Il libro "Storia della Cina" di Mario Sabattini e Paolo Santangelo racconta la Terra di mezzo dalla preistoria fino alle trasformazioni avviate negli ultimi anni da Deng Xiaoping. Nel racconto di millenni di storia emergono le contraddizioni e le infinite sfumature di una società complessa e di una tradizione che, sempre più, deve fare i conti con i profondi cambiamenti della globalizzazione.
Storia della Cina
di Lorenzo Possamai
Il libro "Storia della Cina" di Mario Sabattini e Paolo Santangelo racconta la
Terra di mezzo dalla preistoria fino alle trasformazioni avviate negli ultimi anni
da Deng Xiaoping. Nel racconto di millenni di storia emergono le contraddizioni
e le infinite sfumature di una società complessa e di una tradizione che, sempre
più, deve fare i conti con i profondi cambiamenti della globalizzazione.
Università: Università degli Studi di Padova
Facoltà: Scienze Politiche
Esame: Storia cinese
Titolo del libro: Storia della Cina
Autore del libro: Mario Sabattini e Paolo Santangelo
Editore: Laterza
Anno pubblicazione: 20101. Cina arcaica
La Cina propriamente detta, intesa come il bacino del Fiume Giallo e, in seguito, anche del Fiume Azzurro,
è abitata da tempi antichissimi; alcune teorie la identificano addirittura come il luogo natale del genere
umano. Indipendentemente dalla veridicità di questa tesi, il bacino del Fiume Giallo (Huang He), rimane,
assieme a quello del Gange e alla Mesopotamia, uno dei tre luoghi in cui si ritiene che la prima civiltà
umana sia sorta.
La prima civiltà cinese di cui si abbiano reperti archeologici risale invece alla fine del III millennio avanti
Cristo, situata nella valle del Huang He, il Fiume Giallo. Ciò non significa che essa sia realmente la prima
civiltà cinese, ma solo che essa è la più antica di cui si abbia una qualche testimonianza archeologica, ed è
perciò possibile che in futuro tale datazione possa essere rivista. Allo stesso modo anche per l’origine della
scrittura non si possono ancora stabilire date certe: sappiamo che già nel II millennio avanti Cristo la
scrittura cinese aveva raggiunto un elevato livello e molti dei suoi caratteri sono direttamente collegabili a
quelli odierni. Tuttavia segni ed incisioni (forse semplici motivi ornamentali o forse veri e propri
ideogrammi) sono stati tracciati su reperti risalenti addirittura al III millennio. Ciò significa che le origini
della scrittura cinese risalgono ad un periodo compreso fra il III e il II millennio avanti Cristo.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Cina 2. Le prime tre dinastie cinesi
La tradizione scritta cinese attribuisce alla dinastia Xia il ruolo di fondatrice della prima nazione cinese.
Successivamente avrebbero regnato sulla Cina altre due importanti dinastie, quella Shang e quella Zhou.
L’esistenza ed il ruolo delle tre dinastie è confermata dagli studi archeologici, ma quanto alle date, tutte
quelle antecedenti all’841 a.C. (prima data sicura della storia cinese), derivano ancora unicamente dalla
tradizione, e non è stato possibile ottenere conferme definitive attraverso l’archeologia. Secondo la
tradizione la periodizzazione è dunque la seguente:
Dinastia Xia2205 - 1523 a.C.
Dinastia Shang1751 - 1122 a.C.
Dinastia Zhou1222 - 222 a.C.
Sempre la tradizione scritta cinese ci fornisce però anche un'altra ‘scuola cronologica’, detta breve, e oggi
considerata più attendibile:
Dinastia Xia1994 - 1523 a.C.
Dinastia Shang1523 - 1027 a.C.
Dinastia Zhou1017 - 222 a.C.
Il territorio che abbiamo identificato come ‘nazione cinese’ corrispondeva grosso modo al bacino del Fiume
giallo, il quale era suddiviso in varie entità (“principati”) governate da signori locali. Il ruolo dei re dinastici
era essenzialmente politico-religioso; essi godevano di una riconosciuta egemonia sugli altri signori che li
rispettavano in quanto ritenevano che essi fossero in diretto contatto con l’elemento divino. La
giustificazione del dominio reale era dunque di ordine religioso. L’intero sistema poggiava
sull’appartenenza al lignaggio reale: i signori locali erano legittimati al potere in virtù della loro parentela
con il re, il quale era sostenuto al potere dall’elemento divino; un complesso cerimoniale religioso ed il culto
degli antenati, conferivano solidità al sistema.
Della dinastia Xia sappiamo molto poco; la maggior parte dei reperti più antichi appartengono infatti alla
dinastia Shang, che regnò sul territorio delle attuali province centrosettentrionali di Henan, Hebei e
Shandong. La società Shang era di tipo gerarchico: il re era al vertice di una nobiltà militare ed era
coadiuvato da una classe sacerdotale istruita, cui era delegata la responsabilità dell'amministrazione e della
divinazione. La scrittura era già ad un livello avanzato, così come la produzione artigianale e la fusione del
bronzo. Secondo la tradizione, l'ultimo monarca Shang fu spodestato dagli Zhou, una dinastia proveniente
dalla valle del fiume Wei, ai confini nordoccidentali dei domini Shang.
La dinastia Zhou regnò pressappoco sullo stesso territorio sul quale aveva regnato la dinastia Shang. Essa
non si distingueva dalla precedente in maniera sostanziale, anche se la lavorazione del bronzo raggiunse un
livello elevatissimo: la giustificazione del potere rimaneva legata alla concezione del mandato celeste e ai
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Cina rapporti di parentela dei signori locali con il re. Durante il regno dei dodici sovrani Zhou, semmai, tale
sistema di potere “famigliare” -cementato attraverso la consacrazione dei riti del culto degli antenati, della
divinazione e dei sacrifici agli dei- raggiunse il suo apice. In questo periodo l’influenza della civiltà cinese
raggiunse anche le aree periferiche, abitate da popolazioni definite barbare e di etnia non cinese. Fu la spinta
proveniente da queste popolazioni che nel 770 a.C. determinò la caduta della capitale Zhou e che costrinse la
dinastia a riparare in una nuova capitale, più spostata verso oriente, lontana dal raggio d’azione delle
popolazioni barbare del Nord. Questo trasferimento segna la fine del periodo degli Zhou occidentali e
l’inizio di quello degli Zhou orientali.
Il periodo degli Zhou orientali (770-249 a.C.) è chiamato dalla storiografia cinese tradizionale periodo delle
Primavere e degli Autunni, è si contraddistingue in maniera netta dal precedente periodo degli Zhou
Occidentali. Si tratta invero di un momento di transizione tra il grande capitolo della Cina arcaica
(caratterizzato dal sistema di potere basato sul mandato divino e i rapporti famigliari e contraddistinto
dall’unità dalla nazione sotto l’autorità dei sovrani dinastici), ed un nuovo periodo, detto periodo degli stati
combattenti, nel quale il vecchio sistema crolla e la forza militare diventa la sola giustificatrice del potere.
Il periodo della dinastia Zhou risulta diviso così in due grandi capitoli: quello degli Zhou occidentali, che
sono sotto tutti i punti di vista una parte della grande storia della Cina arcaica (e che anzi ne rappresenta
l’apice), e quello degli Zhou orientali, a sua volta diviso fra periodo delle primavere e degli autunni, nel
quale il sistema di potere della Cina arcaica si sgretola per far posto ai nuovi equilibri che si formano
durante il periodo degli stati combattenti, il quale si conclude con la riunificazione della Cina e la
fondazione del Primo Impero. Con questo atto cessa l’età della Cina arcaica ed inizia quella della Cina
imperiale.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Cina 3. Il periodo degli Zhou orientali, il periodo delle primavere e degli
autunni
Con la caduta della capitale Zhou occidentale nel 770 a.C. ad opera di popolazioni provenienti dal Nord,
inizia il periodo degli Zhou orientali e così anche quello definito delle primavere e degli autunni. Il bacino
del Fiume Giallo (che costituiva la culla del mondo cinese) era allora suddiviso in vari principati, forse più
di un centinaio, che si alleavano e si combattevano in una situazione di costante conflittualità. Ogni
annessione o cessione doveva però essere sanzionata dal re Zhou per divenire valida; è attorno a
quest’ordine condiviso (che come abbiamo detto si fondava su ragioni religiose e di lignaggio) che poggiava
il sistema politico del regno Zhou: il re, nonostante l’indebolimento militare della dinastia, conseguente al
trasferimento da occidente ad oriente, continuava ad avere un prestigio sufficiente a dirimere le controversie
più grandi e a mantenere compatto il regno.
La situazione si deteriorò attorno al seicento (VII secolo a.C.), quando in conseguenza di grandi mutamento
economici e sociali il mondo cinse divenne notevolmente più grande. In particolare quelle entità periferiche
che fino ad allora erano rimaste ai margini o della vita politica dei principati del bacino del Fiume Giallo -e
che nel frattempo si erano notevolmente rafforzate sia economicamente che militarmente- cominciarono a
prendere parte attiva ai giochi di potere fra i principati. Questi regni periferici (in questa prima fase
soprattutto il regno meridionale di Chu), erano considerati barbari dai principati del dominio Zhou, ma
avevano assimilato gli elementi fondamentali del mondo cinese e ormai vi erano legati economicamente e
socialmente.
Per far fronte all’aggressività dei nuovi regni periferici -in una situazione in cui la dinastia non aveva quasi
forza militare- i principati Zhou si riunirono in un’alleanza difensiva (680 a.C.) guidata dal duca Huan,
signore del principato di Qi. Nel 651 a.C. il regno “barbaro” di Chu fu sconfitto dalla coalizione e costretto a
versare tributi alla corte Zhou, mentre il duca Huan veniva proclamato signore egemone del regno Zhou. La
nascita dell’egemonia costituiva la sanzione ufficiale dei nuovi rapporti di forza all’interno del regno Zhou:
il re Zhou rimaneva la suprema autorità religiosa, ma il potere effettivo passava a chi poteva imporlo con la
forza della armi. La Cina arcaica era ormai al crepuscolo.
