Riassunti del corso "Relazioni internazionali" tenuto dal Prof. Filippo Andreatta presso l'Università di Bologna, in cui vengono evidenziati i concetti salienti rispetto alla disciplina, sia da un punto di vista teorico che storico. Gli appunti sono integrati dai riassunti dei testi consultati per sostenere l'esame. Per la bibliografia si rimanda all'ultima pagina.
Relazioni internazionali
di Elisa Bertacin
Riassunti del corso "Relazioni internazionali" tenuto dal Prof. Filippo Andreatta
presso l'Università di Bologna, in cui vengono evidenziati i concetti salienti
rispetto alla disciplina, sia da un punto di vista teorico che storico. Gli appunti
sono integrati dai riassunti dei testi consultati per sostenere l'esame. Per la
bibliografia si rimanda all'ultima pagina.
Università: Università degli Studi di Bologna
Facoltà: Scienze Politiche
Esame: Relazioni internazionali
Docente: Filippo Andreatta1. Introduzione alle Relazioni Internazionali: origine ed evoluzione
La principale ragione per studiare le Relazioni Internazionali è che l’intera popolazione mondiale è
suddivisa in comunità politiche e territoriali separate, o stati indipendenti, che incidono profondamente sul
modo in cui la gente vive. Il sistema degli stati è un modo peculiare di organizzare la vita politica sulla
Terra, un modo che ha profonde radici storiche. Sistemi di stati o di quasi-stati hanno visto la luce in epoche
e in posti differenti: per esempio, nell’India antica, nella Grecia antica e nell’Italia del Rinascimento.
Nel XIX e nel XX secolo il sistema degli stati si è espanso fino a coprire l’intera superficie terrestre.
L’unico, vasto territorio che non è uno stato è l’Antartide.
Almeno 5 sono i valori sociali di base che di solito ci si aspetta che gli stati promuovano:
1. sicurezza: nell’era moderna lo stato ha assunto il ruolo dominante sotto questo profilo; l’esistenza stessa
di stati indipendenti influisce però sulla sicurezza: noi viviamo in un mondo suddiviso in molti stati, quasi
tutti armati, almeno in una certa misura.
Gli stati difendono e al tempo stesso minacciano la sicurezza della gente: è il paradosso del sistema degli
stati, solitamente definito dilemma della sicurezza.
Pressoché unanime è infatti la convinzione che la forza militare sia necessaria affinché gli stati possano
coesistere e intrattenere reciproci rapporti senza doversi piegare a intimidazioni o essere addirittura
soggiogati.
2. libertà: sia quella personale sia quella nazionale (o indipendenza).
3. ordine
4. giustizia: gli stati hanno un comune interesse a istituire e conservare l’ordine internazionale, perché solo
così essi possono coesistere e interagire su una base di stabilità, certezza e prevedibilità
5. benessere: di solito ci si aspetta che gli stati promuovano l’aumento della ricchezza e del benessere
socioeconomico della popolazione. Poiché le economie sono perlopiù collegate le une alle altre, quasi tutti si
aspettano che lo stato reagisca anche agli stimoli e alle pressioni dell’ambiente economico internazionale in
modo tale da migliorare, o almeno da difendere e conservare, il tenore di vita nazionale.
Nel corso del XX secolo, numerosi e significativi sono stati i momenti di forte consapevolezza di questi
importanti valori:
la prima guerra mondiale rese drammaticamente chiaro quanto fosse devastante, in termini di vite umane e
di condizioni di vita, la moderna guerra meccanizzata tra grandi paesi, e quanto quindi sia importante ridurre
il rischio di scontro armato tra le grandi potenze
la crisi missilistica cubana del 1962 fece aprire gli occhi a molti sull’incombente minaccia di una guerra
nucleare.
Gli stati e il sistema degli stati costituiscono una caratteristica così basilare dell’odierna vita politica che
viene spontaneo presumere che essi siano permanenti, che, cioè, siano sempre esistiti e che esisteranno per
sempre. Si tratta di un’ ipotesi infondata: non sempre i popoli hanno vissuto in stati sovrani, anzi, per buona
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali parte della storia umana essi hanno organizzato la loro vita politica in modi differenti, via via abbandonati.
Stati sovrani chiaramente riconoscibili non si erano mai formati prima del XVI secolo, quando essi
comparvero per la prima volta nell’Europa occidentale.
Naturalmente, sistemi politici che assomigliavano a stati sovrani e legati tra loro da qualche tipo di relazione
reciproca esistettero molto tempo prima dell’era moderna. In particolare, ciascun gruppo politico doveva
fronteggiare l’ineludibile problema di coesistere con gruppi vicini che non poteva ignorare o evitare e anche
con altri più lontani ma che comunque influivano sulla loro esistenza. Ecco, dunque, il classico problema
delle Relazioni Internazionali: guerra e pace, conflitto e cooperazione.
Sono proprio queste relazioni che ci consentono di formulare una definizione preliminare di sistema di stati:
complesso delle relazioni tra raggruppamenti umani politicamente organizzati che occupano territori distinti,
non soggetti ad alcuna autorità o potere superiore e possiedono ed esercitano un certo grado di indipendenza
l’uno rispetto all’altro.
Le relazioni internazionali sono relazioni tra gruppi indipendenti che presentano tali caratteristiche.
I. La prima manifestazione storica relativamente chiare di un sistema di stati è quella dell’ antica Grecia
(500 a.C. – 100 a.C.). Ne facevano parte numerosissime città-stato.
II. L’antico sistema greco di città-stato fu infine distrutto da più potenti imperi contigui. Conquistando,
occupando e dominando quasi tutta l’Europa e vasta parte del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, i
Romani giunsero ad edificare un immenso impero.
L’impero fu la modalità di organizzazione politica che gradualmente emerse nell’Europa cristiana e che
prevalse per parecchi secoli dopo la caduta dell’impero romano.
III. Il Medioevo fu dunque un’era di imperi e di relazioni e conflitti tra di essi. Il mondo medievale non era
un patchwork geografico di colori fortemente differenziati indicanti altrettanti stati indipendenti, ma
piuttosto una complicata e confusa mescolanza di linee e colori di diverse sfumature. Potere e autorità erano
organizzati su basi sia religiose sia politiche: il papa e l’ imperatore erano ai vertici di 2 gerarchie parallele e
connesse; re e signori feudali di ogni genere erano soggetti a quelle autorità più elevate e alle loro leggi l’
indipendenza politica territoriale era assente nell’Europa medievale.
Quelli del Medioevo furono anche secoli di disordine, conflitti e violenza, a causa di questa mancanza di
chiare linee di organizzazione e di controllo politico territoriale; l’autorità e il potere di scendere in guerra
non erano monopolizzati dallo stato e tanto meno esisteva una chiara distinzione tra guerra civile e guerra
internazionale.
IV. Agli inizi dell’ era moderna i governanti europei si liberarono della sovrastante autorità politico-religiosa
della Cristianità, nonché della dipendenza dal potere militare dei baroni e degli altri capi feudali locali.
Potere e autorità si concentrarono in un unico punto: il re ora governava un territorio definito da confini che
venivano difesi dalle interferenze esterne, esercitava l’autorità suprema su tutto il popolo del regno e non era
più costretto ad esercitarla attraverso autorità e capi intermedi.
Una delle più importanti conseguenze della nascita dello stato moderno fu il monopolio che esso acquisì
degli strumenti di guerra.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali Per prima cosa, il re mise ordine all’interno del paese, del quale divenne l’unico centro di potere.
Successivamente, molti re cominciarono a guardare al di là dei confini, con l’ambizione di espandere i
propri territori si svilupparono rivalità internazionali che spesso sfociarono in guerre e nell’ampliamento di
alcuni paesi a spese di altri
In varie fasi, Spagna, Francia, Austria, Inghilterra, Danimarca, Svezia, Olanda, Polonia, Russia, Prussia e
altri stati del nuovo sistema di stati europeo si fecero guerra.
La guerra diventò un’istituzione internazionale chiave per la risoluzione dei conflitti tra stati sovrani.
Sotto il profilo storico, l’evento che segna la fine del Medioevo e l’inizio del moderno sistema
internazionale viene convenzionalmente identificato con la guerra dei Trent’anni (1618-48) e con la Pace di
Vestfalia, che la conclude.
Il nuovo sistema degli stati presentava numerose, importanti caratteristiche:
1. ciascuno degli stati limitrofi riconoscevano la legittimità e l’indipendenza degli altri
2. tale riconoscimento non si estendeva al di fuori del sistema degli stati europeo
3. le relazioni fra gli stati europei erano soggette al diritto internazionale e alla prassi diplomatica
4. fra gli stati membri esisteva un equilibrio di potere volto ad impedire che uno qualsiasi di essi facesse
saltare lo status quo tentando di conseguire una posizione egemonica suscettibile di ripristinare un dominio
imperiale sul continente.
