Appunti relativi al corso di "Geografia politica ed economica", tenuto dalla Prof.ssa Maria Serena Piretti, presso l'Università di Bologna, con l'integrazione dei testi richiesti per l'esame (si rimanda all'ultima pagina per i riferimenti bibliografici completi).
Geografia politica ed economica
di Elisa Bertacin
Appunti relativi al corso di "Geografia politica ed economica", tenuto dalla
Prof.ssa Maria Serena Piretti, presso l'Università di Bologna, con l'integrazione
dei testi richiesti per l'esame (si rimanda all'ultima pagina per i riferimenti
bibliografici completi).
Università: Università degli Studi di Bologna
Facoltà: Scienze Politiche
Docente: Piretti Maria Serena1. Sistema mondo: crescita, sviluppo sostenibile, geopolitica
Crescita, sviluppo sostenibile, geopolitica, sistema mondo
Il colonialismo
Noi viviamo in un mondo che è stato profondamente segnato dal colonialismo europeo = un processo di
espansione dell’Europa negli altri continenti, di conquista dei loro territori e di assoggettamento dei loro
popoli, iniziato alcuni secoli fa, al tempo della prime scoperte geografiche, intensificatosi nel XIX secolo e
durato fino a pochi decenni fa. E anche se la decolonizzazione è ormai un fatto compiuto e gli stati
extraeuropei sono diventati politicamente indipendenti, alcune conseguenze economiche e sociali del
colonialismo
la forte impronta lasciata dai colonizzatori nella cultura, nelle lingue parlate, nei costumi
il perdurante primato economico dei paesi di cultura europea
fanno sì che ancora si parli degli immensi spazi fuori dal nostro continente come di una periferia del mondo.
In realtà, l’Europa non è più il centro del mondo, anche se ne rappresenta tuttora una parte importante (
USA, Russia, Giappone, Cina)
Soltanto a quelle sconfinate distese di terre che sono l’Asia, le Americhe, l’Africa, l’Oceania è possibile
attribuire a pieno titolo il nome di continente (= grande zolla di terra emersa del globo) e soltanto in questi
continenti, diversamente dall’Europa che è un territorio relativamente piccolo ed omogeneo, possiamo
incontrare terre non solo assai vaste, ma anche assai diversificate al proprio interno, separate tra loro da
grandi ostacoli naturali.
Dal colonialismo derivarono conseguenze e vicende diverse:
nelle Americhe, la popolazione originaria, gli indios, fu in parte sterminata (soprattutto dalle nuove
malattie), in parte assoggettata per venire usata come manodopera in condizioni di schiavitù e infine
rinchiusa in riserve e confinata in territori lontani. Questo spiega come oggi le Americhe siano in sostanza
delle Europe fuori dall’Europa = un insieme di stati abitati e governati da gruppi umani di origine europea,
discendenti di coloni che prima operarono per conto della madrepatria e poi si resero indipendenti da essa
nel continente africano, dapprima la tratta degli schiavi, poi varie forme di sfruttamento del lavoro e
l’espulsione dei contadini e degli allevatori dalle terre più fertili comportarono ingenti perdite umane. Ma
l’Africa è rimasta un continente abitato dalle sue popolazioni originarie o immigrate in tempi remoti, mentre
sono esigue le minoranze di origine europea (es.: Sudafrica)
solo l’ Australia è un’altra Europa fuori dell’Europa = paese anglosassone si è sviluppata popolando e
colonizzando un territorio ricco, immenso e quasi vuoto. Tuttavia anche qui le esigue popolazioni locali, gli
aborigeni, sono state vittime di violenze e infine costrette a vivere in riserve.
Il colonialismo ha da un lato messo in contatto le diverse parti del pianeta, ma dall’altro ha operato anche
molte devastazioni e, soprattutto, ha lasciato dietro di sé una scia di arretratezza e sottosviluppo, specie nelle
zone più sfavorite dal punto di vista ambientale, come il continente africano o in molte parti dell’Asia.
Il colonialismo ha lasciato dietro di sé anche molti problemi di frontiere e di tensioni etniche: in molti casi,
rivalità e contrasti esistevano ben prima dell’arrivo degli europei; tuttavia, assai spesso, questi ultimi si
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Geografia politica ed economica spartirono i territori conquistati spostando a piacimento confini naturali o storici, favorendo un’etnia a
scapito di un’altra, trasferendo popolazioni.
NB: Molte guerre e conflitti che oggi travagliano varie zone del nostro pianeta hanno tra le loro cause
originarie gli sconvolgimenti operati dalle politiche coloniali, cui si sono aggiunte le divisioni derivanti dalle
sfere di influenza e dalle rivalità fra grandi e medie potenze.
È parso, alla fine degli anni ’80, che la storia subisse una brusca accelerazione. Per molto tempo, l’intero
pianeta aveva conservato un assetto politico sostanzialmente stabile, dominato dalla divisione in 2 blocchi
contrapposti uscita dalla seconda guerra mondiale: per più di 40 anni le guerre si erano svolte nel Terzo
Mondo, alla periferia degli imperi; le 2 superpotenze si erano mostrate in grado di controllare le crisi e le
tensioni più gravi e di evitare che esplodessero ( deterrenza nucleare).
A partire dall’89, si vide una delle 2 superpotenze andare in frantumi. Fu un grande rivolgimento, destinato
ad avere ripercussioni in tutto il mondo:
buona parte del mondo è apparsa come liberata dal compito di doversi sempre schierare con l’uno o con
l’altro blocco, subordinando a ciò ogni altro problema
si assiste in prevalenza all’esplodere di conflitti, spesso sanguinosi, che nessuna potenza e nessun organismo
internazionale sembra in grado di controllare: sono riemerse dal profondo tendenze e problemi che si
credevano ormai tramontati gli egoismi nazionali, gli odii etnici e religiosi, il razzismo.
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Geografia politica ed economica 2. Ecologia e geopolitica
Le attività umane, che hanno sempre avuto influenza sull’ambiente, dall’inizio della rivoluzione industriale
hanno cominciato a produrre modificazioni nella biosfera, compromettendone l’equilibrio:
i maggiori produttori di inquinamento sono i paesi più popolosi e più industrializzati; l’inquinamento si
estende anche fuori dai confini dei paesi che lo producono, in particolare, verso i paesi del Terzo Mondo. I
principali agenti inquinanti dell’atmosfera delle città derivano dall’uso di combustibili fossili (carbone,
carburanti a base di petrolio). In futuro, il problema dell’inquinamento atmosferico sarà sempre più
aggravato dall’enorme aumento del numero di autoveicoli in circolazione in tutto il mondo
a causa dell’inquinamento atmosferico, le piogge possono divenire acide e danneggiare le foreste, i laghi, gli
edifici
in alto nell’atmosfera si trova uno strato di un gas, l’ozono, che protegge la Terra dall’eccesso di raggi solari
ultravioletti. Questo strato si è molto assottigliato negli ultimi decenni; la maggior parte degli scienziati
ritiene che i responsabili siano i CFC, utilizzati nei frigoriferi, nei condizionatori d’aria e in alcune bombole
spray. L’aumento di raggi ultravioletti può provocare molti danni alla salute e causare squilibri nella crescita
delle piante, danneggiando l’agricoltura. Lo strato di ozono è diminuito sulla maggior parte del pianeta, ad
eccezione delle zone equatoriali; la diminuzione maggiore ha avuto luogo in corrispondenza dei 2 poli:
sopra l’Antartide essa è particolarmente grave ed è qui che il fenomeno fu osservato per la prima volta e fu
chiamato buco dell’ozono
nell’atmosfera terrestre si trova uno strato di gas, detti gas serra (il più importante è l’anidride carbonica),
che trattengono il calore del sole. A causa dell’inquinamento, la quantità di gas serra sta aumentando
rapidamente e per effetto serra si intende un preoccupante aumento di questo fenomeno, con conseguente
innalzamento della temperatura. Le fonti principali di anidride carbonica sono l’uso di combustibili fossili
(carbone e petrolio), la deforestazione, gli incendi di foreste, i cambiamenti nell’utilizzo del suolo, la
combustione del legname. Secondo molti studiosi, con un aumento della temperatura anche solo di 2-3°C,
molti ghiacciai si scioglierebbero, l’acqua derivata andrebbe ad innalzare il livello del mare e buona parte
delle coste attuali sarebbero sommerse. Il problema del clima è fra quelli che non possono essere affrontati
su scala nazionale, ma a livello mondiale, con il consapevole contributo di tutti i paesi. Numerose
conferenze hanno portato avanti il dibattito sul problema della riduzione dei consumi e delle emissioni di
gas altamente inquinanti. Nel 1997, a Kyoto, 31 paesi hanno firmato un protocollo sul clima contenente
l’impegno di ridurre le emissioni di gas serra. Nel 2001 Bush ha fatto marcia indietro, sconfessando il
trattato; l’UE, invece, ha detto di sì al trattato
in tutto il mondo esistono problemi relativi all’acqua: prima di tutto l’ inquinamento delle acque. In molte
zone l’acqua inquinata, se usata per bere o per lavarsi, può essere veicolo di malattie infettive. Questo
problema è diminuito nei paesi avanzati grazie alle attuali norme igieniche, ma persino qui l’acqua può
talvolta portare malattie. Nei paesi industrializzati, il problema principale è l’inquinamento chimico; le fonti
