Appunti di psicobiologia applicata, psicologia dell’apprendimento, processi sensoriali, processi cognitivi e motori, studio e controllo delle emozioni, psicobiologia dello sport, cenni di etologia e evoluzione.
PSICOBIOLOGIA
Appunti di: psicobiologia applicata, psicologia dell’apprendimento, processi sensoriali, processi
cognitivi e motori, studio e controllo delle emozioni, psicobiologia dello sport, cenni di etologia e
evoluzione.
Università degli studi di Parma
Facoltà: Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea triennale: Scienze Motorie, Sport e Salute.
Esame : psicobiologia (primo anno)
Docente: Prof.ssa Vera Ferrari, Prof.ssa Lucia Riggio, Prof. Christian Franceschini
Anno accademico: 2017/2018
Psicobiologia: studia la biologia del comportamento, cioè come il sistema nervoso determina il
comportamento, e i processi cognitivi. La psicobiologia generale studia ciò che è vero per tutti gli individui
prototipici, mentre quella differenziale studia ciò che è vero per gruppi particolari di individui.
Metodo sperimentale: metodo che permette di stabilire relazioni di causa-effetto tra variabili, ovvero
quegli eventi che accadono durante l’osservazione. Le variabili possono essere dipendenti, cioè le misure
della prestazione di un certo compito, o indipendenti, cioè gli aspetti della situazione sperimentale che
viene modificata dalla sperimentazione.
Esperimento: procedura che consiste nel modificare sistematicamente una o più variabili indipendenti per
rilevare come una o più variabili dipendenti cambiano al variare di quelle indipendenti.
Nell’800, con la sua teoria della frenologia, Gall sosteneva che la mente fosse suddivisa in diverse funzioni o
facoltà, ognuna con una sede specifica che si ingrandiva quando era più sviluppata, arrivando addirittura a
modificare le sovrastanti ossa craniche.
In seguito, Flourens sperimentò le idee di Gall, asportando parti di cervello da topi per valutare le
differenze: l’unico risultato fu che si manifestavano dei deficit comportamentali, dovuti però alla quantità di
materia cerebrale asportata e non al tipo di area che era stata modificata.
Il chirurgo Broca lavorò con un paziente che aveva una lesione al lato sinistro del cervello: non era in grado
di parlare ma capiva benissimo ciò che gli si diceva. Broca allora intuì che un danno subito in una specifica
area cerebrale intacca una specifica funzione mentale: Broca e Flourens furono dunque i primi a scoprire il
collegamento tra cervello e mente.
Area di Broca: è un’area del lobo frontale adibita all’articolazione del linguaggio;
Area di Wernicke: è un’area del lobo temporale adibita alla comprensione.
Modello neurologico primario del linguaggio, di Wernicke-Geschwind: prevede:
- fase di ascolto e comprensione delle parole pronunciate, in cui i suoni vengono inviati all’area di
Brodmann, nella corteccia uditiva primaria, poi passano all’area di Wernicke per la comprensione del
significato;
-fase di pronuncia delle parole per rispondere, in cui il significato elaborato passa all’area di Broca che
contiene le istruzioni per il linguaggio; queste istruzioni vengono poi inviate all’area facciale della corteccia
motoria e ai motoneuroni del tronco encefalico, per attivare i muscoli facciali per rispondere.
Nozione classica di dominanza emisferica (fine 900): sosteneva che nei destrimani, l’emisfero dominante
dal punto di vista cognitivo era il sinistro, mentre nei mancini viceversa. Dal punto di vista sensoriale e
motorio invece, sia nei destrimani che nei mancini i due emisferi si equivalgono e sono anche
strutturalmente uguali.
Questa teoria è stata poi smentita, in quanto:
-i due emisferi sono strutturalmente diversi e asimmetrici, in quanto il destro è più pesante ed ha una
corteccia più spessa, e nel sinistro sono più sviluppate le aree del linguaggio;
-nella maggior parte dei casi, sia nei destrimani che nei mancini, i centri del linguaggio sono contenuti
nell’emisfero sinistro.
