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Nuovi immigrati cambogiani negli USA: il linguaggio della razza e della classe


Come altri rifugiati, i cambogiani entrarono nel paese con un documento che dava loro il diritto legale di entrare, vivere e lavorare negli Stati Uniti. Con questo documento potevano richiedere che il loro status legale fosse modificato da rifugiati a residenti permanenti e, dopo qualche anno, fare domanda per diventare cittadini. Ma presto si resero conto che la cittadinanza americana comportava il fatto di venire inquadrati in politiche, pratiche e credenze classificate secondo schemi preesistenti, che identificavano i gruppi in base alla razza, all’etnia, alla moralità e al potenziale di mercato.
Fin dal principio, le persone che lavoravano con i rifugiati si fecero l’idea che i cambogiani avessero meno possibilità dei vietnamiti di ottenere un qualche successo economico negli Stati Uniti. I rifugiati cambogiani arrivavano in un periodo di maggiore ansia per le minacce ideologiche, sanitarie ed economiche rappresentate dai rifugiati. Il termine rifugiato si saldò in modo più forte ai cambogiani e finì per essere sinonimo di beneficiario di sussidi; con il passare del tempo si distaccò invece dai vietnamiti-americani.
Gli operatori sociali iniziarono a pensare che, poiché i cambogiani venivano considerati più indisciplinati degli altri rifugiati asiatici, dovevano anche essere regolamentati con più fermezza. In effetti, le connotazioni negative del termine rifugiato (come dipendente dal welfare o truffatore del welfare) sono diventate talmente forti che alcuni cambogiani americani, incontrando gli altri americani, hanno iniziato a negare le loro origini nazionali, dichiarando una discendenza diversa.

Tratto da DA RIFUGIATI A CITTADINI di Anna Bosetti
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