sono gli scarichi industriali, gli scarichi agricoli contenenti pesticidi e fertilizzanti, le perdite accidentali da
discariche di rifiuti e industrie
è dall’inizio della rivoluzione industriale che il problema dei rifiuti è diventato impellente:sembra che
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Geografia politica ed economica l’interrogativo più pressante della nostra civiltà sia diventato quello di come disfarsi di rifiuti scomodi e
dannosi per la nostra stessa esistenza. Dagli anni ’50, poi, l’umanità è alle prese anche con il preoccupante
problema delle scorie radioattive
le foreste tropicali stanno scomparendo, per azione umana, ad una velocità impressionante. Almeno 500
milioni di ettari sono già scomparsi, distrutti dall’uomo per cercare pascoli e terreni coltivabili, risorse
minerarie e legnami pregiati. Si è discusso molto sui metodi che si potrebbero utilizzare per salvare la
foresta tropicale: è interessante notare che, secondo alcuni studi, mantenere intatte le foreste e raccogliere i
loro prodotti (frutta, resina, piante utili) sarebbe molto più redditizio che distruggerle per ottenere legname
in circa metà dei paesi del mondo, il suolo viene eroso e scompare ad una velocità molto superiore a quella
naturale. Ogni anno, miliardi di tonnellate di terra finiscono in mare o vengono portati via dal vento; in
generale, le zone più colpite sono quelle ad alta piovosità, dove i violenti acquazzoni provocano un’erosione
da pioggia del suolo. Le cause principali del fenomeno sono: l’eccessiva coltivazione, il pascolo eccessivo
del bestiame, la deforestazione e le tecniche sbagliate di irrigazione. Se in molte zone i deserti stanno
avanzando a grande velocità, in alcuni casi si tratta di un fenomeno naturale (desertizzazione), ma in altri si
tratta di un fenomeno molto preoccupante, detto desertificazione, causato dalle stesse attività umane che
provocano l’erosione del suolo. Oggi le aree colpite in qualche misura dalla desertificazione occupano quasi
un quarto delle terre emerse
attualmente, le riserve mondiali di pesce stanno diminuendo, perché sono minacciate da numerose cause:
l’inquinamento delle acque, la distruzione di ecosistemi marini, la pesca eccessiva. Negli ultimi anni sono
stati distrutti numerosi ecosistemi acquatici, in particolare quelli costieri e di acque basse. Una causa è stata
la sempre maggiore richiesta di pesce e di prodotti derivati dal pesce; un’altra causa sono alcune tecniche di
pesca utilizzate, che uccidono molti più organismi di quelli che poi effettivamente gli uomini utilizzano (es.:
pesca a strascico). Nonostante le ricerche effettuate, non sappiamo ancora come sfruttare le risorse marine in
modo efficace. In Italia si sta cercando di creare perlomeno alcune piccole aree, le riserve marine, in cui è
proibita la pesca
stanno scomparendo a gran velocità le piante selvatiche i cui geni sono essenziali per la conservazione delle
nostre principali colture. Una possibilità per proteggere gli organismi minacciati lontano dai loro habitat è
quella di farli crescere in orti botanici, zoo, acquari, piantagioni o banche di geni, ma il miglior modo di
proteggere la varietà biologica minacciata resta comunque quello di proteggere gli ambienti naturali. Da
quando è comparso l’uomo, la velocità con cui le specie si estinguono è aumentata vertiginosamente: il
ritmo attuale delle estinzioni è 400 volte superiore a quello naturale. Il problema delle estinzioni è aggravato
dalle complesse relazioni che esistono tra specie diverse: gli scienziati ritengono che ogni specie vegetale
abbia da 20 a 40 specie animali che dipendono da essa per ogni pianta che scompare, finiranno per
scomparire altre specie animali
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Geografia politica ed economica 3. La crescita della popolazione mondiale
La crescita della popolazione è caratterizzata da ritmi molto elevati negli ultimi 2 secoli e solo negli ultimi
decenni ha rallentato, o si è quasi arrestata, nei paesi sviluppati, e accenna a rallentare in alcuni fra i paesi
meno sviluppati. In passato, la crescita è stata generalmente più lenta, ma ha comunque conosciuto dei
cambi di velocità.
Non è facile ricostruire con esattezza la storia della popolazione mondiale, il censimento generale della
popolazione, eseguito con metodi scientifici, è uno strumento moderno, che si è affermato negli ultimi 2
secoli. Per i 4-5 secoli che precedono l’introduzione dei censimenti occorre affidarsi a dati meno regolari:
in Europa, per esempio, ai registri parrocchiali che segnalano le nascite e le morti
per regioni del mondo come l’Africa a sud del Sahara, dove non esisteva, fino a tempi recenti, la scrittura, il
compito degli studiosi si fa ancora più difficile.
Gli storici della popolazione hanno comunque potuto elaborare delle stime della popolazione umana in
epoche anche assai remote. Si ritiene, per esempio, che circa 1 milione di anni fa la popolazione di tutta la
Terra non superasse le 100.000 persone.
All’inizio dell’ era cristiana gli abitanti della Terra dovevano aver raggiunto i 250 milioni. Questa cifra
rimase pressoché stabile per buona parte dei secoli del Medioevo, a causa soprattutto delle grandi invasioni
che portarono distruzioni e morte in quasi tutta l’Asia e l’Europa.
Ci fu un nuovo balzo dopo il 1000, frenato nel XIV secolo dalla Grande Peste (1348-49), che fece milioni di
vittime.
Una decisa ripresa si ebbe verso la fine del ‘700. In poco meno di 2 secoli la popolazione del mondo si è
quasi sestuplicata. Ma la crescita non è stata uguale per tutti i continenti: in Europa la popolazione è
cresciuta di circa 3 volte e mezzo; in Asia di 5 volte; in Africa più di 6. Le Americhe fanno storia a sé:
conobbero un pauroso declino demografico fra il ‘500-‘600, dopo la conquista europea, quando le
popolazioni amerindie vennero sterminate soprattutto dalle malattie arrivate dall’Europa. La popolazione si
è moltiplicata per più di 30 in meno di 2 secoli, a causa dell’arrivo in America di coloni europei.
Gli studiosi della popolazione chiamano transizione demografica l’insieme dei mutamenti che si sono
verificati a partire dal secolo scorso nell’andamento della popolazione. Prima della transizione demografica,
la popolazione cresce lentamente: la natalità è elevata, il tasso di fecondità (= il numero dei figli vivi che una
donna, in media, mette al mondo nel corso della sua vita) è molto alto, ma anche la mortalità è elevata.
Dall’ inizio della transizione demografica si succedono 3 fasi:
1. la mortalità si abbassa, perché migliorano le condizioni di vita e si diffondono norme igieniche e sanitarie
che permettono di vincere o di limitare alcune malattie aumenta la durata media della vita.
Contemporaneamente, la natalità resta alta.
L’Europa ha attraversato questa fase nel secolo scorso, quando la sua popolazione raddoppiò. Ci sono invece
altri gruppi di paesi che stanno attraversando oggi questa fase: sono quelli dell’Africa a sud del Sahara,
buona parte degli stati musulmani del Nord Africa e dell’Asia occidentale, un certo numero di stati
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Geografia politica ed economica dell’America centrale e meridionale. In questi paesi la durata media della vita si è innalzata, ma è ancora
nettamente inferiore a quella dei paesi sviluppati, e la natalità resta elevata.
2. la mortalità continua a diminuire e anche la natalità comincia a declinare.
la crescita annua della popolazione scende attorno all’1,5-2% all’anno
Si trovano oggi in questa fase alcuni paesi latinoamericani e soprattutto India e Cina. L’Europa ha
attraversato e superato questa fase attorno alla metà del ‘900.
3. continuano a diminuire sia la mortalità sia la natalità. Il tasso di fecondità scende a livelli inferiori al 2 e
quello di crescita della popolazione si assesta fra lo 0,5-1,5%. In alcuni casi si raggiunge la crescita zero = la
popolazione non aumenta più.
Si trovano oggi in questa fase quasi tutti i paesi sviluppati dell’Europa, del Nordamerica, dell’Oceania, ma
anche dell’Asia orientale ( Giappone e Tigri Asiatiche).
L’ Africa, soprattutto quella a sud del Sahara, è quindi oggi il continente che presenta i problemi maggiori,
aggravati dalla povertà, dall’arretratezza economica, dalle cattive condizioni igieniche e sanitarie,
dall’analfabetismo.
La sovrappopolazione vuol dire innanzitutto squilibrio nei confronti delle risorse alimentari ed energetiche
disponibili e delle possibilità lavorative.
NB: la sovrappopolazione non è la sola causa del sottosviluppo e dell’arretratezza, ma contribuisce
fortemente ad aggravarli.
La sovrappopolazione è anche fonte di migrazioni interne ed internazionali, con grandi masse che fuggono
dalla fame per cercare fortuna nelle grandi città o nei paesi sviluppati. Assai spesso, proprio questi
drammatici spostamenti di popolazioni e la competizione per i territori, sono all’origine di sanguinosi
conflitti etnici, che a loro volta provocano il triste fenomeno dei profughi, affidati per la loro sopravvivenza
ai soccorsi internazionali.