Metodi per valutare la dominanza emisferica del linguaggio:
-test di Wada: consiste nel bloccare momentaneamente un emisfero per valutare le capacità dell’altro;
-compito di ascolto dicotico: consiste nel presentare dei messaggi contemporaneamente ai due orecchi. Il
messaggio presentato all’orecchio controlaterale all’emisfero dominante sarà riferito più facilmente;
Appunti di Giulia Bonaccorsi, pubblicati su https://www.tesionline.it/appunti 1 -compito di misura della latenza della denominazione di oggetti: consiste nel presentare diversi oggetti nel
campo visivo destro e sinistro. Gli oggetti presentati nel campo controlaterale all’emisfero dominante
saranno denominati più velocemente.
Dicotomie della specializzazione degli emisferi:
Emisfero sinistro Emisfero destro
Organizzazione focale Organizzazione diffusa
Organizzazione analitica Organizzazione globale
Organizzazione linguistica Organizzazione visuospaziale
Comportamentismo: approccio alla psicologia che consiste nello studio scientifico del comportamento
oggettivamente osservabile: si basa sul condizionamento classico, cioè una forma di adattamento
all’ambiente basata sui riflessi. La psicologia comportamentista è detta anche “psicologia S-R” in quanto si
basa sullo schema stimolo-risposta. Ciò che accade nella mente tra l’input dello stimolo e l’output è
inconoscibile, perché la mente è considerata come una scatola nera, indipendente dal cervello. Tra i
comportamentisti ci furono Skinner (con il condizionamento operante), Pavlov (con il condizionamento
classico) e Watson (con la concezione del comportamento come insieme delle risposte muscolari e
ghiandolari).
Cognitivismo: la psicologia cognitivista invece studia i processi cognitivi fondamentali per l’elaborazione
delle info, tenendo conto di percezione, memoria e sensazione. Dopo l’input dello stimolo, ad esempio una
parola, nella mente avviene l’elaborazione della forma e del suono delle lettere, del significato della parola
e infine l’output. Tra i cognitivisti ci furono Tolman (con l’apprendimento latente) e Craik (con la concezione
dell’uomo come servo/meccanismo).
La psicologia come scienza nasce alla fine dell’800, con Wundt che apre un laboratorio di psicologia
sperimentale a Lipsia. La psicologia si sviluppa più tardi rispetto alle altre scienze perché non si riusciva a
misurare scientificamente i processi cognitivi. La soluzione a questo problema fu trovata nel tempo, ovvero
il tempo di esecuzione di un processo cognitivo. Uno dei primi esperimenti a riguardo fu effettuato da
Helmholtz nel 1850: per misurare la velocità di conduzione dell’impulso in un nervo motore di una rana, H.
misurò l’intervallo di tempo tra la stimolazione elettrica e la contrazione muscolare. In seguito effettuò
l’esperimento anche sull’uomo: prima la stimolazione venne effettuata a livello del polso su un muscolo che
contrae il pollice, poi venne effettuata a livello del gomito sullo stesso muscolo. Il risultato fu che il tempo
di reazione era maggiore nel secondo caso.
Tempo di reazione: intervallo tra la presentazione di uno stimolo e l’inizio del movimento. Può essere di tre
tipi:
-semplice: è il più veloce, a 1 stimolo segue 1 risposta. Si compone di due processi: identificazione dello
stimolo ed esecuzione della risposta;
-“go-no go”: è intermedio, a 2 stimoli segue 1 risposta. Si compone di tre processi: identificazione dello
stimolo, scelta dello stimolo ed esecuzione della risposta;
-di scelta: è il più lento, a più stimoli seguono più risposte. Si compone di quattro processi: identificazione
dello stimolo, scelta dello stimolo, scelta della risposta ed esecuzione della risposta.