Ma, mentre nel loro continente si opponevano a qualsiasi ambizione imperiale, gli europei si impegnarono a
fondo per edificare vasti imperi oltremare e un’economia mondiale che li mise in grado di sottomettere al
proprio controllo quasi tutte le comunità politiche non-europee nel resto del mondo.
La spinta al controllo del mondo non-europeo da parte degli europei cominciò a manifestarsi all’inizio
dell’era moderna, nel XVI secolo, proprio mentre in Europa si stava affermando il sistema degli stati. La
storia dell’Europa moderna è dunque una storia di conflitti e guerre politiche ed economiche tra i suoi stati
sovrani: gli stati europei competevano gli uni con gli altri per invadere e controllare militarmente regioni
utili ed economicamente appetibili in altre parti del mondo ed erano pienamente convinti di avere ogni
diritto di farlo, mentre l’idea che i popoli non-occidentali avessero diritto all’indipendenza e
all’autodeterminazione emerse solo molto più tardi.
L’espansione imperiale occidentale rese possibile per la prima volta la formazione e il funzionamento di
un’economia e di una rete di governo globali:
I. la prima fase della globalizzazione del sistema degli stati si sviluppò attraverso l’accorpamento di stati non
occidentali che l’Occidente non riusciva a colonizzare. Infatti, non tutti i paesi non occidentali caddero sotto
il controllo politico di uno stato imperiale occidentale, ma anche quelli che sfuggirono alla colonizzazione
furono comunque obbligati ad accettare le regole del sistema degli stati occidentale.
II. La seconda fase della globalizzazione del sistema degli stati ebbe luogo per effetto delle rivolte
anticoloniali attuate da sudditi coloniali degli imperi occidentali. Nel corso di quelle lotte, leader politici
autoctoni formularono le loro rivendicazioni politiche per la decolonizzazione e l’indipendenza basandosi
sugli ideali europei e americani di autodeterminazione.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali
Una delle ragioni per correlare le varie teorie delle Relazioni Internazionali agli stati e al sistema degli stati è
la centralità storica dell’argomento: il sistema degli stati è il termine di riferimento principale sia per gli
approcci tradizionali sia per quelli più innovativi. Naturalmente bisogna ricordare che quello di stato
sovrano è un concetto teorico suscettibile di varie interpretazioni; a rigor di termini, nessuna di queste è di
per sé giusta o sbagliata, perché in realtà lo stato è un’entità sfaccettata. Fortunatamente esiste la possibilità
di introdurre qualche semplificazione: in particolare, lo stato può essere concepito come un’entità con 2
dimensioni differenti, ciascuna delle quali è divisibile in 2 ampie categorie:
I. lo stato come governo e come paese
a. aspetto interno dello stato = lo stato non è altro che il governo nazionale, ossia la più alta autorità che
presiede alla vita del paese, che ne possiede la sovranità interna. Le principali questioni relative all’aspetto
interno sono quelle che riguardano i rapporti stato-società.
b. aspetto esterno dello stato = dal punto di vista internazionale lo stato è un territorio popolato, con un
governo nazionale e una società: è un paese. Se un paese è uno stato sovrano, in generale lo si considera
politicamente indipendente e le questioni principali riguardano le relazioni interstatali.
II. la statualità sovrana
a. statualità giuridica = lo stato come istituzione formale o giuridica nelle sue relazioni con gli altri stati,
ossia come un’entità riconosciuta come sovrana o indipendente, che gode dell’appartenenza a organizzazioni
internazionali ed è titolare di vari diritti e responsabilità internazionali.
b. statualità empirica = lo stato come un’organizzazione politico-economica di fatto. Questa categoria ha a
che fare con la misura in cui gli stati hanno sviluppato istituzioni politiche efficienti, una solida base
economica e un grado sostanziale di unità nazionale, ossia di unità e supporto popolare nei riguardi dello
stato.
NB: uno stato forte, in quanto dotato di un livello elevato di statualità empirica, non va ovviamente confuso
con uno stato forte in senso militare.
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Relazioni internazionali 2. Il concetto di Relazioni Internazionali
Il nucleo tradizionale delle Relazioni Internazionali ha a che fare con questioni concernenti lo sviluppo e il
mutamento della statualità sovrana nel contesto dei più grandi sistemi di stati; concentrando l’attenzione
sugli stati e sulle relazioni tra di essi è più facile spiegare perché il tema della guerra-pace occupi un ruolo
centrale nella tradizionale teoria delle Relazioni Internazionali.
All’interno delle scienze sociali esistono varie questioni non verificabili empiricamente. Le più importanti
per le Relazioni Internazionali sono:
A. la visione della natura umana
Esistono 2 teorie opposte:
1. pessimismo antropologico di Hobbes (homo homini lupus): il conflitto è naturale, è la norma
2. ottimismo antropologico di Locke (il mito del buon selvaggio): gli uomini sono cooperativi e il conflitto è
una cosa eccezionale
B. la visione della storia
Esistono 3 diverse visioni:
1. modo whig o progressista
La storia migliora progressivamente nel tempo l’uomo ha la capacità di imparare.
I cicli sono evolutivi nel lungo periodo i peggioramenti ci sono, ma non si ripetono.
Questa visione ha però un triplice difetto:
è deterministica, ossia forza l’idea che ci sia una direzione nella storia
tende a fare previsioni per il futuro, causando, tra l’altro, un’eccessiva fiducia nel futuro così conoscibile
è eurocentrica, cioè classifica gli stati in base al loro grado di progresso.
2. modo tory o conservatore
C’è una visione ciclica della storia, che non nega l’esistenza del progresso in generale, ma solo in politica. È
dunque una visione hobbesiana, secondo la quale c’è un solo passaggio possibile, cioè quello dallo stato di
natura al Leviatano.
I cicli sono tutti uguali i miglioramenti sono sempre temporanei e transitori.
Il difetto di questa visione è il rischio di relativizzare tutto, portando alla formulazione di profezie negative
che, dunque, si autorealizzano.
NB: esiste una linea di cambiamento qualitativo, oltre la quale il progresso diventa radicale (es: il
raggiungimento di una pace stabile).
Nella visione whig viene prima o poi raggiunta
Nella visione tory il raggiungimento di tale linea è impossibile.
3. modo rivoluzionario (es: visioni marxiste della storia)
Si verificano cambiamenti radicali nella storia la linea di cambiamento qualitativo viene raggiunta tutta
d’un tratto, attraverso un cambiamento rivoluzionario.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali È una visione che condivide da una parte il punto di vista whig, guardando con ottimismo al futuro,
dall’altra quello tory, guardando con pessimismo al presente.
All’interno di questa visione rivoluzionaria si distinguono almeno 2 sottocategorie:
1. idealista
2. materialista
C. Esistono 2 modi metodologici per distinguere le categorie:
1. epistemologico
2. attraverso i livelli di analisi
Waltz distingue 3 livelli, in base al tipo di attore ritenuto determinante per un determinato evento,
utilizzando 3 immagini corrispondenti:
1) singolo individuo
2) gruppo di individui grande rilevanza degli aggettivi utilizzati
stati = unità diverse che si comportano in modo diverso
3) tutti gli individui insieme visione olistica o sistemica
società internazionale = unità diverse si comportano in modo uguale
ES: le cause della seconda guerra mondiale secondo i 3 livelli:
1) comportamento di Hitler (= singolo individuo)
2) presenza del nazismo in Germania (= gruppo di individui, i nazisti tedeschi)
3) pace punitiva di Versailles (= tutti gli stati puniti avanzerebbero un desiderio revanscista)
A questo punto, è importante dare un definizione di sistema, concetto che comporta 2 qualità:
devono esistere più unità che interagiscono tra loro
l’output deve essere diverso dalla somma degli input = il risultato non è riconducibile alle intenzioni delle
singole unità, ma è sistemico.
Ci sono 3 diversi tipi di effetti sistemici:
1) il sistema internazionale influenza le singole unità la stessa intenzione ha effetti diversi a seconda del
contesto
2) le unità si influenzano a vicenda le interazioni tra attori possono produrre effetti diversi da quelli
intenzionali
3) le singole unità influenzano il sistema internazionale gli effetti che un singolo attore può produrre sul
sistema internazionale.
I livelli di analisi vengono usati per stabilire le cause di un evento e per generalizzare le regole: più basso è il
livello di analisi, più una teoria è precisa.
