Gli appunti presi durante le lezioni hanno ad oggetto i più svariati argomenti inerenti la strategia d'impresa: dalle operazioni di Mergers & acquisition, all'internazionalizzazione, dall'integrazione verticale alla diversificazione delle imprese per aumentare i profitti e raggiungere il vantaggio competitivo sui propri competitors.
Strategia d'impresa
di Adriana Capodicasa
Gli appunti presi durante le lezioni hanno ad oggetto i più svariati argomenti
inerenti la strategia d'impresa: dalle operazioni di Mergers & acquisition,
all'internazionalizzazione, dall'integrazione verticale alla diversificazione delle
imprese per aumentare i profitti e raggiungere il vantaggio competitivo sui
propri competitors.
Università: Università degli Studi di Padova
Facoltà: Economia
Corso: Economia Aziendale
Esame: Strategia d'impresa
Docente: Giovanni Costa1. Strategia d'impresa
Alla base di un corso di strategia c'è l'analisi dell'ambiente esterno che circonda le imprese. È stato
analizzato il contesto competitivo sia a livello italiano che a livello globale per riuscire a capire quali sono i
problemi che ogni giorno le imprese italiane si trovano a dover affrontare. A questi problemi corrisponde
una soluzione che, però, non sempre è raggiungibile nel breve periodo. Moltissime strategie iniziano a dare
il loro frutti solo dopo un lungo periodo di gestazione.
Crescere. Le piccole imprese, anche aggregate tra di loro, si muovono in modo più agevole nel mercato
domestico poiché, la maggior parte di loro, non possiede gli strumenti adeguati per affrontare i mercati
internazionali. Inoltre, non tutte sono capaci di sfruttare le loro potenzialità nel mercato globale, anche se
comunque riescono a farsi conoscere all'estero grazie alle esportazioni. Molti brand, quali Gucci, Bottega
Veneta, Ducati, sono stati acquistati da grandi gruppi esteri e solo allora hanno ricevuto un'adeguata
valorizzazione. I dati, comunque parlano chiaro: sono state molte le acquisizioni fatte in Italia da parte
dell'estero; mentre sono inferiori quelle dell'Italia fatte all'estero (74,4 mld contro 3,6).
Vi sono vari motivi che possono giustificare questi “dati”; ovvio, problemi di tipo monetario e regolatorio
sono da avallare ma non sono gli unici. Le imprese italiane sono sprovviste di capacità di innovazione, di
muoversi e di implementare delle strategie volte a comprendere nella loro visione un ambiente ormai
internazionale. Per poter sopravvivere, le imprese italiane devono essere in grado di mutare quella che è la
loro dimensione poiché bisogna fare attenzione:
– da un lato, siamo schiacciati da imprese straniere che vantano un basso costo del lavoro producendo, però,
prodotti che siamo in grado di produrre;
– dall'altro siamo schiacciati da imprese che vantano un elevato grado di innovazione, però in prodotti che
noi non produciamo.
Le imprese devono essere in grado di cambiare dimensione e riposizionarsi strategicamente, poiché devono
sviluppare nuove competenze, modelli di business, alleanze e crescita per linee interne.
Con la crisi finanziaria del 2008 sono state messe in ginocchio moltissime imprese; esse sono proprio
scomparse dal campo visivo ma, di contro, molte altre sono riuscite a sopravvivere grazie alla loro capacità
di accaparrarsi quelle opportunità che la crisi stessa ha creato: hanno acquisito asset materiali ed immateriali
per potersi inserire nelle filiere lunghe estere, usando le fusioni ed alleanze come strumento. Le strategie di
nicchia, premiate anch'esse dalla crisi, dovranno comunque cambiare dimensione: in questo caso l'impresa
non dovrà essere grande a livello di settore/mercato ma in termini di nicchia.
Con la crisi finanziaria che si è abbattuta a livello globale negli ultimi anni, risulta facile capire che la
“cinghia” è stata stretta, sia da parte dei governi che da parte delle imprese.
