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Limiti della pubblicità


In Italia la carenza di leggi statali in relazione alla regolamentazione della pubblicità ha portato le principali categorie di professionisti operanti nel settore a istituire un Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, ufficializzato a Roma nel 1966 e aggiornato con cadenza annuale. Le finalità del codice sono di tutelare gli interessi dei consumatori, dei singoli utenti e della pubblicità; gli organi giudicanti sono il Comitato di Controllo e il Giurì. Le denunce possono partire dal Comitato o anche dalle singole aziende; anche se non è una legge statale, attraverso delle clausole si inserisce in tutti i contratti pubblicitari del nostro paese. L’organo statale che invece regolamenta la pubblicità è l’Antitrust, che si occupa in particolare di pubblicità ingannevole e può imporre sanzioni anche di carattere penale. In alcuni casi il controllo delle pubblicità può essere anche preventivo, come nel caso di prodotto farmaceutici, o per tutta la pubblicità in onda sulle reti RAI; inoltre le agenzie possono sottoporre le pubblicità al comitato di controllo, che può dare un primo giudizio.
Le principali norme del Codice di Autodisciplina riguardano: lealtà pubblicitaria (pubblicità palese, veritiera, corretta); pubblicità ingannevole; terminologia, citazioni, prove; testimonianze; garanzie; dimostrazione della verità dei messaggi; identificazione della pubblicità; superstizione, credulità, paura; violenza, volgarità, indecenza; bambini e adolescenti (non indurre a violare norme di comportamento, a compiere azioni pericolose, ritenere che il mancato possesso dell’oggetto significhi inferiorità, utilizzare immagini di bambini per addolcire gli adulti); salute, sicurezza, ambiente; denigrazione; comparazione (di caratteristiche essenziali, pertinenti, non trarre vantaggio dalla notorietà altrui).

Tratto da STORIA DELLA PUBBLICITÀ IN ITALIA di Mario Turco
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