degli studi antropologici, vengono approfondite le materie studiate dall'antropologia e dall'etnografia. In particolare, si da ampio spazio ai concetti di famiglia, di parentado, di religione, di cultura, di tipologia di gruppo sociale.
Elementi di antropologia culturale
di Anna Bosetti
Organico riassunto del manuale per lo studio dell'antropologia. Tutti i capisaldi
della materia vengono ampiamente definiti e descritti: dopo un inquadramento
storico della materia, con i principali autori che si sono occupati degli studi
antropologici, vengono approfondite le materie studiate dall'antropologia e
dall'etnografia. In particolare, si da ampio spazio ai concetti di famiglia, di
parentado, di religione, di cultura, di tipologia di gruppo sociale.
Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
Facoltà: Scienze dell'Educazione
Corso: Scienze dell’Educazione
Esame: Antropologia Culturale
Docente: Claudia Mattalucci
Titolo del libro: Elementi di antropologia culturale
Autore del libro: Ugo Fabietti
Editore: Mondadori università
Anno pubblicazione: 20101. Definizione di antropologia
Antropologia significa, letteralmente, “studio del genere umano” (dai termini della lingua greca ànthropos e
lògos). Questa però è solo una definizione vaga e imprecisa. È vaga perché sono molti i saperi e le scienze
che studiano il genere umano: la filosofia, la psicologia, la sociologia, la storia, la demografia, la genetica…
Ed è anche imprecisa perché non ci dice quale aspetto del genere umano costituisca il suo oggetto di studio
privilegiato.
Ci sono 3 tipi di antropologie:
Antropologia culturale: studio delle idee e dei comportamenti degli esseri umani in tempi e luoghi diversi.
Antropologia biologica: studio dell’anatomia, del corredo genetico ecc.
Antropologia filosofica: discussione filosofica intorno all’uomo.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale 2. Comparsa dell’antropologia
Le origini dell’antropologia come disciplina scientifica non sono facili da stabilire. Quelle più lontane
risalgono forse al greco Erodoto (VI secolo a.C.), il quale però non parla mai di antropologia, anche se le sue
osservazioni sulla differenza dei costumi tra i popoli hanno un sapore antropologico.
Le radici dell'antropologia più immediatamente riconoscibili risalgono all'umanesimo europeo che pone
l’umanità al centro della riflessione filosofica e della produzione artistica. Agli occhi degli umanisti il
genere umano, pur rimanendo il fine ultimo del progetto divino, diviene un soggetto capace di esplorare la
natura studiandone le leggi e i meccanismi nascosti.
Con la scoperta, e poi la conquista dell'America, gli europei cominciano a interrogarsi circa la natura di
queste popolazioni definite selvagge.
Con l'espansione coloniale e i traffici commerciali, i contatti degli europei con gli altri popoli si
intensificano e di conseguenza crescono le descrizioni dei costumi e delle Istituzioni sociali dei popoli
lontani. Alla base di queste descrizioni non vi è però un vero progetto scientifico: perché ciò emerga si deve
attendere la fine del Settecento, quando scienziati naturali e filosofi cominciano ad elaborare una teoria
"unitaria" del genere umano, concepito come un'unica specie e come complesso di individui potenzialmente
dotati delle stesse facoltà mentali.
L’Illuminismo pone le basi per lo sviluppo del sapere antropologico, smontando alcune delle
rappresentazioni ancora legate alle verità della Bibbia che facevano d’ostacolo alla comprensione
dell’alterità.
In quanto disciplina accademica le origini dell'antropologia culturale sono ancora più recenti: risalgono alla
fine dell'Ottocento.
Infatti, nel corso dell'Ottocento l'interesse per i popoli "esotici" cresce, anche perché le maggiori potenze
europee si impegnano nella conquista di nuove regioni in Africa, in Asia e in Oceania, mentre negli Stati
Uniti la resistenza indiana viene piegata e i pellirosse confinati nelle riserve. Proprio nelle colonie e nelle
riserve gli antropologi trovano i luoghi privilegiati del loro lavoro.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale 3. Campo di intervento degli antropologi
Gli antropologi studiano le culture, e lo fanno perlopiù, oggi, andando a soggiornare nei contesti che sono
oggetto di studio. Non è sempre stato così: nel tempo ci sono stati cambiamenti sia per quanto riguarda
l’oggetto degli studi antropologici, sia per quanto riguarda i metodi.