Le imprese che decidono di sopravvivere dovrebbero ispirarsi al principio dell'ubiquità che, sia per gli
imprenditori che per i manager, significa non vincolarsi ad una sola specializzazione, ma essere flessibili,
capacità di ricombinare competenze e risorse e riuscire ad assorbire quanto più possibile dalle culture degli
altri paesi. La crisi potrebbe essere il giusto trampolino di lancio per ridisegnare i modelli di management,
Adriana Capodicasa Sezione Appunti
Strategia d'impresa rivedere gli strumenti gestionali e far emergere nuovi ruoli.
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Strategia d'impresa 2. Dimensione e modelli di business
A causa della crisi – o forse proprio grazie ad essa – devono cambiare i modelli di business e di
management. Gli imprenditori fanno bene a reclamare di più dal sistema paese, in termini di ordine nei
mercati finanziari, di snellimento inerente la burocrazia, una fiscalità più sostenibile, ma non devono
aspettare passivamente.
Le imprese italiane, soprattutto le PMI, riscontrano molti problemi da imputare al sistema Paese ma vi sono
altre carenze che però, questa volta, vanno imputate agli imprenditori stessi. Per prima cosa, nelle PMI
manca uno spirito imprenditoriale forte; in seconda battuta, il principale problema in Italia è dato dalla
dimensione delle imprese; non si parla di imprese grandi o piccole ma piuttosto di imprese della dimensione
adeguata in termini di nicchia di riferimento.
In Italia vi sono molte piccole imprese ma poche grandi imprese che possono accedere a mercati che
crescono e diventano globali. Mancando queste “grandi imprese” è ovvio che viene a mancare terreno fertile
anche per le piccole imprese:
– debolezza finanziaria;
– minore produttività;
– minore capacità di pianificare a medio termine;
– minor capacità di investire in R&S;
– minore capacità di internazionalizzare.
In attesa che la finanza si stabilizzi, è necessario ragionare su di una “impresa aperta”, cioè creare
un'impresa che riesca a sopravvivere grazie al connubio tra interazioni e trasformazione, tra manifattura e
terziario, tra locale e globale. Le crisi hanno costi sociali molto elevati ma allo stesso tempo apportano anche
effetti economici positivi. Le aziende più a rischio, non solo in Italia ma a livello globale, sono quelle
monoprodotto, poiché dipendono da pochi clienti e da un settore solo. La soluzione l'hanno trovata tutte
quelle imprese che sono presenti su più mercati poiché, anche se non al riparo da ogni tipo di rischio, sono
comunque state in grado di diversificarsi.
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Strategia d'impresa 3. Crescita ed innovazione
Nei paesi evoluti la crescita avviene per ricambio di beni d'investimento e di consumo durevole; questo
ricambio, inoltre, non dipende dall'usura del bene ma dall'innovazione tecnologica che rende obsoleto ciò
che c'è su quel determinato mercato in quel momento.
Negli ultimi anni, il nostro PIL, la produttività, il salario, sono cresciuti molto meno rispetto ai competitors.
Perchè? Il problema non è il costo del lavoro ma la produttività che influenza il costo del lavoro per unità di
prodotto.
La produttività, sul posto di lavoro, dipende da:
1) forza produttiva del lavoro, che dipende dalla qualità professionale dei lavoratori (formazione, abilità) e
dal contesto organizzativo e tecnologico;
2) l'intensità di lavoro, che dipende dal consumo di energia lavorativa (orari, tempi).
È possibile intervenire su entrambe per poter migliorare le cose; le tecnologie basate sulla forza produttiva
del lavoro le associamo a sistemi partecipativi e aperti, hanno un'alta intensità di capitale finanziario e di
capitale intellettuale e assorbono meno energia fisica ed umana; di contro, però, vogliono una conoscenza
profonda e hanno un elevato impatto sull'innovazione del prodotto.
