Appunti preparati per l'esame di - Etnomusicologia - Vengono riprese le tematiche principali, ovvero i miti, i canti e lo stile di vita kaluli, popolo della Papua Nuova Guinea che vive presso il vulcano del Bosavi.
Suono e sentimento
di Marianna Tesoriero
Appunti preparati per l'esame di - Etnomusicologia - Vengono riprese le
tematiche principali, ovvero i miti, i canti e lo stile di vita kaluli, popolo della
Papua Nuova Guinea che vive presso il vulcano del Bosavi.
Università: Università degli Studi di Messina
Facoltà: Scienze della Formazione
Corso: Scienze della Comunicazione
Esame: Etnomusicologia
Docente: Prof. Geraci
Titolo del libro: Suono e sentimento. Uccelli, lamento, poetica e
canzone nell'espressione kaluli
Autore del libro: Steven Feld
Editore: Il Saggiatore
Anno pubblicazione: 20091. Il bambino che diventò un uccello muni
C’erano una volta un bambino e sua sorella maggiore, si chiamavano reciprocamente Ade. Un giorno
andarono insieme a pescare gamberetti d’acqua dolce in un ruscello. La bambina riuscì ad acchiapparne 3,
per ognuna di queste volta il bambino piagnucolando pregava la sorella di darglielo, ma lei rifiutò discendo
che i 3 gamberi erano rispettivamente uno per il padre, uno per la madre ed uno per il fratello maggiore. Il
bambino era molto triste ma improvvisamente riuscì ad acchiappare un gamberetto piccolissimo. Lo strinse
forte nel pugno, quando aprì la mano, era tutta rossa, separò la carne dal guscio, ponendo quest’ultimo sul
suo naso, che improvvisamente diventò di un colore rosso violaceo. Poi, il bambino si guardò le mani, erano
ali. Quando a sorella si voltò e si rese conto che il fratellino era appena diventato un uccello si disperò e
iniziò a gridargli “Oh Ade, non volare via”. Lui aprì la bocca per risponderle ma non uscirono parole, solo il
verso piangente in falsetto acuto dell’uccello muni (la colomba frugivera bella). Iniziò a volare ripetendo il
richiamo muni, un e discendente.
La sorella si mise a piangere e gridò “Oh ade non andare via, viene prenditi i gamberetti, mangiali tutti”, ma
tali furono parole vane. Ora il bambino era un uccello muni, il suo verso piangente dopo un po’ diventò più
lento e costante, fino a diventare un verso cantato: “Il tuo gamberetto, Non me l’hai dato, Non ho un Ade,
Ho fame”.
Questa storia è un’affermazione sugli uccelli, sui valori sociali e sulla produzione di suono. Si tratta di una
delle dodici storie kaluli sugli uccelli, tra queste anche diverse altre riguardano i suoni. Sono storie molto
brevi e conosciute dalla maggioranza della popolazione del Bosavi. Nessuna di esse fa parte di un corpus di
tradizioni o credenze esoteriche o rituali quindi non sono in alcun modo soggette a vincoli. Sono storie che
possono essere raccontate da chiunque e qualsiasi momento.
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Suono e sentimento 2. I miti
I miti sugli animali sono gli unici a essere raccontati casualmente e modificati liberamente sulla loro
lunghezza e complessità. Nettamente diverso è il trattamento di un’altra serie di miti, il ciclo di storie
Trickster su Newelesu. Tali vengono normalmente raccontate da uomini, di notte, nella casa comunitaria, la
long house. Un contastorie particolarmente bravo riesce a tenere delle performance lunghe e intense facendo
uso di improvvisazione, voci speciali e altri effetti sonori per rafforzare e sviluppare il tema centrale.
Volendo cercare di dare un senso alla stranezza di questi miti kaluli pensando a esempi analoghi nella
cultura popolare americana o della storia naturale, magari riflettendo sulla storia dell’uccello muni e sul
collegamento fra uccelli e tristezza possono venire in mente nomi di animali quali la Tortora piangente o la
Parula lamentosa, i cui nomi fanno pensare a un riferimento alla tristezza evocata dai loro richiami, melodie
discendenti e in falsetto. Per Steven Feld però, la compressione simbolica in miti kaluli come quello del
bambino che diventò uccello muni, era qualcosa di più, qualcosa che contenesse una chiave importante per
comprendere la valenza sociale dei suoni nell’espressione kaluli.
Il primo passo da compiere era quello di individuare e analizzare i temi etnografici che compongono il mito.
Qui, i temi erano 7: il maschile, il femminile, il rapporto fra ade, il cibo, la fame e la reciprocità, la
tristezza, la perdita e l’abbandono, gli uccelli, il lamento e la canzone.
Le modalità sonore sono rappresentazioni espressive di due concetti fondamentali dei kaluli: il sentimento e
la supplica.
• Il maschile il femminile e il rapporto fra ade: nella società kaluli i ruoli sessuali sono nettamente distinti.