Metodo sottrattivo di Donders: si paragonano due TR, sottraendo quello più corto da quello più lungo,
misurando la durata del processo in più.
Metodo dei fattori additivi di Sternberg: vengono presentati più stimoli contemporaneamente e in seguito
uno stimolo singolo. Il soggetto deve poi decidere se lo stimolo singolo era già stato presentato
precedentemente: il risultato è che il TR aumenta all’aumentare del numero di stimoli presenti in memoria,
in quanto il soggetto deve confrontare lo stimolo singolo con quelli già memorizzati prima.
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Processi sensoriali:
Le caratteristiche che accomunano i sensi sono 3:
-stimolo fisico;
-serie di eventi attraverso cui lo stimolo si trasforma in impulso nervoso;
-risposta all’impulso nervoso sottoforma di percezione o sensazione.
Sensazioni e percezioni non sono registrazioni dirette del mondo fisico ma sono costruzioni interne innate e
diverse per ogni organismo:
-le sensazioni interessano i recettori che devono trasformare l’energia fisica in energia nervosa e si
occupano della ricezione di stimoli;
-le percezioni interessano particolari aree della corteccia cerebrale e si occupano del riconoscimento di
stimoli.
Appunti di Giulia Bonaccorsi, pubblicati su https://www.tesionline.it/appunti 2Stimolo distale: è lo stimolo fisicamente presente nell’ambiente.
Stimolo prossimale: è la stimolazione fisica che viene tradotta in risposta bio-elettrica dai recettori.
Percetto: è la percezione che sperimentiamo fenomenicamente, cioè quello che effettivamente sentiamo o
vediamo.
Stimolo sensoriale: è ogni tipo di energia o evento in grado di indurre una risposta a livello di un sistema
sensoriale.
Sistema sensoriale: la catena di neuroni che portano info dai recettori al cervello. Esistono due modi per
propagare l’info:
-sistema ipsilaterale, in cui l’info parte da un lato del corpo e arriva nello stesso lato;
-sistema controlaterale, in cui l’info parte da un lato del corpo e arriva in quello opposto.
Secondo la legge delle energie specifiche di Muller, ogni info viaggia per una via specifica attivando
determinate strutture nervose, indipendentemente dal modo in cui è stato attivato il primo neurone.
I sistemi sensoriali codificano 4 attributi elementari degli stimoli sensoriali:
-le modalità, cioè i recettori da cui parte l’impulso;
-la sede, cioè il campo recettivo in cui è collocato lo stimolo;
-intensità e decorso temporale, che costituiscono il trend di potenziali d’azione.
Campo recettivo: proprio di ogni neurone, indica l’area in cui deve essere applicato lo stimolo per farlo
arrivare al recettore. I campi recettivi ci permettono di valutare la sede di uno stimolo, rilevare forma e
dimensioni degli oggetti e di rilevarne anche i dettagli, in modo migliore se il campo è piccolo.
Non tutti i campi recettivi rispondono alle stesse lunghezze d’onda degli stimoli, ma ci permettono
comunque di valutare l’intensità di questi stimoli e di distinguerli tra loro. Inoltre, l’intensità di una
sensazione dipende dall’intensità dello stimolo.
Soglia assoluta: è l’intensità minima dello stimolo che determina una sensazione nel 50% dei casi.
Soglia differenziale: è la differenza minima di intensità tra due stimoli, percepibile nel 50% dei casi.
Metodi per determinare la soglia assoluta:
• Metodo del punto centrale, in cui il soggetto regola l’intensità dello stimolo, affinchè si aggiri sui
valori di comparsa e scomparsa del fenomeno;
• Metodo costante, in cui vengono presentati stimoli di diverse intensità, di cui una metà
sovraliminare e una sottoliminare. Si accetta come soglia lo stimolo percepito il 50% delle volte;
• Metodo dei limiti, in cui vengono presentate serie di stimoli decrescenti e crescenti. Dopo tot
prove, l’ultimo stimolo percepito nelle serie decrescenti e il primo percepito in quelle crescenti
determinano la soglia.