Nonostante l'alleggerimento di quello che è il costo del lavoro previsto, non siamo ancora in grado di porci
in vantaggio, rispetto ad altri paesi, nelle fasi migliori della filiera produttiva: il problema è la dimensione
aziendale. Un'impresa si giudica di dimensioni adatte guardandola in rapporto con i concorrenti e al mercato
dove vuole operare.
Le ragioni per le quali si smette di crescere sono molteplici:
– saturazione del mercato;
– concorrenti che erodono le quote di mercato;
– imprenditori e manager che non svolgono il loro lavoro poiché “già soddisfatti”.
La crescita, di contro, è sintomo di vitalità dell'impresa, del mercato e del territorio. I distretti che hanno
accompagnato la nascita e crescita di moltissime imprese, oggi devono aiutarle a ricoprire un ruolo di
coordinamento. Secondo molti, oggi, un indice di vitalità del territorio è il numero di imprese che nascono
ogni anno; ma non è così, poiché bisogna tenere presente il percorso di un'impresa non solo in termini di
dimensione ma di capacità di innovare e sopratutto di creare valore.
I motivi per i quali le imprese italiane non crescono:
1) Concentrazione in settori poco innovativi, ad alta intensità di lavoro e bassa intensità di capitale. Le
imprese italiane devono modificare i loro business trasformando i settori in cui già operano e nei quali hanno
competenze distintive e consolidate;
2) Problema dimensionale. Come già detto, in Italia siamo famosi per la media dimensione che, però, non è
in grado di effettuare gli investimenti necessari in generale, sopratutto per quelli in R&S.
3) Minore grado di internazionalizzazione. Sono molto bassi i livelli delle esportazioni, di IDE, di
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Strategia d'impresa partecipate estere rispetto ai nostri competitors;
4) Imprese Banca – Dipendenti. Le imprese italiane dipendono molto dalle banche e quindi sono tutte, o
quasi, sottocapitalizzate; questo crea il problema del Credit Crunch, cioè la congiura creditizia. Con l'arrivo
della crisi nel 2008, molte imprese sono arrivate al fallimento poiché le banche hanno smesso di erogare
credito poiché anche loro vittime di insolvenza da parte di altri clienti.
5) Insufficienza dello spirito imprenditoriale capitalistico.
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Strategia d'impresa 4. Perché crescere?
Dopo la crisi (ma anche prima) si è potuto notare come l'industria italiana sia molto debole. Solo le imprese
che superano una certa dimensione sono in grado di affrontare i mercati globalizzati di oggi. In Italia le
piccole imprese hanno un ruolo importante, poiché riforniscono le grandi imprese. Però, via via che la
globalizzazione prende piede, sono le stesse grandi imprese che si rivolgono al di là dei confini per avere le
stesse prestazioni ad un prezzo minore. In Italia, oltre a molti altri problemi, non siamo in grado di crescere
anche a causa di culture familiari attardate, cioè che non usano la finanza moderna, non adattano soluzioni
organizzative basate su alleanze, condivisione del rischio e managerialità. Il “vecchio modo di fare” degli
imprenditori non è da buttare via, solo da integrare con altri strumenti: nell'economia globalizzata non ci si
salva da soli.
Per riuscire a fare ciò e anche di più, è necessario che lo stato sia più selettivo negli investimenti da
effettuare in modo da spronare le imprese ad essere più competitive. Si può iniziare ad agire nei settori
tradizionali, cercando di innovarli attraverso dei riposizionamenti strategici e miglioramenti gestionali.
Tutto questo è stato impedito a causa della mancanza di spirito di imprenditorialità.
Moltissime imprese, oggi, sopravvivono solo perché hanno avuto l'idea di uscire dal distretto nel quale sono
nate per andare “a vedere il mondo”, tramite gli IDE. In ultimo, con la crisi, è nato anche uno spirito anti –
impresa di cui sono vittime gli stessi imprenditori.