Per un certo tempo l’assetto politico del regno ruotò attorno all’istituzione dell’egemonia, ma ben presto
l’emergere di altri due nuovi regno nel Sud (Wu e Yue) portò ad una nuova situazione di incertezza che
completò il processo di esautorazione del potere della dinastia Zhou. Prima dell’ingresso nello scacchiere
dei nuovi stati “barbari”, le guerre fra i vari signori avevano sempre seguito certe regole: l’obbiettivo non
era l’annessione pura e semplice di un altro territorio, ma l’accumulazione di un prestigio che garantiva delle
prerogative in base all’ordine tradizionale, il quale continuava ad avere nella figura del re Zhou la sua
giustificazione e la sua garanzia. A partire dal V secolo questa situazione conobbe un veloce cambiamento,
connesso ai profondi mutamento economici, sociali ed istituzionali in atto nei vari principati. I più potenti
fra questi si andavano infatti trasformando in veri e propri Stati, con complessi apparati e strutture di potere
che non si conformavano più ai tradizionali rapporti gerarchici fondati sulla parentela che avevano costituito
il collante dei regni delle tre dinastie della Cina arcaica.
In questa situazione, nel 453 a.C. dopo una serie di conflitti che si erano protratti per parecchi anni, il
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Cina territorio dell’importante principato di Jin venne spartito fra gli importanti casati aristocratici Wei, Zhou e
Han, senza che il re Zhou (contrario alla cosa) potesse in qualche modo opporvisi. Pur nella discrezionalità
della periodizzazione storica non è quindi casuale la scelta della spartizione di Jin come data d’inizio del
periodo degli stati combattenti.
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Storia della Cina 4. Stati cinesi combattenti
La spartizione di un principato importante co-me Jin fu accompagnata da una degenerazione della lotta fra i
vari principati, che divenne più aspra man mano che gli antichi codici di comportamento venivano
abbandonati; l’ultimo monarca Zhou fu deposto nel 249 a.C., ma come abbiamo visto il potere dei re
dinastici era già da tempo decaduto. I conflitti cominciarono ad assumere il carattere di guerre totali, il cui
obbiettivo era l’annientamento dell’avversario. Il periodo degli stati combattenti vide perciò una progressiva
riduzione del numero di entità politiche in lotta per la supremazia, poiché quelle più grandi fagocitarono ben
presto quelle più piccole. La storiografia cinese tradizionale suole annoverare in quest’epoca sette potenti
regni (vedi cartina sovrastante): Zhao, Han, Wei, Qui, Qi, Yan e Chu.
Dopo svariate vicende e molti decenni di guerre, sui quali per brevità non ci soffermeremo, uno dei sette
regni riuscì ad acquistare una netta posizione di predominio, arrivando ad un estensione superiore a quella di
tutti gli altri messi assieme; si trattava del regno di Qui, quello del film che ho visto in tv, durante la prima
metà del III secolo avanti Cristo. Da questo momento in poi tutti gli sforzi del regnò di Qui si concentrarono
nella realizzazione di un sogno, quello della riunificazione della Cina, o meglio del tianxia (letteralmente:
tutto ciò che sta sotto il cielo). Per realizzare questo sogno Qui ricorse ad ogni mezzo, dallo scontro militare
alla manovra diplomatica, dall’inganno all’assassinio degli avversari. La fase conclusiva di tale processo,
che iniziò con l’ascesa al trono di Qui di un re dotato di eccezionali capacità strategiche e politiche, Ying
Zheng, nel 246 a.C., si concluse nel 221 a.C., quando dopo una serie di vittoriose campagne militari, Ying
Zheng realizzava finalmente l’unificazione della Cina e la fondazione del Primo Impero.
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Storia della Cina 5. Economia e società cinese nell’età del ferro
Il periodo degli stati combattenti coincise in Cina con il passaggio dall’età del bronzo a quella del ferro.
L’artigianato era già al tempo della dinastia Shang un settore molto sviluppato in Cina, principalmente a
causa dalla grande richiesta di bronzi per le operazioni rituali e di generi di lusso da parte delle elite. Non
stupisce quindi che i cinesi, così esperti nella lavorazione del bronzo, siano riusciti ad ottenere la fusione del
ferro 1500 anni prima che essa fosse inventata in Europa, dove fino all’età moderna l’unico metodo di
lavorazione del ferro rimase la forgiatura, che consiste nello scaldare il farro in modo da renderlo
modellabile a martellate.
La padronanza dei procedimenti per la fusione del ferro, accompagnata da un sistema di officine già esteso
grazie alla forte richiesta di materiali in bronzo, permise ai cinesi di produrre grandi quantità di utensili ed
armi in ferro a prezzi relativamente bassi. Le implicazioni di questo furono enormi: in agricoltura si
diffusero dopo millenni di grande arretratezza strumenti efficaci e aratri trainati da buoi (sembra che
precedentemente si usassero solo strumenti in legno). Si ritiene che la produttività agricola sia aumentata in
maniera molto consistente e siano state adottate anche nuove tecniche di fertilizzazione e di scelta delle
culture.
All’innovazione del ferro si uniscono, sommandosi, anche i mutamento socio-politici a cui abbiamo già
parzialmente accennato. L’abbandono dell’antico sistema di potere famigliare si tradusse in un processo di
accentramento del potere ed estensione degli apparati burocratici: si formarono dei veri e propri stati, divisi
in province e distretti, in grado di intervenire efficacemente nell’organiz-zazione economica e sociale,
promuovendo l’economia e favorendo il commercio. Sono di questo periodo le immense opere
infrastrutturali che costituiscono da sempre uno dei ruoli tradizionali dello stato in Cina. Lo stato di Qui ad
esempio realizzò un canale di 150 chilometri irrigando 40mila ettari di terreno; lo stesso fu fatto in un'altra
regione per mezzo di una diga, trasformandola in una delle più fertili della Cina. In alcuni stati furono varate
riforme per favorire la piccola proprietà contadina; editti limitarono il potere dell’aristocrazia o resero certe
cariche importanti dipendenti dal merito e non dal lignaggio. Alcuni riformatori pagarono con la vita la loro
opera, uccisi da sicari delle famiglie nobili o vittime dei complotti di corte; ma in ogni caso a prevalere
furono proprio quei regni che seppero riformarsi per favorire il commercio (che divenne importantissimo) e
l’agricoltura, oltre che la riorganizzazione centralizzata del potere e la creazione di eserciti grandi e moderni,
condotti da generali capaci e spesso anche reclutati per leva.
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Storia della Cina 6. Confucio e la crisi di valori della società cinese
Abbiamo già ribadito più volte come il periodo delle primavere e degli autunni e quello degli stati
combattenti, siano stati momenti in cui l’antica tradizione veniva abbandonata e in cui la società cambiava
senza che un nuovo equilibrio apparentemente si producesse. Nel periodo degli stati combattenti la necessità
di elaborare una nuovo e condiviso sistema di valori, che purificasse gli uomini in un periodo dominato solo
da cupidigia e sete di potere si fece particolarmente pressante. Fu nel tentativo di colmare questa esigenza
che numerosi maestri di morale e teorici della politica si recarono da una corte all’altra per prestare la loro
opera di consiglieri e di precettori. I più famosi erano seguiti da orde di discepoli che presto si trasformarono
in vere e proprie scuole. I capi di stato li ospitavano e cercavano di evincere dal loro insegnamento nuovi e
migliori strumenti per governare il loro regno e sconfiggere gli avversari.
Questi pensatori si interessavano di argomenti anche molto diversi: alcuni si occupavano quasi
esclusivamente di questioni tecniche (come rendere efficace l’amministrazione, le leggi), altri di tattiche
militari, altri della natura del buon governo e del sovrano ideale; ma altri ancora elaborarono filosofie mirate
alla salvezza dell’individuo che ripudiavano addirittura l’aspetto politico e sociale. Esisteva una scuola che
praticava il pacifismo e altre che teorizzavano la necessitò di una sottomissione piena dei sudditi al sovrano.
Si speculava sulla giustificazione del potere, sul mandato celeste. Ma la maggior parte dei pensatori si
occupava di morale, di valori, di retto comportamento. L’insegnamento era indirizzato a coloro i quali
governavano o avrebbero in futuro governato, con l’obiettivo di istruirli moralmente così da ottenere un
futuro di pace e prosperità.
Questo era l’obiettivo del più famoso pensatore di quel tempo, Kong fuzi, conosciuto oggi con il nome
latinizzato di Confucio. Nato nel principato di Lu (Shandong) nel 551 a.C. da una famiglia aristocratica di
lignaggio ormai decaduto, Confucio insegnava l’antica saggezza ai suoi contemporanei in un epoca di
ignoranza: “io trasmetto e non creo, credo negli antichi e li amo” è la sua frase più famosa. Nonostante sia
probabilmente stato costretto a svolgere anche lavori umili per povertà della famiglia, la sua nascita gli
consentì ugualmente di accedere all’istruzione classica nobiliare, allora fondata sulle sei arti: i riti, la
musica, il tiro con l’arco, la guida dei carri, la calligrafia e la matematica. A partire dal 501 Confucio ricoprì
vari ruoli di consigliere e funzionario nel principato di Lu, ma si dice che lo lasciò presto seccato dalla
frivolezza del duca di Lu. Iniziò quindi una peregrinazione per le corti della Cina prestando la sua opera di
consigliere, ma, accortosi del’inutilità della cosa, tornò nel 483 al suo paese natale dove si dedicò
all’insegnamento privato e alla revisione e trascrizione dei testi antichi. Ben presto però raggiunse notorietà
e attorno alla sua persona si formò una vera e propria scuola. Oggi, nonostante l’importanza del
confucianesimo nella storia cinese, è molto difficile stabilire cosa effettivamente insegnasse Confucio,
perché nonostante la tradizione gli attribuisca svariate opere, su ognuna di queste pesa il fondato sospetto di
essere stata critta da un suo discepolo o addirittura qualche secolo dopo. La scuola confuciana (che alla
morte del mastro si divise in più ramificazioni, anche molto diverse), consiste tuttavia in una serie di
elementi base che costituiscono i capisaldi dell’insegnamento morale confuciano.