Fino a pochi decenni fa, gli antropologi si sono occupati dello studio dei popoli geograficamente lontani, che
per molto tempo sono stati chiamati "selvaggi" o "primitivi" perché ritenuti i rappresentanti di fasi arcaiche
della storia del genere umano. Erano popolazioni spesso fornite di una tecnologia assai semplice, ignare
della scrittura e con "costumi" che si segnalavano per la loro notevole diversità rispetto a quelli degli
europei. L’antropologia veniva, infatti, definita come studio dei popoli “senza” (storia, scrittura, ecc.). Da un
lato c’è l’Occidente moderno, con una storia e l’uso della scrittura e dall’altro i popoli tradizionali senza
storia e senza scrittura.
Con il tempo però a questi popoli se ne sono aggiunti altri, geograficamente più "vicini" all'Europa e con
istituzioni più simili. In seguito, anche popoli con tradizioni scritte e praticanti culti monoteistici sono stati
inclusi negli interessi degli antropologi, specialmente a partire dalla metà del Novecento.
Quando l'antropologia era una scienza agli albori, gli antropologi avevano raramente occasione di visitare di
persona popoli di cui scrivevano: erano solitamente definiti “antropologi a tavolino”. Essi si avvalevano
delle testimonianze di viaggiatori, esploratori, militari e funzionari coloniali.
Tra la fine dell'Ottocento e i primi anni del XX secolo, gli antropologi cominciarono a recarsi personalmente
presso i popoli che volevano studiare inaugurando la pratica della ricerca sul campo: si prende coscienza del
fatto che nessuna osservazione può essere neutra, per cui è scivoloso elaborare teorie a partire dalle
osservazioni di altri. È perciò necessario andare da soli a raccogliere i propri dati.
Oggi l’antropologia non è tanto definita dall’oggetto di studio quanto piuttosto dalla metodologia di ricerca:
quella che viene definita “osservazione partecipante”, un tipo di studio che si basa soprattutto sul contatto
diretto con i soggetti studiati (metodologia che si costituisce intorno agli anni ’20, grazie all’opera di
Bronislaw Malinowski).
L’antropologia non è frutto esclusivo della cultura occidentale, ma spesso è proprio presso popolazioni
semplici e sprovviste di istituzioni che possiamo trovare le più affascinanti visioni dell’uomo e del cosmo.
L’antropologia sviluppatasi nella tradizione di pensiero occidentale sarebbe, di conseguenza, solo una delle
tante antropologie elaborate in tempi e luoghi diversi.
L’oggetto privilegiato dell’antropologia è costituito dalle differenze culturali.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale 4. Definizioni di cultura
Ciò che gli antropologi chiamano culture sono modi diversi con cui i gruppi umani affrontano il mondo.
L'antropologia però cerca anche di mettere in luce quanto vi è di comune o affine tra di essi.
Col tempo il termine "cultura" ha rivestito, per gli stessi antropologi, significati un po' diversi.
La prima definizione antropologica di cultura risale a Tylor, che, nel suo libro Primitive Culture, ha scritto
che la cultura è quell’insieme complesso che include i costumi, le capacità e le abitudini acquisite dall'uomo
in quanto membro di una società.
Tylor sostiene che tutti gli uomini sono dotati di una cultura (la cultura è un dato universale, comune
all'intero genere umano). Ed è un’idea innovativa per la sua epoca.
Da Tylor in poi sono state date molte altre definizioni di cultura, come ad esempio:
Malinowski (1944) riteneva che tutti gli uomini avessero dei bisogni primari e dei bisogni secondari, e la
cultura era l’insieme delle risposte che localmente veniva dato a questi bisogni.
Bourdieu (1974) sosteneva invece che la cultura fosse un insieme di habitus, cioè di disposizioni corporee e
intellettuali che risultano dall’interiorizzazione di modelli di comportamento e di pensiero socialmente
costruiti.
C. Geertz (1973) descrive la cultura come capacità di comunicare.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale 5. Caratteristiche della cultura
- La cultura presenta forme interne di organizzazione. Tale organizzazione, che non è mai rigida e
meccanica, coincide con i modelli (culturali) che sono insiemi di idee e di simboli, propri del contesto
particolare in cui l’essere umano vive, che gli servono da guida per il comportamento e per il pensiero.
Questi modelli possono essere qualificati come modelli per, modelli-guida al diverso modo di agire o
modelli di, modelli attraverso cui pensiamo qualcosa.
- La cultura è "operativa", poiché mette l’uomo nella condizione di agire in relazione ai propri obiettivi
adattandosi sia all’ambiente naturale che a quello sociale e culturale che lo circonda.
- La cultura è un complesso di modelli tramandati, acquisiti e selezionati: le generazioni successive
ereditano i modelli delle generazioni precedenti e li integrano con dei nuovi.