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Relazioni internazionali 3. Relazioni Internazionali nel ventesimo secolo
Il pensiero delle Relazioni Internazionali si è sviluppato attraverso fasi distinti, caratterizzate da dibattiti
specifici fra gruppi di studiosi; molte volte nel corso del XX secolo è accaduto che una scuola di pensiero
assumesse un ruolo dominante e che un’altra la contestasse vigorosamente. 3 sono stati i dibattiti più
importanti da quando le Relazioni Internazionali sono diventate una disciplina accademica, dopo la fine
della prima guerra mondiale, e oggi stiamo vivendo le prime fasi del quarto:
1. liberalismo utopico vs realismo
2. approcci tradizionali vs behaviorismo
1bis. neorealismo e neoliberalismo vs neomarxismo
3. tradizioni consolidate vs alternative postpositiviste
Da questi dibattiti è possibile ricavare una mappa del modo in cui la disciplina accademica delle Relazioni
Internazionali si è sviluppata nel corso del secolo passato.
1.
La prima e decisiva spinta alla definizione delle Relazioni Internazionali come disciplina accademica venne
dalla prima guerra mondiale (1914-18), con i suoi milioni di vittime. A determinare quella spinta fu la
diffusa consapevolezza della necessità di impedire il ripetersi di sofferenze umane su una simile scala; il
desiderio di non ricadere mai più nello stesso errore imponeva di fare i conti con il problema della guerra
totale tra gli eserciti meccanizzati dei moderni stati industriali. La giustificazione di tutte quelle morti e
distruzioni divenne sempre meno chiara via via che gli anni di guerra si succedevano, il numero delle
vittime continuava ad aumentare a ritmi senza precedenti nella storia umana e la guerra cessava di mostrare
il benché minimo scopo razionale.
La prima teoria accademica dominante delle Relazioni Internazionali venne fuori proprio dal tentativo di
trovare qualche risposta. Per i pensatori liberali la responsabilità della prima guerra mondiale era attribuibile
ai calcoli (e agli errori di calcolo) egoistici e miopi dei governanti autocratici al potere nei paesi
pesantemente militarizzati coinvolti nella vicenda, in particolare in Austria e Germania. Per parte loro, i
governanti democratici di Francia e Gran Bretagna si lasciarono trascinare nel conflitto da un sistema
incrociato di alleanze militari.
Per i pensatori liberali di quei tempi la teoria obsoleta dell’equilibrio di potere e il sistema delle alleanze
dovevano essere radicalmente modificati per impedire che una simile calamità potesse accadere di nuovo.
A quel tempo, gli USA avevano un presidente, Woodrow Wilson, che riteneva che la sua missione
principale fosse quella di portare i valori liberali e democratici in Europa e nel resto del mondo la
concezione liberale era solidamente supportata sul piano politico dal più potente tra gli stati presenti allora
sulla scena politica internazionale.
L’idea di Wilson di costruire un mondo sicuro per la democrazia (14 punti, 1918) esercitava una forte presa
sulla gente. 2 punti centrali nelle idee di Wilson meritano una particolare attenzione:
il sostegno ai principi di democrazia e autodeterminazione: la speranza di Wilson era che la crescita della
democrazia liberale in Europa avrebbe messo fuori gioco i governanti autocratici e bellicosi, sostituendoli
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Relazioni internazionali con governi pacifici
la creazione di un’ organizzazione internazionale che ponesse le relazioni tra gli stati su basi istituzionali più
solide di quelle fornite in passato dalle concezioni realiste del Concerto d’Europa e dell’equilibrio di potere.
L’argomentazione degli idealisti liberali è che la tradizionale politica di potenza (Realpolitik) è una
“giungla” dove si aggirano animali feroci e dove vige la legge del più forte e del più astuto, mentre con la
Società delle Nazioni quegli animali sarebbero chiusi in gabbie vigilate, in una specie di “zoo”.
NB: la fede liberale di Wilson che fosse possibile creare un’organizzazione internazionale in grado di
garantire una pace duratura rimanda chiaramente al pensiero del più famoso dei teorici classici liberali,
Immanuel Kant e al suo pamphlet Per la pace perpetua.
Norman Angell, un altro idealista liberale, nel 1909 pubblicò un libro intitolato La grande illusione:
l’illusione è quella di molti statisti, ancora convinti che la guerra abbia scopi utili, che il successo in guerra
arrechi benefici al vincitore. Secondo Angell, è vero l’esatto opposto: modernizzazione e interdipendenza
alimentano un processo di cambiamento e di progresso che rende via via più obsoleti la guerra e l’uso della
forza.
Il ragionamento di Wilson ed Angell si basa sulla concezione liberale degli esseri umani e della società: gli
esseri umani sono razionali e quando applicano la razionalità alle relazioni internazionali possono creare
organizzazioni destinate ad operare a vantaggio di tutti. L’opinione pubblica è una forza costruttiva:
eliminando la diplomazia segreta nei rapporti tra gli stati ed esponendo ogni trattativa al vaglio del pubblico
giudizio si otterranno accordi intelligenti ed equi. L’apice di questi sforzi fu raggiunto con il Patto Kellogg-
Briand del 1928, un accordo internazionale che prevedeva l’abolizione della guerra, definendola
giustificabile solo in casi estremi di autodifesa.
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Relazioni internazionali 4. Relazioni Internazionali e le idee liberali
Le idee liberali furono predominanti nella prima fase della disciplina accademica delle Relazioni
Internazionali, ma negli anni ‘20 e ’30 la democrazia liberale subì duri colpi con l’avvento della dittatura
nazifascista in Italia, Germania e Spagna.
Contrariamente alle speranze di Wilson, non si verificò una diffusione della democrazia, anzi, accadde
esattamente il contrario, nel senso che aumentò il numero degli stati autocratici, autoritari e militaristi, che,
secondo Wilson, erano quelli inclini a scatenare guerre.
Inoltre, la Società delle Nazioni non divenne mai la forte organizzazione internazionale che, secondo le
speranze dei liberali, avrebbe dovuto tenere a freno gli stati potenti e aggressivi.
Anche le grandi speranze di Angell in un graduale processo di modernizzazione e interdipendenza
naufragarono a contatto con la dura realtà degli anni ’30 (crollo di Wall Street nel 1929).
L’idealismo liberale non era certo lo strumento teorico più adatto per governare le relazioni internazionale
degli anni ’30 il palcoscenico della storia era ormai pronto per una concezione meno fiduciosa e più
pessimistica delle Relazioni Internazionali.
Gli studiosi della disciplina accademica delle Relazioni Internazionali cominciarono a parlare il classico
linguaggio realista di Tucidide, Machiavelli e Hobbes, in cui il lessico della forza occupava un ruolo
centrale.
La critica più esaustiva dell’idealismo liberale fu quella formulata da E.H. Carr. Secondo Carr, bisogna
partire da un’idea diametralmente opposta: tra paesi e tra individui esistono profondi conflitti d’interesse.
Alcuni individui e alcuni paesi stanno meglio di altri e tenteranno di preservare e difendere la loro posizione
privilegiata; i perdenti si batteranno per rovesciare questa situazione le Relazioni Internazionali riguardano
la lotta tra questi interessi e desideri conflittuali.
Altri autori adottarono l’approccio realista, tra i più importanti, Reinhold Niebhur, George Kennan e Arnold
Wolfers, ma fu Hans J. Morgenthau a compendiare con maggior chiarezza le tesi centrali del realismo e a
esercitare la maggiore influenza sui professori di Relazioni Internazionali.
Per Morgenthau, alla base delle relazioni internazionali c’è la natura umana: poiché gli esseri umani sono
egoisti e desiderosi di potere, il loro comportamento tende facilmente a diventare aggressivo e, verso la fine
degli anni ’30 non era certo difficile trovare prove a sostegno di tale opinione (Germania di Hitler, Italia di
Mussolini, Giappone imperiale).
La natura umana è semplicemente malvagia: ecco il punto di partenza dell’analisi realista.
Il secondo caposaldo riguarda la natura delle relazioni internazionali: la politica internazionale è una lotta
per il potere. Non esiste alcun governo mondiale, anzi, c’è un sistema di stati sovrani e armati che si
fronteggiano l’un l’altro la politica mondiale è un’anarchia internazionale e gli anni ’30 e ’40 sembrarono
confermare pienamente questa posizione.
È dunque essenziale mantenere un efficace equilibrio di potere, perché questo è l’unico modo per preservare
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Relazioni internazionali la pace e prevenire la guerra; negoziati e diplomazia, da soli, non possono mai garantire sicurezza e
sopravvivenza nella politica mondiale.
La terza componente fondamentale è una visione ciclica della storia. Confutando l’ottimistica visione dei
liberali, secondo cui un cambiamento qualitativo volto al meglio è possibile, il realismo pone l’accento sulla
continuità e sulla ripetizione: ogni nuova generazione tende a commettere gli stessi tipi di errori delle
generazioni precedenti.