In primo luogo esiste un dao (= via) che costituisce il principio fondamentale dell’universo e al quale tutto
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Storia della Cina deve uniformarsi, sia gli uomini che le cose. Ciò poteva essere fatto seguendo gli insegnamenti contenuti nei
testi antichi (dinastia Shang e Zhou, forse addirittura precedenti) che venivano trasmessi da una “casta” o
ceto di sacerdoti o “specialisti” (il termine cinese che identifica questo gruppo è controverso). Ogni
individuo doveva seguire il suoi li (= codice di comportamento) che operava in tutti i rapporti sociali, sia
quelli fra sovrano e sudditi, sia fa padre e figlio, marito e moglie: “il principe sia principe, il padre sia padre,
il figlio figlio”.
C’è in Confucio una volontà di ripresa della struttura di potere per lignaggio (rapporti di parentela) propria
della Cina arcaica, che però è integrata con elementi etici nuovi, ascrivibili alla sfera personale. O meglio:
all’individuo, il quale occupa una certa posizione in virtù della sua nascita che deve rispettare (li); viene
aggiunto anche un secondo obbligo, consistente nel conformarsi sinceramente ad un comportamento morale
ed etico derivante dalla sua stessa posizione. La nobiltà di nascita è il prerequisito per governare, e la
rettitudine di spirito e di comportamento il suo complemento, senza il quale il potere di governo non è
legittimato. O detto in altri termine: solo il virtuoso al suo li (cioè al suo codice di comportamento morale ed
etico) è legittimato a governare.
Connesso al li, o meglio proprio del li di tutti gli uomini e i ceti è l’obbligo ad osservare il rem (umanità e
benevolenza verso il prossimo), e il ren, che è una forma di rispetto verso l’individuo (e quindi anche verso
se stessi) varia di intensità a seconda dei rapporti in considerazione: aumentando verso coloro che sono a noi
superiori nella scala sociale o nella famiglia e diminuendo verso coloro che ci sono inferiori. Il suddito verso
il re, il figlio verso il padre e viceversa in senso opposto. Ugualmente importanti lo zhong (lealtà) e lo shu
(reciprocità), condensato quest’ultimo nella celebre massima “di non fare agli altri ciò che non desideri sia
fatto a te”.
I rapporti interindividuali erano divisi in cinque categorie, ognuna contraddistinta da una precisa virtù da
osservare. Nel primo di questi rapporti, quello fra padre e figlio si osservava la virtù della pietà filiale; nel
rapporto fra sovrano e suddito quella della giustizia; fra fratello maggiore e fratello minore la virtù del
rispetto per i superiori; fra marito e moglie la distinzione (e io non ho capito cos’è); infine l’unico rapporto
paritario, l’amicizia, alla quale corrisponde la fedeltà.
L’osservazione di queste norme morali era l’osservazione del dao, la giusta via. In un periodo in cui le lotte
per il potere insanguinavano la Cina, Confucio predicava il rispetto per il proprio ruolo e per l’autorità da
parte dei sudditi e dei ministri di corte; e la fedeltà alla virtù per i principi ed i re, affinché essi fossero di
esempio al popolo e affinché il loro governo fosse giusto ed equo.
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Storia della Cina 7. Fondazione e consolidamento del primo impero cinese (221 a.C. -
9 d.C.)
Nel 221 a.C. il re Qin Ying Zheng riusciva finalmente a realizzare il sognò dell’unificazione della tianxia,
letteralmente: tutto ciò che sta sotto il cielo. Era il Primo Impero cinese. Corollario di questa gigantesca
impresa fu l’incoronazione di Ying Zheng con il magnifico titolo di shi huangdi, primo imperatore. Si
trattava di un titolo importante, e l’usarlo poteva quasi sembrare uno sprezzo verso la tradizione: la parola
huang era stata fino ad allora usata solamente per indicare i sovrani della più remota antichità, quelli che
avevano dato origine alla civiltà umana; mentre il titolo di, era, presso gli Shang, indicativo degli antenati
oggetto di culto e degni di venerazione religiosa. Si comprende dunque come Ying Zheng, ribattezzandosi
Shi Huangdi, intendesse sottolineare l’insta-urazione di un ordine nuovo, destinato a regnare nell’onore e
nella gloria per diecimila generazioni.
Ma realizzare un impero, per quanto arduo possa essere, è sempre solo la prima tappa nella costruzione di
una grande impresa: la tappa successiva è renderlo compatto ed unito, far si che possa sopravvivere al suo
primo inverno. Shi Huangdi si dedicò all’edificazione del suo impero con la stessa dedizione e abilità con le
quali aveva portato avanti l’unificazione della tianxia, ma anche con la stessa tremenda spregiudicatezza.
Yang Zheng era un abilissimo uomo politico, intelligente e capace, ma era anche privo di scrupoli nel
raggiungimento dei suoi obiettivi. Il consolidamento dell’Impero fu quindi condotto senza esitazioni di
sorta.
Assieme al suo primo ministro Li Si, con il quale Shi Huangdi era in perfetta sintonia, furono varate una
grande serie di riforme ed interventi che, nell’arco di pochi anni, sarebbero riuscite a trasformare i vecchi
‘stati combattenti’ in un’entità statale unita ed omogenea. Shi Huangdi non fu solo l’unificatore della Cina,
ma anche il suo primo timoniere; furono le sue riforme a plasmare la struttura del Primo Impero.
Gli obiettivi fondamentali erano due: il consolidamento dell’unificazione degli immensi territori conquistati,
e la centralizzazione del potere. Il forzato trasferimento nella capitale imperiale di oltre 120mila famiglie
aristocratiche e la suddivisione del territorio in governatorati che non rispettavano i vecchi confini, sancì la
fine di ciò che rimaneva della precedente organizzazione politica. I sistemi di misura, quelli monetari, quelli
di scrittura, vennero unificati; vennero tacciate nuove strade e nuovi canali per le comunicazioni fluviali. Le
guerre di pacificazione tuttavia continuarono per molti anni: le aristocrazie e le popolazioni dei vecchi stati
insorsero spesso contro il nuovo potere, ma alla fine, le truppe imperiali ebbero ragione di ogni resistenza.
Sembrava che nulla potesse fermare gli eserciti di Shi Huangdi (Ying Zheng): essi si spinsero a Sud
arrivando a conquistare regioni che fino ad allora erano state solo ai margini del mondo cinese, come al
piana di Hanoi, nel Vietnam settentrionale. Nel Nord gli eserciti imperiali mossero finalmente contro le tribù
dei cacciatori nomadi, che avevano cominciato ad unirsi nella prima grande confederazione di allevatori
della storia, la Xiongnu. Queste tribù di allevatori-cacciatori non appartenevano al mondo cinese, ma da
secoli erano in contatto con esso, spesso pacificamente ma altrettanto spesso ostilmente, rendendosi
responsabili di incursioni e razzie anche su grande scala. Shi Huangdi fece unificare tutte le muraglie già
erette presso i confini settentrionali dei vecchi regni di Qui, Zhao e Yan, creando così la prima Grande
Muraglia cinese, lunga già allora più di 5000 chilometri, dal Gansu fino alla costa del Liaodong.
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Storia della Cina Contemporaneamente, nel 213 a.C., un esercito di centomila uomini sconfiggeva gli Xiongnu e li ricacciava
più a Nord.
Difesa, pacificazione e conquista si fusero assieme sotto il regno di Shi Huangdi, ma i costi di questi
successi, così come le gigantesche opere infrastrutturali e gli sfarzosi palazzi che furono edificati nella
capitale (di cui oggi non rimane però quasi nulla), costarono sacrifici enormi ai contadini di tutto l’impero,
che dovettero, oltre alle tasse, abbandonare i campi per combattere o realizzare le opere infrastrutturali. Per
mantenere la pace interna e il proprio potere Shi Huangdi e Li Si ricorsero a leggi ferree, applicandole senza
scrupoli. Così, ad esempio, nel 212 a.C., quattrocentosessanta letterati e sapienti provenienti da tutto
l’Impero furono sepolti vivi perché avevano violato il decreto che imponeva di non rifarsi alla tradizione. Un
anno prima infatti, nel tentativo di cancellare il passato per la gloria del presente, Shi Huangdi aveva
ordinato di bruciare tutti i testi antichi che non trattassero di argomenti tecnici o scientifici; una copia di
questi testi sarebbe stata conservata nella biblioteca imperiale ad uso esclusivo delle alte cariche del
governo. Chiunque poi, avesse osato criticare il presente sulla base della tradizione, sarebbe stato sepolto
vivo assieme alla sua famiglia. Lo stesso principe ereditario fu esiliato per aver espresso critiche a questa
politica.
Come detto dei palazzi imperiali non è rimasto quasi nulla, ma dall’estensione della area dei resti è
facilmente intuibile la loro grandezza. Deduzione che risulta verificata dallo straordinario ritrovamento di un
immenso monumento sotterraneo accanto al mausoleo dell’imperatore; in esso è contenuto un intero esercito
di statuette di terracotta raffigurante soldati dell’epoca in grandezza naturale, fieramente schierate a difesa
del corpo di colui che si era incoronato come il Supremo Antenato dell’Impero cinese, la cui dinastia
avrebbe regnato per diecimila generazioni.