Il principio di selezione si attiva quando, acquisendo nuovi modelli da culture differenti, questi vengono
coniugati con quelli in vigore o si blocca l’eventuale intrusione di modelli incompatibili con quelli in atto.
- Le culture non sono entità statiche e fisse, bensì prodotti storici, cioè il risultato di incontri, cessioni,
prestiti e selezioni.
- La cultura è differenziata e stratificata. All'interno di una singola cultura esistono differenze di
comportamento e di espressione che non dipendono solo dalle circostanze del momento e della situazione:
lavorativa, ludica, rituale ecc. Esse hanno spesso a che vedere con il potere, la ricchezza, la posizione
sociale, l’istruzione; ma anche con le convinzioni ideologiche, religiose, politiche ecc., e si presentano in
maniera più o meno accentuata presso le diverse società. Nella nostra società, i modelli culturali di
riferimento risultano spesso molto diversi a seconda del grado di istruzione.
In passato queste differenze di cultura erano assai più evidenti, al punto che si parlava di cultura colta e di
cultura popolare, dove la prima era la cultura identificata con le scienze, le arti e le lettere, mentre la seconda
era quella dei rituali e delle feste paesane e di tutto quanto era ritenuto appartenere alla sfera della
superstizione.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale 6. Comunicazione e creatività
La cultura esiste nella capacità che gli esseri umani hanno di trasmettersi dei messaggi, cioè di comunicare.
La dimensione comunicativa è centrale a qualunque processo di tipo culturale. Per esistere come entità
operative i modelli devono essere riconoscibili da tutti, e quindi comunicabili. Idee e comportamenti che non
sono riconoscibili da un codice culturale vengono o ignorati o male interpretati.
Se la cultura esiste come insieme di segni riconoscibili, ciò non significa che tali segni costituiscano un
repertorio fisso. I segni possono essere combinati secondo sequenze innovative, capaci cioè di creare nuovi
significati.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale 7. L’etnografia e la raccolta dei dati
Ciò che definisce innanzitutto l’antropologia è la pratica di ricerca che coincide con il lavoro sul campo:
questa viene anche detta etnografia.
L'etnografia intesa come lavoro sul campo prolungato di uno studioso che vive a contatto dì una cultura
diversa dalla sua, si sviluppa tra la fine dell'Ottocento e gli anni a cavallo della Prima guerra mondiale.
Fare etnografia significa, essenzialmente, scrivere, "raccogliere dati" utili alla conoscenza della cultura che
si vuole studiare.
Una ricerca etnografica comporta che l'antropologo viva a stretto contatto con i soggetti della sua ricerca,
condivida il più possibile il loro stile di vita, comunichi nella loro lingua o in una lingua conosciuta da
entrambi, e che prenda parte alle loro attività quotidiane. Questa condivisione di esperienze è stata chiamata
dagli antropologi "osservazione partecipante".
L'"osservazione partecipante" è qualcosa che consente di osservare (che implica una distanza tra osservatore
e osservato) e partecipare (che comporta un coinvolgimento).
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale 8. Bronislaw Malinowski
La pratica dell’osservazione partecipante si sviluppa a partire dai primi decenni del XX secolo, quando
Bronislaw Malinowski (1884-1942) parte per le isole Trobriand, in cui trascorre un periodo di tempo molto
lungo. Egli qui si rende veramente conto che non è affidabile scrivere e servirsi delle informazioni raccolte
da altri, ma soltanto una conoscenza diretta consente di capire veramente le istituzioni sociali e di cogliere il
“punto di vista del nativo”.
I risultati di questa permanenza alle Trobriand confluiscono nel testo “Argonauti del Pacifico Occidentale”
(1922), dove, da un lato, egli teorizza i principi della ricerca sul campo e, dall’altro, descrive una forma di
scambio tra le diverse isole dell’arcipelago noto come Kula (modo attraverso cui si creano delle relazioni).
Diversi anni dopo, nel 1967, vengono pubblicati i “Diari” di Malinowski. I diari rivelano un’immagine di
Malinowski che si discosta da quella dell’individuo mimetico capace di adattarsi a qualunque situazione di
estraneità culturale. Emerge il disagio dell’antropologo che deve confrontarsi anche con i nativi (noia,
entusiasmo, disgusto, compassione, intolleranza nei confronti degli indigeni).
Malinowski considera la cultura e la società studiata come un complesso di fenomeni correlati tra loro e
perciò non astraibili dal contesto da cui dipendono.
Malinowski fa parte di un paradigma antropologico, noto come funzionalismo, perché sottolinea la
funzionalità di ogni singolo elemento della vita sociale per il mantenimento di una coerenza complessiva.
