L’espansione russa e il dominio cinese
Iniziata in modo consistente a partire dal XVI secolo (1500), l’espansione russa verso il pacifico fu straordinariamente veloce: nel 1651 i russi avevano già raggiunto il Lago Bajkal e poco dopo la costa del Pacifico. Nella seconda metà del XVII secolo era già attiva una rete di fortificazioni in tutta la Siberia, che offriva protezione a mercanti, cacciatori e avventurieri provenienti dalla Russia europea, attirati dall’oro e dall’argento siberiani, dal commercio delle pelli e dal contrabbando di prodotti cinesi. Il governo zarista favoriva sensibilmente anche l’immigrazione di contadini, artigiani ed ecclesiastici in queste remote aree del suo impero. Ma l’espansione russa venne ben presto a in contatto con quella cinese, sia per una questione territoriale, sia perché era fondamentale per i Qing, che le tribù mongole rimanessero isolate ed indifese: se esse si fossero alleate ai russi infatti, sarebbe stato impossibile per l’Impero riuscire a controllarle l’aggressività.
Il primo scontro fra i due imperi si ebbe nel 1653, nell’attuale remota provincia settentrionale dell’Heilongjiang, all’epoca abitata solo da tribù di cacciatori, sulle quali però Pechino era riuscita a stabilire un controllo diretto (si trattava in sostanza del bacino dell’Amur, Heilongjiang in cinese). I russi invasero la regione massacrando coloro che si opponevano. Lo scontro militare premiò alla fine i cinesi, che nel 1658 riuscirono a scacciare i russi dalla regione. Tuttavia poco dopo le truppe cinesi lasciarono sguarnita la regione per via della Rivolta dei tre feudatari e perché il pericolo russo fu sostanzialmente sottovalutato. Ne approfittarono subito i russi che si ritornarono si insediarono nuovamente nella regione. Così nel 1685 Pechino inviò un nuovo corpo di spedizione che scacciò nuovamente i russi, i quali tuttavia si insediarono di nuovo non appena le truppe cinesi lasciarono la zona. A questo punto, benché la situazione logistica fosse favorevole ai cinesi, questi preferirono negoziare in compromesso con i russi, per il timore che essi potessero allearsi con i mongoli occidentali, gli Zungari di Galdan, che in quegli anni si stavano pericolosamente espandendo in Asia centrale, dal Tibet alla Mongolia occidentale.
Le trattative furono condotte a Nertcinsk -la legazione cinese si avvalse anche della consulenza di due gesuiti- e il trattato che ne derivò (il primo ad essere stipulato fra la Cina ed una potenza occidentale) fu redatto in latino, mancese, mongolo, cinese e russo (7 settembre 1689). Il trattato prevedeva il ritiro dei russi dalla regione dell’Amur (Heilongjiang), la consegna ai cinesi di tutti i disertori, e l’autorizzazione ai mercanti russi muniti di uno speciale lasciapassare di esercitare il commercio in Cina; il confine fra i due imperi fu posto lungo il fiume Argun, la Gorbika e la catena dei monti Xing’an. Nel 1693, un’ambasceria giunse a Pechino per discutere nei dettagli l’aspetto commerciale del trattato: venne stabilito che una missione commerciale avrebbe potuto trattenersi in territorio cinese per 80 giorni ogni tre anni. Frattanto, risolto il problema con i russi, i cinesi passarono al contrattacco nella zona del Bacino di Zungaria (Xinjiang), sconfiggendo i mongoli Zungari di Galdan nel 1696.
Negli anni successivi le missioni commerciali russe furono però più numerose e frequenti del previsto; ciò determinò la decisione di imporre un blocco nel 1719 da parte dei cinesi. La stipula di un secondo trattato bilaterale nel 1727, risolse questi problemi e garantì quasi un secolo di tranquillità nei rapporti fra i due imperi. I cinesi ottenevano il riconoscimento della loro sovranità su tutto il Bacino di Zungaria e i russi l’apertura di due mercati di confine e la ripresa delle missioni commerciali: inoltre era loro concesso di risiedere presso il cosiddetto Ostello Russo, a Pechino, dove fu anche costruita una chiesa ortodossa.
Doveva però in questo stesso tempo, riaccendersi il problema con i mongoli Zungari, che guidati del nipote di Galdan, avevano ripreso la loro attività espansiva. Nel 1717 essi avevano invaso il Tibet, lacerato dalle lotte fra le diverse sette. Nel 1720 i Qing reagirono inviando due armate che in brave tempo cacciarono gli Zungari dal Tibet e vi stabilirono una guarnigione permanente. Il conflitto proseguì fino al 1740, quando si giunse ad una tregua con la quale il confine fra Impero e mongoli Zungari veniva posto all’altezza dei monti Altai. Dopo un periodo di relativa calma però, nel 1755, questi ultimi si ribellarono nuovamente: l’imperatore Qianlong decise allora di reagire con decisione, conquistando anche la regione del fiume Ili He, e massacrando la nobiltà zungara, della quale venne cancellato persino il nome (1757).
Due anni dopo le armate di Qianlong avevano esteso il controllo dell’Impero su tutta l’area del Bacino del Tarim e del Bacino di Zungaria: quella che sarebbe posi stata ribattezzata ‘Nuova Provincia’, Xinjiang. Entro la fine del secolo (XVIII), le armate imperiali avevano saldamente stabilito l’egemonia cinese sul Tibet e sulla Mongolia, e confermato il rapporto tributario con il Vietnam e la Birmania. L’Impero aveva raggiunto la sua massima espansione territoriale.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Lorenzo Possamai
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- Università: Università degli Studi di Padova
- Facoltà: Scienze Politiche
- Esame: Storia cinese
- Titolo del libro: Storia della Cina
- Autore del libro: Mario Sabattini e Paolo Santangelo
- Editore: Laterza
- Anno pubblicazione: 2010
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