In realtà però la dinastia di Shi Huangdi (Ying Zheng) non sopravisse al suo trapasso, avvenuto nel 210 a.C.
L’eccesiva durezza delle sue leggi e la spietatezza con cui le fece applicare segnarono la benevolenza verso i
suoi eredi dopo che egli fu morto. A corte le lotte per il potere iniziarono subito a moltiplicarsi e una grande
rivolta popolare, scoppiava nel 209 a.C. si diffuse rapidamente al resto del paese. L’iniziativa della rivolta
era stata presa da due contadini che, mentre si stavano dirigendo assieme ad altre reclute verso al frontiera
settentrionale per presentarsi a servizio, furono bloccate dalla pioggia con il rischio di arrivare in ritardo. La
durissima legge imperiale prevedeva in questi casi la pena di morte senza attenuanti, così, al piccolo gruppo
costretto all’insurrezione si aggiunsero ben presto moltissimi altri contadini stanchi delle troppe vessazioni.
Estesasi fino a diventare incontrollabile la rivolta ebbe il sopravvento nel 206 a.C., quando il nipote erede di
Shi Huangdi, Zi Ying, si arrese consegnando la capitale imperiale a Liu Bang, un uomo di umili origini
divenuto frattanto leader della rivolta. La prima dinastia dell’Impero cinese era stata stroncata.
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Storia della Cina 8. La dinastia degli Han occidentali (206 a.C. - 9 d.C.)
Subito dopo la presa della capitale imperiale i contrasti fra Liu Bang e Xiang Yu (l’altro principale leader
della rivolta), esplosero in un conflitto che vide, dopo un iniziale vittoria del secondo, la rivincita di Liu
Bang nel 202 a.C. Questi, ormai privo di rivali, assunse il titolo di imperatore e fondo la dinastia Han. La
sua ascesa al trono costituisce un fatto di eccezionale importanza: Liu Bang era -come si è già detto- un
uomo di umili origini, senza nessun legame con l’antica aristocrazia che da millenni governava i territori
della Cina. Il fatto che un simile uomo fosse potuto diventare imperatore disegna la misura delle
trasformazioni avvenute durante il periodo degli stati combattenti e, ancor più, durante il regno di Shi
Huangdi quando l’aristocrazia fu svilita nel prestigio e nel potere.
Liu Bang -che sarebbe poi stato ribattezzato ‘gaozu’, sublime antenato- rese presto stabile la sua posizione
assegnando ai suoi comandanti militari una buona metà dei governatorati che componevano l’Impero. Essi
assunsero i titoli di re e anche la facoltà di disporre di un proprio esercito, governavano con larga autonomia
ma dovevano sempre rispettare la volontà dell’imperatore. Nei primi anni di regno questa situazione
produsse numerosi conflitti di potere fra i re locali e il potere centrale, ma nel 196 a.C., conclusasi questa
fase di assestamento, Liu Bang risolse il problema uccidendo i re locali ed istaurando al loro posto membri
della sua famiglia.
Nel 195 a.C. Liu Bang morì ed il potere, sebbene nelle mani di suo figlio, fu in realtà esercitato dalla sua
vedova, una donna spietata che ricorse ad ogni mezzo per aumentare il suo potere. Alla morte di questa il
potere ritornò rapidamente ai figli di Liu Bang che amministrarono l’Impero seguendo la strada già tracciata
dal padre, mirante in primo luogo a ristabilire le basi finanziarie dell’Impero. A quel tempo era dominate la
teoria “fisiocratica” e quindi Liu Bang si adoperò affiche i contadini non fossero distolti dal lavoro agricolo
per il servizio militare o per le grandi opere pubbliche. L’enorme peso fiscale e lavorativo che avevano
dovuto sopportare sotto Shi Huangdi fu sensibilmente ridotto (l’imposta fondiaria venne ridimensionata ad
1/15 del raccolto da Liu Bang e a 1/30 dai suoi successori) e a corte il contenimento delle spese divenne una
parola d’ordine. Anche per la politica estera fu adottata una linea tesa al risparmio: le grandi e costose
campagne di conquista che avevano caratterizzato l’epoca di Shi Huangdi furono abbandonate in favore di
una politica di pace che tollerava anche la formazione di regni autonomi ai confini dell’Impero. In
particolare fu adottata una politica estremamente conciliante, e a volte quasi arrendevole, nei confronti degli
Xiongnu, la confederazione di tribù di allevatori nomadi. Gli imperatori Han inviarono loro doni e mogli di
sangue reale, ma neppure questa politica di amicizia riuscì a distogliere gli Xiongnu dal compiere continue
scorrerie in territorio cinese, razziando le città e devastando i campi. Essi erano all’apice della loro potenza,
il loro impero-confederazione si estendeva su tutto il territorio dell’odierna Mongolia sconfinando sia verso
est che verso ovest nelle odierne Manciuria e Xinjiang.
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Storia della Cina 9. L’imperatore Wudi
L’ascesa al trono nel 140 a.C. dell’imperatore Wu-Ti segnò un punto di svolta in questa politica. Nel corso
del suo regnò, durato oltre cinquant’anni, il governo imperiale riprese l’iniziativa sia sul fronte interno che
su quello esterno, in nome di una concezione del potere imperiale che per molti versi ricordava quella
grandiosa di Shi Huangdi. In merito al primo, l’imperatore risolse l’eterno conflitto con i re locali emanando
un decreto che imponeva, alla morte di ogni re, di dividere il suo governatorato fra tutti i suoi eredi maschi. I
governatorati iniziarono quindi a frammentarsi in tante piccole entità sempre più scevre di potere, mentre la
carica di re diventava un titolo meramente onorifico. La struttura dell’Impero tornò in poco tempo ad essere
accentrata.
Sul piano esterno il primo obiettivo di Wu-Ti fu di risolvere definitivamente il problema degli Xiongnu. Nel
129 a.C. fu lanciata una massiccia offensiva militare che avrebbe portato due anni dopo alla riconquista
dell’Ordos (zona della Mongolia Interna) e all’istituzione nella provincia di due governatorati, con il
trasferimento di centomila coloni per popolarli. L’esercito imperiale proseguì quindi la sua campagna verso
Ovest, conquistando la regione strategica del Gansu (dove furono istituiti altri governatorati) e costringendo
così i Xiongnu a fuggire verso Nord. L’importanza strategica e commerciale dei territori occidentali
(pressappoco l’odierno Xinjiang) divenne sempre più chiara al governo imperiale. Mentre si stabilivano
strette relazioni diplomatiche con i principati del Bacino del Tarim, un grande corpo di spedizione si
spingeva fino alla valle del Ferghana, nell’odierno Uzbekistan per imporre un contratto commerciale. Il
dominio Han in Xinjiang non si tradusse comunque in annessioni territoriali dirette: i signori locali
mantennero la loro indipendenza, ma dovettero riconoscere l’alta autorità dell’imperatore cinese, inviandogli
doni e recandosi periodicamente a rendergli omaggio. Una serie di guarnigioni, sostenute da colonie militari
e insediate in punti strategici (per lo Xinjiang passava la via della seta), vigilavano affinché la pace non
venisse turbata (101 a.C.).
Sempre l’intenzione di chiudere i conti con gli Xiongnu determinò la campagna militare in Manciuria. Dal
109 al 106 a.C. l’esercito imperiale conquistò Manciuria meridionale e Corea settentrionale, dove furono
istituiti altri quattro governatorati. Dalla corea la cultura cinese si sarebbe diffusa nell’arcipelago
giapponese.
L’espansione verso Sud fu invece con tutta probabilità dettata da ambizioni commerciali; si riteneva infatti
che esistesse un passaggio diretto fra le province cinesi di Sud-Ovest (Sichuan e Yunnan) con i territori
dell’India; tuttavia in pochi anni la campagna si trasformò in un grande processo di conquista in cui furono
annesse all’Impero tutte le attuali province meridionali cinesi (Yunnan, Guangxi, Guangdong, Fujian) oltre
al Vietnam settentrionale (piana di Hanoi). Nel 111 a.C. le armate di Wu-Ti sconfissero il regno di Nanyue
(“Viet Nam” in lingua vietnamita), sorto nel 207 a.C. al tempo delle operazioni militari di Shi Huangdi ed
esteso nei territori della piana di Hanoi, e delle attuali Guangxi e Guangdong. Nel 110 a.C. fu la volta del
regno degli Yue di Ming, situato nello Fujian; e nel 109 toccò al regno di Dian, nello Yunnan. L’intera Cina
meridionale era ora inglobata nell’Impero, diventato ormai una vera e propria potenza egemone.
Wu-Ti non commise gli errori di Shi Huangdi ed evitò che i grandi costi delle guerre ricadessero sui
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Cina contadini. Le campagne militari furono finanziate da un lato, riducendo l’autonomia fiscale delle autorità
locali accentrando il potere, e dall’altro -e in questo Wudi fu un vero innovatore- tassando i marcanti e
coinvolgendo direttamente lo stato nelle attività commerciali più redditizie. I mercanti avevano negli ultimi
decenni accumulato enormi fortune speculando sulla coniazione della moneta, sul sale, sul ferro, sui cereali
e sulle bevande alcoliche; molti di loro si erano dati all’usura ed ora acquistavano anche i terreni dei
contadini indebitati. Wu-Ti istaurò il monopolio statale sulla moneta, sul ferro, sul sale e sull’alcol, con il
duplice obiettivo di rinvigorire le casse dello stato e limitare il potere di una categoria sociale sempre più
potente e destabilizzante. Questa impostazione dialogava con la politica estera, che divenne sempre più
mirata al controllo e allo sfruttamento (da parte dello stato) delle vie commerciali più importanti.
