Riassunto del testo che propone i risultati di uno studio sui circa quindicimila rifugiati di guerra cambogiani della baia di San Francisco. Il processo di trasformazione da immigrati a cittadini americani è stato lungo e doloroso e ha comportato un cambiamento radicale fin dalle sue prime fasi, in cui dovettero accettare modalità di prendersi cura di loro da parte dei servizi assistenziali molto diverse da quelle del paese d'origine. La ricerca esplora la 'trasformazione' in tutti gli aspetti che ha toccato: medico, religioso, familiare e lavorativo.
Da rifugiati a cittadini
di Anna Bosetti
Riassunto del testo che propone i risultati di uno studio sui circa quindicimila
rifugiati di guerra cambogiani della baia di San Francisco. Il processo di
trasformazione da immigrati a cittadini americani è stato lungo e doloroso e ha
comportato un cambiamento radicale fin dalle sue prime fasi, in cui dovettero
accettare modalità di prendersi cura di loro da parte dei servizi assistenziali
molto diverse da quelle del paese d'origine. La ricerca esplora la
'trasformazione' in tutti gli aspetti che ha toccato: medico, religioso, familiare e
lavorativo.
Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
Facoltà: Scienze dell'Educazione
Corso: Scienze dell’Educazione
Esame: Antropologia
Titolo del libro: Da rifugiati a cittadini
Autore del libro: A. Ong1. I rifugiati cambogiani nella baia di San Francisco
Nel 1970 il Sudest asiatico era una remota regione del mondo in cui l’America stava conducendo una guerra
selvaggia contro il comunismo. C’erano vittime americane, e un numero infinito di vittime vietnamite,
cambogiane, laotiane e altre ancora.
Questo lavoro costituisce uno studio dei rifugiati di guerra del Sudest asiatico che si sono riversati negli Stati
Uniti: si basa su un’approfondita ricerca tra i rifugiati cambogiani di Oakland e San Francisco tra il 1988 e il
1989; in quel periodo, nell’area della baia di San Francisco vivevano circa quindicimila cambogiani. Questo
studio si focalizzerà sulle pratiche che inseriscono questi nuovi arrivati in contesti specifici di produzione
del soggetto.
Diventare americani va oltre la semplice acquisizione di un nuovo status legale, o del diritto di voto negli
Stati Uniti. Acquisire la cittadinanza americana comportava il diritto di far venire in America figli, figlie,
nipoti, fratelli e sorelle che vivevano ancora nel paese di origine.
Per gli immigrati svantaggiati la cittadinanza non significa possedere più passaporti o individuare
opportunità economiche, affari immobiliari o università da sogno nelle città globali, quanto piuttosto capire
le regole per cavarsela, destreggiarsi e sopravvivere nelle strade e negli altri spazi pubblici della città
americana. Questi immigrati sono assoggettati, in modo molto più pressante rispetto a quelli privilegiati, a
una varietà di tecnologie umane che concorrono, senza riuscirvi del tutto, a renderli minoranza etnica,
soggetti che lavorano, esseri morali.
Per diventare cittadini “sufficientemente buoni” i nuovi arrivati devono negoziare tra diverse forme di
regolamentazione, e devono imparare un nuovo modo di farsi prendere in cura e di prendersi cura di sé nel
loro nuovo mondo.
Specialmente a livello di burocrazia, così come nella vita sociale, i nuovi arrivati asiatici, soprattutto i più
indigenti, sperimentano una continuità di politiche e pratiche che promuovono una “pulizia etnica” nel senso
di una rimozione delle caratteristiche delle culture degli immigrati considerate primitive e socialmente
indesiderabili. Operatori sociali, infermieri, polizia, persone vicine alla chiesa, insegnanti portano avanti in
vari modi una vasta gamma di politiche istituzionali di assimilazione, di rinnovamento etnico e di
cancellazione.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Da rifugiati a cittadini 2. Cittadinanza americana per esclusione, per successione, per
differenza
Nel libro vengono esaminate le tecnologie di governo, cioè le politiche, i programmi, i codici e le pratiche
che tentano di instillare nei soggetti-cittadini determinati valori (come indipendenza, libertà, individualismo,
calcolo, flessibilità) in molteplici ambiti.