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Strategia d'impresa 5. Oltre il distretto
Si parla sempre più di filiera invece che di distretto. È molto importante che le imprese facciano parte della
filiera e che abbiano delle relazioni con le altre imprese. Uno dei limiti dei distretti che, con questa crisi, li
ha portati al declino, è la specializzazione in una fase della filiera produttiva.
Quando questa fase diviene troppo specializzata, la dipendenza delle imprese che lavorano solo in questa
fase diviene totale, poiché i loro clienti, cioè le imprese focalizzate che hanno necessità di quel componente,
hanno molto potere contrattuale che consente loro di trattenere una parte rilevante del valore creato.
L'analisi della filiera è molto importante perché:
– permette di chiarire il ruolo degli attori posti a monte e a valle della medesima filiera;
– consente di identificare il nucleo di attività che nella catena del valore conferisce il contributo più rilevante
che permette a chi la controlla di trattenere i maggiori profitti.
Un'altra debolezza dei distretti è data dal fatto che le imprese specializzate in una determinata fase tendono a
stabilirsi nel medesimo territorio; questa è una debolezza poiché se un settore va in crisi, entra in crisi anche
il distretto e se non vi è differenziazione, non vi è via di fuga per queste imprese. Se, invece, venissero
create delle aggregazioni tra imprese lungo tutta la filiera, sarebbe un modo per uscire dalla dipendenza della
filiera nei confronti dei loro clienti.
Le filiere di oggi non sono più concentrate tutte nello stesso territorio; anzi, evadono anche dai confini
statali. Le imprese per crescere hanno bisogno di estendere la loro influenza sulla filiera e magari anche di
spostarsi dai loro segmenti a quelli più ricchi; spostandosi per affermare quest'influenza arriviamo a parlare
di multilocalizzazione produttiva; in questo caso, le imprese che devono decidere dove stabilirsi, non lo
fanno solo in termini di costo del lavoro ma anche per i costi e/o benefici che derivano dalle economie di
prossimità. Per le imprese, oggi, sono molto importanti la flessibilità e la rapidità con la quale si muovono
lungo la filiera e in che modo “governano” i nodi strategici, cioè il brand e la distribuzione. I francesi, in
questo caso, sono stati molto bravi; sono riusciti a valorizzare qualcosa di italiano, come Fendi, acquistato
da LVMH, e a farlo crescere a livello mondiale. Ad esempio, Chanel, nel 2013 ha sfiorato i 5,5 mld di
ricavi, con un utile netto di 800 milioni. Gli imprenditori italiani hanno bisogno di essere stimolati ed
incoraggiati. Le imprese italiane quindi dovranno:
– rivolgersi sempre più ai mercati esteri poiché sono quelli i mercati che in futuro saranno fonte di
redditività e che continueranno a crescere;
– adeguare le proprie dimensioni di impresa al fine di essere più competitive a livello globale;
– differenziare bene i prodotti invece che competere sui prezzi;
– controllare la distribuzione o in modo diretto o attraverso delle alleanze.
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Strategia d'impresa 6. Il concetto di strategia
Tutte le strategie sono accomunate da “fattori comuni”.
I. Gli obiettivi devono essere semplici, coerenti ed a lungo termine. Ogni impresa si deve dedicare al
perseguimento dei propri obiettivi applicandosi per un lungo periodo di tempo;
II. Profonda comprensione del contesto e ambiente competitivo. Ogni impresa che elabora una strategia per
raggiungere il successo deve conoscere appieno l'ambiente che la circonda e sapere come applicare la
propria strategia;
III. Valutazione obiettiva delle risorse. Le imprese devono essere in grado di sfruttare al meglio tutte le
risorse che possiedono internamente; allo stesso tempo devono, però, essere in grado di neutralizzare i propri
punti di debolezza o almeno cercare di rinforzarli;
IV. Implementazione efficacie (execution). Un ruolo molto importante è quello rappresentato dal momento
in cui si prendono le decisioni, dal senso di leadership che accompagna l'impresa in ogni momento
dall'implementazione della propria strategia. Inoltre, l'ambiente che circonda l'impresa deve essere sempre
tenuto d'occhio per essere in grado di cambiare al cambiare dell'ambiente di riferimento.