Fintantoché gli stati sovrani saranno la forma dominante di organizzazione politica, la politica di potenza
continuerà a prevalere e gli stati dovranno badare alla propria sicurezza e predisporsi per la guerra. Molte e
differenti possono essere, naturalmente, le cause della rottura.
ES: secondo alcuni studiosi realisti, la conferenza di pace di Parigi del 1919 conteneva già i semi della
seconda guerra mondiale: le durissime condizioni imposte alla Germania. Ma per far germogliare quei semi
provvidero gli sviluppi interni registratisi in Germania.
Quando, dopo il 1945, le relazioni internazionale assunsero l’aspetto di una contrapposizione Est-Ovest
(Guerra fredda) il realismo apparve di nuovo come l’approccio più efficace per dare un senso a quanto stava
accadendo.
Il primo grande dibattito fu chiaramente vinto dai pensatori realisti e la concezione realista delle Relazioni
Internazionali finì per diventare predominante non solo tra gli studiosi, ma anche tra i politici e i diplomatici.
Eppure il liberalismo non scomparve: molti liberali ammisero che il realismo offriva gli strumenti per
interpretare le relazioni internazionali negli anni ’30 e ’40, ma a loro giudizio quello era stato un periodo
storico con caratteristiche estreme e anormali.
2.
Il secondo importante dibattito nelle Relazioni Internazionali riguarda la metodologia.
Le controversie su questioni metodologiche costituiscono un segnale che le Relazioni Internazionali sono
diventate qualcosa di più di una disciplina accademica; tali questioni salirono agli onori della ribalta con la
rivoluzione behaviorista nelle scienze politiche, che si verificò negli USA negli anni ’50 e ’60.
2 furono i fatti storici, fonti di discussione:
1. deterrenza nucleare: gli stati sono razionali o no?
2. guerra del Vietnam: quante bombe USA erano sufficienti per portare alla resa dei vietcong, ma senza
arrivare all’eccesso?
È necessario tenere presente che gli studiosi delle prime generazioni di Relazioni Internazionali avevano alla
spalle un curriculum di studi storici o giuridici questo approccio è caratterizzato soprattutto da un’esplicita
fede nell’esercizio della ragione.
Questo modo di affrontare lo studio delle Relazioni Internazionali è solitamente indicato come l’approccio
tradizionale o classico.
Dopo la seconda guerra mondiale, l’importanza della disciplina accademica delle Relazioni Internazionali
crebbe rapidamente. Ciò si verificò soprattutto negli USA, dove enti governativi e fondazioni private erano
disposte a supportare ricerche scientifiche nel campo delle Relazioni Internazionali.
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Relazioni internazionali Quel supporto produsse una nuova generazione di studiosi di Relazioni Internazionali che adottavano un
rigoroso approccio metodologico. Si trattava di studiosi con un background accademico molto differente e
con idee altrettanto differenti in merito al modo di studiare le Relazioni Internazionali. Queste nuove idee,
compendiate sotto la definizione behaviorismo, rappresentavano non tanto una nuova teoria, quanto
piuttosto una nuova metodologia che si sforzava di essere scientifica = gli studiosi di scienze naturali
riescono a formulare leggi obiettive e verificabili per spiegare il mondo fisico: l’ambizione dei behavioristi è
di fare altrettanto per il mondo delle relazioni internazionali.
I behavioristi credono nell’unità della scienza: sono cioè convinti che non esista alcuna differenza
sostanziale tra scienze sociali e scienze naturali, che quindi i medesimi metodi analitici, compresi quelli
quantitativi, siano utilizzabili in ambedue le aree e che tra le diverse scienze sociali sono possibili e utili
studi di carattere interdisciplinare. I behavioristi politici cercano di applicare atteggiamenti e metodi
scientifici allo studio interdisciplinare della politica, pervenendo così a concezioni della vita politica
riconducibili alla ricerca scientifica.
Gli elementi chiave dell’approccio sono:
la singola persona è l’unità di analisi fondamentale
uno degli aspetti del comportamento politico da porre al centro dell’attenzione è costituito dai ruoli svolti
dagli individui nelle strutture politiche
la struttura sociale più importante è il sistema politico.
Lo studi scientifico del comportamento politico richiede una progettazione di ricerca rigorosa, metodi di
analisi precisi, strumenti di analisi affidabili, criteri di valutazione adatti, ecc.: tutto ciò è indispensabile per
ottenere un corpo affidabile di proposizioni empiricamente verificabili (= una teoria empirica) sulla politica.
I principi di questo approccio furono riassunti da David Easton, uno dei suoi esponenti più autorevoli.
Easton tentò di elaborare un modello di sistema politico che fosse utilizzabile per formulare ipotesi e
svolgere ricerche empiriche sul comportamento politico: lo stato era la sede dei processi decisionali della
società in merito alla politica, un incessante processo interattivo di input decisioni output retroazione
input ecc., studiabile in modo empirico e obiettivo.
Easton non era interessato al problema di applicare la sua versione dell’approccio behaviorista alle relazioni
internazionali, ma la teoria dei sistemi fu ulteriormente sviluppata da altri studiosi. Uno dei primi esempi di
tali sviluppi fu l’ analisi dei sistemi di Morton Kaplan, che della teoria dei sistemi si servì per operare una
distinzione tra differenti tipi di sistema internazionale:
sistema dell’equilibrio di potere
sistema bipolare allentato
sistema bipolare stretto
sistema internazionale universale
sistema internazionale gerarchico
sistema internazionale con diritto di veto.
Secondo Kaplan, i diversi tipi di sistema sono caratterizzati da differenti modalità di comportamento. Se il
comportamento di uno stato risulta in contrasto con le aspettative previste dalla teoria, la cosa deve essere
indagata e spiegata, e se si scoprisse che non si tratta di un’eccezione isolata potrebbe essere necessario
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Relazioni internazionali rivedere l’intera teoria la ricerca empirica dovrebbe promuovere l’affinamento e il miglioramento della
teoria empirica. In altre parole, quell’esito anomalo deve essere stato provocato dall’intervento di altre
variabili diventa importante indagare quali sono queste variabili e correggere opportunamente la teoria dei
sistemi.
L’applicazione alle Relazioni Internazionali dell’analisi dei sistemi di Kaplan risultò carente sotto molti
aspetti. Forse il suo punto debole più ovvio è che le regole sono al tempo stesso descrittive (empiriche) e
prescrittive (normative): esse indicano non solo come si prevede che si comporteranno gli stati-attori nel
sistema, ma anche come dovrebbero comportarsi.
D. I 2 approcci metodologici alle Relazioni Internazionali, quello tradizionale e quello behavioristi, sono
molto differenti:
Scuola della comprensione: il primo è un approccio olistico che accetta la complessità del mondo umano,
interpreta le Relazioni Internazionali come componente del mondo umano e si sforza di comprenderlo in un
modo umanistico studiandolo dall’interno = immaginare di indossare i panni degli statisti per cercare di
comprendere i dilemmi morali che essi fronteggiano nelle loro scelte di politica estera e tenendo conto dei
valori fondamentali in gioco, come sicurezza, ordine, libertà e giustizia.
Secondo questo approccio, non è possibile scoprire una verità oggettiva, perché l’uomo è in continua
evoluzione.
Scuola della spiegazione: secondo il behaviorismo, nello studio delle Relazioni Internazionali non c’è spazio
per l’etica, perché l’etica coinvolge valori, e i valori non possono essere studiati oggettivamente lo studioso
si porrebbe al di fuori della materia, presupponendo la razionalità delle azioni.
I behavioristi non prevalsero nel secondo grande dibattito, ma non prevalsero neppure i tradizionalisti. Dopo
qualche anno di vigorose polemiche, il secondo grande dibattito si esaurì.
Tuttavia il behaviorismo esercitò sulle Relazioni Internazionali un effetto duraturo, in larga misura a causa
del predominio nella disciplina dopo la seconda guerra mondiale degli studiosi USA. Essi ebbero un peso
determinante nell’aprire la strada a nuove enunciazioni sia del realismo sia del liberalismo, che sfociarono in
una riedizione del primo dibattito nel quadro di nuove condizioni storiche e metodologiche.
1bis.
Dopo il 1945 il baricentro delle Relazioni Internazionali era la guerra fredda, che si prestava facilmente a
un’interpretazione realista del mondo.
Su queste relazioni si basò un nuovo tentativo dei liberali di formulare una teoria alternativa al pensiero
realista, che evitasse gli eccessi utopici del vecchio liberalismo (neoliberalismo).
Negli anni ’50, nell’Europa occidentale prese le mosse un processo di integrazione regionale (= forma di
cooperazione internazionale particolarmente intensa) che catturò l’attenzione e stimolò la riflessione dei
neoliberali.