Se Shi Huangdi (Ying Zheng) fondò l’Impero, si può affermare che Wu-Ti lo rese universale, portando i
suoi confini ai limiti del mondo conosciuto e dotandolo di un’ideologia -il confucianesimo, adattato e
integrato anche da altre dottrine- che ne ricollegava le origini all’antichità remota. Con Wu-Ti la civiltà
cinese uscì definitivamente dal bacino dello Huang He (Fiume Giallo) per imporsi come modello a tutti i
popoli confinati. Nonostante tutta l’evoluzione dei secoli successivi, queste idee-forza avrebbero fortemente
condizionato il futuro sviluppo dell’Impero.
Il resto della dinastia Han
L’imperatore Wudi morì nell’87 a.C. e al trono salì suo figlio di appena otto anni. Il governo fu quindi retto
dalle alte cariche dello stato che proseguirono sulla strada tracciata da Wu-Ti. In questi anni era molto
acceso il dibattito fra sostenitori della linea realista e della ragion di stato, che appoggiavano la politica
economica inaugurata da Wu-Ti (difesa delle frontiere, intervento dello stato nei settori commerciali più
redditizi e tassazione dei mercanti) con quella dei confuciani, che invece erano sostenitrici di un approccio
fisiocratico e di una politica estera di basso profilo. Anche il regno successivo, quello dell’imperatore
Xuandi (73-49 a.C.) fu caratterizzato da questo grande dibattito. Xuandi optò per una politica mista, anche
perché durante il suo regnò il problema degli Xiongnu divenne meno stringente: la loro confederazione si
era infatti spaccata nel corso di una violenta lotta tribale, dalla quale erano emersi gli Xiongnu meridionali,
che si sottomisero agli Han nel 53 a.C., e gli Xiongnu settentrionali, che furono presto respinti oltre i
confini settentrionali della Mongolia.
Anche i successori di Xuandi adottarono politiche miste, ma durante i loro regni si assistette al progressivo
indebolimento delle istituzioni imperiali. I confuciani conquistarono molte delle postazioni chiave, mentre il
potere reale stava passando nelle mani degli eunuchi e dei parenti delle imperatrici. La moglie del
successore di Xuandi in particolare, riuscì ad impadronirsi del potere effettivo per quasi sessantenni; nel
corso di questo periodo suo nipote, Wang Mang, consumò la sua scalata al potere e, dopo la morte degli
ultimi eredi di Xuandi nel 5 d.C., riuscì a farsi proclamare reggente e fondare una nuova dinastia nel 9 d.C..
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Cina 10. Il ruolo dell’ideologia nel primo impero cinese
Nella millenaria storia della Cina non vi è mai stata una chiesa organizzata in grado di influenzare il potere
politico in maniera paragonabile alla Chiesa cattolica in Europa. Le religioni e le filosofie in Cina sono state
connesse al potere politico in maniera diversa. Il potere politico ha sempre goduto di una sorta di primato,
che, al più, poteva essere rafforzato tramite la concordanza con una dottrina o attraverso dei riti sacri. Così
anche il culto degli antenati, oltre all’indubbio valore sacrale e religioso intrinseco, trovava una sua
motivazione anche dal punto di vista politico e sociale, come uno dei riti che contribuivano a stabilizzare
l’ordine sociale esistente.
Si è già visto come il complesso dei rituali avesse un ruolo chiave nella Cina arcaica delle tre dinastie. Il
periodo delle primavere e degli autunni, con i suoi profondi sconvolgimenti politici e sociali, contribuì ad
interrompere (ma non a uccidere) l’antica tradizione. Nel relativismo delle Mille Scuole, che sorsero e si
svilupparono in quel periodo, va ricercata la fondazione del nuovo ordine ideologico da cui si evolverà la
filosofia politica e la giustificazione filosofica del Primo impero.
Shi Huangdi rappresentò una soluzione di continuità, la volontà di abbandonare la vecchia tradizione per
istaurare un nuovo ordine, basato principalmente sugli assunti della scuola leghista. Senza un maestro
iniziatore e di collocazione temporale incerta (forse IV secolo a.C.), la scuola leghista (vedi pag. 111) era
probabilmente nata per risolvere obiettivi pratici di governo e i suoi maestri prestavano il loro consiglio ai
vari principi. Successivamente deve essere avvenuta l’elaborazione teorica, i cui assunti ricordano in un
certo qual modo il machiavellismo. Il buon governo si otteneva quando il sovrano accentrava in se tutto il
potere ed emanava un codice legislativo in grado di essere applicato macchinalmente a tutte le situazioni. I
saggi e gli uomini virtuosi sarebbero quindi stati sostituiti dall’applicazione automatica della legge.
L’importate è che accanto alla scala delle pene prevista per i nemici dello stato, vi fosse anche una scala di
ricompense per i suoi servitori. La natura cattiva dell’uomo, il suo egoismo, doveva essere accattato come
un fatto di natura e sfruttato a suo vantaggio dal sovrano, attraverso lo strumento della tattica. La tattica
consisteva nell’abilità di saper utilizzare a vantaggio dello stato l’egoismo e le vanità dei propri sudditi e dei
propri amministratori, lasciandoli sempre all’oscuro delle propri reali intenzioni (intenzioni del sovrano). Il
leghismo giustificava il potere in base ai risultati che esso riusciva a conseguire in termini di bene generale e
non in termini religiosi o filosofici.
Si tratta ancora oggi di una speculazione tutt’altro che chiusa, e infatti il leghismo sopravisse -soprattutto
come pratica di governo, anche alla morte di Shi Huangdi, l’imperatore che ne aveva fatto al dottrina
ufficiale dell‘Impero. Liu Bang e i suoi eredi non si occuparono molto di ideologia, e nell’Impero le varie
tendenze continuarono a svilupparsi senza che la corte ne favorisse una in particolare. Il punto di svolta fu
ancora una volta l’ascesa al trono di Wu-Ti che, pur essendo nei fatti l’imperatore più leghista di tutta la
dinastia Han, eresse il confucianesimo a dottrina ufficiale dell’Impero, recuperando idealmente, attraverso
esso, quel rapporto con la tradizione (Cina arcaica) che Shi Huangdi aveva così arbitrariamente deciso di
interrompere. Confucio soleva dire “io non creo niente, amo li antichi e li insegno”. Il Confucianesimo -già
ampiamente diffuso all’epoca di Wu-Ti, era per antonomasia la dottrina della tradizione, la più autorevole e
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Cina stimata dai saggi. Wudi ne fece la colonna portante e l’ideologia unificatrice dell’impero, la sua unità
culturale. Questa scelta sarebbe sopravissuta alla sua morte e avrebbe influenzato in maniera significativa
l’evoluzione del Impero fino alla rivoluzione borghese del 1911.
La fortuna del confucianesimo non si deve però solo alle scelta di Wu-Ti: il recupero del passato è sempre
una cosa importante e il confucianesimo fu sempre (per tutti i duemila anni dell’Impero), oggetto di
rielaborazioni continue, atte a renderlo adeguato ai tempi o alle necessita dell’elite dominate. Anche il
confucianesimo introdotto da Wu-Ti era ormai profondamente differente da quello originario del maestro
risalente al 500 a.C. L’elaborazione consisteva nell’interpretazione dei cinque testi attribuiti dalla tradizione
a Confucio (i Cinque testi sacri): l’esegesi si otteneva cercando di rendere ineleggibili i significati reconditi
in essi contenuti, sconfinando, anche, a volte, nella rivisitazione allegorica. Dietro alle diverse letture dei
classici, oltre ai sinceri ampliamenti dottrinali, potevano quindi nascondersi scontri politici e lotte per il
potere.
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Storia della Cina 11. L'economia nel primo impero cinese
La rivoluzione tecnologica del periodo degli stati combattenti e l’unificazione politica realizzata da Shi
Huangdi e dagli imperatori Han, avevano posto le basi per una grande espansione economica, che raggiunse
il culmine durante il regno di Wu-Ti. Tale espansione fu il risultato di diversi fattori. In primo luogo
certamente la fine delle guerre interne e l’unificazione territoriale, ma ancor più le molte e immense opere
idrauliche e l’espansione della rete stradale (eguagliata nel mondo antico solo dall’Impero romano).
L’agricoltura beneficiò moltissimo delle opere idrauliche, ma anche il miglioramento delle tecniche agricole
e degli strumenti (aratri in ferro, seminatrici e mulini ad acqua). L’evoluzione degli attrezzi era il corollario
del grande sviluppo della metallurgia: ferro ed acciaio divennero prodotti di largo uso; testimoniando la
presenza di un settore industriale molto sviluppato. Altrettanto energica era la produzione dei tessuti (seta,
canapa, lino, lana), svolta sia come attività sussidiaria dai contadini che come comparto industriale. Oltre a
questo era fiorente il mercato delle lacche, usate come rivestimento per vasellame, mobili, scarpe e
copricapi, destinate al florido mercato dei generi di lusso. Altrettanto importanti le produzioni di sale e
alcolici, nazionalizzate da Wudi per rinvigorire le casse statali e limitare l’accumulazione eccesiva di
ricchezza da parte dei mercanti. Essi infatti, oltre a quanto già detto, avevano beneficiato anche delle
campagne militari in Xinjiang (dove nel 60 a.C. era stato istituito il Protettorato generale dei territori
occidentali, così da controllare pienamente la famosa via della seta), e della conquista delle province
meridionali, che, attraverso il porto di Canton (Guangdong), apriva una via commerciale marittima verso
l’India e il Sud-Est asiatico.
