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La passività delle donne cambigiane, corpi di resistenza


In Cambogia le donne svolgevano un ruolo importante nella cura quotidiana delle loro famiglie, negli Stati Uniti si trovavano invece a dover dipendere da un sistema medico in cui erano semplicemente dei destinatari privi di ogni sapere.
Le donne cambogiane erano considerate una categoria a parte di pazienti particolarmente “difficili “, e venivano percepite come più “tradizionaliste e superstiziose” degli uomini. Inoltre gli operatori delle cliniche le descrivevano come passive, silenziose e timorose nei confronti dell’autorità.
I cambogiani non volevano né aprire i loro corpi, né inserirvi oggetti estranei, perché, secondo le loro convinzioni buddiste, il corpo doveva rimanere intatto.
Oltre a insegnare loro alcune misure generali di prevenzione, i medici concentravano molto la loro attenzione sul tentativo di disciplinare i corpi delle donne al fine di regolare le nascite.
Dal momento che il sesso è un tema culturalmente molto delicato, le infermiere di origine asiatica svolgevano un ruolo importante nei progetti di educazione sanitaria sui temi della maternità.
A causa del loro accesso limitato alle famiglie delle pazienti, le infermiere della clinica cercavano di “rafforzare il potere” delle singole donne sulla decisione di avere bambini, ma non riuscivano ad attenuare il controllo dei mariti sul corpo delle mogli.
Le cliniche costituivano la porta d’ingresso ad altre forme di contributi straordinari.
Cambogiani di ogni età si recavano continuamente dai medici per ottenere farmaci e un certificato medico che desse loro accesso a forme di sostegno aggiuntive. In certi casi, nel corso delle visite mediche, i cambogiani si fingevano pazzi, creando cioè corpi e menti malfunzionanti che riproducevano in realtà la loro mancanza di un adeguato sostegno sociale.

Tratto da DA RIFUGIATI A CITTADINI di Anna Bosetti
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