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Sviluppo, sottosviluppo, fame

Esistono oggi al mondo più di 180 stati indipendenti; un capillare decentramento politico è succeduto al crollo dei vecchi imperi coloniali. Tuttavia, questa moltiplicazione di identità particolari non ha tolto valore alle demarcazioni più elementari come quelle fra paesi ricchi e paesi poveri, fra un mondo industriale e sviluppato e un mondo poco o mal sviluppato, fra un Nord e un Sud. È vero che negli ultimi tempi il quadro mondiale ha subito non pochi cambiamenti:
paesi come la Cina e l’India sono avviati a sconfiggere l’antico flagello della fame e conoscono anche un’apprezzabile crescita industriale
paesi come le Tigri Asiatiche sono ormai considerati paesi industrializzati
paesi come quelli esportatori di petrolio hanno visto aumentare impetuosamente i propri redditi.
Ma, contemporaneamente, la situazione economica di molti paesi è andata addirittura peggiorando, ad esempio in vaste zone dell’Africa e dell’America Latina. Anche in paesi che hanno registrato qualche positivo sviluppo, sussistono problemi di povertà e arretratezza sociale, mentre l’esacerbarsi di alcuni conflitti locali ha generato nuove difficoltà per le popolazioni coinvolte. Negli ultimi tempi, inoltre, il debito estero contratto da molti paesi per finanziare lo sviluppo si è trasformato in un ostacolo paralizzante.
A indipendenza ottenuta, il decollo economico dei paesi ex-coloniali si è rivelato più difficile del previsto. In molti casi, essi dovevano fare i conti con condizioni naturali sfavorevoli (es.: Africa a sud del Sahara).
La rivoluzione industriale, poi, determinò un improvviso e rapido elevarsi del tasso di crescita dell’economia europea ed americana, mentre quelli degli altri continenti restavano sostanzialmente inalterati. Da questa differenza di passo nacquero il progressivo differenziarsi e allontanarsi dei livelli economici e il predominio dell’Europa per quasi 2 secoli.
Contemporaneamente, proprio il miglioramento delle condizioni igieniche e sanitarie diffuso dal colonialismo in altre parti del mondo aveva provocato un calo della mortalità e un forte aumento del ritmo di crescita della popolazione. Ne derivò un’accresciuta difficoltà per molti paesi, le cui limitate capacità produttive dovevano ora misurarsi con la necessità di nutrire una popolazione assai più numerosa.
La mancanza di infrastrutture ha ostacolato i tentativi di porre su nuove basi l’economia, di diversificare la produzione per uscire da una dipendenza esclusiva da un unico prodotto: una condizione che li poneva alla mercè delle fluttuazioni dei prezzi internazionali.

Si è creata una situazione di rinnovata dipendenza economica dai vecchi dominatori o da altri rappresentanti del mondo industrializzato (neocolonialismo).
Sono falliti, per molti anni, sia i tentativi di uscire dal sottosviluppo applicando le leggi del mercato, sia quelli compiuti scegliendo vie socialiste e legandosi all’URSS. Spesso, in questi fallimenti, un ruolo importante era giocato anche dai ceti dirigenti dei nuovi paesi indipendenti, in molti casi burocratici, inefficienti, corrotti, più attenti alle proprie fortune personali e al proprio potere che al benessere di popoli e paesi.
ES: il Terzo Mondo ha avuto la sventura di regimi autoritari e violenti, nemici di ogni libertà, e tuttavia appoggiati dall’una o dall’altra delle potenze.
Gli stessi aiuti allo sviluppo, che la comunità internazionale, numerosi governi, banche cominciarono negli anni ’50 a fornire al Terzo Mondo finirono in molti casi per arricchire o mantenere al potere i gruppi dirigenti; in altri casi naufragarono nell’inefficienza e nello spreco.
Questo non ha comportato però una condanna generale della politica degli aiuti, ma solo di alcune delle sue attuazioni. Ci sono paesi (soprattutto asiatici e latinoamericani) che hanno saputo approfittare degli aiuti per avviare processi di sviluppo consistenti e durevoli. E anche in molti stati africani gli aiuti hanno comunque permesso la costruzione di infrastrutture che costituiscono la premessa di una futura crescita.