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Storia della Cina 12. Dinamiche sociali nel primo impero cinese
Oltre alla crescita economia l’unificazione politica aveva innescato anche un altro grande processo, quello
ella concentrazione fondiaria. Già durante il regno di Shi Huangdi, e ancor più durante la dinastia Han, la
grande proprietà terriera si era trovata nella condizione di poter facilmente acquistare i fondi dei piccoli
contadini indipendenti costretti al fallimento. Ciò era anche colpa del meccanismo fiscale che poggiava
perlopiù sulle spalle delle famiglie contadine, già gravate dagli obblighi del servizio di leva e dei lavori
gratuiti per le infrastrutture statali. Una volta indebitatisi i contadini erano costretti a vendere alle famiglie
aristocratiche o ai mercanti. I mercanti in particolare, dato che disponevano di enormi ricchezze, potevano
anche permettersi di acquistare a prezzi elevati; intanto però sempre meno terre rimanevano di proprietà
delle famiglie contadine.
Lo stato, e Wu-Ti in maniera particolare, cerarono in tutti i modi di limitare questa tendenza: venne posto
divieto ai mercanti di possedere terra, si fissarono estensioni massime per i latifondi, gli espropri di terre
delle famiglie nobiliari (realizzati spesso dai sovrani Han quando una famiglia minacciava il loro potere)
venivano date in uso gratuito alle famiglie contadine prive di appezzamenti. Tuttavia ogni misura fu inutile
perché i mercanti acquistavano illegalmente e perché gli stessi funzionari statali preposti al controllo erano
proprietari terrieri o comunque avevano una serie di interessi personali per i quali traevano vantaggio
propria della mancata applicazione di queste norme. In generale i contadini subirono un lento ma
progressivo peggioramento nelle condizioni di vita, nonostante il generale allargamento dell’economia.
In generale la società dell’epoca era così stratificata: alla base c’erano gli schiavi (condannati per delitti o
contadini costretti a vendere se stessi o i propri figli per saldare i debiti); esistevano schiavi privati (che
svolgevano perlopiù mansioni domestiche) e schiavi statali, che lavoravano come operai nella realizzazione
delle infrastrutture o nelle fabbriche di stato. In generale si ritiene che la manodopera schiavistica fosse poco
usata per i lavori agricoli. Seguivano i contadini immiseriti, spesso servi salariati o mezzadri alle dipendenze
della grande azienda fondiaria o coltivatori di terre statali. Quindi venivano i contadini autonomi e gli
artigiani. Categoria più ricca che prestigiosa, i commercianti potevano accumulare anche fortune enormi; si
ricordano casi di famiglie che controllavano l’economia di intere provincie. I funzionari statali erano una
categoria molto stratificata al proprio interno a seconda del grado. I gradi più alti erano comunque sempre
appannaggio delle famiglie aristocratiche, che basavano il proprio potere sulla proprietà fondiaria da un lato
e sulle lucrose cariche imperiali dall’alto. Esautorata la vecchia nobiltà di sangue da parte di Shi Huangdi,
una nuova nobiltà di umili origini si riformò sotto i primi imperatori Han, per trasformarsi in una vera e
propria casta chiusa verso la fine della dinastia. Negli ultimi anni degli Han si assistette ad un vero e proprio
tripudio delle relazioni famigliari. Chi aveva relazioni e ricchezza poteva aspirare ad ottenere una carica
pubblica, la quale era il miglior sistema per ottenere altra ricchezze e relazioni. Le grandi famigli
aristocratiche possedevano la terra e le cariche pubbliche e attraverso queste accumulavano il potere.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Cina 13. L'imperatore Wang Mang
L’ascesa al trono di Wang Mang è frutto dello svilimento dell’autorità degli ultimi imperatori della dinastia
degli Han occidentali, quando gran parte del potere effettivo era ormai concentrato nelle mani degli eunuchi
e delle imperatrici. Nipote appunto di un imperatrice, Wang Mang seppe abilmente sfruttare questa
situazione confusa e preparare la sua scalata al potere. Aspramente condannato dalla storiografia cinese
ufficiale come l’usurpatore per antonomasia salito al potere con un colpo di stato, Wang Mang fu il
protagonista di un fallito tentativo di rinnovamento, che egli, (a torto o ragione) tentò di giustificare come la
chiamata celeste a rimpiazzare una dinastia, quella degli Han, ormai degenerata e non più investita del
mandato divino. In questo fu molto aiutato dal massimo esponete del confucianesimo contemporaneo, che
ne confermò la teoria secondo cui la dinastia Han aveva ormai perduto la legittimazione divina a governare
per mancanza di virtù.
Oltre a restaurare alcune cariche e parte dell’ideologia della tradizione della Cina arcaica (di cui si
proclamava restauratore), l’intervento di Wang Mang si spinse in due direzioni: tentare di limitare il potere
della grandi famiglie aristocratiche e ridistribuire parte della loro terra ai contadini. Furono emesse nuove
monete metalliche con valore nominale superiore a quello reale (lo scopo voleva essere quello di svilire le
scorte di monete delle grandi famiglie), le quali però si dedicarono alla contraffazione e comunque non
subirono danni di rilievo. Più importante fu la nazionalizzazione della terra: ad ogni famiglia veniva
assegnato un appezzamento inalienabile e di conseguenza non era possibile ne vendere ne comprare
appezzamenti altrui. Il sistema fiscale fu riformulato per garantire questo processo. Anche il controllo sul
commercio fu rafforzato, ribadendo i monopoli statali e istituendo magazzini statali con il compito di
ammortizzare le speculazioni sulle merci comprando al ribasso e rivendendo a prezzi fissati.
Questa ambiziosa politica di pianificazione andò però incontro al più completo fallimento. Oltre alle
difficoltà naturali l’impossibilità era data anche dal fatto che gli stessi funzionari preposti alla sua attuazione
provenivano in gran parte da quelle grandi famiglie che avrebbero ricavato da essa i maggiori dolori. Il
potere delle famiglie era ormai troppo forte perché un imperatore, perlopiù considerato da molti come
illegittimo, potesse opporvisi. Inoltre il breve regno di Wang Mang fu anche funestato da alcuni gravi
cataclismi naturali che trovarono il loro apice nella leggendaria inondazione del 11 d.C., quando il Fiume
Giallo ruppe gli argini allagando due fra le più popolate province dell’Impero, Shandong ed Hebei.
Le conseguenze economiche furono notevoli e nel 17 d.C. scoppiò una grande rivolta contadina nella
provincia dello Hubei, e nello Shandong l’anno successivo. Tra il 20 e il 23 le truppe imperiali inviate a
sedare le rivolte furono sconfitte e, Liu Xuan (un membro della spodestata dinastia Han che era fra i capi
della rivolta), fu proclamato nuovo imperatore. Wang Mang intanto veniva trucidato dalla folla della
capitale imperiale, insorta alla notizia della vittoria delle forze ribelli.
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Storia della Cina 14. La dinastia degli Han orientali
Insediatosi in una nuova capitale imperiale Liu Xuan si trovò ben presto a fere i conti con gli altri capi delle
rivolte. I conflitti che si aprirono durano per circa quattro anni, fino a quando Liu Xiu, anch’egli ex membro
della dinastia Han e capo della rivolta assieme a Liu Xuan, riuscì ad imporsi su tutti gli altri “pretendenti” e
a riportare l’ordine in tutte le province dell’Impero. Il 25 d.C. è considerato l’anno della restaurazione della
Dinastia Han, col nome pero di Dinastia degli Han orientali (o posteriori). Tale definizione deriva dal fatto
che la capitale fu spostata più a oriente.
Oltre ad essere un aristocratico di sangue reale Liu Xiu era anche un esponete tipico delle cosiddette grandi
famiglie. La famiglia del nonno materno era dello Henan e aveva possedimento fondiari per oltre 30'000 mu
(l’unità di misura dell’epoca). Oltre alle terre le attività familiari comprendevano allevamento e commercio,
con alcune migliaia di dipendenti fra lavoratori agricoli, affittuari, guardie armate, operai e domestici.
Forse anche per questo il nuovo imperatore abbandono fin dal principio ogni progetto teso a limitare il
potere delle grandi famiglie e dei commercianti. I monopoli statali furono del tutto aboliti, e non si pose
nessun freno al processo di continua acquisizione da parte delle famiglie delle terre dei contadini autonomi
costretti a vendere per debiti. Ciononostante Liu Xiu tentò di ridare forza e prestigio alle istituzioni imperiali
e promosse alcuni aggiustamenti nel sistema fiscale, atti a ridurre il prelievo ancora principalmente gravante
sui contadini autonomi.
Un altro problema che era sorto a seguito della confusione creatasi durante il regno di Wang Mang erano i
disordini alle frontiere. Liu Xiu non intraprese una decisa politica militare atta a ristabilire la sicurezza ai
confini, ma scelse una linea tendente a integrare le popolazioni barbare stanziate presso i confini al mondo
cinese. Ciò fu attuato con successo nella Mongoli interna con gli Xiongnu meridionali (che già da molto
tempo si erano sottomessi agli Han). Assai diverso fu invece l’intervento militare nel Vietnam del Nord,
dove era scoppiata una violenta rivolta indipendentista capeggiata dalle sorelle Trung. La regione fu
nuovamente sottomessa dalle truppe imperiali.
Non si trattò tuttavia di interventi risolutivi, tanto che nel 74, il successore di Liu Xiu, l’imperatore Mingdi,
fu costretto a inviare un grande corpo di spedizione nella provincia del Gansu, per scacciare definitivamente
gli Xiongnu settentrionali che avevano ripreso l’iniziativa in tutta l’Asia centrale. Accerchiati dai cinesi e
dai loro alleati, Xiongnu e Xianbei (una popolazione nomade della Manciuria settentrionale un tempo
vassalla degli Xiongnu), gli Xiongnu settentrionali furono cacciati via dall’Asia centrale (il loro posto
sarebbe rimasto libero per gli Xianbei). Chiusa la partita con gli Xiongnu il corpo si spedizione cinese si
sposto nella regione del Bacino del Tarim, dove ribadì la sovranità imperiale riaffermando il controllo sulla
via della seta.