Metodi per determinare la soglia differenziale: uno stimolo viene mantenuto fisso mentre l’altro viene
variato, e si utilizzano due metodi:
• Metodo delle serie continue e ordinate, che è una variabile del metodo dei limiti;
• Metodo costante.
Teoria della detenzione del segnale: l’attività di un sistema sensoriale può cambiare sia a causa di variazioni
all’interno del sistema stesso, che per gli effetti di stimoli esterni. Ad esempio, nel sistema uditivo, l’effetto
prodotto da uno stimolo può variare a causa del rumore di fondo, dato sia dall’attività nervosa del sistema
che da eventi esterni: nei casi in cui lo stimolo è a bassa intensità, la curva del segnale e del rumore si
sovrappongono.
Per poter dire se uno stimolo è stato presentato o meno, il soggetto deve distinguere lo stimolo dal
rumore: per fare ciò, deve prendere un criterio di decisione, basato sia sulla situazione che sulla psicologia
del soggetto stesso. Così si spiegano anche le possibili “false partenze” nei velocisti: se un soggetto pone il
suo criterio verso la decisione di non percepire tutti gli stimoli, c’è il rischio che si perda degli stimoli
realmente presentati; se invece pone il suo criterio verso la decisione di percepire qualsiasi stimolo, terrà
conto anche di parte della curva del rumore, aumentando quindi il rischio di “falsi allarmi”.
Legge di Weber: la soglia differenziale fratto l’intensità dello stimolo è uguale a 1/5, che è una costante.
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Visione
L’occhio:
• Sclera: la parte bianca
• Iride: la parte colorata, che è un muscolo
• Retina: situata sul fondo del bulbo oculare, contiene diversi elementi tra cui:
Appunti di Giulia Bonaccorsi, pubblicati su https://www.tesionline.it/appunti 3-fotorecettori, che si dividono in coni e bastoncelli. I coni funzionano con tanta luce e ci permettono
di vedere colori e dettagli, i bastoncelli funzionano con poca luce e non percepiscono i colori;
-cellule orizzontali, bipolari, amacrine, gangliari;
-nervo ottico, che lascia l’occhio attraverso una zona della retina detta “punto cieco”, in quanto
non presenta fotorecettori e quindi non percepisce la luce;
• Fovea: è la parte centrale della retina dove non ci sono bastoncelli e l’acuità visiva è massima.
Mentre nella maggior parte della retina la luce deve attraversare diversi strati di cellule prima di
raggiungere i fotorecettori, nella zona centrale della fovea, detta foveola, le cellule sono spostate
lateralmente, quindi la luce colpisce direttamente i fotorecettori.
Connessioni neurali dei fotorecettori:
-con i bastoncelli si parla di fenomeno della convergenza, ovvero lo stimolo converge da un gruppo di
bastoncelli ad un singolo neurone: la sensibilità è elevata ma l’acuità è scarsa;
-con i coni invece non c’è convergenza ma ogni cono contatta un singolo neurone: l’acuità in questo caso è
elevata.
Trasmissione dei segnali:
i segnali neurali provenienti dai fotorecettori arrivano alle cellule bipolari, che li inviano alle cellule gangliari
(RGC) che poi li trasmettono al cervello. Le RGC rispondono generalmente a impulsi provenienti da interi
gruppi di fotorecettori e rispondono solo a stimoli presentati all’interno del loro campo recettivo. I
fotorecettori adiacenti possono rispondere alle stimolazioni in modi diversi, eccitando o inibendo le cellule:
può accadere che alcuni fotorecettori, una volta stimolati, trasmettano info a più di una cellula gangliare,
causando contemporaneamente reazioni on e off: questo processo è detto inibizione laterale e può
portare alla creazione di illusioni ottiche come le bande di Mach e la griglia di Hermann.