I. Negli anni ’50 e ’60 in Europa occidentale e in Giappone si sviluppò un’economia del benessere basata sui
consumi di massa, che determinò un aumento dei flussi commerciali, delle comunicazioni, degli scambi
culturali e di altre relazioni e transazioni transnazionali.
Da questi sviluppi nacque il liberalismo sociologico = una componente del pensiero neoliberale che pone
l’accento sull’impatto dell’aumento di queste attività transnazionali. Karl Deutsch e altri sostennero che i
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali collegamenti promossi da tali attività contribuiscono a creare valori e identità condivisi tra i popoli di stati
differenti e aprono la strada a relazioni pacifiche e cooperative, rendendo la guerra sempre più costosa e
quindi sempre meno probabile.
II. Negli anni ’70 Robert Keohane e Joseph Nye svilupparono ulteriormente queste idee, sostenendo che le
relazioni tra gli stati occidentali sono caratterizzate da una completa interdipendenza: alle relazioni politiche
dei governi si sommano molte forme di connessione tra società, inclusi i legami transnazionali tra grandi
imprese la forza militare non è più usata come uno strumento di politica estera (liberalismo
dell’interdipendenza).
III. In presenza di un alto grado di interdipendenza, spesso gli stati danno vita a istituzioni internazionali che
li aiutano a risolvere problemi comuni, promuovendo la cooperazione transnazionale mediante la fornitura
di informazioni e la riduzione dei costi. Tali istituzioni possono essere organizzazioni internazionali oppure
sistemi meno formalizzati di accordi su attività o questioni di comune interesse (liberalismo istituzionale). I
contributi più importanti a questa linea di pensiero sono quelli di Robert Keohane e Oran Young.
IV. La quarta e ultima componente del neoliberalismo, il liberalismo repubblicano, riprende l’idea che le
democrazie liberali promuovono la pace, perché non scendono in guerra l’una contro l’altra. Questo filone di
pensiero è stato fortemente influenzato dalla rapida diffusione, dopo la fine della guerra fredda, del processo
di democratizzazione a livello mondiale. Una versione autorevole di questa teoria è stata proposta da
Michael Doyle. Secondo Doyle, la pace democratica poggia su 3 pilastri:
1. la pacifica risoluzione dei conflitti
2. i valori condivisi
3. la cooperazione economica.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali 5. Le Relazioni Internazionali negli anni '70
Negli anni ’70, tra gli studiosi delle Relazioni Internazionali era pressoché unanime la sensazione che il
neoliberalismo fosse sul punto di riprendere il sopravvento. Ma per tutti gli anni ’70 e ’80 la
contrapposizione Est-Ovest rimase la caratteristica irriducibile delle relazioni internazionali. E proprio da
questo fatto storico presero le mosse le nuove riflessioni sul realismo.
Una via nuova tentò Kenneth Waltz con il suo Teoria della politica internazionale, proponendo una teoria
realista sostanzialmente diversa dalla precedente, in quanto ispirata alle ambizioni scientifiche del
behaviorismo e chiamata neorealismo. Waltz concentra la propria attenzione sulla struttura del sistema
internazionale e sulle ripercussioni che essa esercita sulle relazioni internazionali:
a) Waltz rileva che il sistema internazionale è un’ anarchia = non esiste un governo su scala mondiale. Tale
anarchia è destinata a perdurare perché gli stati vogliono preservare la propria autonomia.
b) il sistema internazionale è composto di unità simili = tutti gli stati devono svolgere un complesso analogo
di funzioni di governo. Tuttavia, c’è un aspetto sotto il quale gli stati differiscono l’uno dall’altro: la forza
(che Waltz chiama capacità relativa).
Le grandi potenze tenderanno sempre a bilanciarsi l’una con l’altra: uscita di scena l’URSS, gli USA
dominano il sistema, ma la teoria dell’equilibrio di potere induce a prevedere che altri paesi tenteranno di
controbilanciare la potenza americana.
Gli stati più piccoli e deboli tendono ad allinearsi con le grandi potenze per preservare il più possibile la
propria autonomia gli stati adottano politiche di potenza e di ricerca della sicurezza non per motivi legati
alle caratteristiche della natura umana, piuttosto perché la struttura del sistema internazionale li costringe a
comportarsi così.
Quest’ultimo punto è importante perché su di esso si basa il contrattacco dei neorealisti nei confronti dei
neoliberali: pur non negando la possibilità che gli stati cooperino tra loro, i neorealisti ribadiscono che essi
cercheranno sempre di massimizzare la propria forza e di preservare la propria autonomia.
Durante gli anni ’80 alcuni neorealisti e neoliberali giunsero quasi a condividere un presupposto analitico di
carattere sostanzialmente neorealista: l’idea che gli stati sono gli attori protagonisti in quella che è tuttora
un’anarchia internazionale, e che essi badano costantemente ai propri interessi. Sul terreno metodologico,
l’avvicinamento tra i 2 filoni di pensiero era ancora più marcato: entrambi erano infatti fortemente
favorevoli al progetto scientifico lanciato dai behavioristi.
Tuttavia, una completa sintesi tra le 2 tradizioni no è stata ancora raggiunta e il dibattito è tutt’altro che
concluso.
Nel periodo della guerra fredda prevalse la metodologia associata al neorealismo. Il nuovo atteggiamento
verso la metodologia fu definito positivista, per sottolineare che lo studio delle Relazioni Internazionali è
un’indagine oggettiva che punta a scoprire fatti verificabili o ricorrenti della politica mondiale, basandosi su
valide tecniche di ricerca di tipo scientifico.
Il positivismo è una metodologia importante nel campo delle Relazioni Internazionali: moltissime sono
infatti le ricerche condotte con l’impiego di metodi che si ispirano a principi positivisti. Ci occuperemo solo
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali della versione denominata positivismo moderato. Questa metodologia concepisce il mondo sociale e politico
come una realtà funzionante secondo modalità e ricorrenze che possono essere spiegate, a patto che ci si
avvalga della metodologia più appropriata: osservazione ed esperienza sono gli strumenti chiave per
costruire e giudicare ogni teoria scientifica. Crede, infine, nella possibilità di arrivare a una conoscenza
oggettiva del mondo le teorie Relazioni Internazionali dovrebbero consistere di proposizioni empiriche
logicamente correlate tra loro e verificabili alla luce degli elementi di prova disponibili, cosicché la teoria
nel suo complesso viene confermata o confutata da osservazioni di dati.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali 6. Le Relazioni Internazionali negli anni '90
Negli anni ’90, conclusasi la guerra fredda, il predominio americano si attenuò: gli studiosi di Relazioni
Internazionali in Europa e altrove cominciarono ad acquistare maggiore fiducia nelle proprie capacità e a
mostrarsi meno propensi ad accettare a scatola chiusa un’agenda scritta in larga misura da studiosi USA.
Nel Regno Unito, per tutta la durata della guerra fredda era prevalsa una scuola di Relazioni Internazionali
che si caratterizzava per 2 importanti posizioni:
1. il rifiuto della sfida behaviorista
L’approccio classico alle Relazioni Internazionali non ha una metodologia esplicita; non formula ipotesi,
non si avvale di un apparato di ricerca formalizzato, non raccoglie né organizza dati. Ha, piuttosto, un
atteggiamento dottrinale, e in qualche misura etico: respinge l’idea che possa esistere un’unica analisi
corretta o scientificamente valida della politica internazionale. È scettico sulla possibilità di costruire una
scienza cumulativa delle Relazioni Internazionali sempre più sofisticata, precisa, sintetica, predittiva ed
esplicativa, anche perché ritiene che la validità di qualunque teoria sia limitata dalla storia (tempo) e dalla
cultura (spazio).
2. il rifiuto di ogni rigida distinzione tra un approccio rigorosamente realista e uno rigorosamente liberale
allo studio delle Relazioni Internazionali.
I 2 principali teorici della Scuola Inglese sono Martin Wight ed Hedley Bull.
Le Relazioni Internazionali sono un campo di studi umanistico e complesso. Secondo Bull non si tratta di
un’unica disciplina, bensì di una materia interdisciplinare, che si rifà in misura determinante a 3 discipline
ben consolidate:
storia: solo attraverso di essa lo studioso può cogliere le specifiche caratteristiche degli stati. Tutti gli stati
sono diversi e ciò riduce la possibilità di formulare generalizzazioni sui sistemi degli stati.
teoria o filosofia politica: l’approccio tradizionale si occupa di questioni etiche, inscindibili da quella
politiche o giuridiche presuppone un esame disinteressato e distaccato dei fondamenti etici della politica e
del diritto internazionale.
diritto internazionale: è un corpo esauriente di conoscenze storiche e contemporanee riguardanti le regole e
le norme che stanno alla base della società internazionale vestfaliana.