È una figura innovativa perché, per primo, si pone il problema di critica delle fonti e cioè di distinguere
quali sono le fonti di cui ci si può fidare e quali no.
L’obiettivo dell’etnografo è afferrare il punto di vista dell’indigeno, il suo rapporto con la vita, rendersi
conto della sua visione del suo mondo.
Malinowski è inoltre uno dei primi a sostenere che il comportamento dei selvaggi non è così assurdo come
molti autori tendevano a evidenziare, ma è piuttosto dotato di coerenza e ragionevolezza.
Da Malinowski in poi la ricerca antropologica si è trasformata, anche in seguito ad una revisione interna che
è stata portata avanti.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale 9. La prospettiva olistica in antropologia
L’antropologia, almeno inizialmente, si caratterizza per uno studio di piccole comunità: vi era inizialmente
la scelta di contesti piccoli, perché essi davano l’impressione di poter effettuare uno studio completo di
quella realtà. In questo contesto, si utilizza un approccio olistico, che tende a considerare tutti gli aspetti di
un determinato fenomeno. Vi era un’idea che tutti questi aspetti fossero, infatti, interconnessi.
Anche se oggi gli antropologi non si limitano più a studiare comunità circoscritte e di piccole dimensioni, la
prospettiva olistica rimane centrale, in quanto strettamente legata alla problematica del contesto.
Gli antropologi studiano di solito determinati aspetti di una cultura (le relazioni di autorità tra generazioni, la
parentela, la concezione della malattia, le emozioni, la religione, il rituale...). Per far questo tuttavia essi
sono costretti a considerare un fenomeno in relazione a tutti gli altri, o per lo meno a molti altri. Inoltre, in
un mondo sempre più "globale" essi devono estendere la loro ricerca al di là della dimensione "locale".
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale 10. La problematica del contesto in antropologia
I dati individuati, selezionati e raccolti devono essere considerati in base al contesto di provenienza.
La ricostruzione del contesto consente di fare emergere le varie sfaccettature e i differenti significati che un
dato fenomeno può assumere se osservato da diversi punti di vista. La prospettiva contestuale permette
anche di collegarsi ad altri contesti ed altri fenomeni, all’interno di una sola cultura o tra culture diverse.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale 11. Lo stile comparativo in antropologia
Una caratteristica dell’antropologia è lo stile comparativo. Il comparativismo è stato usato dagli antropologi
per costruire un sistema di classificazione dei “dati culturali”, confrontando fenomeni diversi per ricavare
delle costanti.
All’inizio, il loro modo di procedere era piuttosto semplice: essi sceglievano quegli elementi che
sembravano corroborare le loro ipotesi e le loro teorie aprioristiche. Più che di un metodo comparativo, però,
si trattava di un metodo illustrativo di tesi, la cui validità era data per scontata già in partenza.
Quando l’antropologia inizia a conoscere più generalmente un processo di revisione interna e gli antropologi
iniziano ad andare sul campo e a studiare le culture con un approccio di tipo diverso, anche il
comparativismo viene messo in discussione e, per esempio, secondo Franz Boas, un antropologo di origine
europea, ma che ha avuto poi un peso importante per lo sviluppo dell’antropologia americana, occorreva
comparare culture contigue. La comparazione poi comunque anche su ampio raggio va avanti.
Quindi, nel corso della storia dell’antropologia, la comparazione ha assunto forme diverse.
Oggi si tende a sostenere che comparare è utile soprattutto quando si comparano 2 realtà contigue nello
spazio, che consentono di individuare specificità e di evidenziare delle relazioni.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale 12. La vocazione dialogica e l’antropologia come traduzione
L’antropologia deve praticare una cultura dell’ascolto, un atteggiamento intellettuale che mette
l’antropologo in condizione di intendere la voce degli altri. Il carattere dialogico dell’antropologia consente
a due universi culturali più o meno distanti tra loro di trovare uno spazio di incontro comune.
La ricerca di un punto di riferimento comune non si scontra solo con il problema costituito dalle diversità
linguistiche, ma anche e soprattutto con il senso che le parole rivestono all’interno di codici comunicativi
diversi. Ciò equivale a riconoscere che fare antropologia significa dedicarsi, in ultima analisi, a un lavoro di
traduzione, soprattutto di tipo concettuale.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale 13. L’inclinazione critica e l’approccio relativista dell'antropologia
L’antropologia è nata in un contesto storico di dominio, che tuttavia ha consentito di entrare in relazione con
le popolazioni delle terre controllate dalle potenze coloniali.