Tuttavia il modello del Bosavi si differenzia da quello delle Highlands di Paua Nuova Guinea dove le realtà
separate di uomini e donne sono segnate da antagonismo e aperta ostilità. Fra i kaluli le interazioni tendono
più all’equi librio e alla complementarietà, in sintonia con la naturale generalmente egualitaria della loro
società. Dopo il matrimonio la coppia di stabilisce nella comunità della long house del marito, iniziando ad
avere figli poco dopo, i figli nascono a intervalli di 2 o 3 anni di distanza, per via dei tabù sul sesso per i 2
anni successivi al parto. I figli che nascono da queste unioni si chiamano fra loro AO fratello e ADO sorella.
Quando nasce il primogenito la madre ha la quasi totale responsabilità della cura tenendolo sempre con lei.
Quando la donna dà alla luce altri bambini i fligli più grandi la aiutano a badare, nutrire e curare i fratellini e
le sorelline mentre lei pensa al neonato. Dai due ai sette anni fratelli e sorelle passano molto tempo insieme.
La socializzazione basata sul sesso del figlio o della figlia inizia da subito: le madri dicono ai figli maschi
che diventeranno forti, quando i bambini crescono le madri li assistono in giochi e routine che richiedono
asserzione di sè e aggressività. I maschietti imparano ad essere esigenti e persistenti fin dalla tenera età,
attraverso le interazioni sociali imparano a supplicare, lusingare e fare capricci finchè non ottengono ciò che
vogliono o ciò che pensano sia loro dovuto. Le femminucce invece vengono distolte da comportamenti da
femminucce indifese il più presto possibile, le madri le incoraggiano ad adempiere a tutti quei compiti e
attività di servizio e aiuto agli altri. Particolare riferimento nel caso della sorella maggiore la quale si abitua
a considerare le necessità e i desideri degli altri prima dei suoi, specialmente quando l’altro è un neonato.
Per quanto riguarda il concetto di ade, esso implica un rapporto costruito socialmente attraverso la
socializzazione basata sui ruoli sessuali e gli assunti dei kaluli riguardo il comportamento appropriato fra
sorelle maggiori e fratelli minori. Diversamente da AO e ADO, Ade è un termine reciproco non
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Suono e sentimento identificabile con termine di parentela, semmai, deriva dalle aspettative sociali insegnate come parte della
socializzazione basata sul sesso e sul genere.
Ritornando al mito, vi è nella scena iniziale una frattura dell’ordine sociale, generata da una violazione
diretta del comportamento fra ade, il bambino prega la sorella di dargli del cibo, ma lei glielo nega pensando
ad altri prima che a lui.
Ribadendo il suo rifiuto porta la situazione alla massima anormalità; in pratica questa sequenza di eventi va
contro tutte le norme di comportamento e pratica sociali dei kaluli. Il modo in cui il bambino si appella alla
sorella, piagnucolando e supplicando, rappresenta una routine sociolinguistica fondamentale nel Bosavi, dire
in modo implorante “Non ho X” è una strategia verbale che abbrevia la discussione realizzando l’obiettivo
di chi parla ovvero ottenere dall’interlocutore una cosa o un servizio. Normalmente questa strategia pone
immediatamente fine alla discussione, in quanto dire Non ho X per i kaluli significa essenzialmente dire in
modo diretto 3 cose: hai qualcosa che io non ho, lo voglio e ne ho diritto, devi darmelo ma anche provare
pena per me perché non ne ho.
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Suono e sentimento 3. Il mito per i Kaluli: la “parafrasi”
Una parte fondamentale dello sviluppo sociale di un ragazzo è l’acquisizione delle abilità comunicative,
che comprendono simultaneamente elementi verbali, intonativi e gestuali, per esigere l’attenzione della
sua ade. Nella storia il concetto di ade serve a illustrare una sequenza di eventi che rappresenta il tradimento
e la rottura dell’ordine sociale; negando il cibo al suo ade la sorella viola il più fondamentale criterio di
socialità kaluli, negare qualsiasi cosa a un bambino è un comportamento estremamente atipico fra i kaluli,
che risulta particolarmente sconvolgente se si tratta del rifiuto di una sorella maggiore che antepone i
bisogni degli altri a quelli del fratellino.
• Il cibo, la fame e la reciprocità: negare il cibo a un bambino è impensabile, nutrire i bambini è una forma
di interazione che inizia dalla nascita. Schieffelin in un suo studio, sottolinea che nel Bosavi il cibo è il
mezzo principale per esprimere, sviluppare e convalidare i rapporti sociali. Questo dare e condividere
comunica sentimento, trasmette affetto, familiarità e buona volontà. Il cibo rappresenta il modo principale
per instaurare rapporti fra tutte le persone, amici e parenti; attraverso questi atti, i rapporti diventano
socialmente reali. Quando due persone condividono lo stesso cibo, la carne in particolare, e quando le
circostanze sono socialmente significative, allora le due persone possono, da quel momento in poi, rivolgersi
l’un l’altra usando il nome del cibo condiviso invece dei loro nomi propri.