Il comandante del corpo, dotato di grandissime abilità strategiche e amministrative, incaricato
dall’imperatore di spingersi verso occidente, giunse con la sua armata fini al Mar Caspio. Cercava il
leggendario regno di Da Qui, situato all’estremo confine occidentale del mondo, del quale i cinesi avevano
solo sentito parlare. Si trattava dell’Impero Romano, ma i cinesi non vi giunsero mai perché i Parti,
all’epoca stanziati al confine con l’Impero romano lungo la via della seta, li dissuasero a proseguire
ingannandoli: essi -che vivevano dell’intermediazione commerciale- sarebbero stati rovinati se romani e
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Storia della Cina cinesi fossero riusciti ad entrare in contatto.
A Mingdi successe nel 76 l’imperatore Zhangdi, a cui succedette nell’89 l’imperatore Hedi, di soli dieci
anni. Hedi fu il primo di una lunga serie di imperatori (otto in tutto) i quali sarebbero divenuti sovrani a
meno di 15 anni. Le lotte interne per il potere, difficili da domare anche per un sovrano adulto dotato di
grande forza, presero quindi il sopravvento. Durante tutto questo periodo la contrapposizione si costituì
attorno a due ‘categorie’ abbastanza ben definite: da una parte i parenti delle imperatrici, tutti appartenenti
alle grandi famiglie, e dall’altro gli eunuchi, uomini per lo più di umili origini i quali si trovavano sempre
più spesso a svolgere ruoli importanti negli affari di stato.
In generale nel periodo che va dall’89 al 146 fu la fazione costituita dai parenti delle imperatrici, ossia le
grandi famiglie, a detenere il potere, e lo stesso potere degli eunuchi fu una conseguenza indiretta di questo:
i giovani imperatori infatti, costantemente sorvegliati dalle imperatrici e dai parenti di queste, si rivolgevano
agli eunuchi investendoli della loro fiducia. Nel 157 con l’ascesa al trono di Huandi, avvenne il
rovesciamento e gli eunuchi riuscirono a far arrestare e poi a costringere al suicidio il reggente Liang Ji,
mentre tutti i suoi parenti furono sterminanti e le proprietà della sua famiglia (oltre tre miliardi di monete!!)
confiscate dallo stato. Gli eunuchi avevano conquistato il potere.
Le famiglie allestirono allora un’organizzazione segreta nota come “Corrente pura” che comprendeva
funzionari e studenti dell’università imperiale e aveva relazioni fra centinaia di membri delle famiglie. Senza
scendere nei dettagli Corrente pura ed eunuchi continuarono la loro guerra con alterne fortune, ma furono
alla fine gli eunuchi a spuntarla, nel 170 infatti, l’organizzazione della corrente pura fu del tutto sgominata,
cento funzionari furono massacrati e migliaia di studenti rinchiusi in prigione. Gli eunuchi avevano ripreso il
potere ed insediarono i loro uomini in tutti i ruoli chiave dell’amministrazione.
Intanto l’Impero era scosso da una grave crisi sociale: il numero di contadini ridotti in miseri era molto
aumentato, si diffondeva il brigantaggio e si moltiplicavano le piccole rivolte. oltre alla grave situazione
interna anche i confini settentrionali tornavano a traballare, incursioni e ribellioni di popoli barbari presso i
confini avevano nuovamente reso insicure le province del Gansu e della Manciuria. In questo conteso,
aggravato anche dall’ennesima inondazione dello Huang He nello Shandong, scoppiò nel 184 una grande
sollevazione popolare, detta tulipani gialli. L’insurrezione era guidata Zhang Jiao, il quale aveva dato vita ad
una setta di ispirazione taoista detta Via della Grande Pace che annunciava la prossima fine del mondo e
l’avvento di una nuova era in cui sarebbero venute meno le sofferenze e le differenze fra ricchi e poveri. La
setta era organizzata militarmente e poteva contare su circa 340mila uomini. Nel 184 fu annunciato che i
tempi erano maturi al cambiamento e la rivoluzione ebbe inizio. All’esercito imperiale occorsero nove mesi
per vincere la guerra ma disordini sporadici ispirati alla setta continuarono per alcuni anni. Intanto nel
Sichuan un’altra setta taoista , quella dei Maestri Celesti, diede vita ad una ribellione che pur rimanendo
circoscritta non riuscì ad essere sedata fino al 215.
La rivolta dei Tulipani gialli aveva semplicemente gettato l’Impero nel caos. Anche perché assieme alle
istituzioni imperiali era andato disfacendosi anche il sistema di coscrizione e la rivolta era stata quindi
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Storia della Cina sedata con le truppe private delle grandi famiglie. Così una volta conclusasi la partita con i Tulipani i vari
capi militari erano entrati in conflitto fra loro. Senza scendere nei dettagli perché ormai sono le cinque di
notte e sono stanco, l’Impero sprofondò in uno stato di anarchia e guerra civile: al conflitto per la
supremazia fra i vari generali si intrecciava quello fra essi contro gli eunuchi e la dinastia (che aveva
cominciato ad identificarsi con gli eunuchi). Solo nel 196 a seguito dei successi militari di Cao Cao, uno dei
più abili capi militari, l’Impero ritrovò una certa unità. Ma anche il tentativo unificatore di Cao Cao fallì,
perché non riuscì a conquistare tutte le province. La battaglia di Chibi del 208, fra Cao Cao e altri due capi
militari rimasti indipendenti, segnò l’ultimo tentativo di riunificare l’Impero. La Dinastia Han, ormai del
tutto esautorata, si spense formalmente nel 220. Era la fine del Primo impero cinese.
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Storia della Cina 15. Le cause principali del crollo dell’impero Han
Sebbene eventi complessi richiedano spiegazioni complesse, è tuttavia possibile elencare brevemente i
motivi che causarono il crollo del Primo impero pur senza mancare di rispetto alla verità storica. Come già
spigato più volte di sfuggita il problema consisteva nel crescente potere assunto dalle grandi famiglie,
diventate troppo ricche e potenti attraverso la proprietà terriera ed il commercio, oltre alla gestione
praticamente esclusiva delle cariche imperiali. I contadini autonomi erano stati la spina dosale dell’Impero
ed il loro progressivo asservimento alle grandi famiglie privò l’Im-pero della sua vera forza propulsiva.
Sulle famiglie contadine si basava il sistema fiscale, quello militare e quello dei lavori pubblici.
Teoricamente anche i contadini al servizio delle grandi famiglie avrebbero dovuto assolvere a questi
compiti, ma la cosa di fatto non avveniva perché gli stessi funzionari preposti ai controlli erano membri
delle grandi famiglie o erano collusi con esse.
Durante la dinastia degli Han orientali questi processi accelerarono ulteriormente sentenziando alla fine la
disgregazione del Primo impero. L’aumento di produttività dei contadini autonomi (sul quale si era basata la
forza dell’Impero e l’espansione dell’economia), aveva infatti tratto la sua origine dalla capacità del potere
centrale di organizzare la vita lavorativa attraverso le grandi opere pubbliche -come i grandi canali di
irrigazione o gli argini per il controllo delle acque- e dalla forza militare, che aveva permesso la difesa dei
confini e il controllo delle vie commerciali. Ora questa capacità organizzativa del potere centrale veniva
progressivamente erosa dal decadere delle sue istituzioni, travolte dalle lotte per il potere fra le grandi
famiglie e dalla corruzione dilagante a ciò connessa.
Verso la fine della dinastia Han si verificarono gravi inondazioni dovute al mancato rifacimento degli argini,
mentre i barbari nelle zone di confine ricominciarono ad operare scorribande in territorio cinese. Dopo una
iniziale espansione economia dovuta all’accentramento produttivo operato dalle grandi famiglie e alla
soppressione dei monopoli, le contraddizioni sopra descritte iniziarono ad emergere senza scampo. Il
numero di contadini immiseriti dediti al vagabondaggio o al brigantaggio aumentò creando problemi di
ordine pubblico e sicurezza; le province settentrionali, ostaggio dei barbari e delle inondazioni, subirono
intesi fenomeni di emigrazione. L’emigrazione era diretta soprattutto verso le spopolate province
meridionali: è proprio in questo periodo che inizia il popolamento della Cina del Sud; il processo seguiterà
ad ampliarsi nei secoli successivi, allargando notevolmente l’area ‘madre’ della società cinese.
Progressivamente le immense tenute della grandi famiglie, un tempo centri di produzione di merci per
l’esportazione, cominciarono a volgersi verso l’autoconsumo e ad erigere fossati difensivi per proteggersi. I
collegamenti fra le varie province diventavano insicuri, lo stato si era sgretolando.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Cina 16. Definizione di medioevo cinese
In storiografia è sempre pericoloso utilizzare concetti propri di epoche diverse per facilitare la spiegazione di
fenomeni complessi. Questa regola diventa ancor più ineludibile se applicata a civiltà tanto diverse quanto
erano quella dell’Impero romano e quella dell’Impero cinese. Tuttavia identificare il periodo della storia
cinese che va dal crollo imperiale del 220 alla sua ricostituzione nel 589, con il termine occidentale di
‘Medioevo’, non pare una scelta ingiusta, poiché molte sono le similitudini così come i distinguo da apporre.
Analizziamo.
Romolo Augustolo fu deposto nel 476, l’ultimo imperatore della dinastia Han nel 220. In entrambi i cassi il
collasso fu dovuto all’emergere di contraddizioni ineludibili, risultato di processi che si erano generati
unitamente, e in conseguenza, allo sviluppo del potere imperiale, e, in misura minore ma non trascurabile,
alla pressione esercita dalle popolazioni barbare ai confini degli imperi.