L’eccesso di popolazione vuol dire anche pressione crescente sulle risorse naturali e degrado ambientale. Si
tende, in genere, a considerare che proprio la sovrappopolazione sia una delle cause principali di una serie di
fenomeni regressivi che hanno colpito il Terzo Mondo:
il disboscamento, per procurarsi nuovi terreni da coltivare,
l’ erosione del suolo, dovuta ad uno sfruttamento eccessivo della terra sia per l’agricoltura che per
l’allevamento,
la rarefazione delle risorse idriche, per il maggior consumo di acqua.
In generale, la pressione demografica contribuisce a produrre, nel Terzo Mondo, una serie di danni
ambientali destinati a ripercuotersi sulla vivibilità dell’intero pianeta. Tuttavia, sarebbe sbagliato attribuire il
degrado ambientale nel Terzo Mondo alla sola sovrappopolazione. L’ agricoltura coloniale delle grandi
piantagioni aveva già provocato un vistoso degrado ambientale. Alcuni studiosi osservano che il degrado
ambientale si deve, assai più che alle esigenze di sopravvivenza delle popolazioni locali alla fame di materie
prime e di consumi in genere da parte dei paesi ricchi.
La crescita della popolazione porta anche ad un fenomeno che ha assunto dimensioni preoccupanti: la spinta
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Geografia politica ed economica impetuosa all’ urbanizzazione. Anche questa è una tendenza che si manifesta con particolare virulenza nel
Terzo Mondo. La popolazione del Terzo Mondo tende oggi a spostarsi più di quanto sia mai avvenuto nel
passato. A dire il vero, molte popolazioni del Terzo Mondo non sono mai state molto stabili, ma un tempo
gli spostamenti avvenivano soprattutto nell’ambiente rurale, motivati dalla ricerca di terre e pascoli migliori.
Negli ultimi anni, la gente che è andata a gremire le periferie urbane di tanti paesi del Terzo Mondo è
soprattutto spinta dall’impossibilità di sopravvivere nelle campagne, e viene spesso delusa nelle sue
aspettative: assai spesso deve accontentarsi di abitare negli slums, nelle bidonvilles, nelle favelas = periferie
misere e squallide, dove le condizioni igieniche sono penose e si vive di lavori precari e di espedienti.
Un dato molto importante è quello riguardante la densità di popolazione = mette in relazione il numero di
abitanti con le dimensioni del territorio.
Ci sono infatti paesi quasi disabitati e vasti territori (es.: le megalopoli giapponesi o nordamericane) nei
quali la densità è altissima.
Paese per paese, è poi importante conoscere alcuni dati, come la mortalità infantile (= quanti bambini, su
mille, muoiono nel primo anno di vita), la speranza di vita alla nascita (calcolata sulla base dei tassi di
mortalità osservabili nel momento della nascita di un individuo).
Le differenze nella natalità e nella durata media della vita comportano una diversa struttura delle classi di
età:
nelle società sviluppate diminuisce, in percentuale, la parte più giovane della popolazione, mentre aumenta
la parte rappresentata dagli anziani società “vecchie”
nelle società meno sviluppate i vecchi rappresentano una parte decisamente minore della popolazione,
mentre le classi di età più numerose sono quelle rappresentate dai bambini e dai giovani società “giovani”
Un aspetto importante della demografia è quello che riguarda il rapporto tra uomini e donne. Normalmente,
nei paesi sviluppati ci sono più donne che uomini, e le donne vivono, in media, più degli uomini. Ma ci sono
paesi (alcuni stati musulmani, l’India, la Cina) nei quali la mortalità infantile è molto più elevata per le
femmine e ci sono più uomini che donne. Le ragioni si riconducono tutte alla condizione di inferiorità
riservata alla donna.
ES: in India e in Cina si preferisce avere figli maschi e ad essi si dedicano cure assai maggiori che alle
bambine; in alcuni casi si arriva a praticare l’infanticidio femminile.
La Cina degli ultimi 2 decenni rappresenta un caso abbastanza rigoroso di controllo della popolazione
imposto dall’alto con metodi autoritari. Altrove si preferisce usare la persuasione, diffondere la conoscenza
e l’uso dei metodi anticoncezionali, migliorare le condizioni igieniche e l’istruzione. Il controllo delle
nascite e la pianificazione familiare, peraltro, non bastano da soli ad affrontare e risolvere il problema della
sovrappopolazione, non si possono considerare un sostituto dello sviluppo economico e culturale: si è potuto
constatare che il numero dei figli diminuisce con l’aumento della scolarizzazione e del livello di cultura. E
resta fondamentale la diffusione di misure igieniche è solo combattendolo su molti fronti che si può sperare
di sconfiggere il fenomeno della sovrappopolazione.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica 4. Le lingue più parlate
Stabilire quante persone parlino una lingua è più difficile di quanto non appaia. Intanto, bisogna distinguere
tra la lingua materna (appresa alla nascita e usata per tutta la vita) e quelle usate invece come lingue
commerciali, amministrative, di cultura.
L’uso di una lingua non si identifica quasi mai con i confini di uno stato.
Tenendo conto di questi elementi si possono tentare 2 classifiche approssimative:
• cinese
• hindi, panjabi, urdu
• inglese
• spagnolo
• arabo
• russo
• bengali
• portoghese
• giapponese
• tedesco
• francese
• inglese
• spagnolo
• russo
• francese
• portoghese
• arabo
• cinese
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica 5. Le religioni nel mondo
Le principali religioni possono essere così classificate:
• cristiani: cattolici, protestanti, ortodossi
• musulmani
• ebrei
• “religione cinese”
• buddisti
• induisti
• sikh
• scintoisti
• animisti
• zoroastriani
Riguardo al cattolicesimo può essere interessante notare il peso sempre maggiore che al suo interno stanno
assumendo i fedeli del Terzo Mondo; questo spostamento del baricentro della Chiesa cattolica dall’area
europeo-occidentale al Terzo Mondo ha come sua causa principale il diverso tasso di accrescimento della
popolazione tra i paesi occidentali e gli altri.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica 6. Crescita e sviluppo mondiale
A lungo questi 2 termini sono stati usati come sinonimi, dato che crescita = aumento di dimensioni, e
sviluppo = accrescimento progressivo. A partire dagli anni ’70, però, sono emersi degli elementi che hanno
scorporato questa unicità:
risorse naturali
inquinamento -> attenzione ecologica
crescita industriale
aumento demografico -> produzione alimentare
Attraverso questi elementi è stata identificata una certa pressione del genere umano sull’ecosistema
esistente, che, per la prima volta, ha individuato limiti naturali dello sviluppo: mentre l’uomo ha sempre
considerato illimitate le risorse naturali, ora i nuovi partiti ecologisti sottolineano la scorrettezza di questo
comportamento.
Da questo punto in poi, crescita e sviluppo diventano termini diversi, dove crescita = aumento di
dimensioni, attraverso l’accumulazione (ma possono anche verificarsi situazioni peggiorative), mentre
sviluppo = situazione finale migliore di quella iniziale grazie alla capacità evolutiva del sistema (i
cambiamenti sono sempre positivi).
Si sviluppano 2 correnti di politiche, dove lo sviluppo è la finalità ultima:
1. posizione convenzionale: lo sviluppo è la crescita economica, espressa dai tassi di occupazione. Questa
posizione non considera se il comportamento umano sia in grado di influenzare l’ambiente
2. posizione innovativa: lo sviluppo è diverso, ma non esclude, la crescita economica. Tuttavia, l’attore
principale è l’ecosistema, in cui natura e società interagiscono tra loro. Nasce anche l’idea di sviluppo
sostenibile, raggiungibile attraverso 4 filoni di conoscenza:
a) economia = attività produttive
b) politica = scelte di politica economica
c) ecologia = ambiente, ecosistema, risorse naturali
d) etica/società = l’agire umano nei confronti dell’ambiente
Il concetto di sviluppo sostenibile iniziò ad essere acquisito nei forum mondiali a partire dal 1972:
1972, Stoccolma: si inizia a parlare di gestione dell’ambiente e si compiono i primi studi sull’impatto
ambientale, ma i risultati sono sostanzialmente nulli
Club di Roma: nel documento “I limiti della crescita” si delinea un futuro economico-ecologico disastroso:
se il comportamento umano non fosse cambiato entro 25 anni, le risorse terrestri si sarebbero esaurite
1987, “Rapporto Brundtland” della Commissione Mondiale per lo Sviluppo e l’Ambiente: compare la prima
definizione di sviluppo sostenibile:
“ lo sviluppo sostenibile è lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente senza
compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri bisogni”
1992, Conferenza di Rio de Janeiro: ha reso nota la questione ambientale: l’uomo deve proteggere
l’ambiente per evitare ripercussioni negative. L’idea di sostenibilità è al centro delle discussioni e ciò porta
alla nascita di una vasta biografia di conferenze e dichiarazioni su possibili politiche economiche risolutive
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica ES: 1997, Protocollo di Kyoto; 2000, Millennium Development Goals
Durante la Conferenza di Rio de Janeiro viene redatto un documento, chiamato Agenda 21 = un “ambizioso
ed elaborato programma d’azione in ambito ambientale, diviso in 40 capitoli, ognuno dei quali è dedicato ad
uno specifico campo ambientale”. Non è un trattato vincolante, ma solo un programma d’azione suggerito
agli stati firmatari: non prevede, dunque, sanzioni punitive.