La caratteristica precipua dell’approccio tradizionale, secondo Bull, è l’esercizio della capacità di giudizio e
di discernimento propria dello studioso nell’analisi degli aspetti storici, giuridici o filosofici delle Relazioni
Internazionali.
L’approccio classico esorta ad un atteggiamento disinteressato e distaccato. Per Bull, ciò non significa
atteggiamento scevro di valori, ma la consapevolezza delle proprie premesse etiche e politiche, la franchezza
nell’ammetterle e la capacità di tenerle saldamente sotto controllo.
Secondo la Scuola Inglese, lo stato è al tempo stesso un Machstaat (= stato di forza) e un Rechtsstaat (=
stato di diritto). È vero che esiste un’anarchia internazionale, ma questa è una condizione sociale: la politica
mondiale è una società anarchica, in cui il ruolo centrale è mantenuto dalla forza e dall’equilibrio di potere.
ES: il sistema delle Nazioni Unite dimostra come ambedue gli elementi (la forza e il diritto) siano
simultaneamente presenti nella società internazionale: la composizione del Consiglio di Sicurezza rispecchia
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali la realtà degli squilibri esistenti tra gli stati in termini di forza, mentre la composizione dell’Assemblea
Generale è conforme al principio dell’eguaglianza giuridica internazionale.
Gli studiosi della SI non puntano a formulare e verificare ipotesi con l’obiettivo di costruire leggi
scientifiche sulle Relazioni Internazionali, cercano piuttosto di comprenderle e interpretarle, assumendo un
più ampio approccio storico, giuridico e filosofico.
La sfida posta dall’approccio SI non apre un nuovo grande dibattito; deve piuttosto essere considerata come
un rifiuto dell’apparente trionfo behavioristico del secondo dibattito: i teorici SI vi entrano schierandosi a
fianco dei tradizionalisti. A loro giudizio, non esiste alcuna possibilità di costruire leggi sulle Relazioni
Internazionali analoghe a quelle delle scienze naturali studiare le Relazioni Internazionali non significa
spiegare, bensì comprendere, mettendosi nei panni degli uomini di stato per cercare di capire meglio i
dilemmi con cui essi devono fare i conti nelle loro decisioni di politica estera.
un’ estensione del primo dibattito: pur non entrando direttamente in quel dibattito, gli studiosi SI lasciano
chiaramente intendere che la differenza tra realismo e liberalismo è sostanzialmente artificiosa.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali 7. Il Neomarxismo
I dibattiti accademici finora analizzati riguardano soprattutto la politica internazionale: gli affari economici
svolgono un ruolo secondario.
I decenni seguiti alla seconda guerra mondiale furono un periodo di decolonizzazione; numerosissimi paesi
nuovi comparvero sulle carte geografiche. Molti di questi, però, sono talmente deboli sotto il profilo
economico da occupare gli ultimi posti della gerarchia economica globale (il Terzo Mondo).
Pressappoco in quegli anni emerse il neomarxismo, come tentativo di spiegare teoricamente il sottosviluppo
economico del Terzo Mondo.
Fu questo lo spunto di un nuovo dibattito nel campo delle Relazioni Internazionali, incentrato sulla
ricchezza e la povertà a livello internazionale, e cioè sull’ Economia Politica Internazionale (EPI). Questo
dibattito consiste in una critica neomarxista all’economia politica mondiale e nelle risposte dei liberali EPI e
dei realisti EPI in merito al rapporto tra economia e politica nelle Relazioni Internazionali.
Il neomarxismo si propone di analizzare la situazione del Terzo Mondo utilizzando gli strumenti analitici
messi a punto da Karl Marx per indagare il funzionamento del capitalismo in Europa i neomarxisti estesero
quell’analisi al Terzo Mondo, sostenendo che l’economia capitalistica globale è controllata dai ricchi stati
capitalistici, che se ne servono per impoverire i paesi poveri del mondo. Dipendenza è uno dei concetti
chiave usati dai neomarxisti.
Andre Gunder Frank sostiene che lo scambio ineguale e l’appropriazione del surplus economico da parte di
pochi a danno di molti costituiscono una caratteristica intrinseca del capitalismo: finché esisterà il sistema
capitalistico, il Terzo Mondo resterà sottosviluppato.
Una tesi analoga è proposta da Immanuel Wallerstein, il quale ammette la possibilità che qualche paese del
Terzo Mondo possa salire nella gerarchia capitalistica globale, ma solo pochi potranno riuscirci: in cima non
c’è spazio per tutti.
Quasi diametralmente opposta è la versione liberale dell’EPI. Secondo gli studiosi di questo filone, la
prosperità umana potrà essere realizzata grazie alla libera espansione globale del capitalismo al di là dei
confini dello stato sovrano e alla progressiva perdita d’importanza di tali confini. I liberali si rifanno
all’analisi economica di Adam Smith e di altri economisti liberali classici, secondo i quali
i liberi mercati
la proprietà privata
la libertà individuale
sono i 3 fattori capaci di promuovere un progresso economico autosostenuto per tutte le parti coinvolte.
I realisti EPI la vedono in modo ancora diverso. Rifacendosi al pensiero di Friedrich List, ritengono che
l’attività economica dovrebbe essere posta al servizio della costruzione di uno stato forte e del
perseguimento dell’interesse nazionale. La ricchezza prodotta dovrebbe dunque essere controllata e gestita
dallo stato la dottrina EPI statalista è spesso denominata mercantilismo o nazionalismo economico.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali Il regolare funzionamento di un libero mercato dipende dalla forza politica; in assenza di una potenza
dominante o egemonica, non può esistere un’economia mondiale liberale.
ES: gli USA svolsero un ruolo di potenza egemone a partire dalla fine della prima guerra mondiale, ma nei
primi anni ’70 cominciarono a essere sfidati sul piano economico dal Giappone e dall’Europa occidentale, e
tale sfida si fece via via più intensa. Secondo i realisti EPI, quel declino della leadership USA ha indebolito
l’economia mondiale liberale, perché nessun altro stato è in grado di assumere il ruolo di potenza egemone a
livello globale.
Le differenze tra queste versioni dell’EPI si manifestano con chiarezza nell’analisi di 3 importanti questioni,
emerse negli anni recenti e tra loro correlate:
1. la globalizzazione economica = diffusione e intensificazione di tutti i tipi di relazioni economiche tra i
paesi
2. chi vince e chi perde nel processo di globalizzazione economica
3. l’ importanza relativa dell’economia e della politica.
Il terzo dibattito complica ulteriormente la disciplina delle Relazioni Internazionali, perché ne sposta
l’oggetto di studio dalle questioni politiche e militari verso quelle economiche e sociali, immettendo una
nuova e distinta questione: i problemi socioeconomici dei paesi del Terzo Mondo.
3.
Da qualche tempo nelle Relazioni Internazionali si è avviato un terzo dibattito, incentrato su varie critiche
mosse ai filoni consolidati da approcci alternativi, talvolta definiti post-positivisti.
4 sono le principali correnti coinvolte in questa sfida:
1. si ispira alla teoria critica
2. si è sviluppata partendo dalla sociologia storica
3. comprende autrici del filone femminista
4. appartengono gli studiosi interessati a una lettura postmoderna delle Relazioni Internazionali.
La fine della guerra fredda ha cambiato l’agenda internazionale sotto numerosi aspetti cruciali. In
particolare, un numero crescente di studiosi delle Relazioni Internazionali era insoddisfatto dell’approccio
predominante, da guerra fredda, ossia il neorealismo di Waltz.
Molti prendono le distanze da Waltz, contestando l’ipotesi che il complesso mondo delle Relazioni
Internazionali possa essere compresso in pochi, sintetici enunciati sulla struttura del sistema internazionale e
l’equilibrio di potere fanno propria la critica antibehaviorista.
Molti studiosi delle Relazioni Internazionali criticano inoltre il neorealismo waltziano per la sua visione
politica conservatrice: non c’è molto nel neorealismo che indichi la possibilità di cambiare lo status quo e di
creare un mondo migliore.
Insomma, nelle Relazioni Internazionali si sono aperti nuovi dibattiti che investono sia questioni
metodologiche (= come impostare lo studio delle Relazioni Internazionali) sia questioni sostanziali (quali
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali dovrebbero essere considerate le più importanti).
NB: Le nuove questioni e le nuove metodologie hanno qualcosa in comune: il giudizio che le tradizioni
consolidate nel campo delle Relazioni Internazionali non sono in grado di affrontare adeguatamente le
nuove questioni emerse nella politica mondiale dopo la fine della guerra fredda.
L’analisi politica
Secondo Nicholson 2 sono fondamentalmente i programmi generali di ricerca del positivismo
contemporaneo nelle Relazioni Internazionali:
1. un programma di ricerca quantitativa, di cui un filone importante è associato con la ricerca della pace
2. un programma di analisi della scelta razionale, come la teoria dei giochi.