La maggior parte dei campi recettivi possiede una zona centrale eccitatoria, circondata da una zona
inibitoria: si parla in questo caso di cellule a centro on; in altri casi invece, la zona centrale è inibitoria e
quella circostante eccitatoria: si tratta di cellule a centro off.
Sia che si tratti di una cellula a centro on o a centro off, quando viene stimolato un recettore nell’area on, si
ha l’eccitazione diretta delle cellule bipolari, che trasmettono poi alle RGC. Quando invece viene stimolato
un recettore nell’area off, si ha l’eccitazione delle cellule orizzontali, che inibiscono quelle bipolari: la
risposta trasmessa alle RGC sarà quindi debole o nulla.
Il flusso di potenziali d’azione che arriva dalla retina, giunge al cervello tramite i due nervi ottici: metà degli
assoni che formano un nervo ottico proviene dalle RGC del campo visivo destro, l’altra metà dalle RGC del
campo visivo sinistro. I due nervi ottici convergono poi nel chiasma ottico, situato alla base del cervello: da
qui formano i tratti ottici, che arrivano al nucleo genicolato laterale, situato nel talamo. Da qui il segnale
giunge alla corteccia visiva primaria, situata nel lobo occipitale.
Tre tipi di cellule gangliari:
Neuroni parvocellulari Neuroni magnocellulari Neuroni koniocellulari
Situati nella fovea Situati nella retina Situati nella retina
Sensibili ai colori Insensibili ai colori Alcuni sono sensibili ai colori
Analizzano oggetti fermi Rispondono al movimento e
analizzano a grandi linee le forme
Non si conoscono ancora
completamente le funzioni
I neuroni magnocellulari e parvocellulari danno origine a 3 sistemi:
• Via magnocellulare, o via dorsale, si occupa di identificare posizione e movimento di un oggetto: va
dal lobo occipitale a quello parietale;
• Via parvocellulare, o via dorsale, si occupa di identificare forma e identità di un oggetto: va dal lobo
occipitale a quello temporale inferiore;
• Via magnocellulare parvocellulare mista, si occupa di identificare luce e colore di un oggetto: va
dal lobo occipitale a quello temporale postero-inferiore.
Tre tipi di cellule nella corteccia visiva primaria:
• Semplici: hanno il campo recettivo più piccolo, a forma di barra e con zone eccitatorie e inibitorie
ben delimitate;
• Complesse: hanno campo recettivo intermedio, a forma di barra ma con zone eccitatorie e
inibitorie non precisamente delimitate, quindi rispondono a stimoli presentati in ogni punto;
• Ipercomplesse: hanno il campo recettivo più grande, strutturato come quello delle cellule
complesse, ma che possiede una zona inibitoria ad un estremo.
Appunti di Giulia Bonaccorsi, pubblicati su https://www.tesionline.it/appunti 4-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
L’attività percettiva è volta all’identificazione di oggetti, persone ed eventi, mentre l’illusione percettiva
rende conto della non perfetta corrispondenza tra realtà fisica e realtà percepita.
La percezione di un oggetto avviene tramite due tipi di processi:
• Bottom-up: utilizza processi visivi primari volti a individuare le caratteristiche fisiche di uno stimolo,
elaborando le singole parti per far emergere l’oggetto strutturato, senza però determinarne uso e
funzione;
• Top-down: utilizza processi cognitivi per riconoscere l’oggetto strutturato, attraverso il confronto
con le conoscenze già presenti in memoria.
La percezione conscia inizia con l’oggetto completo ed è definita olistica, riprendendo le teorie della Gestalt
secondo cui l’intero prevale sulle parti, è diverso dalla somma delle parti ed è considerato come unica
entità.