Il concetto di sviluppo sostenibile comporta una questione circa l’ orizzonte temporale delle generazioni: è,
infatti, al tempo stesso un concetto intergenerazionale (equità nell’accesso e distribuzione delle risorse) e un
concetto intragenerazionale (condivisione delle risorse tra diverse generazioni).
Usando una formula:
ktot = kn + km
dove kn = capitale naturale, offerto dall’ambiente, e km = capitale umano, risultato delle attività umane,
possiamo analizzare come lo stock di risorse passa tra le generazioni. Ci sono 2 ipotesi:
1. Ipotesi debole: passaggio dello stesso ktot, indipendentemente dalla sua composizione interna
2. Ipotesi forte: passaggio dello stesso ktot, tendendo però ad un giusto equilibrio interno tra kn e km
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Geografia politica ed economica 7. Sviluppo, sottosviluppo, fame
Esistono oggi al mondo più di 180 stati indipendenti; un capillare decentramento politico è succeduto al
crollo dei vecchi imperi coloniali. Tuttavia, questa moltiplicazione di identità particolari non ha tolto valore
alle demarcazioni più elementari come quelle fra paesi ricchi e paesi poveri, fra un mondo industriale e
sviluppato e un mondo poco o mal sviluppato, fra un Nord e un Sud. È vero che negli ultimi tempi il quadro
mondiale ha subito non pochi cambiamenti:
paesi come la Cina e l’India sono avviati a sconfiggere l’antico flagello della fame e conoscono anche
un’apprezzabile crescita industriale
paesi come le Tigri Asiatiche sono ormai considerati paesi industrializzati
paesi come quelli esportatori di petrolio hanno visto aumentare impetuosamente i propri redditi.
Ma, contemporaneamente, la situazione economica di molti paesi è andata addirittura peggiorando, ad
esempio in vaste zone dell’Africa e dell’America Latina. Anche in paesi che hanno registrato qualche
positivo sviluppo, sussistono problemi di povertà e arretratezza sociale, mentre l’esacerbarsi di alcuni
conflitti locali ha generato nuove difficoltà per le popolazioni coinvolte. Negli ultimi tempi, inoltre, il debito
estero contratto da molti paesi per finanziare lo sviluppo si è trasformato in un ostacolo paralizzante.
A indipendenza ottenuta, il decollo economico dei paesi ex-coloniali si è rivelato più difficile del previsto.
In molti casi, essi dovevano fare i conti con condizioni naturali sfavorevoli (es.: Africa a sud del Sahara).
La rivoluzione industriale, poi, determinò un improvviso e rapido elevarsi del tasso di crescita
dell’economia europea ed americana, mentre quelli degli altri continenti restavano sostanzialmente
inalterati. Da questa differenza di passo nacquero il progressivo differenziarsi e allontanarsi dei livelli
economici e il predominio dell’Europa per quasi 2 secoli.
Contemporaneamente, proprio il miglioramento delle condizioni igieniche e sanitarie diffuso dal
colonialismo in altre parti del mondo aveva provocato un calo della mortalità e un forte aumento del ritmo di
crescita della popolazione. Ne derivò un’accresciuta difficoltà per molti paesi, le cui limitate capacità
produttive dovevano ora misurarsi con la necessità di nutrire una popolazione assai più numerosa.
La mancanza di infrastrutture ha ostacolato i tentativi di porre su nuove basi l’economia, di diversificare la
produzione per uscire da una dipendenza esclusiva da un unico prodotto: una condizione che li poneva alla
mercè delle fluttuazioni dei prezzi internazionali.
Si è creata una situazione di rinnovata dipendenza economica dai vecchi dominatori o da altri rappresentanti
del mondo industrializzato (neocolonialismo).
Sono falliti, per molti anni, sia i tentativi di uscire dal sottosviluppo applicando le leggi del mercato, sia
quelli compiuti scegliendo vie socialiste e legandosi all’URSS. Spesso, in questi fallimenti, un ruolo
importante era giocato anche dai ceti dirigenti dei nuovi paesi indipendenti, in molti casi burocratici,
inefficienti, corrotti, più attenti alle proprie fortune personali e al proprio potere che al benessere di popoli e
paesi.
ES: il Terzo Mondo ha avuto la sventura di regimi autoritari e violenti, nemici di ogni libertà, e tuttavia
appoggiati dall’una o dall’altra delle potenze.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica Gli stessi aiuti allo sviluppo, che la comunità internazionale, numerosi governi, banche cominciarono negli
anni ’50 a fornire al Terzo Mondo finirono in molti casi per arricchire o mantenere al potere i gruppi
dirigenti; in altri casi naufragarono nell’inefficienza e nello spreco.
Questo non ha comportato però una condanna generale della politica degli aiuti, ma solo di alcune delle sue
attuazioni. Ci sono paesi (soprattutto asiatici e latinoamericani) che hanno saputo approfittare degli aiuti per
avviare processi di sviluppo consistenti e durevoli. E anche in molti stati africani gli aiuti hanno comunque
permesso la costruzione di infrastrutture che costituiscono la premessa di una futura crescita.
Di paesi sottosviluppati si cominciò a parlare negli anni ’50. Si pensava allora al problema dello sviluppo
economico come a una specie di scala:
in cima c’erano i paesi capitalisti avanzati, sviluppati, ricchi: USA, Europa occidentale e settentrionale,
Giappone, Australia
in mezzo c’erano alcuni stati che avevano già intrapreso la via dello sviluppo, ma erano ancora un po’
indietro: Grecia, Spagna, Messico, Argentina, Brasile…
in fondo c’erano tutti gli altri, gli arretrati o sottosviluppati. Si pensava che prima o poi questi ultimi
avrebbero imitato gli altri, fino a raggiungerli.
In realtà, negli anni successivi, si vide che qualcosa non funzionava. Innanzitutto, i paesi più poveri avevano
molte difficoltà a intraprendere il cammino dello sviluppo e, anche se gli indici dello sviluppo (PIL pro-
capite, analfabetismo, mortalità…) denotavano una qualche crescita in alcuni dei paesi arretrati, la crescita
restava comunque più veloce nei paesi avanzati.
Negli anni ’80-’90 si inizia a parlare di Indice di sviluppo (o sottosviluppo) umano (ISU o HDI) = un
indicatore studiato utilizzando una media ponderata di 3 fattori di sviluppo, attinenti a:
1. durata della vita: speranza di vita
2. livello culturale: tasso di alfabetizzazione degli adulti
3. quantità di ricchezza disponibile: PIL pro capite
2 sono i tipi principali di cause del sottosviluppo:
1. cause naturali = condizioni ambientali avverse (es.: desertificazione, alluvioni, siccità …)
2. cause umane = colonialismo, monocoltura, latifondi, neocolonialismo, debito estero, scontro di civiltà
Nel 1997 viene delineato anche l’ Indice di povertà umana (IPU o HPI) = valuta se gli individui dispongono
delle possibilità per condurre una vita sana e normale, attraverso i 3 fattori dell’ISU
1. rappresenta la percentuale di persone che si prevede muoia entro i 40 anni
2. misura la percentuale di adulti considerati analfabeti
3. valuta lo standard di vita, in base a: accesso o no ai servizi sanitari, all’acqua potabile, percentuale di
bambini malnutriti sotto i 5 anni
L’IPU si suddivide in 2 sottoindici:
1. IPU 1, analizza i paesi sottosviluppati
2. IPU 2, analizza le differenze tra centro e periferia nei paesi sviluppati
Negli anni ’90, infine, si inizia a parlare anche di dinamiche di genere (= presenza femminile nelle attività
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica produttive), attraverso l’ Indice di sviluppo di genere (ISG) = cerca di evidenziare le differenze di sviluppo
tra uomo e donna; e di Modalità di enpowernment di genere (MEG o GEM) = capacità di sfruttare le proprie
conoscenze acquisite.
Nel corso degli anni si cominciò ad usare un’altra espressione: paesi in via di sviluppo. Questa espressione
tende a sottolineare il fatto che questi paesi siano comunque in movimento, e non stagnanti nella loro
arretratezza. Nei fatti, non tutti i paesi del Terzo Mondo sono in via di sviluppo: alcuni lo sono certamente e
per molti aspetti si sono ormai avvicinati ai paesi ricchi, ma in molti altri l’economia stenta a decollare e le
condizioni di vita restano dolorosamente arretrate.
Anche l’espressione Terzo Mondo risale agli anni ’50, per la precisione al 1952, quando venne usata per la
prima volta dallo studioso francese Alfred Sauvy. Egli intendeva così distinguerlo dal Primo Mondo (paesi
industriali a economia di mercato) e dal Secondo Mondo (paesi comunisti a economia pianificata di stato) e
voleva anche evocare l’ analogia col Terzo Stato, protagonista della Rivoluzione Francese.