Il concetto di politica presuppone che il governo definisca i propri obiettivi e scelga poi metodi e linee di
condotta per conseguirli. L’analisi politica è un modo di ragionare su obiettivi e comportamenti del governo
alla luce del rapporto tra mezzi e fini, ed è quindi un concetto strumentale. Un’analisi strumentale è cosa
diversa da un’analisi esplicativa. Mentre quest’ultima prevede l’esecuzione del corretto resoconto di un
evento (variabile dipendente) alla luce delle sue cause o condizioni (variabile indipendente), la prima
prevede invece l’individuazione della linea di condotta ottimale per raggiungere un obiettivo.
La gestione delle relazioni con l’estero richiede politiche attentamente soppesate alla luce degli interessi
(obiettivi) esteri del governo. L’analisi della politica estera può comportare anche una riflessione sulla
natura, ossia sui pro e sui contro, di quegli obiettivi, ma ciò che deve comportare è una riflessione sui mezzi
ottimali per conseguire quegli obiettivi.
L’analisi tradizionale della politica estera presuppone un’adeguata conoscenza della politica estera di un
governo, ossia della sua storia, degli interessi che la muovono e dei metodi adottati per conseguire quegli
interessi. C’è un tipo di analisi politica che prescinde dall’esperienza diretta o dalla capacità di mettersi nei
panni dei policy maker. L’ analisi della scelta razionale nel campo delle Relazioni Internazionali vide la luce
nei primi anni ’60 grazie ai lavori di Schelling, Boulding e Rapoport. La scelta razionale è una versione
scientifica del ragionamento strumentale che si avvale dell’applicazione di un tipo di analisi formalizzato
per l’individuazione dei mezzi più razionali, o efficaci, per conseguire un obiettivo predeterminato (es: la
teoria dei giochi).
Realismo
Le idee e le ipotesi su cui si basa il realismo sono:
1. una visione pessimistica della natura umana
2. la convinzione che le relazioni internazionali sono necessariamente conflittuali
3. l’alto valore attribuito alla sicurezza nazionale e alla sopravvivenza degli stati
4. un sostanziale scetticismo circa la possibilità che nella politica internazionale possa verificarsi un
processo evolutivo analogo a quello della politica interna.
Secondo i realisti, ogni individuo desidera sedersi al posto di guida: per questo punta sempre ad essere in
posizione di vantaggio nelle relazioni con gli altri. Questa visione pessimistica della natura umana emerge
con forte evidenza dalla teoria di Hans Morgenthau, pensatore realista del XX secolo. Più o meno, anche gli
altri realisti classici condividono l’idea che la politica internazionale sia, prevalentemente, politica di
potenza, sinonimo di anarchia internazionale, un sistema, cioè, senza nessuna autorità sovrastante, senza
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali nessun governo mondiale. Lo scopo della politica estera è quello di proiettare e difendere gli interessi dello
Stato (il protagonista assoluto) nella politica mondiale.
Inoltre, gli Stati non sono tutti uguali, ma sono collocati in una precisa gerarchia internazionale: gli stati più
importanti sono le grandi potenze le relazioni internazionali si riducono ad una lotta tra le grandi potenze
per conquistare predominio e sicurezza.
Il fatto che tutti gli stati devono perseguire il proprio interesse nazionale significa che non si può mai fare
completo affidamento sugli altri governi; tutti gli accordi internazionali sono provvisori e condizionati
dall’effettiva volontà degli stati di rispettarli.
Nella teoria realista delle Relazioni Internazionali bisogna fare un’importante distinzione tra:
a) realismo classico: concentra l’attenzione sui valori politici chiave della sicurezza nazionale e della
sopravvivenza dello stato
b) realismo contemporaneo: si rifà ad un’impostazione fondamentalmente scientifica e concentra
l’attenzione sul sistema (o struttura) internazionale.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali 8. Autori realisti pre-1919
lo storico della Grecia antica, Tucidide: le relazioni internazionali erano, per lui, le contrapposizioni e i
conflitti inevitabili tra le antiche città-stato greche e tra l’Ellade e i limitrofi imperi non-greci. C’erano poche
grandi potenze (Atene, Sparta e l’Impero Persiano) e molte potenze più piccole e meno importanti questa
disuguaglianza era considerata inevitabile e naturale. Tutti gli stati devono adattarsi alla realtà della forza
disuguale e comportarsi di conseguenza; se non lo fanno, mettono a rischio la propria esistenza e spesso si
condannano alla rovina.
Egli pone, inoltre, in rilievo che non c’è decisione senza conseguenze Tucidide raccomanda un’etica della
cautela e della prudenza nella conduzione della politica estera. Ne La guerra del Peloponneso, Tucidide
mette la sua filosofia realista in bocca ai governanti di Atene, che dialogano con quelli di Melos, che si
erano appellati al principio di giustizia. Ma secondo gli ateniesi/Tucidide, nelle Relazioni Internazionali vale
solo un tipo speciale di giustizia, che riguarda la necessità che ciascuno sappia qual è il posto che gli
compete e si adatti alla realtà naturale della disuguaglianza delle forze.
Tucidide è un realista alquanto complesso, in quanto la sua visione non è chiaramente riconducibile ai 3
livelli d’analisi. Nella sua opera, infatti, egli individua le cause della guerra nel potere (3° immagine), ma
anche nella natura politica di Atene (2° livello). Allo stesso tempo, però, egli individua anche figure
rilevanti, come ad esempio Alcibiade (1° immagine).
il teorico politico del Rinascimento Italiano, Niccolò Machiavelli: la forza (Leone) e l’inganno (Volpe) sono
gli strumenti principali della politica estera. Il valore politico supremo è la libertà nazionale, ossia
l’indipendenza, e la principale responsabilità di chi governa è quella di perseguire e difendere gli interessi
del proprio stato garantirne la sopravvivenza.
Il presupposto sostanziale del pensiero di Machiavelli è che il mondo è un posto pericoloso; per sperare di
sopravvivere un individuo deve essere sempre consapevole dei pericoli, prevederli e prendere le precauzioni
necessarie per fronteggiarli. Se poi aspira a diventare ricco e potente deve saper riconoscere e sfruttare le
opportunità che gli si presentano, e deve farlo con maggiore abilità, rapidità e, se necessario, disonestà, dei
suoi rivali la conduzione della politica estera è un’attività opportunistica, basata sul calcolo intelligente
della propria forza e dei propri interessi in quanto contrapposti a quelli di rivali e concorrenti. Soprattutto,
secondo Machiavelli, chi governa lo stato deve guardarsi dall’operare in conformità ai principi dell’etica
cristiana se agisce conformemente alle virtù cristiane, chi governa è inevitabilmente destinato a cadere e a
perdere ogni cosa, con conseguenze disastrose per la sicurezza e il benessere dei cittadini.
Machiavelli è un realista fondamentalista (tutta la politica, sia interna sia internazionale, è brutale e violenta)
e di 1° immagine (l’uomo è naturalmente predisposto al potere; i principi si differenziano in base alle loro
virtù).
lo studioso di filosofia politica e giuridica dell’Inghilterra del XVI secolo, Thomas Hobbes: quella dello
stato di natura è per un essere umano una condizione di vita estremamente sfavorevole, caratterizzata da un
permanente stato di guerra: la vita è costantemente a rischio e nessuno può mai sentirsi al sicuro (Hobbes è
un realista proto-strutturalista di 3° immagine). L’unico modo per sfuggire allo stato di natura e approdare a
condizioni di vita civili è rappresentato dalla creazione e dalla difesa dello stato sovrano: gli individui
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali devono trasformare la loro reciproca paura in spirito di collaborazione e sottoscrivere un patto di sicurezza
che garantisca l’incolumità di ciascuno rispetto alle minacce che altri possono recargli.
Tuttavia, la soluzione statuale al problema della condizione naturale del genere umano pone
automaticamente un grave problema politico: l’istituzione di uno stato sovrano per sfuggire allo spaventoso
stato di natura crea un nuovo stato di natura, quello tra stati DILEMMA DELLA SICUREZZA = il
conseguimento della sicurezza personale e della sicurezza interna attraverso la creazione di uno stato è
inevitabilmente accompagnato dalla condizione di insicurezza nazionale e internazionale che affonda le sue
radici nell’anarchia del sistema degli stati.
Non c’è modo di sfuggire al dilemma della sicurezza internazionale, perché, a differenza degli individui, gli
stati sovrani non sono disposti a rinunciare alla propria indipendenza in cambio di una garanzia di sicurezza
globale. Per gli stati, infatti, provvedere alla propria sicurezza è più facile che per i singoli individui.