Questi 4 punti sono fondamentali per riuscire ad implementare al meglio una strategia. Strategia che non è
intesa solo come “aziendale”, ma che fa riferimento ad ogni ambito della vita umana.
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Strategia d'impresa 7. Come si atteggiavano le imprese in passato?
Le imprese hanno bisogno delle strategie per riuscire a darsi una linea di condotta oppure uno scopo, per
impiegare al meglio le proprie risorse o per coordinare il flusso delle decisioni prese dai diversi membri
dell'organizzazione. Molti concetti che oggi ritroviamo nelle strategie di business derivano dalle strategie
militari. Queste due discipline, in comune, hanno: la distinzione tra tattica e strategia:
– per tattica si intende un progetto ad azione specifica;
– per strategia, invece, si intende un piano complessivo per lo spiegamento di risorse necessarie a conseguire
una posizione di vantaggio.
Negli anni '50, visti i grandi problemi nel tenere sotto controllo e coordinare le decisioni nelle imprese più
grandi, è stata creata la “pianificazione strategica”, dove alla base troviamo anche delle considerazioni di
tipo macroeconomico. Veniva elaborato un progetto della durata di 5 anni e al suo interno venivano fissati
gli scopi ed obiettivi dell'impresa, si cercava di prevedere gli andamenti delle variabili macroeconomiche
più importanti, veniva suddivisa la priorità tra i vari prodotti ed in ultimo venivano prese delle decisioni di
investimento.
Questi nuovi piani furono utili solo negli anni '60, perché poi negli anni '70 vediamo che con la crisi del
petrolio e il rafforzarsi della concorrenza estera, le imprese non erano più in grado di elaborare dei piani così
a lungo termine. Visto questo problema, le imprese cercarono di arginarlo elaborando delle strategie
focalizzate sul loro posizionamento nei mercati in base alla posizione dei loro competitors principali: questa
nuova programmazione prende il nome di “direzione strategica”, alla quale venne associato il pensiero che il
vantaggio competitivo fosse il primo e più importante scopo della strategia aziendale.
Negli anni '80 si sposta l'attenzione sulle fonti di profitto localizzate nell'ambiente settoriale.
Negli anni '90 l'analisi strategica si fissa sulle fonti di profitto interne, anziché su quelle esterne. Negli anni
'90 cambia l'ottica di osservazione dell'interno dell'impresa: il pensiero diviene che il maggior e miglior
vantaggio competitivo dipende in gran parte dalle risorse interne all'impresa ed è lì che bisogna puntare per
andare a formulare le meglio strategie.
Le strategie da implementare adesso non sono più quelle che sfruttano le sole somiglianze tra le imprese;
anzi, tramite la focalizzazione nota come “resource – based view of the firm” le imprese non sono più spinte
a trovare strategie simili, ma vogliono trovare all'interno di loro stesse delle diversità, rispetto ai concorrenti,
per riuscire a sfruttare queste differenze ed avere un miglior vantaggio competitivo. Porter, alla domanda
“cos'è la strategia?” ha risposto che la strategia competitiva vuol dire differenziarsi; vuol dire scegliere
deliberatamente un diverso insieme di attività per generare un'esclusiva combinazione di valore.
Negli anni 2000 scoppia la bolla detta TMT, cioè tecnologia, media e telecomunicazioni; la quale ha dato
vita a nuovi settori, nuove guerre fra standard alternativi, ricerca di “oceani blu”. Oggi, data anche la crisi
del 2008, ci si è chiesti se sia meglio o no variare quelli che sono gli obiettivi dell'attività imprenditoriale. Ci
sono altri interessi, oltre i profitto, come la responsabilità sociale dell'impresa, l'etica, la sostenibilità
dell'ambiente naturale a lungo termine.