In realtà, l’espressione non copriva un insieme omogeneo, ma situazioni molto diverse, e oggi quelle
differenze si sono ulteriormente accentuate. Si può aggiungere che non esiste più un Secondo Mondo, dopo
la crisi dei regimi comunisti. E che è venuto meno anche un altro elemento che per alcuni anni contribuì a
tenere uniti i paesi del Terzo Mondo: il non-allineamento = una posizione che sottraesse alla scelta di campo
rigida tra capitalismo e comunismo. Rifiutando la Guerra Fredda e la contrapposizione frontale fra i 2
blocchi, i dirigenti di questi paesi si facevano promotori di una politica di non-allineamento e di neutralismo
attivo = volontà di operare per l’affermarsi della coesistenza e della cooperazione.
I leader del movimento furono:
l’indiano Nehru
l’egiziano Nasser
l’indonesiano Sukarno
lo iugoslavo Tito
Con l’andare del tempo, il crescente divario di condizioni fra i paesi del Terzo Mondo, l’emergere di rivalità
interne indebolirono il sogno dei padri del non-allineamento.
Tuttavia, il movimento esercitò un ruolo importante nella lotta al colonialismo e ottenne risultati positivi
nella lotta al razzismo e in quella per il riconoscimento dei diritti economico-politici dei paesi in via di
sviluppo. Il movimento dei non-allineati esiste ancora formalmente, ma ha perso molta della sua importanza,
soprattutto dopo la fine del confronto fra i blocchi.
Con il crescere delle differenze all’interno del Terzo Mondo, si è cominciato a parlare di un Quarto Mondo
= i paesi più sfavoriti, privi di materie prime pregiate o di petrolio da esportare, fermi a livelli di povertà
critica.
Negli ultimi anni si è anche affermata la formula Nord-Sud che contrappone il mondo industrializzato
(Canada, USA, Europa, Russia, Giappone), situato perlopiù nell’emisfero settentrionale, ai paesi
dell’emisfero meridionale, che hanno difficoltà di vari livelli, fino ai casi estremi della fame e della
malnutrizione.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica 8. Diaspore e migrazioni, deportati e rifugiati
Gli spostamenti di popolazioni hanno caratterizzato l’intera storia.
NB: non si parla tanto delle popolazioni nomadi, ma di interi popoli, o parte di essi, che hanno abbandonato
la propria terra per diverse ragioni.
Da un verbo greco che significa “seminare”, si chiama diaspora il fenomeno per cui un popolo un tempo
riunito in un solo paese, considerato sua patria, emigra in più direzioni e si disperde in diversi paesi del
mondo.
Esempi:
diaspora del popolo ebraico: cominciata già in tempi molto antichi come migrazione volontaria di gruppi di
mercanti, divenne abbandono di massa della propria terra dopo la conquista romana della Palestina (I secolo
d.C.) ed ebbe un’ulteriore accelerazione dopo la conquista araba (VII secolo). Vicende spesso tragiche, di
violenze e persecuzioni, portarono gli ebrei a spostarsi molte volte nella Spagna musulmana, in Russia,
nell’Europa centro-orientale, nell’Impero ottomano, in Palestina, negli USA
diaspora dei Palestinesi: vasto e drammatico esodo al tempo della Prima guerra arabo-israeliana e della
fondazione dello Stato d’Israele (1947-49)
diaspora degli Armeni: vivono dispersi in numerose comunità. Anche gli Armeni devono la loro diaspora
non solo e non tanto a un’antica vocazione mercantile, quanto alle persecuzioni subite ad opera dei Turchi
dell’Impero ottomano, in quella che era la loro terra d’origine
diaspora degli Zingari (noti anche come Zigani, Gitani, Bohémiens, Rom): ha origine da un antico
nomadismo di questo popolo originario dell’India nord-occidentale. Tuttavia, troviamo anche qua delle
persecuzioni, più grave fra tutte quella attuata dai nazisti. È difficile valutare quanti siano oggi, perché molti
si sono sedentarizzati e assimilati in vari paesi. Le comunità più numerose si trovano in Romania, Spagna,
Ungheria, negli stati sorti dalla disgregazione della Iugoslavia e dell’Unione Sovietica
diaspora dei Libanesi: sono sparsi nel mondo in un numero all’incirca uguale a quello degli abitanti del
Libano. Nell’ultimo secolo sono stati spinti a migrare da guerre civili e disordini che hanno spesso
tormentato il loro paese. Sono oggi numerosi negli USA, Argentina, Brasile, Australia, Francia, Africa
occidentale
con i Vietnamiti e i Coreani ci troviamo di fronte non più a diaspore vere e proprie, ma a grandi migrazioni
legate, a seconda dei casi, alla ricerca di maggiori possibilità lavorative, alla fuga da conflitti o da regimi
politici oppressivi o a deportazioni vere e proprie (es.: quella attuata dai giapponesi a danno dei coreani
negli anni ’30).
Le migrazioni per lavoro hanno caratterizzato un po’ tutto il mondo nell’ultimo secolo e mezzo. Paesi come
gli USA o l’Argentina o l’Australia si sono formati grazie all’immigrazione. Un caso particolarmente
drammatico fu, alla metà dell’800, la partenza per l’America di 2 milioni e mezzo di irlandesi, in fuga da
una terribile carestia.
Ma anche l’Italia fornì alle Americhe e all’Europa occidentale milioni di emigranti, fino a tempi assai
recenti.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica Negli ultimi anni, l’intera Europa è sottoposta a una forte pressione migratoria da parte di popoli asiatici e
africani: soprattutto turchi in Germania, algerini e altri nordafricani in Francia. Dopo la caduta del muro di
Berlino e la crisi dei regimi comunisti, all’immigrazione afroasiatica verso l’Europa si è aggiunta quella
proveniente dai paesi dell’Est europeo.
Forti pressioni migratorie per lavoro si rivolgono verso gli USA ad opera soprattutto di asiatici lungo la
costa del Pacifico e di messicani da sud-ovest. L’Australia è tuttora terra di immigrazione: non più tanto di
provenienza europea, quanto asiatica. Pakistani, egiziani, bangladeshi, … cercano invece lavoro nei ricchi
stati petroliferi della penisola araba e del Golfo persico.
In generale, negli ultimi tempi, i governi cercano di frenare l’immigrazione, fissando una quota massima. Si
fa strada, soprattutto in Europa, la preoccupazione per le tensioni sociali, etniche, religiose, che un aumento
eccessivo del numero degli immigrati può produrre, e in molti casi ha già drammaticamente prodotto.
Un caso differente da quello delle migrazioni per lavoro è quello rappresentato dalle migrazioni forzate, che
possono anch’esse avere origini diverse, come guerre, mutamenti di frontiere, persecuzioni a sfondo etnico o
religioso.
Esempi:
nel 1945, subito dopo la Seconda guerra mondiale, 12 milioni di tedeschi dovettero abbandonare i paesi
dell’Europa centrale e orientale dove vivevano
in anni recenti, la tragedia dell’ ex-Iugoslavia ha comportato l’abbandono delle proprie case per centinaia di
migliaia di persone
nel 1947, la divisione in 2 fra India e Pakistan nel momento dell’indipendenza, provocò l’abbandono delle
proprie case da parte di 6 milioni di persone
Gli spostamenti forzati di popolazioni sono, soprattutto nel Terzo Mondo, una tragedia ricorrente. Alla loro
origine si possono trovare cause diverse:
1. molti paesi del Terzo Mondo sono stati dilaniati da guerre civili, a loro volta originate da ragioni politiche
e sociali, da conflitti etnici o tribali, spesso anche da rivalità fra le potenze. In molti di questi casi masse
ingenti di popolazioni sono state costrette a spostarsi per sottrarsi alla minaccia continua dei combattimenti e
dei massacri.
ES: Afghanistan, Etiopia, Somalia, Sudan, Mozambico, curdi, Vietnam, Cambogia, Libano, America
centrale
2. in molti casi vasti spostamenti di popolazione sono determinati dalla vittoria militare di un partito o di una
fazione, da un colpo di stato o comunque dall’affermarsi di un regime politico autoritario, che mettono in
atto vaste persecuzioni di minoranze politiche, etniche o religiose.
ES: Vietnam, che non seppe attuare una politica di pacificazione dopo la propria indipendenza, Cambogia,
dove la vittoria dei Khmer rossi condusse a massacri inauditi e alla fuga di migliaia di persone verso i paesi
confinanti
3. molto spesso, più cause si uniscono a provocare una tragedia o ad aggravarla.
ES: l’intera fascia a sud del deserto sahariano (il Sahel) è stata interessata negli ultimi anni da spostamenti in
massa di popolazioni in fuga dalla fame e dalle carestie prodotte dalla siccità; nel Corno d’Africa alla
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica carestia si sono aggiunte guerre fra stati (fra Etiopia e Somalia) e guerre civili all’interno di entrambi i paesi
4. a volte, le deportazioni forzate di popolazioni vengono utilizzate da governi autoritari per motivi di ordine
politico, economico o sociale.