L’aspetto più importante dello stato di natura internazionale è che esso rappresenta una condizione di guerra:
fra stati sovrani non ci può essere una condizione di pace permanente o garantita, la guerra è necessaria per
risolvere le dispute tra stati che non riescono a trovare un accordo e non vogliono piegarsi alla volontà altrui.
Secondo Hobbes, il diritto internazionale può moderare lo stato di natura internazionale, ma, essendo creato
dagli stati, esso viene rispettato solo se è conforme agli interessi di sicurezza e sopravvivenza degli stati,
altrimenti viene ignorato.
Rousseau (XVIII secolo): questo autore viene etichettato come un realista per via del suo pamphlet polemico
contro il progetto di pace dell’Abbe Saint Pierre, che prevedeva la costruzione di un’organizzazione
mondiale, in grado così di istituzionalizzare il conflitto. Rousseau replicò sostenendo che il progetto
potrebbe funzionare solo se tutti gli stati si mettessero d’accordo simultaneamente (visione di 3° immagine).
Rousseau, però, non è completamente un realista di 3° immagine, perché parlando delle cause delle guerre e
della pace introduce elementi di 2° immagine. Egli, infatti, distingue 2 tipi di contratto sociale:
1. buono, basato sulla Volontà generale
2. cattivo, basato sull’assolutismo
Da questa distinzione di 2° immagine dipende la politica estera di ciascuno stato. Per chiarire questo
discorso, basti pensare al fatto che Rousseau scrisse 2 costituzioni ideali:
1. alla Polonia propone forme di difesa provocatoria, ossia un esercito molto forte, ma incapace di attaccare
2. alla Corsica propone l’isolazionismo internazionale.
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Relazioni internazionali 9. Autori realisti post-1919
Weber: egli distingue tra:
1. etica della convinzione = quella degli individui e consiste nell’essere conformi con i propri
comportamenti ai propri valori
2. etica della responsabilità = quella dei governanti, che devono considerare le conseguenze dei propri
comportamenti gli Stati non si comportano sempre nello stesso modo seppure in circostanze simili (“doppi
standard”)
Reinold Niebuhr: egli è un “realista cristiano” e ritiene che l’uomo, in quanto individuo, sia un essere
morale. È l’interazione nella società a corromperlo, perché nella società si scontrano questioni di potere.
Hans Morgenthau compendia la sua teoria delle relazioni internazionali in 6 principi di realismo politico:
1. la politica è radicata nella natura umana, i cui tratti fondamentali, immutati, sono l’egocentrismo, l’amor
proprio e la ricerca del tornaconto personale: Morgenthau parla di animus dominandi, dell’umana sete di
potere, che spinge gli individui a ricercare non solo una posizione di vantaggio rispetto agli altri, ma anche
uno spazio politico entro il quale vivere al sicuro dalle imposizioni politiche di altri. È questo l’aspetto della
sicurezza e lo spazio politico massimo all’interno del quale essa può essere garantita è l stato indipendente.
L’umano animus dominandi porta inevitabilmente gli individui ad entrare in conflitto l’uno con l’altro da
ciò deriva la concezione della politica di potenza: la politica è una lotta per esercitare il potere sugli altri;
l’obiettivo immediato è il potere, e i sistemi per acquisirlo, conservarlo e mostrarlo determinano le tecniche
del comportamento politico
Se desiderano godere di uno spazio politico libero da ingerenze o controllo stranieri, gli individui dovranno
organizzarsi in uno stato abile ed efficace, mediante il quale difendere i propri interessi. Il sistema degli stati
conduce, a livello internazionale, all’anarchia e al conflitto.
Il realismo politico ritiene che la politica sia governata da leggi oggettive che hanno la loro origine nella
natura umana per migliorare la società è necessario innanzitutto comprendere le leggi che la reggono
Ciascuna teoria politica deve essere sottoposta al duplice esame della ragione e dell’esperienza. Per il
realismo, infatti, la teoria consiste nell’accertare i fatti e nel dar loro un senso per mezzo della ragione: esso
presuppone che il carattere di una politica estera possa essere compreso solo attraverso l’esame delle scelte
politiche e delle loro prevedibili conseguenze. Tuttavia, l’esame dei fatti non è sufficiente: per dare un senso
alla materia grezza della politica estera, dobbiamo metterci nella posizione dello statista, domandandoci
quali siano le alternative razionali possibili e quali egli probabilmente sceglierà in determinate circostanze.
2. la politica è una sfera di comportamento autonoma che non si può ridurre all’economia o all’etica: il
concetto di interesse definito in termini di potere pone la politica come sfera d’azione e campo del sapere
autonomo. Il realista politico è consapevole dell’esistenza e dell’importanza di modelli intellettuali diversi
da quelli politici, ma non può fare altro che subordinare i primi ai secondi. Questa “difesa” dell’autonomia
della sfera politica non significa ignorare l’esistenza e importanza degli altri modelli di pensiero: il realismo
politico è basato su una concezione pluralistica della natura umana, per la quale l’uomo è un insieme di
“uomo economico”, “uomo politico”, “uomo morale”, “uomo religioso”, ecc…e se vogliamo comprendere
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali ogni aspetto dobbiamo analizzare ciascuno nei propri termini
3. ogni individuo è interessato alla propria sicurezza e sopravvivenza. La politica è l’arena dove questi
interessi si confrontano e, prima o poi, si scontrano, degenerando in conflitto; a livello internazionale, la
politica è l’arena dove si fronteggiano gli interessi conflittuali degli stati
4. l’etica delle relazioni internazionali è un’etica politica o situazionale, molto diversa dalla morale privata:
lo statista responsabile dovrebbe cercare di fare non il meglio in assoluto, bensì il meglio che le circostanze
del momento permettono. L’etica politica consente comportamenti che non sarebbero tollerati dall’etica
privata. Morgenthau è critico nei confronti di quei teorici e di quei politici (come Wilson) che ritenevano
necessario rendere l’etica politica conforme a quella privata: quel modo di vedere è un grave errore
intellettuale, perché non riconosce l’importante differenza tra la sfera pubblica della politica da una parte, e
la sfera privata, quella della vita individuale, dall’altra. Tale politica si rivelerebbe fallimentare anche sul
piano morale, dal momento che sui capi politici grava la responsabilità di garantire la sicurezza e il
benessere dei loro concittadini.
A volte può essere necessario scegliere tra 2 beni il maggiore, o tra 2 mali il minore: per i realisti , questa
tragica situazione è uno degli aspetti caratteristici della politica internazionale, soprattutto in tempo di
guerra.
Prudenza, moderazione, discernimento, risolutezza, coraggio sono le virtù cardinali dell’etica politica; esse
non precludono il ricorso ad azioni riprovevoli, anzi, riconoscono l’inevitabilità dei dilemmi morali nella
politica internazionale.
Il realismo sostiene che i principi morali universali non possono essere applicati alle azioni degli stati nella
loro formulazione generale e astratta, ma devono essere filtrati dalle circostanze concrete di tempo e luogo.
5. i realisti respingono l’idea che certe nazioni possano imporre la propria ideologia ad altre nazioni, perché
sarebbe un’attività pericolosa, suscettibile di mettere a repentaglio la pace e la sicurezza internazionali e di
ritorcersi, alla lunga, sul paese stesso: tutte le nazione sono tentate di presentare le proprie aspirazioni
particolari come fini morali universali. Ma una cosa è sapere che le nazioni sono soggette alla legge morale
e un’altra è pretendere di sapere con certezza cos’è bene o male nelle relazioni fra di esse.
6. governare è un’attività assennata che si basa sulla profonda consapevolezza dei limiti e delle imperfezioni
umane: le buone intenzioni di uno statista non ci permettono di concludere che la sua politica estera sarà
moralmente lodevole o che avrà successo sotto il profilo politico ESEMPIO: la politica di appeasement di
Neville Chamberlain era ispirata da buone intenzioni, ma ha contribuito a rendere inevitabile la Seconda
Guerra Mondiale e a gettare milioni di uomini in immense sofferenze.
La teoria realista, inoltre, evita l’errore che consiste nel ricondurre la politica estera di uno statista alle sue
simpatie filosofiche o ideologiche: il realismo politico richiede una netta distinzione fra ciò che è
desiderabile sempre e ovunque e ciò che è possibile in circostanze di tempo e di luogo concrete. È ovvio che
non tutte le politiche estere hanno sempre seguito un corso così razionale, oggettivo e freddo; specialmente
laddove la politica estera è sottoposta al controllo democratico, il bisogno di procurarsi il sostegno del
sentimento popolare non può fare a meno di incrinare la razionalità.
Raymond Aron: è un “realista eterodosso”, in quanto critica a Morgenthau di aver esagerato con le
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Relazioni internazionali