I principi della Gestalt:
• Semplicità: tendiamo a scegliere l’interpretazione più semplice;
• Chiusura: tendiamo a inserire gli elementi mancanti in una scena, percependo un oggetto come
completo anche se i contorni sono interrotti;
• Continuità: tendiamo a raggruppare insieme margini o contorni con lo stesso orientamento;
• Somiglianza: tendiamo a percepire come parte di un unico oggetto aree che si somigliano;
• Vicinanza: tendiamo a raggruppare insieme oggetti vicini;
• Movimento comune: tendiamo a percepire oggetti che si muovono insieme come parte di un unico
elemento in movimento.
Le leggi basilari dell’organizzazione percettiva riguardano la separazione della figura dallo sfondo: i fattori
che contribuiscono a questo legame figura-sfondo sono:
-inclusione
-convessità
-area relativa
-orientamento.
Teoria dell’integrazione delle caratteristiche di Treisman: riguarda il modo in cui avviene l’elaborazione
dell’info nei processi bottom-up:
1. Comparsa dello stimolo;
2. Fase 1, in cui si ha la rilevazione delle caratteristiche di base, che vengono elaborate in parallelo;
3. Fase 2, in cui si ha l’integrazione di queste caratteristiche in modo seriale;
4. Percezione conscia dello stimolo.
Questa teoria utilizza il paradigma della ricerca visiva, che è un paradigma sperimentale ma anche un
compito della nostra vita quotidiana. Tra le variabili da cui dipende la prestazione, sono fondamentali la
“set size”, cioè la grandezza del campione, e la discriminabilità dell’obiettivo rispetto ai distrattori.
Riconoscimento di oggetti:
• Teoria del confronto di sagome: un oggetto visto in precedenza può essere conservato in memoria
sottoforma di sagoma, cioè una rappresentazione mentale che può essere poi confrontata con
l’immagine visiva di un altro oggetto. Questa teoria non è valida, perché bisognerebbe aver
memorizzato un numero molto elevato di sagome per poter identificare tutte le possibili varianti di
uno stimolo;
• Teoria del riconoscimento di oggetti in base alle loro componenti: formulata da Biederman,
secondo cui il cervello decompone gli oggetti nelle loro singole parti: la memoria contiene una sorta
di inventario di varie parti di oggetti, definite come un “alfabeto di elementi geometrici”, detti
geoni. I geoni fondamentali sono 36 e combinandoli tra loro possono produrre un elevato numero
di oggetti: ogni geone è caratterizzato da proprietà non accidentali, cioè i bordi, l’asse e i lati.
Per distinguere invece due stimoli simili, sono necessarie capacità specifiche, che dipendono
dall’apprendimento di qualità distintive attraverso cui è possibile differenziare un oggetto da un altro.
Riconoscimento di facce: è una propensione innata alla comprensione dell’organizzazione strutturale dei
volti, che dipende dalla nostra esperienza.
Agnosia visiva: incapacità di riconoscere gli oggetti osservati, riguarda l’alterazione di funzioni visive
superiori che possono essere molto specifiche.
Prosopagnosia: incapacità di riconoscere i volti.
Appunti di Giulia Bonaccorsi, pubblicati su https://www.tesionline.it/appunti 5*Studi effettuati intorno agli anni 80 su neuroni del lobo temporale di una scimmia, hanno dimostrato che
alcuni neuroni rispondevano selettivamente a diverse forme di oggetti, mentre altri neuroni rispondevano
in modo più spiccato a facce di scimmie o volti umani: analizzando uno di questi neuroni, si è scoperto che
risponde solo in presenza di alcune componenti che sono determinanti per i lineamenti e la struttura del
volto, mentre in assenza di queste il neurone non risponde.