ES: spostamenti forzati voluti dal governo sovietico per popolare e colonizzare l’Asia centrale e la Siberia,
sfruttandone le terre vergini e le risorse minerarie; negli anni ’70 la Nigeria conobbe un vero boom
economico, connesso alla produzione del petrolio: attratti dalle possibilità di lavoro e guadagno che si
presentavano, molti africani emigrarono in Nigeria dai paesi circostanti. All’inizio degli anni ’80, il calo
improvviso del prezzo del petrolio provocò una grave crisi per l’economia nigeriana e il governo adottò
alcuni provvedimenti di emergenza, tra cui l’espulsione immediata degli immigrati; negli ultimi anni è
emersa, soprattutto in Africa, la tendenza a spostare le popolazioni da zone esposte alla desertificazione
verso regioni dal clima più favorevole, allo scopo di prevenire l’esplodere di grandi carestie e di proteggere
il suolo da processi di erosione progressiva. Spesso, però, le terre di nuovo insediamento si rivelano poco
favorevoli alle coltivazioni, il che si risolve in nuovi drammi per la gente e in altri guasti all’ambiente (
Etiopia, Indonesia)
Secondo dati riferiti nel 1993, le persone assistite in tutto il mondo dall’Alto Commissariato dell’ONU per i
rifugiati erano circa 20 milioni, fra cui il gruppo più consistente era quello rappresentato dagli afghani.
Le persone considerate ufficialmente rifugiati sono, probabilmente, meno della metà del totale di coloro che
sono stati costretti ad abbandonare le proprie case. Non rientrano infatti in questo numero:
i profughi per ragioni economiche, spinti cioè ad abbandonare il proprio paese dalla miseria, dalla fame e
dalla malnutrizione
le popolazioni, anche assai numerose, costrette a spostarsi ma rimanendo all’interno delle frontiere del
proprio paese
Si è calcolato che, comprendendo anche questi casi, il numero di rifugiati aumentasse dai 20 milioni ufficiali
ai 50 milioni.
Con l’eccezione dell’ex-Iugoslavia e di alcuni stati dell’Est europeo (es.: Albania), i principali flussi
migratori sono localizzati nel Terzo Mondo, e i profughi trovano per lo più riparo in paesi vicini, altrettanto
poveri di quelli d’origine i rifugiati vivono in condizioni di estrema precarietà, abitano in campi di raccolta
spesso privi, o quasi, di garanzie igieniche e sono quindi sottoposti anche al rischio di malattie.
Sopravvivono, essenzialmente, grazie all’assistenza internazionale.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica 9. Il mercato mondiale della droga
Uno dei fenomeni che più turbano la vita economica e civile è rappresentato dal mercato internazionale della
droga.
Come tutte le cifre relative a un’attività clandestina qual è l’uso di droghe, anche il numero dei consumatori,
cioè dei clienti del mercato mondiale della droga, è quanto mai incerto: sfugge in buona parte alle statistiche
il numero, comunque molto elevato, dei consumatori di droghe di vario tipo nei paesi più arretrati dell’Asia,
dell’Africa e dell’America Latina. Si ritiene che il Pakistan detenga il triste primato del maggior numero di
consumatori di eroina, mentre la cocaina prevale decisamente negli USA e tende a diffondersi anche in
Europa e nel resto del mondo. Negli USA è diffuso anche il crack (= cocaina mescolata a bicarbonato di
sodio o lievito di birra), che per il suo basso prezzo ha conquistato e sconvolto le periferie povere delle città
nordamericane.
La maggior parte della produzione di oppiacei e di cocaina si divide fra 3 grandi aree geografiche, cui se ne
possono aggiungere 2 minori:
1. Vicino e Medio Oriente: i paesi della regione chiamata Mezzaluna d’oro (= Iran, Afghanistan, Pakistan +
India, Nepal) producono circa 1500 tonnellate annue di oppio, delle quali almeno un terzo viene trasformato
in eroina. La Turchia, che era un forte produttore di oppio, ha diminuito la sua produzione per iniziativa del
governo e su pressione delle organizzazioni internazionali. L’ Afghanistan, che pure resta il secondo
produttore mondiale dopo la Birmania, ha visto calare la propria produzione negli anni della guerra civile,
ma tende ora a recuperare il terreno perduto.
2. Asia sudorientale: il cosiddetto Triangolo d’oro (= regione montuosa a cavallo tra Birmania, Laos,
Thailandia) produce complessivamente da 3000 a 3500 tonnellate di oppio. Da qualche anno, la coltivazione
dell’oppio ha conosciuto una forte ripresa nella provincia cinese dello Yunnan, che confina con Birmania e
Laos e che fu già in passato un importante centro di produzione.
3. America Latina: produce la quasi totalità della coca, coltivata soprattutto in Perù, Bolivia, Colombia,
Ecuador, Guatemala. Il Perù è di gran lunga il maggior produttore mondiale, ma la Colombia monopolizza
la lavorazione della materia prima e la commercializzazione della cocaina. Negli ultimi anni, l’intervento
militare americano contro le regioni controllate dai narcotrafficanti, se ha ottenuto da un lato alcuni successi,
ha finito però per produrre una disseminazione e un forte aumento complessivo delle coltivazioni di coca in
più paesi dell’area.
4. Repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale + Uzbekistan + Azerbaijan
5. Africa a sud del Sahara: soprattutto quella occidentale (Nigeria) e il Kenya.
In generale, la coltura delle piante da cui si ricavano droghe è figlia della povertà e del sottosviluppo: essa
frutta al piccolo contadino guadagni maggiori di quelli che gli verrebbero dal caffé, dal cacao o dal tabacco
di cui ha preso il posto.
La coltivazione della coca provoca una forte erosione dei suoli, e si accompagna in genere, come quella
dell’oppio, alla distruzione di vaste zone forestali, alla ricerca di nuovi terreni da impiegare in questa
attività.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica
Molti sostengono che l’industria illecita della droga sia il settore dell’economia mondiale che ha conosciuto
lo sviluppo più spettacolare negli ultimi anni. In molti paesi sono gli stessi governi a gestire almeno in parte
il commercio della droga o a chiudere un occhio in cambio di una fetta di guadagni produzione e
commercio di sostanze stupefacenti contribuiscono fortemente alla corruzione politica Birmania, Perù
Soprattutto in paesi piccoli e poveri, la produzione e il mercato della droga tendono a svolgere un ruolo
economico rilevante e a dar lavoro a molte persone difficoltà nella riconversione ad altre attività e nella
lotta a questo fenomeno Bolivia, Perù, Birmania, Colombia, Pakistan, Marocco, Afghanistan, Thailandia,
Panama, Libano, Nigeria
In molti paesi produttori di droga, quando non è lo stesso governo a gestirla, i potenti gruppi che ne
organizzano la coltivazione, la lavorazione e il commercio tendono a formare uno stato nello stato,
proteggendo la propria attività con milizie armate Colombia
In altri casi, i proventi della droga servono a finanziare movimenti secessionisti etnici o guerriglie gruppi
islamisti afghani, Kashmiri e Sikh in India, gruppi ribelli filippini e indonesiani, somali e curdi di Turchia,
croati
Spesso il traffico di droga va di pari passo con quello delle armi: è ciò che avviene nei Balcani.
A volte (es.: Birmania, Afghanistan, Colombia, Sicilia) la concorrenza per il controllo del mercato della
droga dà luogo ad atti di terrorismo, massacri e vere e proprie guerre tra i diversi gruppi di narcotrafficanti.
Queste grandi organizzazioni illegali, di volta in volta alleate o sanguinosamente rivali, hanno bisogno di
basi ben protette, di complicità ufficiali, di banche e istituti finanziari compiacenti, disposti ad aiutarle a
riciclare il denaro sporco dei loro traffici, per investirlo in beni immobili, in titoli di stato e in azioni, in
attività industriali e commerciali, o nell’acquisto di armi sofisticate con le quali seminare il terrore quando il
loro potere è minacciato dai governi.
La lotta contro il grave fenomeno della droga presuppone una decisa collaborazione internazionale e una
capacità di comprendere e affrontare i problemi che stanno alla base del consumo.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica 10. Gli Arabi: Medio Oriente e Nord Africa
Il Medio Oriente si identifica in pratica con l’Asia occidentale; il Nord Africa è, evidentemente, la parte
settentrionale di un altro continente. Oggi queste 2 zone sono divise da uno stretto braccio di mare, il Canale
di Suez; fino al 1869, neppure quello: le 2 sponde del canale, così come, più a sud, le 2 sponde del Mar
Rosso presentano un paesaggio pressoché identico.
Questa lunga fascia di paesi, che dal Marocco va fino all’Afghanistan, ha molti elementi comuni
(naturalmente, una regione così vasta non può non presentare eccezioni e variazioni):
1. la prevalenza dei deserti e quindi della vita nomade: ma almeno 2 paesi, l’ Egitto e l’ Iraq ospitarono già
in tempi antichissimi, grazie a 3 grandi fiumi, ricche civiltà contadine e sedentarie.
2. la diffusione dell’Islam: questo non vuol dire che ci siano solo musulmani; al contrario, ci sono israeliti e
cristiani di vari riti e ci sono anche antiche e forti divisioni all’interno dello stesso mondo islamico,
principale fra tutte quella tra sciiti e sunniti.
3. l’avvento del petrolio: ma è sgorgato per ora in abbondanza solo in alcuni di questi stati (penisola araba,
Iraq, Iran, Libia, Algeria, Egitto). Altrove non ce n’è o non se n’è trovato. Questo fatto crea subito una
distinzione fra 2 gruppi di paesi: quelli che si sono arricchiti negli ultimi decenni e quelli che conducono
invece un’esistenza più difficile dal punto di vista economico.