Vengono analizzati i problemi pratici del governo in ogni singolo ambito (welfare state, ospedale pubblico,
sistema giudiziario ecc.), seguendo i cambogiani-americani mentre si fanno strada attraverso i contesti
istituzionali da cui apprendono i valori e le competenze tecniche che l’America si aspetta.
Per gli immigrati cambogiani, come era successo anche per precedenti generazioni di migranti americani, il
passaggio da un ethos a base religiosa, imperniato sulla gerarchia e sulla dipendenza, a un’etica fondata sulla
lotta fra individui e sulla produzione di ricchezza è un’esperienza profondamente traumatizzante.
Cittadini meritevoli: bipolarismo razziale e differenziazione di genere
Le pratiche amministrative rivolte ai rifugiati cambogiani sono state spesso animate dall’obiettivo di
cancellare elementi primitivi. Agli occhi degli operatori sociali le donne e i bambini rifugiati risultavano
meno macchiati ed erano quindi considerati soggetti-cittadini più desiderabili. Mentre i rifugiati maschi
venivano emarginati, le donne diventavano ben presto dipendenti da sistemi clientelari femminili e oggetto
di lezioni di autonomia personale.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Da rifugiati a cittadini 3. La logica latente del bipolarismo razziale degli USA
Fin dalla loro origine gli Stati Uniti sono stati immaginati come una formazione implicitamente razziale e
classista, governata da un’egemonia anglosassone che proiettava la razza bianca e gli interessi di classe
come universale della nazione.
Poiché gli immigrati non anglosassoni non rientravano negli ideali dominanti del lavoro industriale e
dell’imprenditorialità moderni, finirono per essere classificati come sottomessi sia in termini razziali sia in
termini di genere.
La definizione di razza, così come l’ubicazione del confine tra chi è interno e chi è esterno, si sposta con
l’afflusso delle popolazioni e con i mutamenti nelle formazioni razziali di classe.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Da rifugiati a cittadini 4. Gli Stati Uniti e il governo della povertà
Le politiche e le pratiche tendenti a normalizzare l’anormale, allo scopo di assimilare in modo sicuro il
razzialmente altro nell’economia morale del capitalismo americano, sono andate di pari passo con la politica
morale dell’assistenza ai poveri.
La posizione sociale all’interno della nazione viene definita sulla base di due valori americani fondamentali,
storicamente acquisiti: il voto e il guadagnarsi da sé il proprio reddito. Una volta ottenuto da parte delle
donne e delle minoranze il diritto di voto, la fonte primaria di rispetto e prestigio pubblici diventa il diritto
sociale di lavorare e di essere pagati. Dalla prospettiva di coloro che sono stati storicamente esclusi –
minoranze razziali, donne e immigrati — la lotta per la cittadinanza americana è stata indiscutibilmente più
una richiesta di inclusione nello stato, uno sforzo di abbattere le barriere che ostacolavano il riconoscimento,
che non un’aspirazione alla partecipazione civica.
Nell’America del XX secolo questa costruzione morale della cittadinanza fu messa ampiamente in
discussione dal welfare state quando i discorsi tradizionali sulla povertà, sul lavoro e sulla cittadinanza in
base al merito si scontrarono con le idee riguardanti i poveri meritevoli e le rivendicazioni del diritto di
ricevere aiuti statali.
Negli anni Ottanta del Novecento, gli studiosi marxisti hanno messo in evidenza la contraddizione tra la
cittadinanza democratica e le disuguaglianze sociali che esistono nella società, ovvero il divario crescente tra
i diritti universali astratti e le disuguaglianze reali generate dalla competizione del mercato, dalle differenze
razziali e dall’immigrazione.
All’inizio degli anni Ottanta, l’arrivo dei rifugiati del Sudest asiatico fece sì che i mass media, specialmente
in California, affinassero il concetto di minoranza-modello in base alla razza e alla classe. Giornalisti e
responsabili politici giunsero, infatti, a distinguere due categorie di asiatici-americani: da una parte, la
minoranza-modello degli immigranti di etnia cinese di Hong Kong, Taiwan e Cina, e con loro gli immigranti
vietnamiti; dall’altra, la “nuova underclass”, rappresentata, secondo loro, dai rifugiati della Cambogia e del
Laos; cosicché gli immigrati asiatici potevano essere assegnati concettualmente a categorie di minoranze più
o meno meritevoli.
Anna Bosetti Sezione Appunti
Da rifugiati a cittadini