International Political Economy
Questo approccio riflette l’evoluzione della disciplina Relazioni internzionali, che ha visto emergere l’economia politica internazionale come un campo di indagine a sé stante.
Per molto tempo, nel campo delle RI, economia e politica furono considerate come quasi del tutto isolate l’una dall’altra, come attività qualitativamente differenti da studiare con approcci qualitativamente differenti.
Tuttavia, a partire dagli anni ’70, questa netta distinzione tra politica ed economia cominciò ad essere messa in discussione con crescente vigore, per diversi motivi:
il sistema che i politici avevano predisposto dopo la Seconda Guerra Mondiale per favorire la crescita economica e gli scambi internazionali (Bretton Woods) cominciava a dare segni di crisi
la crisi petrolifera del 1973 contribuì ad accrescere un senso di perdita di invulnerabilità
il processo di decolonizzazione aveva immesso nel sistema internazionale un nuovo gruppo di stati politicamente deboli ed economicamente poveri
anche la fine della Guerra Fredda contribuì a sottolineare la connessione tra politica ed economia.
Per affrontare lo studio della connessione tra politica ed economia occorrono differenti approcci teorici. Le 3 principali teorie Economia politica internazionale sono:
1. mercantilismo: questa teoria è intimamente connessa con l’instaurazione del moderno stato sovrano nel corso del XVI e del XVII secolo. Il punto centrale di questo approccio è che l’attività economica deve essere subordinata all’obiettivo primario di costruire uno stato forte
L’economia è uno strumento della politica
L’economia internazionale è concepita come un terreno di scontro tra opposti interessi nazionali la competizione economica tra stati è un gioco a somma zero = gli stati devono preoccuparsi dell’utile economico relativo, perché la ricchezza materiale accumulata da uno stato può essere usata per rafforzare un potere politico-militare utilizzabile contro altri stati.
La rivalità economica tra gli stati può assumere 2 forme differenti:
mercantilismo difensivo o benigno: gli stati badano ai loro interessi economici nazionali perché tale politica è un ingrediente importante della loro sicurezza nazionale
mercantilismo aggressivo o riprovevole: gli stati tentano di sfruttare l’economia internazionale attraverso politiche espansionistiche.
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I mercantilisti sostengono che l’economia deve essere subordinata alla finalità primaria di accrescere il potere dello stato; la politica deve avere il primato sull’economia. Il contenuto concreto delle politiche raccomandate per raggiungere quella finalità è però cambiato nel tempo:
acquisizione di metalli preziosi
creazione del massimo surplus commerciale possibile
un paese deve industrializzarsi.
Il mercantilismo dà 3 prescrizioni:
1. forte surplus nella bilancia commerciale
2. la composizione di esportazioni ed importazioni deve privilegiare le esportazioni ad alto valore aggiunto a fronte di importazioni a basso valore aggiunto
3. bullionismo = la bilancia dei pagamenti va su perché si accumula oro
Al mercantilismo si sono ispirati alcuni eminenti politici ed economisti:
Alexander Hamilton
Freidrich List → teoria del “potere produttivo” = la prosperità di uno stato dipende non tanto dalla sua ricchezza accumulata, quanto alla misura in cui ha saputo sviluppare le proprie capacità di produzione
Il più recente pensiero mercantilista focalizza l’attenzione sui successi conseguiti in termini di sviluppo da alcuni stati dell’Est asiatico, che sottolineano che il successo economico è sempre accompagnato dall’assunzione, da parte dello stato, di un forte ruolo di guida nella promozione dello sviluppo economico.
2. liberalismo economico: nacque come critica del mercantilismo. Adam Smith, il padre i questo approccio, sosteneva che i mercati tendono spontaneamente a espandersi in modo da garantire il soddisfacimento dei bisogni umani, purché i governi non interferiscano.
Il mercato è la principale fonte di progresso, cooperazione e prosperità, mentre ogni interferenza politica o regolamentazione imposta dallo stato è diseconomica, regressiva e potenzialmente foriera di conflitti.
Il concetto di base dell’economia liberale è che l’economia di mercato funziona spontaneamente in conformità a propri meccanismi o leggi. Queste leggi sono considerate un aspetto intrinseco del processo della produzione e dello scambio → ES: legge del vantaggio comparato = il libero commercio è destinato ad arrecare benefici a tutte le parti in causa, perché rende possibile la specializzazione, la quale a sua volta fa aumentare l’efficienza e quindi la produttività.
Il vero protagonista è l’individuo, in quanto consumatore e produttore; gli individui si comportano in modo razionale nel perseguire i loro interessi economici lo scambio economico attraverso il mercato è un gioco a somma positiva (teoria delle scelte razionali).
TEORIA DELL’INTERDIPENDENZA: l’interdipendenza ha 2 qualità:
sensibilità = l’economia è sensibile a cambiamenti di altrove
vulnerabilità = vulnerabilità all’interruzione del flusso in nome del mantenimento dell’aumento di ricchezza dalla specializzazione gli stati cercano di mantenere buoni rapporti tra loro
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