Medio Oriente e Nord Africa
Gli Arabi distinguono i paesi raggiunti dalla loro civiltà in 2 gruppi, usando 2 termini che significano
rispettivamente Occidente e Oriente:
Maghreb = tutto ciò che si trova a occidente della valle del Nilo, e cioè: Libia, Tunisia, Algeria, Marocco
Mashraq = tutto ciò che si trova a oriente della valle del Nilo.
Per comodità, suddivideremo la zona in 5 grandi regioni:
1. il Maghreb: una serie di catene montuose, formatesi nel corso dell’orogenesi alpina, si susseguono in
questa zona. Queste catene sono le varie ramificazioni dell’ Atlante, i monti della Cabila, gli Aurès e il Rif.
A nord di queste catene, stretta fra i monti e il mare, c’è una fascia di pianure costiere; a sud, il Sahara. Le
montagne finiscono in Tunisia e, con esse, la loro funzione protettiva nei confronti del deserto. In Libia e in
Egitto nessun ostacolo naturale impedisce ai caldi e violenti venti sahariani (scirocco, ghibli) di portare
verso nord grandi quantità di sabbia.
2. l’ Egitto: grazie al Nilo, l’Egitto costituisce da sempre la maggiore eccezione del panorama generale del
Nord Africa. La valle del Nilo e il suo ampio delta a forma di ventaglio sono come una gigantesca oasi
verdeggiante, che interrompe, sia pure per poco, il deserto. Nella stagione delle grandi piogge estive
tropicali, il Nilo e i suoi affluenti s’ingrossano e portano grandi quantità di acqua. Ma, insieme, portano
anche abbondanti detriti. La grande ondata fangosa arriva tra agosto e settembre e la piena ricopre l’intera
valle, fino agli orli del deserto. Quando, alla fine di ottobre, il fiume ritorna nel suo letto, la valle è tutta
coperta di fertile limo, e il clima mite dell’inverno ne favorisce la semina. Oggi, il rapporto dei contadini con
il Nilo è molto cambiato: già alla fine del XIX secolo si costruì un primo complesso di dighe per regolare il
corso del fiume; tra il 1959 e il 1965 venne costruita ad Assuan una gigantesca diga ora, quando arriva la
piena, le acque vengono trattenute in un grande lago artificiale e da qui una rete di canali distribuisce l’acqua
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica in tutti i luoghi coltivabili e in tutte le stagioni. Ma la fine delle inondazioni ha portato con sé anche alcuni
inconvenienti: i suoli non sono più fertili come un tempo, poiché il limo non arriva più nel Mediterraneo il
plancton è diminuito e con esso i pesci.
3. i deserti arabi: la penisola arabica, con una sola eccezione, è tutta una successione di steppe aride e di
deserti. L’eccezione è lo Yemen, la punta sudoccidentale della penisola, cui il monsone estivo porta piogge
sufficienti a garantire una discreta agricoltura. Per il resto, le steppe aride si alternano ai deserti di sabbia,
assai estesi, che si succedono senza interruzione: il Rub-el-Khali, il Nejd, il Nafud. Le precipitazioni sono
ovunque scarse.
In una regione in cui non piove o piove pochissimo il problema dell’acqua è di una tale gravità da far dire ad
alcuni che le future guerre si faranno per l’acqua.
Da dove viene l’acqua utilizzata nel Medio Oriente e nel Nord Africa?
in piccola parte dalla pioggia
da sorgenti, da piccoli corsi d’acqua, da normali pozzi, dove l’acqua si trova sotto la superficie
da grandi giacimenti di acqua fossile, formatisi in profondità e sfruttabili mediante grandi pozzi che
richiedono un’elaborata tecnologia. L’inconveniente principale è che si tratta di una risorsa che si esaurisce
e non si può ricostituire
dai fiumi: questo vale soprattutto per l’Egitto, che dipende dal Nilo; per l’Iraq, che dipende dal Tigri e
dall’Eufrate; per Israele, che dipende in notevole misura dal Giordano
dal mare: in Kuwait e negli Emirati del Golfo si trovano i più colossali impianti di dissalamento del mondo,
che usano tecnologie avanzatissime. C’è un problema di inquinamento chimico, per i sali adoperati, che si
aggiunge ai molti altri problemi di una terra già sufficientemente inquinata dal petrolio.
4. la “mezzaluna fertile”: una regione nota per la sua fertilità e per la ricchezza della sua agricoltura. È una
regione composita, fatta di 3 aree molto diverse: l’Iraq (= l’antica Mesopotamia), le grandi oasi siriane, la
costa mediterranea libano-palestinese. L’Iraq deve le sue storiche fortune agricole ai 2 fiumi, il Tigri e l’
Eufrate. La loro pianura, però, presenta problemi assai diversi da quelli del Nilo: le loro piene non sono
regolari, sono difficili da prevedere e se arrivano insieme possono essere violente e distruttrici. Inoltre, le
acque tendono a formare paludi e laghi che coprono e impediscono le coltivazioni è stato sempre necessario
costruire argini e canali, per difendesi dalle piene e combattere le paludi.
5. Turchia, Iran, Afghanistan: è una tipica zona di comunicazione e di transito. Di qui passava, in secoli
ormai lontani, la “via della seta”. La penisola anatolica,poi, è un ponte gettato dall’Asia verso l’Europa: solo
2 istmi strettissimi, i Dardanelli e il Bosforo, e un piccolo mare interno, il Mar di Marmara, separano in
questo punto Europa ed Asia. La regione turco-iraniana è un insieme di altipiani, stepposi o desertici, chiusi
come in una tenaglia da 2 fili di catene montuose: i Monti Pontici, l’ Elburz, il Tauro, gli Zagros. I corsi
d’acqua sono scarsi, spesso temporanei: si perdono sotto le sabbie o fra i sassi ai piedi dei monti o si gettano
in laghi, anche vasti, che la forte evaporazione trasforma in paludi salmastre e completamente prive di vita.
Le steppe sono il dominio della pastorizia, specie di capre e pecore: ora stabile, più spesso transumante, alla
ricerca perenne del magro pascolo prodotto dall’ultima pioggia.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica 11. La storia del petrolio
Il petrolio è noto fin dall’antichità. Ma le grandi fortune risalgono al 1800. Dapprima se ne ricavò il
cherosene, usato come combustibile per l’illuminazione; poi, con la diffusione dei motori a scoppio e dei
motori Diesel, il petrolio diventò una delle principali fonti di energia. Oggi il petrolio fornisce anche la
materia prima per l’ industria chimica, che lo trasforma a sua volta in molti prodotti importanti (coloranti,
fertilizzanti, gomma sintetica, plastica, fibre tessili, medicinali, detersivi, insetticidi).
Il primo pozzo in profondità fu scavato dagli USA nel 1859. La corsa ai pozzi di petrolio provocò il rapido
ammassarsi di ingenti fortune, il cui maggiore beneficiario fu un industriale intraprendente e senza scrupoli,
John D. Rockefeller. La società da lui fondata, la Standard Oil, divenne ben presto un autentico impero, al
punto che il governo americano lo costrinse nel 1911 a smantellarla.
I grandi interessi legati al petrolio si organizzarono assai presto in colossali compagnie multinazionali; su
tutte dominano le più grandi, note come “le 7 sorelle” (5 americane, 1 inglese, 1 anglo-olandese).
Nel Medio Oriente, la storia del petrolio comincia negli ultimi decenni dell’800, con le contese fra tedeschi,
russi e inglesi per ottenere concessioni per la ricerca di petrolio dai governi dell’Impero Ottomano e della
Persia. Per molti anni le compagnie petrolifere riuscirono a mettersi d’accordo per evitare di farsi
concorrenza, stabilendo insieme un prezzo del petrolio che fosse abbastanza alto da fornire loro profitti
elevati e sicuri. Quanto ai paesi proprietari della materia prima, i loro governi si limitavano a ricevere dalle
grandi compagnie una piccola percentuale dei profitti ottenuti con il loro petrolio.
Questa situazione cominciò a cambiare dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando nuovi possibili clienti si
presentarono ai capi di governo dei paesi mediorientali: società più piccole delle “7 sorelle” o compagnie
nazionali, come l’ENI.
Nel 1950, il governo iraniano decise di nazionalizzare il proprio petrolio. Ma i paesi occidentali si misero
d’accordo per boicottare il petrolio iraniano, provocando così la crisi economica del paese.
Poco per volta, però, i governi arabi cominciarono un po’ tutti a stancarsi di ricevere solo una minima parte
di un prodotto che, dopo tutto, apparteneva a loro.
Nel 1960, a Baghdad, 5 paesi produttori (Arabia Saudita, Venezuela, Kuwait, Iran, Iraq) dettero vita all’
OPEC, allo scopo di aumentare, unendo le forze, la propria capacità contrattuale.
Nel 1973, al tempo della guerra del Kippur tra Israele e i paesi arabi, i governi dell’OPEC concordarono una
serie di misure molto radicali: ridussero la quantità delle esportazioni, aumentarono le tasse sugli introiti
delle compagnie e, soprattutto, decisero un forte aumento del prezzo Primo shock petrolifero
Le conseguenze di questo aumento, forte ed improvviso, furono assai rilevanti:
i paesi produttori si arricchirono: nelle loro mani finirono ingenti quantità di “petrodollari”.