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Strategia d'impresa 8. Definizione di strategia
Possiamo definire la strategia come lo strumento usato da individui ed organizzazioni per raggiungere i
propri obiettivi.
Questa è una delle molteplici definizioni che possiamo trovare sui libri di strategia d'impresa e marketing;
tutte queste definizioni, però, hanno in comune diversi aspetti chiave, quali, ad esempio: che la strategia si
debba concentrare sul raggiungimento di diversi obiettivi; le azioni per raggiungerli e che, quindi, creano la
strategia, consistano in una maggioranza nell'allocazione delle risorse; la strategia implichi un certo grado di
coerenza, integrazione e coesione.
La strategia, per un'impresa che vuole continuare a rimanere nel mercato, è indispensabile, soprattutto in
quelle occasioni nelle quali si presentano minacce impreviste o nuove opportunità.
Quando si parla di strategia, si inizia con il fare una prima distinzione: strategia di gruppo, corporate
strategy: che va a definire il campo d'azione dell'impresa attraverso la scelta dei settori e mercati nel quali
competere.
Le decisioni che vengono prese in questo ambito sono: gli investimenti per la diversificazione, l'integrazione
verticale, le acquisizioni, ecc...
Strategia di business, business strategy: è quella strategia che prevede come
competere all'interno del settore o mercato identificato nella strategia di gruppo.
La domanda che ci La domanda che si pone in questo ci si pone in contesto è: DOVE questo contesto
competere è: COME competere
Facendo riferimento ad un'impresa, il dove competere potrebbe essere inteso come i settori o i mercati nei
quali competere. La strategia però deve essere applicata al presente in visione del futuro, inteso come
continuità economica. Ergo: bisogna andare a fissare degli obiettivi futuri ed insieme anche determinare
come sarà possibile raggiungerli. Gli obiettivi che un'impresa si pone devono essere legati strettamente alla
sua vision, cioè chi cerchi di diventare e alla sua mission, cioè lo scopo complessivo dell'impresa.
Nonostante la strategia sia una cosa elaborata dagli alti vertici dell'impresa, molte imprese riconoscono
l'importanza di condividere quelle che sono le idee con gli altri livelli all'interno dell'impresa, come i
dipendenti, i clienti e gli investitori.
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Strategia d'impresa 9. Strategia deliberata e strategia emergente
Il modo in cui le imprese formulano la propria strategia è uno dei problemi di maggior rilievo nello studio
del management strategico. H. Mintzberg è uno dei principali critici degli approcci razionali
all'individuazione della strategia.
L'autore fa una distinzione:
– strategia deliberata: è quella concepita dal gruppo dei dirigenti al vertice;
– strategia realizzata: è quella più legata a quella deliberata. È la strategia effettivamente implementata;
– strategia emergente: insieme di decisioni che sono prese in capo ai manager che recepiscono la strategia
deliberata ma che l'adattano ai cambiamenti dell'ambiente esterno.
Ogni tipo di strategia attraversa questi step. L'individuazione di una strategia comporta sempre una
combinazione di progettazione razionale centralizzata e di adattamento decentralizzato. La strategia che
viene elaborata, viene poi implementata da tutti i membri dell'organizzazione. L'emergere di una strategia
decentralizzata avviene prima della formulazione più rigorosa della strategia.
La strategia, una volta elaborata, occupa diversi ruoli all'interno di un'organizzazione.
1) La strategia come supporto alle decisioni. La strategia viene elaborata come un modello che conferisce
coerenza alle decisioni di un individuo o ad un'organizzazione, come l'impresa. Gli individui sono dotati di
razionalità limitata, motivo per il quale senza una strategia non siamo in grado di prendere decisioni
ottimali. La strategia, quindi, migliora il processo decisionale secondo alcuni punti di vista:
-semplifica il processo decisionale vincolando il numero delle decisioni alternative;
-la strategia aiuta nell'implementazione di strumenti analitici come gli schemi teorici e altri strumenti.