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Percezione della profondità:
-i campi visivi dei due occhi non sono perfettamente coincidenti e si sovrappongono in una zona centrale
detta zona binoculare: la luce proveniente da quest’area colpisce entrambi gli occhi, mentre quella
proveniente dalla zona monoculare colpisce solo l’occhio ipsilaterale.
Indizi binoculari per la percezione della profondità:
• Convergenza: quando osserviamo un oggetto vicino gli occhi convergono verso il naso, mentre
quando osserviamo un oggetto lontano gli occhi puntano verso le tempie.
Questo perché i muscoli extra-oculari si contraggono per far allineare gli occhi, affinchè l’immagine
cada sulla fovea di entrambi, fornendo info sulla relativa distanza degli oggetti;
• Visione stereoscopica o disparità retinica: gli occhi hanno ciascuno una visione ambientale
leggermente diversa. Nella corteccia visiva, le due immagini vengono fuse con un processo detto
stereopsi: il risultato è che gli oggetti sembrano risaltare in 3 dimensioni.
Indizi monoculari:
• Interposizione: se un oggetto è sovrapposto ad un altro sembrerà più vicino;
• Elevazione: più un oggetto sul piano orizzontale è alto, più sembrerà lontano;
• Ombreggiature: le ombre danno senso di profondità;
• Prospettiva lineare: due linee che convergono verso un punto in lontananza danno senso di
profondità;
• Gradiente tissutale: è un forte indizio di profondità, più aumenta la distanza dall’osservatore, più la
tessitura della superficie diventa fitta;
• Forme di profondità neutra: cambiando la direzione della luce si inverte il senso di profondità;
• Parallasse del moto: se ci si sposta verso sinistra osservando un oggetto, gli oggetti vicini
sembreranno muoversi verso destra, quelli lontani verso sinistra.
Flusso ottico: l’info visiva è particolarmente efficace nello specificare il movimento del corpo. Se ad
esempio si viaggia su un treno e si guarda nella parte opposta al suo movimento, il flusso ottico si restringe;
durante un atterraggio invece il flusso ottico si espande.
Relazione tra grandezza dell’immagine retinica e dimensioni effettive degli oggetti:
se si prendono due oggetti A e B, con B di dimensioni doppie rispetto ad A, e si pone B a una distanza
doppia dall’occhio rispetto ad A, le due immagini retiniche avranno le stesse dimensioni. Se invece si
prende solo A e lo si pone a una distanza doppia rispetto a prima, l’immagine retinica sarà la metà di quella
precedente.
Teoria dell’assimilazione di Rock: gli stimoli vicini ai bordi di un oggetto tendono ad essere percepiti come
parte dei bordi stessi, allargandoli o stringendoli a seconda che siano posizionati all’interno o all’esterno dei
bordi.
Percezione del movimento: due sistemi:
• Sistema immagine-retina, dove l’immagine di un oggetto in movimento si muove lungo la retina
ma i nostri occhi sono fermi;
• Sistema occhio-capo, dove gli occhi seguono un oggetto in movimento ma nonostante l’immagine
visiva sia ferma sulla retina, possiamo percepire il movimento.
Circuito neurale per la percezione del movimento: secondo questo modello, per avere la percezione del
movimento non è necessario che un oggetto sia realmente in movimento, ma basta che occupi prima un
campo recettivo e poi quello successivo.
Teoria dell’influsso: considerata non valida, sostiene che i segnali di movimento retinici vengano cancellati
dalle contrazioni dei muscoli oculari.
Teoria dell’efflusso: considerata valida, sostiene che i segnali di movimento retinici siano cancellati dai
segnali efferenti inviati dal cervello ai muscoli oculari. Il cervello invia due copie per ogni segnale: una arriva
direttamente ai muscoli oculari, l’altra viene detta segnale corollario e arriva al comparatore, che è una
struttura che compensa i cambiamenti di immagine dovuti ai movimenti oculari.
Appunti di Giulia Bonaccorsi, pubblicati su https://www.tesionline.it/appunti 6