Di paesi sottosviluppati si cominciò a parlare negli anni ’50. Si pensava allora al problema dello sviluppo economico come a una specie di scala:
in cima c’erano i paesi capitalisti avanzati, sviluppati, ricchi: USA, Europa occidentale e settentrionale, Giappone, Australia
in mezzo c’erano alcuni stati che avevano già intrapreso la via dello sviluppo, ma erano ancora un po’ indietro: Grecia, Spagna, Messico, Argentina, Brasile…
in fondo c’erano tutti gli altri, gli arretrati o sottosviluppati. Si pensava che prima o poi questi ultimi avrebbero imitato gli altri, fino a raggiungerli.
In realtà, negli anni successivi, si vide che qualcosa non funzionava. Innanzitutto, i paesi più poveri avevano molte difficoltà a intraprendere il cammino dello sviluppo e, anche se gli indici dello sviluppo (PIL pro-capite, analfabetismo, mortalità…) denotavano una qualche crescita in alcuni dei paesi arretrati, la crescita restava comunque più veloce nei paesi avanzati.
Negli anni ’80-’90 si inizia a parlare di Indice di sviluppo (o sottosviluppo) umano (ISU o HDI) = un indicatore studiato utilizzando una media ponderata di 3 fattori di sviluppo, attinenti a:
1. durata della vita: speranza di vita
2. livello culturale: tasso di alfabetizzazione degli adulti
3. quantità di ricchezza disponibile: PIL pro capite
2 sono i tipi principali di cause del sottosviluppo:
1. cause naturali = condizioni ambientali avverse (es.: desertificazione, alluvioni, siccità …)
2. cause umane = colonialismo, monocoltura, latifondi, neocolonialismo, debito estero, scontro di civiltà
Nel 1997 viene delineato anche l’ Indice di povertà umana (IPU o HPI) = valuta se gli individui dispongono delle possibilità per condurre una vita sana e normale, attraverso i 3 fattori dell’ISU

1. rappresenta la percentuale di persone che si prevede muoia entro i 40 anni
2. misura la percentuale di adulti considerati analfabeti
3. valuta lo standard di vita, in base a: accesso o no ai servizi sanitari, all’acqua potabile, percentuale di bambini malnutriti sotto i 5 anni
L’IPU si suddivide in 2 sottoindici:
1. IPU 1, analizza i paesi sottosviluppati
2. IPU 2, analizza le differenze tra centro e periferia nei paesi sviluppati
Negli anni ’90, infine, si inizia a parlare anche di dinamiche di genere (= presenza femminile nelle attività produttive), attraverso l’ Indice di sviluppo di genere (ISG) = cerca di evidenziare le differenze di sviluppo tra uomo e donna; e di Modalità di enpowernment di genere (MEG o GEM) = capacità di sfruttare le proprie conoscenze acquisite.

Nel corso degli anni si cominciò ad usare un’altra espressione: paesi in via di sviluppo. Questa espressione tende a sottolineare il fatto che questi paesi siano comunque in movimento, e non stagnanti nella loro arretratezza. Nei fatti, non tutti i paesi del Terzo Mondo sono in via di sviluppo: alcuni lo sono certamente e per molti aspetti si sono ormai avvicinati ai paesi ricchi, ma in molti altri l’economia stenta a decollare e le condizioni di vita restano dolorosamente arretrate.
Anche l’espressione Terzo Mondo risale agli anni ’50, per la precisione al 1952, quando venne usata per la prima volta dallo studioso francese Alfred Sauvy. Egli intendeva così distinguerlo dal Primo Mondo (paesi industriali a economia di mercato) e dal Secondo Mondo (paesi comunisti a economia pianificata di stato) e voleva anche evocare l’ analogia col Terzo Stato, protagonista della Rivoluzione Francese.
In realtà, l’espressione non copriva un insieme omogeneo, ma situazioni molto diverse, e oggi quelle differenze si sono ulteriormente accentuate. Si può aggiungere che non esiste più un Secondo Mondo, dopo la crisi dei regimi comunisti. E che è venuto meno anche un altro elemento che per alcuni anni contribuì a tenere uniti i paesi del Terzo Mondo: il non-allineamento = una posizione che sottraesse alla scelta di campo rigida tra capitalismo e comunismo. Rifiutando la Guerra Fredda e la contrapposizione frontale fra i 2 blocchi, i dirigenti di questi paesi si facevano promotori di una politica di non-allineamento e di neutralismo attivo = volontà di operare per l’affermarsi della coesistenza e della cooperazione.
I leader del movimento furono:
l’indiano Nehru
l’egiziano Nasser
l’indonesiano Sukarno
lo iugoslavo Tito
Con l’andare del tempo, il crescente divario di condizioni fra i paesi del Terzo Mondo, l’emergere di rivalità interne indebolirono il sogno dei padri del non-allineamento.
Tuttavia, il movimento esercitò un ruolo importante nella lotta al colonialismo e ottenne risultati positivi nella lotta al razzismo e in quella per il riconoscimento dei diritti economico-politici dei paesi in via di sviluppo. Il movimento dei non-allineati esiste ancora formalmente, ma ha perso molta della sua importanza, soprattutto dopo la fine del confronto fra i blocchi.
Con il crescere delle differenze all’interno del Terzo Mondo, si è cominciato a parlare di un Quarto Mondo = i paesi più sfavoriti, privi di materie prime pregiate o di petrolio da esportare, fermi a livelli di povertà critica.

Negli ultimi anni si è anche affermata la formula Nord-Sud che contrappone il mondo industrializzato (Canada, USA, Europa, Russia, Giappone), situato perlopiù nell’emisfero settentrionale, ai paesi dell’emisfero meridionale, che hanno difficoltà di vari livelli, fino ai casi estremi della fame e della malnutrizione.

Tratto da GEOGRAFIA POLITICA ED ECONOMICA di Elisa Bertacin
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