La dinastia Sui
La dinastia Sui (581-618)
Esponete di una famiglia dell’aristocrazia settentrionale, Yang Jian riuscì ad impossessarsi del potere nel Regno settentrionale nel 581. Sebbene i tempi fossero ormai maturi per procedere alla riunificazione dell’impero, Yang Jian preferì prima risolvere il problema delle frontiere settentrionali. Nel corso del VI secolo si era infatti formata una grande e potente confederazione barbara denominata dei Tujue (cioè Turchi). I territori della confederazione si estendevano attraverso spazi enormi, che andavano dai confini del regno di Persia fino al fiume Liao in Manciuria. Essa era articolata in due centri principali, uno orientale nella Mongolia esterna e l’altro occidentale nel Turkestan (una regione che comprendeva l’intera Asia centrale). Le precedenti dinastia avevano mantenuto una politica di buon vicinato con i Tujue ma la loro stessa presenza ai confini costituiva una grave minaccia. Yang Jian decise quindi di intervenire e si dimostrò davvero geniale. Non ricorse infatti all’uso della forza, ma seppe orchestrare un’abilissima politica che alimentò i contrasti fra i vari capi della confederazione portandoli al conflitto. In poco tempo, e usando solo machiavellici intrighi politici, Yang Jian riuscì a rendere sterile la minaccia Tujue.
Risolto il problema dei barbari Yang Jian decise che era tempo di preparare la campagna militare per la riunificazione dell’impero. Nel 587 fu conquistato senza difficoltà il regno fantoccio dei Liang Posteriori, situato sul medio corso del Chang Jiang. L’anno seguente fu inviata una lettera all’imperatore Chen, sovrano del Regno meridionale, nella quale si elencavano venti accuse tali da richiedere che il suo mandato celeste venisse ritirato e annunciandogli una campagna militare a tale scopo. 300'000 copie di tale lettera furono distribuite nelle province meridionali, allo scopo di mostrare alla popolazione la legittimità della guerra. Nel 589 l’Impero era finalmente riunificato e Yang Jian fondava la dinastia Sui.
L’impero unificato
L’imperatore Wendi (Yang Jian) si dimostrò clemente con lo spodestato Chen e sebbene lui e l’intera sua famiglia fossero forzatamente trasferiti nel Nord, fu mantenuto nei loro riguardi un atteggiamento di deferenza, e ai figli dell’ex sovrano furono assegnate terre lungo i confini settentrionali e ad alcuni dignitari furono affidati incarichi imperiali. Anche verso i sudditi meridionali si attuò la stessa politica, esonerandoli per ben dieci anni dal pagamento delle tasse. Ciononostante l’integrazione fra Nord e Sud fu comunque un processo non facile: tre secoli di sviluppi politici e sociali differenti avevano lasciato segni profondi, basti pensare che le stesse lingue parlate erano ormai quasi incomprensibili reciprocamente. Così nel 590 si verificarono nel Sud una serie di rivolte in numerose località e diversi funzionari Sui vennero trucidati. Furono tuttavia presto sedate e nel 604 il figlio di Wendi, Yang Guang, succedette al padre sul trono imperiale.
Sincero ammiratore della civiltà meridionale, Yang Guang proseguì il cammino già tracciato dal padre. Fece edificare una nuova magnifica campitale imperiale e stabilì rapporti stretti con la Chiesa buddista locale, in particolare appoggio la setta Tiantai, che aveva goduto di privilegi durante il precedente regime. Allo stesso modo fece erigere due grandiosi tempi taoisti nella nuova capitale, invitando i maggiori studiosi del Sud a venire ad insegnare e scrivere sotto la sua protezione. Parallelamente completò ed ampliò una delle più grandi opere della storia umana, il Gran Canale, anche detto Canale Imperiale. Risalente addirittura al V secolo a.C. e ampliato da Shi Huangdi, il Gran Canale fu portato a termine dalla dinastia Sui. Si tratta di un’opera immensa, che ebbe un ruolo di primo piano nel grande sviluppo economico e politico del Secondo impero e che è impostante anche per la Cina di oggi. Il Gran Canale è una via d’acqua navigabile che collega Pechino con la provincia meridionale dell’Hangzhou. Si tratta ancor oggi del più lungo canale al mondo, ben 2000 chilometri. Esso mette in comunicazione il Huang He con il Chang Jiang, il Nord della Cina con il Sud. Quando fu costruito rappresentò il simbolo stesso della riunificazione nazionale e permise il rapido passaggio delle merci e dei soldati fra le due più importanti regioni dell’Impero, il bacino del Fiume Giallo con quello del Fiume Azzurro.
Anche in politica estera Yang Guang si rivelò dinamico prosecutore dei disegni paterni. In Vietnam continuò la campagna già iniziata dal padre per ristabilire un forte dominio cinese sulla Piana di Hanoi e contro il regno di Linyi (Champa) sorto nel Vietnam meridionale. La guerra fu vinta e Champa si trasformò in un protettorato imperiale. L’altra direzione dell’egemonia imperiale si diresse verso il problema di sempre, i barbari-turchi del Nord. Yang Guang si preoccupò di consolidare la Grande muraglia e di impedire ai Tujue orientali di stringere alleanze con le popolazioni barbare loro confinati. Proprio la necessità di impedire un’alleanza fra questi e il regno di Koguryo, situato tra la Manciuria e la Corea, intrappolò Yang Guang nella guerra che avrebbe provocato la fine della sua dinastia. Le tre grandi spedizioni organizzate contro i Koguryo fra il 612 e il 614, si risolsero infatti in un fallimento. Lo smacco era costato ingenti somme di denaro, che si sommavano all’insofferenza dei contadini per le troppe corvè di lavoro richieste per le infrastrutture e l’alto livello della tassazione. L’umiliazione fu colta a pretesto da alcuni membri della dinastia per criticare l’operato imperiale e un’inondazione dello Huang He nel 611 non fece che peggiorare le cose. La precaria posizione della dinastia Sui fu infine rovinata da una violenta rivolta dai Tujue, che nel 615 furono quasi sul punto di catturare lo stesso Yang Guang, il quale, rifugiatosi nella capitale meridionale, fu assassinato due anni dopo dal figlio di uno dei suoi migliori generali.
La dinastia Sui è stata dipinta dalla storiografia tradizionale cinese come crudele e malvagia, stabilendo un parallelo con la dinastia Qui. Questa descrizione, assai poco conforme alla verità storica, è probabilmente stata detta da ragioni politiche ed ideologiche: si voleva sostanzialmente negare la dipendenza del Secondo Impero dai processi, sviluppatisi nel tardo periodo medievale, che avevano permesso la sua riunificazione. La dinastia Sui avrebbe quindi la sfortuna di rappresentare questo ingrato anello di congiunzione. La tradizione preferisce insomma pensare alla dinastia Tang come alla discendente della gloriosa dinastia Han del Primo impero, sorvolando sui meriti che le bervi dinastie di Qui e di Sui ebbero nella costituzione e nella ricostituzione dell’Impero.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Lorenzo Possamai
[Visita la sua tesi: "Enrico Mattei, qualcuno mi sostituirà"]
- Università: Università degli Studi di Padova
- Facoltà: Scienze Politiche
- Esame: Storia cinese
- Titolo del libro: Storia della Cina
- Autore del libro: Mario Sabattini e Paolo Santangelo
- Editore: Laterza
- Anno pubblicazione: 2010
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