Le limitazioni del modello di Porter
Fin dalla sua nascita, il modello è stato criticato secondo due punti di vista.
La prima corrente di pensiero, da imputare agli studi di Rugman e Dunning, ritiene che questo modello ometta dei fattori cruciali come:
– la non considerazione delle caratteristiche dei principali partner commerciali del mercato domestico;
– non è applicabile alle nazioni più piccole;
– ignora il ruolo dei gruppi multinazionali nell'influenzare il successo competitivo delle nazioni.
Secondo questa prima corrente, il modello è corretto ma deve essere arricchito da nozioni sia a livello nazionale che a livello globale. Secondo loro, ad esempio, questo modello non potrebbe mai essere applicato a paesi piccoli come Singapore o Corea, anche se essi non vivono solo su mercati e risorse domestiche ma anche a livello globale.
La seconda corrente di pensiero, imputabile a Waverman, Ellis, Davies sostiene, invece, che il modello sia troppo generale ed, inoltre, che non sia in grado di chiarire dubbio alcuno poiché non fa nessuna implicazione testabile.
Negli ultimi anni sono cambiate le forze che spingono le imprese verso l'internazionalizzazione; è cambiato anche l'equilibrio tra benefici dell'integrazione globale e differenziazione nazionale. Le configurazioni strutturali tendono a persistere nel tempo poiché le organizzazioni sono caratterizzate da un certo grado di inerzia e anche perché è difficile per le multinazionali cambiare repentinamente. Le multinazionali sono prigioniere della loro storia: le loro configurazioni di strategia sono oggi quelle che ieri sono state le scelte per l'espansione internazionale.
Bartlett e Ghoshal sostengono che l'eredità amministrativa di una multinazionale è un vincolo cruciale per la capacità di una multinazionale di sviluppare nuove competenze.
Gli studiosi citati in precedenza hanno identificato 3 epoche di sviluppo delle imprese multinazionali:
1) l'epoca della multinazionale europea. Esempi: Philips, Unilever. All'epoca c'erano seri problemi inerenti il trasporto e la comunicazione, così le imprese hanno creato delle “federazioni multinazionali”: ogni consociata nazionale era autonoma dal punto di vista operativo e si occupava di tutta la gamma di operazioni per la produzione e vendita del prodotto finale;
2) l'epoca della multinazionale americana. Esempi: Coca – Cola e P&G. Le consociate erano sempre autonome dal punto di vista della distribuzione, ma in termini di capitale e sviluppo di nuovi prodotti, il tutto rimaneva nelle mani della controllante negli USA;
3) la sfida giapponese. Esempi: Toyota, Honda. Le sussidiarie erano responsabili in termini di distribuzione e vendite ma la produzione e la R&S era sempre nelle mani della controllante in Giappone.
Le eredità amministrative di queste 3 specie di multinazionali persistono ancora oggi e condizionano le competenze organizzative delle imprese;
– la forza delle multinazionali europee sta nel fatto che sono in grado di adattarsi alle condizioni e alle esigenze dei singoli mercati nazionali;
– le americane sono in grado di trasferire la tecnologia e i nuovi prodotti sperimentati nel mercato domestico in altri mercati esteri;
– le giapponesi hanno efficienza nella produzione e sviluppo di nuovi prodotti su scala globale.
Sono competenze chiave ma sono anche “rigidità chiave”, che danno poco spazio di manovra alle imprese per poter cambiare.
– le europee devono riuscire a meglio coordinarsi nei loro gruppi;
– le americane devono estrarre dalle loro sussidiarie le competenze, risorse, tecnologia;
– le giapponesi devono essere in grado di trasformarsi in insider nei mercati esteri nei quali operano.
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