2) La strategia come strumento di coordinamento. All'interno di un'impresa un grande problema è dato
dal difficile coordinamento a livello di azioni dei diversi membri che possono prendere decisioni o porre in
essere determinate azioni, ecco perché la strategia può aiutare nel coordinamento poiché è uno strumento di
comunicazione. Bisogna coinvolgere tutti i gruppi diversi all'interno dell'impresa in modo da far sì che
l'implementazione della strategia sia efficace. Una volta definita la strategia, bisogna perseguirla e nel
mentre monitorare l'evolversi della situazione per essere certi che l'impresa stessa evolva come previsto ed
in maniera coerente.
3) La strategia come obiettivo. La strategia, come già detto, è un processo prospettico, cioè elaborata nel
presente per il presente, ma anche per il futuro. Lo scopo primo di una strategia volta al futuro è imprimere
una direzione allo sviluppo dell'impresa e anche definire le aspirazioni che possano motivare i membri
dell'organizzazione. Viene utilizzato il termine “intento strategico” per descrivere, in questo contesto,
l'esplicitazione del desiderio di raggiungere, da parte dell'impresa, una posizione di leadership.
Le imprese sono composte da diverse categorie di soggetti che sono mossi da scopi ed intenti differenti.
Le imprese, quindi, al loro interno, tendono ad avere molti obiettivi, a volte anche in contrasto tra di loro. Il
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Strategia d'impresa principale obiettivo che però è in comune a tutta la cerchia di soggetti è il creare valore attraverso l'attività
che si svolge. Le imprese creano valore che viene, in un secondo momento, distribuito tra le diverse
categorie di portatori di interessi:
– dipendenti;
– fornitori;
– stato;
– banche;
– proprietari dell'impresa.
In ultimo, il valore viene dato anche ai clienti andando a soddisfare le loro aspettative e utilità.
Partendo dal presupposto che l'impresa crea valore apposta per queste categorie di soggetti, si può anche
andare a pensare che l'impresa sia un insieme di gruppi di interesse e questo modo di vedere l'impresa viene
denominato come stakeholder approach.
Fino agli anni '90 l'unico approccio che si conosceva era quello di massimizzare il valore per i soli azionisti
che però, in poco tempo, è stato visto come ottica di breve termine. Inoltre, bisogna sottolineare che le
imprese hanno la responsabilità non solo di creare valore per gli azionisti, il che è giusto, visto che non
parliamo di una non profit, ma anche per i dipendenti, le banche e lo stato.
Le imprese che oggi sono ancora al top, che sono cresciute di molto, sono quelle che non hanno come scopo
ultimo o principale il profitto, ma che sono mosse da intenti diversi dal profitto. Se l'impresa si occupasse
solo di massimizzare il valore per la sola categoria degli azionisti, non riuscirebbe mai nel raggiungimento
di questo obiettivo. Questo perché i dipendenti e altre categorie di soggetti non avrebbero la giusta
motivazione e in ultimo non vedrebbero il vantaggio di cooperare tra di loro per il raggiungimento di questo
obiettivo.
Negli ultimi anni è riemerso il concetto di responsabilità dell'impresa nei confronti della società nel suo
insieme. Un economista ha asserito che lo scopo ultimo di un'impresa è quello sì di far crescere i propri
profitti, ma seguendo le regole del gioco, cioè non sfruttando, rovinando e nemmeno frodando.
William Allen distingue 2 concetti di azienda:
1) concezione di proprietà: secondo questa concezione, l'impresa è vista come un insieme di attività
possedute dall'azionista; quindi, il loro andamento deve essere positivo non a livello di tutti gli stakeholders
e della società, ma solo a livello di azionisti;
2) concezione di entità sociale: l'impresa, secondo quest'ottica, è vista come una comunità di soggetti,
sostenuta, appoggiata dai rapporti che stabilisce con il proprio ambiente sociale, politico, economico e
naturale. (intersoggettività stratgica)
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