Come sono stati impegnati quegli ingenti guadagni?
In parte per avviare la modernizzazione e lo sviluppo economico e sociale degli stessi paesi
In misura decisamente maggiore i capitali arabi sono stati investiti all’estero o comunque immessi nei grandi
mercati finanziari mondiali
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica Un’altra direzione privilegiata è rappresentata dagli armamenti
ES: in Iran e Iraq, una secolare povertà si è accompagnata a spese enormi per ottenere la bomba atomica
le grandi compagnie multinazionali non vennero particolarmente danneggiate
l’aumento del costo dell’energia contribuì a determinare una crisi economica mondiale, colpendo le
economie dei paesi occidentali e del Giappone.
Dopo il 1973, i paesi importatori industrializzati reagirono in vari modi: sforzandosi di diminuire la propria
dipendenza da una regione instabile come il Medio Oriente; dando impulso alla ricerca e all’uso di fonti
energetiche alternative (carbone, energia nucleare, idroelettrica, geotermica, solare, eolica, …); sviluppando
tecnologie volte al risparmio di energia.
Un Secondo shock petrolifero si ebbe a partire del 1979, con la vittoria della rivoluzione khomeinista e
l’instaurazione in Iran di un governo fortemente anti-occidentale e, in seguito, con l’inizio della guerra tra
Iran e Iraq (1980-1988). Questa volta, però, l’OPEC entrò in crisi, perché si allargarono le divergenze tra i
suoi membri, sia riguardo alla gestione delle ricchezze petrolifere, sia su problemi più generali, di politica
internazionale (questione palestinese, ingerenza dei 2 blocchi).
Non fu più possibile stabilire all’interno dell’OPEC quote di produzione e prezzi concertati. Da allora il
prezzo del petrolio ha subito numerose oscillazioni, fino alla nuova crisi provocata dall’invasione irachena
del Kuwait nel 1990. Ma fu un fenomeno di breve durata.
Oggi il prezzo del petrolio si stabilisce sul mercato libero sulla base di una concorrenza spietata fra i diversi
produttori, OPEC e non-OPEC.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica 12. Le repubbliche musulmane dell’Asia centrale
Se si eccettua la parte settentrionale dell’Afghanistan, il Turkestan occidentale è oggi interamente occupato
da 5 repubbliche indipendenti. Esse fecero parte fino a pochi anni fa dell’URSS e ora sono associate alla
Russia, all’Ucraina, alla Bielorussia, alla Moldavia, alla Georgia, all’Armenia e all’Azerbaijan nella
Comunità di Stati Indipendenti (CSI) = un organismo di coordinamento nel quale i legami tra i vari membri
sono però assai tenui.
La popolazione è, in prevalenza, di stirpe turco-mongola e di religione musulmana.
Dopo la fondazione dell’URSS i territori dei turchi vennero divisi in repubbliche e ottennero il
riconoscimento di una relativa autonomia. Ma, in realtà, il centralismo e l’ideologia di stato materialista
condussero a forti limitazioni della pratica religiosa e a una russificazione culturale forzata.
Oggi è sempre più forte la diffidenza, quando non addirittura l’ostilità aperta e il desiderio di rivalsa nei
confronti dei russi, visti come colonizzatori e portatori, oltre che dell’ideologia comunista, di un
espansionismo cristiano e slavo appare assai forte la tensione e con essa la possibilità di un allontanamento
delle repubbliche islamiche centroasiatiche dalla Russia e di un loro accostamento al mondo islamico. Forte
preoccupazione suscita anche il fatto che nel Kazakistan, dopo la disgregazione dell’URSS, sono rimaste
importanti installazioni di armi nucleari.
Tuttavia, i modi e i tempi di un’avanzata islamica nella regione restano incerti; per ora, essa è stata
contenuta da governi neocomunisti, decisamente tirannici e repressivi dove la spinta islamica si è verificata
con più forza, e cioè nel Tagikistan, essa è stata repressa in maniera molto violenta.
Anche i conflitti etnici tra i vari popoli turchi sono spesso aspri e pericolosi. Si aggiunga, poi, che i russi
sono fortemente presenti in questi paesi, anche se molti di essi, insieme ad ucraini ed altri europei, tendono a
tornare nei loro paesi d’origine. Una tendenza, questa, che può danneggiare i nuovi stati, perché sono
prevalentemente russi i tecnici, gli ingegneri, i medici, gli operai specializzati. Dopo l’11 settembre e
l’intervento militare in Afghanistan, la presenza russa nella regione si è comunque rafforzata. Ma le
repubbliche dell’Asia centrale tendono oggi ad instaurare rapporti politico-economici anche con gli USA,
l’Unione Europea, la Cina, il Giappone. Dal canto loro, questi paesi sono attratti non solo dal ruolo
strategico della regione, ma anche dalle sue risorse economiche, in particolare del petrolio del Caspio: alla
fine degli anni ’80, infatti, si è potuto stabilire che il Mar Caspio racchiude riserve di petrolio e di gas
naturale assai più consistenti di quelle note fino ad allora. Questa scoperta ha, ovviamente, attirato
l’interesse dei paesi litoranei del Caspio, ma anche quello di compagnie petrolifere straniere, specie
americane. Si è aperto, inoltre, il problema degli oleodotti e dei gasdotti, attraverso i quali trasportare il
petrolio verso i suoi potenziali acquirenti. È una questione che sta a cuore, soprattutto dopo l’11 settembre,
ai paesi importatori, che hanno tutto l’interesse a diversificare le proprie fonti di approvvigionamento
energetico e a diminuire la propria dipendenza dal Medio Oriente.
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica 13. Il mondo indiano
“India” è il nome di uno stato, ma è anche quello di una regione geografica che, per la sua vastità, la
popolazione, l'omogeneità fisica, è stata definita un subcontinente. Complessivamente, il subcontinente
indiano ospita più di un miliardo di abitanti (il 20% dell’intera popolazione mondiale), distribuiti su 4
milioni e mezzo di km2.
Il subcontinente indiano non è stato mai interamente unito politicamente, se non sotto la dominazione
britannica. Oggi esso comprende molti stati:
• l’Unione Indiana
• il Pakistan
• il Bangladesh
• Sri Lanka (Ceylon)
• gli stati himalayani (Nepal, Bhutan)
• le isole Maldive.
L’Unione Indiana è stata spesso definita come la più grande democrazia del mondo. Essa ha, in effetti, un
ordinamento parlamentare-democratico, anche se condizionato dal peso delle vecchie tradizioni, dal
prestigio delle caste alte e da una diffusa corruzione. Resta il fatto, inconsueto in un paese del Terzo Mondo,
che la democrazia ha funzionato, nella sostanza, per quasi un cinquantennio.
Il Partito del Congresso, che aveva guidato la lotta per l’indipendenza, ebbe un grande leader in Nehru. Egli
avviò una politica di modernizzazione e di moderato socialismo nel rispetto della democrazia parlamentare,
operò la nazionalizzazione di una parte consistente dell’industria di base e tentò di attuare la pianificazione
dell’economia. Gli succedette la figlia, Indira Gandhi, che entrò in conflitto con le tendenze centrifughe dei
diversi gruppi, che tentò di frenare con metodi spesso autoritari. Assassinata, le succedette il figlio Rajiv
Gandhi, che ne ereditò il governo e la linea politica, ma fu a sua volta assassinato nel 1991.
Nel campo dell’ economia, il governo ha iniziato a smantellare il settore pubblico e il controllo statale e ha
promosso una politica di privatizzazione e di liberalizzazione, aprendo ai capitali stranieri e dando impulso
ai consumatori interni molti osservatori ritengono che oggi l’India si trovi alle soglie di un vero e proprio
boom economico, sia pure contrassegnato da disuguaglianze e squilibri.
In politica estera, a partire da Nehru, l’India ha seguito ufficialmente una linea di neutralismo e di non-
allineamento. Ma contemporaneamente, soprattutto con Indira, essa ha mantenuto un rapporto privilegiato
con l’URSS. Dopo la fine della Guerra Fredda, però, la diplomazia indiana ha cercato una nuova
collocazione più equilibrata, sviluppando i contatti con l’Occidente e con gli USA. Sul piano regionale,
l’India ha sempre cercato di affermare il suo predominio politico-strategico, rivendicando un ruolo di grande
potenza, sia nel subcontinente sia in tutto l’Oceano Indiano.
NB: l’India è comunque considerata la quarta potenza militare del mondo, dopo USA, Russia e Cina.
Periodicamente, in occasione dello scoppio di crisi e di conflitti più o meno violenti, si torna a parlare delle
minacce all’unità dell’India. È certo che le spinte centrifughe e le diversità sono assai forti e numerose:
1. lingue: esistono in India circa un migliaio di lingue, divise in prevalenza nei 2 grandi gruppi principali
delle lingue indoeuropee del Nord e di quelle dravidiche del Sud. La più diffusa è l’ hindi: dopo
Elisa Bertacin Sezione Appunti
Geografia politica ed economica