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Il petrolio in Iraq

Il petrolio in Iraq

Capita spesso di vedere ipotizzato che gli interessi petroliferi abbiano un ruolo fondamentale nell’influenzare la politica estera americana. Secondo Giacomo Lucani, però, in realtà avviene il contrario, cioè che il petrolio non sia la principale motivazione della politica estera americana, ma il più delle volte piuttosto uno strumento di questa politica: spesso gli interessi delle compagnie petrolifere, in particolare di quelle americane, sono sacrificati in nome del perseguimento di obiettivi politici che nulla hanno a che vedere con il petrolio.
ESEMPI: gli USA hanno utilizzato in anni recenti il petrolio come strumento, puntando in particolare a sfruttare le risorse del Caspio e dell’Asia centrale, perché avevano una priorità politica nel sostenere l’effettiva indipendenza di questi “paesi di nuova indipendenza”, rispetto sia alla Russia a nord che all’Iran a sud.
Nel caso dell’Iraq è stato così per tutti gli anni ’90, durante i quali l’Iraq è stato posto sotto sanzioni = si è impedito alle compagnie di investire e partecipare allo sviluppo delle risorse irachene.
Il problema centrale è che i consumi aumentano, la produzione nazionale negli USA declina, perché i campi americani sono ipersfruttati  previsione che gli USA saranno sempre più dipendenti dalle importazioni di prodotti petroliferi. Si calcola che nel 2030 l’America settentrionale (sostanzialmente gli USA) sarà la regione più deficitaria al mondo, mentre il Golfo sarà l’unico grande serbatoio di petrolio al mondo.
La bassa dipendenza dalle importazioni in Europa osservata nel 2000 è conseguenza del fatto che negli anni ’70 è stato scoperto il petrolio nel Mar del Nord  quella che era una dipendenza europea tradizionalmente elevatissima si è ridotta temporaneamente. Ma nel corso degli anni l’apporto del Mare del Nord è destinato a declinare e la dipendenza europea tornerà molto probabilmente ad aumentare.
L’Arabia Saudita viene tradizionalmente assunta come il paese produttore di ultima istanza. Tuttavia, soprattutto alla luce dell’11 settembre, l’atteggiamento degli USA verso l’Arabia Saudita è cambiato: quello che era considerato un paese tranquillo oggi è criticato quasi quotidianamente sulla stampa ed è chiara l’impressione che a Washington si desidererebbe che il regime in Arabia Saudita cambiasse radicalmente.
L’Iraq ha riserve che sono seconde al mondo solo a quelle dell’Arabia Saudita e sono leggermente superiori a quelle degli Emirati, del Kuwait e dell’Iran. C’è però una forte differenza tra l’Iraq e gli altri 3 paesi, perché mentre Emirati, Kuwait, Iran sono stati ampiamente esplorati (non ci si aspetta che vengano fatte nuove significative scoperte), l’Iraq è invece un paese che nella sua storia è stato sottoutilizzato e sottoesplorato. Il sottosfruttamento delle riserve irachene ha radici di vecchia data, perché il petrolio in Iraq è stato gestito da un consorzio che andava sotto il nome di Iraq Petroleum Company (IPC) che era, nel sistema delle 7 sorelle o delle imprese petrolifere multinazionali, il cuore del sistema, perché raggruppava quasi tutte le imprese principali.
Il governo iracheno ha mantenuto un rapporto sempre conflittuale con l’IPC, in quanto è stato il consorzio più condizionato dalla politica dei colonialisti occidentali.

Il conflitto non ha origine con Saddam, ma è una storia che ha radici piuttosto laontane.
Indubbiamente, se cambiasse il regime in Iraq è possibile che questi scenari e le aspettative di mercato cambino. Oggi le aspettative spingono i mercati a ritenere che ci sia un pericolo di carenza di greggio, perché la guerra è sempre un’incognita.

Nel momento in cui Saddam fosse rimpiazzato da un altro governo e si sapesse che finirà l’embargo e che il nuovo governo aprirà le porte alle compagnie, si invertirebbero le aspettative e si verificherebbe un significativo calo del prezzo.

LOCALIZZAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI IN IRAQ:

Giacimento di Kirkuk: nel nord
Giacimenti a sud, vicino a Basrah e al confine con il Kuwait

OLEODOTTI DI ESPORTAZIONE:

Kirkuk-Ceyhan (Turchia): è stato costruito in parte a seguito dei conflitti che hanno limitato l’utilizzo dell’oleodotto che collega Kirkuk al Mediterraneo, attraverso la Siria
Nord-Sud Iraq: è il cosiddetto oleodotto strategico che può funzionare nelle 2 direzioni (Basrah-Kirkuk-Mediterraneo oppure Kirkuk-Golfo)
Tapline: trasporta il greggio dai giacimenti dell’Arabia Saudita verso la Giordania. Dal ’90 non è più in funzione per via del deterioramento delle relazioni tra Arabia Saudita e Giordania
Petroline: collega le coste est ovest dell’Arabia Saudita. È stato creato negli anni ’80 un collegamento tra l’oleodotto strategico iracheno e la Petroline, collegamento in seguito prolungato fino al Mar Rosso, dando vita alla linea IPSA, che ha funzionato fino all’invasione del Kuwait nel 1989
Sumed: collega il Golfo di Suez al Mediterraneo e serve a consentire alle grandi petroliere di scaricare parte del carico prima di Suez, a causa del basso fondale del canale
Eilat-Ashkelon: costruito in territorio israeliano, all’epoca dello scià, per trasferire il greggio sul territorio iraniano, oggi è inutilizzato
Baku-Tblisi-Ceyahn: servirà a portare il greggio azero sul Mediterraneo

Un domani il Mediterraneo orientale potrà diventare un’area di particolare rilevanza strategica sia dal punto di vista dei flussi sia dal punto di vista dello sviluppo di un nuovo mercato: un disegno che potrebbe ridurre la dipendenza dal Golfo per quel che riguarda i trasporti e la logistica ed aumentare invece l'importanza del Mediterraneo orientale.

Tratto da GEOGRAFIA POLITICA ED ECONOMICA di Elisa Bertacin
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