In entrambi i casi il crollo del potere centrale fu seguito da un lungo periodo di anarchia, caratterizzato da
continue lotte per il potere fra i vari signori della guerra e dal ritorno alle economie improntate sull’autarchia
e sull’autoconsumo. Un’altra caratteristica in comune è la continuazione dell’idea imperiale, rappresentata
in Europa da Bisanzio e in Cina da Nanchino, dove sopravissero gli eredi dell’antica dinastia, che si
consideravano i legittimi discendenti della passata gloria imperiale. Anche il ruolo dei barbari si presta ad
interessanti analogie: dapprima distruttori e poi, una vota assorbita la vecchia civiltà ormai remota,
protagonisti di un tentativo di restaurazione della passata grandezza.
Un’altra analogia è rappresentata dal ruolo svolto dalle religioni straniere durante questo periodo. Il crollo
degli imperi fu accompagnato dal crollo sei sistemi ideologici che li avevano sorretti, ma l’unità culturale
rimase salvaguardata grazie alla forza unificante del cristianesimo in Europa e del Buddismo in Cina.
Tuttavia proprio qui cominciano anche le differenza: la Chiesa cattolica svolse in Europa anche un
importante ruolo politico, cosa che la Chiesa buddista in Cina non fece mai: pur riuscendo ad accumulare un
grande potere politico ed economico, essa non si pose mai come potere autonomo nei confronti dello stato,
cosicché la Cina non conobbe mai un fenomeno paragonabile al conflitto che oppose in Occidente la Chiesa
cattolica all’impero.
Altra fondamentale differenza è questa: mentre in Europa l’anarchia che seguì il crollo dell’Im-pero
produsse un nuovo sistema politico alternativo, il feudalesimo (che evolvette autonomamente portando alla
formazione degli stati nazionali), in Cina ciò non successe. Anche l’iniziale fase di frammentazione politica
e sociale che si ebbe nel periodo immediatamente seguente il crollo del potere centrale -frammentazione che
potremmo definire pseudofeudale- rappresentò solo una fase di transizione verso la rifondazione di strutture
sociali ed economiche proprie dell’impero centralizzato. In un certo senso il medioevo cinese può essere
considerato come un’epoca in cui si andarono progressivamente ristabilendo le condizioni per la
ricostruzione dell’impero centralizzato, attraverso il superamento graduale delle contraddizioni che avevano
portato alla rovina il Primo impero.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Cina Ma per quale motivo in Cina si istaurò un processo direzionalmente opposto a quello occidentale? La
risposta più ovvia è che le istituzioni Han erano molto più radicate e più necessarie di quelle romane. Per
capire questa affermazione bisogna comprendere come da millenni il ruolo tradizionale dello stato in Cina
fosse il controllo delle acque. Le immense opere di costruzione degli argini per evitare le inondazioni del
Fiume Giallo o i giganteschi canali per l’irrigazione non potevano essere affrontate da un semplice
feudatario ma richiedevano necessariamente un imperatore. L’impero era insomma, specie nella Cina del
Nord, una vera e propria esigenza economica e sociale.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Cina 17. Il medioevo cinese
La cartina a destra mostra la situazione dell’Impero al termine dell’ultima grande battaglia tesa a riunificarlo
politicamente, quella di Chibi del 208, quando le forze del generale Cao Cao (che era riuscito ad
impossessarsi di tutte le leve del governo imperiale), furono sopraffatte da quelle coalizzate del generale Sun
Quan (signore della regione del Fiume Azzurro, zona color ocra) e dell’ex membro della famiglia imperiale
Liu Bei, insediatosi nella provincia del Sichuan (zona arancione nella mappa). La sconfitta del generale Cao
Cao segnò la fine dell’unità politica dell’Impero e con essa anche della dinastia Han (che sarebbe stata
esautorata nel 220 dal figlio dello stesso Cao Cao). Iniziava il medioevo cinese; i territori dell’ex impero
risultavano divisi in tre grandi regni, ognuno dei quali si riteneva il legittimo continuatore dell’Impero.
Il regno di Wei era il più potente poiché era situato sul bacino dello Huang He, la regione più popolata del
mondo cinese ma anche quella con i maggiori problemi, inondazioni, barbari a nord, potenti famiglie di
latifondisti. Abbastanza forte era anche il regnò di Wu, che poteva sfruttare il grande bacini del Fiume
Azzurro (in cinese: Yangtze o Chang Jiang); suo punto debole la scarsezza di popolazione. La Cina
meridionale all’epoca era infatti molto diversa da quella attuale: la popolazione era ancora per la maggior
parte non cinese e l’intera regione era sottopopolata. Furono le grandi ondate migratori dal Nord, iniziate nel
I secolo e proseguite durante tutto il medioevo, a ‘popolare di cinesi’ questa regione e a trasformare il bacino
del Chang Jiang in una delle aree più impostanti della Cina moderna e contemporanea. Infine, il regnò di
Shu, corrispondente all’odierna provincia del Sichuan; esso era il più debole per popolazione e risorse, il suo
principale vantaggio era la posizione, facilmente difendibile da un punto di vista militare.
L’alleanza stabilitasi fra Wu e Shu con la battaglia di Chibi al fine di fronteggiare la maggior forza del regno
di Wei si dissolse molto presto: già nel 222 Shu lanciava un grande attacco contro Wu che però si risolse in
a una completa disfatta. La morte di Liu Bei l’anno seguente non arrestò tuttavia questa politica aggressiva
nei confronti del vicino che fu portata avanti dal suo primo ministro Zhuge Liang. Dopo la sua morte però il
regno di Shu sprofondò in un inarrestabile declino fino a venire fagocitato, nel 263, dal vicino Wu. L’Ex
impero risultava ora diviso in due grandi regni, uno settentrionale e l’altro meridionale; una divisione che
sarebbe proseguita praticamente fino alla nuova unificazione imperiale del 589.
Intanto nel regno di Wei i successori di Cao Cao si erano ridotti a uomini di paglia ed il potere effettivo era
passato nelle mani di una potente famiglia. Nel 266 Sima Yan (membro della famiglia) decise di fondare
una nuova dinastia che sarebbe passata alla storiografia con il nome dei Jin Occidentali. Nel 280 Sima Yan
riuscì anche a conquistare il regno di Wu riunificando l’impero, ma si trattò di un evento effimero:
smantellando la struttura centralizzata dello stato per favorire la sua famiglia Sima Yan riprodusse
esattamente lo stesso errore che aveva portato alla fine del Primo impero, e il regno di Wei subì un completo
tracollo, aggravato anche da una dura lotta intestina alla famiglia e da una tremenda siccità. Fu un capo
barbaro degli Xiongnu di nome Liu Cong a togliere il mandato celeste alla dinastia Jin sconfiggendoli nel
311 e poi ancora nel 316.
Il periodo che seguì, detto dei sedici regni, fu per il Nord uno dei momenti di maggiore anarchia e
sofferenze; in questo periodo si scatenò il fenomeno di emigrazione verso Sud di cui abbiamo poc’anzi
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Cina parlato. Fra il 311 e il 439 infatti, una serie di regni barbarici, tutti di brevissima durata e privi di qualsiasi
base economia ed istituzionale, sorsero e si fecero la guerra nella regione del Fiume Giallo. Intanto nel 317
un membro della famiglia della dinastia Jin (Sima Rui) era riuscito a conquistare (credo tramite giochi di
palazzo) il trono del regno meridionale. Contro di lui si abbatterono invano le armate di uno dei tanti regni
barbarici che sorgevano nel Nord. La dinastia che istaurò prese il nome di Jin Orientali. Essi avrebbero
regnato pressoché privi di poteri effettivi fino al 420, quando un ambizioso ed abile generale, Liu Yu, li
spodestò dando vita alla dinastia dei Song, storicamente nota con il nome di dinastia Liu Song. Si
riproponeva una netta divisione fra regno meridionale e regno settentrionale, nel quale, frattanto, era emersa
una nuova dinastia, detta degli Wei Settentrionali (398), ad opera di un combattivo popolo di origini
barbariche chiamato Tuoba. L’escalation Tuoba avrebbe portato nel 439 alla ricomposizione del Nord sotto
le insegne di un unico grande regno forte e organizzato. Intanto nel regno meridionale le continue lotte
interne avevano prodotto una serie di nuove dinastie, che però non riuscivano mai ad avere, salvo per brevi
parentesi, la forza necessaria a risolvere i sempre più gravi problemi di disfacimento delle strutture di potere
dello stato.
Una violenta rivolta dei reparti barbari dell’esercito nel 523 provocò la scissione dello stato settentrionale
(detto anche stato Wei o stato Tuoba) in due tronconi, uno orientale (Wei Orientali) e uno occidentale (Wei
Occidentali). Colpi di stato interni ai due regni avrebbero cambiato i nomi delle loro dinastie rispettivamente
in Qi Settentrionali e in Zhou Settentrionali. Ciò tuttavia non influì sul conflitto fra le due entità
‘settentrionali’, che continuarono a farsi la guerra a vicenda fino al 577, quando i Zhou riuscirono
finalmente ad annettere i Qi. Si riformava quindi un grande stato nel Nord, risultato dell’ibridazione fra
cinesi e barbari Xianbei, e con l’obiettivo dichiarato di riunificare l’impero, cosa che sarebbe stata raggiunta
nel prossimo capitolo. [prosegue al cap. 5]
Vale in questo momento però la pena, di ricordare, nonostante la drammatica scissione, l’importanza avuta
dallo stato Tuoba nel processo di ricostituzione dell’impero. Fu durante il regno Tuoba che i barbari vennero
sinizzati, ossia assorbirono gli elementi della civiltà cinese, e fu sempre durante il loro regno che vennero
impostate molte delle riforme sulle quali si baserà il successo del Secondo impero, come la reintroduzione
del confucianesimo e l’erezione del buddismo a religione di stato, oltre all’importantissima riforma della
perequazione agraria, con la quale moltissime terre appartenute ai latifondi furono ridistribuite ai contadini e
sulla quale ora ci soffermeremo.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Cina