L’antropologia ha esercitato una potente funzione critica:
nei confronti degli atteggiamenti di sopraffazione e di sottovalutazione delle culture più deboli.
nei confronti della propria società, mettendo in discussione anche l’etnocentrismo della cultura.
nei confronti della disciplina stessa, perché sottopone i propri concetti a revisione continua.
Claude Lévi-Strauss sostenne che l’antropologo tende ad essere critico verso i costumi della propria società,
mentre tenderebbe ad accettare i costumi degli altri come dati di fatto.
Quanto detto da Lévi-Strauss ha molto a che vedere con quell’orientamento caratteristico della riflessione
antropologica che va sotto il nome di relativismo culturale, che indica quell’atteggiamento che consiste nel
ritenere che comportamenti e valori, per essere compresi, devono essere considerati all’interno del contesto
complessivo entro cui prendono vita. In tale prospettiva non si può considerare una data cultura superiore o
inferiore a un’altra ma semplicemente diversa.
L’antropologia è relativista perché ritiene che le esperienze culturali “altre” debbano essere lette in
connessione a tutti gli altri comportamenti e valori che tendono a conferire ad essi un senso.
Il relativismo, se correttamente inteso, è un atteggiamento intellettuale che mira a collocare il senso delle
cose al posto giusto, nel loro contesto.
Quest’idea emerge solo dopo il secondo dopoguerra; prima l’etnocentrismo era molto forte.
L’etnocentrismo è la tendenza istintiva e irrazionale che porta a ritenere i propri comportamenti e i propri
valori migliori di quelli degli altri. È un atteggiamento che conduce a ripudiare tutte le forme culturali,
morali, religiose, sociali, estetiche, ecc., che sono lontane da quelle con cui ci identifichiamo.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale 14. Il risvolto applicativo antropologico e quello riflessivo
L’antropologia ha anche dei risvolti applicativi. Per esempio, gli antropologi sono spesso coinvolti in
progetti di sviluppo di varia natura: economici, educativi, sanitari, ecc., per contribuire alla realizzazione del
progetto stesso.
Tra questi risvolti applicativi, vi è sempre più, quindi, il coinvolgimento degli antropologi in strutture e
servizi nei loro paesi di origine (es. per il supporto agli immigrati in materia sanitaria o giuridica).
L’antropologia è ritenuta riflessiva, nel senso che l’incontro con soggetti appartenenti a culture diverse
permette agli antropologi di esplorare la propria cultura e la propria soggettività.
Le esperienze “altre” si riflettono sull’esperienza dell’antropologo che può, in questo modo, cogliere meglio
il senso delle vite altrui.
Per ottenere questo risultato dobbiamo “decentrare” il nostro sguardo, cercare di osservare noi stessi
attraverso lo sguardo degli altri. Vedere se stessi attraverso gli altri è un insegnamento basilare
dell’antropologia.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale 15. L’impianto antropologico pluriparadigmatico
Il paradigma è un insieme di assunti che, almeno per un certo periodo di tempo, orientano la ricerca
antropologica.
Quando un paradigma non spiega più i dati che emergono dalla ricerca, viene sostituito da un altro
paradigma che è in grado di far procedere la scienza.
Diversamente da quanto accade nelle altre scienze, in antropologia può succedere che più paradigmi
costituiscano contemporaneamente i punti di riferimento per gli studiosi di questa disciplina.
L’antropologia è, infatti, una disciplina che utilizza un impianto pluriparadigmatico.
In antropologia si sono susseguiti molti paradigmi nel corso del tempo. I principali sono:
-Evoluzionismo
-Particolarismo storico
-Funzionalismo
-Strutturalismo
-Evoluzionismo
L’evoluzionismo ha come suo principale rappresentante Edward B. Tylor (1832-1917), il primo ad avere
una cattedra in antropologia. Scrive “Primitive Culture”, il testo dov’è contenuta la prima definizione di
cultura.
Tylor si pone il problema di capire quale fosse l’origine della religione e della diversità delle forme religiose
attualmente esistenti. Oggi si possono osservare religioni molto diverse che vanno da quello che Tylor
chiamava “animismo”, ovvero l’adorazione di elementi naturali (rocce, alberi, …), fino alle religioni
monoteiste.
Secondo Tylor tutte le religioni sono originate da una stessa radice: dalla credenza nell’anima. Questa
credenza, secondo Tylor, deriva dall’esperienza del sogno.
Secondo Tylor, i primi stadi di sviluppo dell’umanità sarebbero stati caratterizzati non solo dall’adorazione
di queste forze contenute nella natura, ma anche dalla magia, che era un insieme di rituali atti a controllare
eventi (o spiriti) e si basava su false associazioni.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Elementi di antropologia culturale