Questi termini rappresentano un modo speciale per due persone non imparentate di esprimersi
reciprocamente affetto e amicizia nella vita di tutti i giorni, lo spartire un nome è simbolo di un legame
stabilito attraverso un’esperienza condivisa mediata dal cibo. La normale socialità kaluli prevede che la
reazione immediata dell’individuo sia di condividere ciò che ha.
• Il rapporto fra ade non rientra nell’ambito della parentela ma si stabilisce attraverso aspettative
comportamentali condivise che riguardano il dovere, l’affetto e la cura. Queste sono esemplificate nel
rapporto fra sorella maggior e fratello minore. Nella storia la negazione delle aspettative inerenti al rapporto
fra ade, resa particolarmente grave dal fatto che esse concernono il cibo, simbolizza la frattura di tutti i
canoni della società kaluli. Schieffelin sostiene che il cibo non solo media i rapporti ma li rappresenta, avere
fame quindi non implica solo una condizione di bisogni fisico ma anche una condizione di isolamento. Nella
storia dell’uccello muni la fame rappresenta la perdita da parte del fratellino del suo diritto primo al cibo
della sorella. La fame e la perdita sono perciò al centro di un’equazione simbolica fondamentale dei kaluli e
rappresentano l’isolamento e l’abbandono.
• La tristezza, la perdita e l’abbandono: grande è l’importanza che i kaluli conferiscono all’amicizia, alla
solidarietà e alla compagnia. L’assenza di un amico o un parente a un evento può generare forti espressioni
di nostalgia e sentimentalismo. L’individuo riesce in qualche modo a rincuorarsi attraverso il consenso
altrui: un tale consenso nell’esprimere tristezza e nostalgia per l’assenza di qualcuno è importante per i
kaluli, dato che la loro paura più profonda è quella della solitudine, stato in cui non si ha nessuno che tenga
compagnia, di supporto o con cui dividere il cibo. I kaluli sentono fortemente il bisogno di essere e
condividere con gli altri. Dato che i rapporti umani vengono attualizzati e mediati attraverso doni di cibo e di
beni materiali, queste cose diventano rappresentative di ciò che è più sentito nei rapporti umani. È logico
quindi che i kaluli mettano sullo stesso piano una rottura di reciprocità, assistenza, condivisione, ospitalità o
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Suono e sentimento amicizia e la vulnerabilità, la perdita, l’abbandono, l’isolamento, la solitudine e la morte. Ciò è lo stato in cui
si trova il bambino nella storia quando il rifiuto della sua ade indica che egli non ha una ade, spezza il
legame sociale. Per il bambino la fame significa isolamento, la negazione significa abbandono. Lo stato
prodotto da tali eventi è doloroso e il bambino si riduce a uno stato non umano.
• Gli uccelli: Schieffelin nota che l’assenza di rapporti umani viene paragonata alla presenza della morte. Il
mito rispecchia questa idea nel fatto che il bambino diventa un uccello muni, i kaluli credono che gli uccelli
siano manifestazioni degli spiriti dei loro morti.
I kaluli sono ornitologi appassionati, con un’ampia conoscenza del loro habitat, dell’ecologia e dei
comportamenti migratori dell’avifauna del Bosavi. Sono particolarmente esperti nell’identificare e
localizzare gli uccelli attraverso i loro richiami. I kaluli si riferiscono a famiglie di uccelli raggruppate in
base a categorie sonore: gli uccelli che cantano, quelli che piangono, che fischiano, che parlano in lingua
bosavi, che dicono il proprio nome, che producono solo un suono e quelli che fanno molto rumore.
Distinguono chiaramente i canti di contatto, di allarme e sociali di tutti gli uccelli da loro riconosciuti. I
kaluli sentono i canti degli uccelli come rivelatori dell’avifauna e al tempo stesso come comunicazioni dal
regno dei morti, che sono nella forma di uccelli. L’aspetto più impressionante è la misura in cui i kaluli
usano le loro osservazioni storico-naturali per costruire ideali culturalmente metaforici. La chiave di questo
tipo di percezione risiede nella nozione dei kaluli che il mondo è costituito da 2 realtà di identica portata,
una visibile e l’atra invisibile che è il riflesso della prima. Nel mondo invisibile i riflessi o le manifestazioni
degli uomini e delle donne sono rispettivamente i maiali selvatici e i casuari che vivono sui pendii del monte
Bosavi, chiamati Ane Mama (riflesso di una persona andata). Un ane mama appare nel mondo visibile nella
forma di qualche animale, molto spesso nella forma di un uccello, quindi gli uccelli si vedono l’un l’altro
come persone e per i kaluli i loro richiami sono comunicazioni vocali degli ane mama. Gli uccelli sono
dunque una società umana metaforica e i loro canti rappresentano forme particolari di sentimento e di ethos.
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Suono e sentimento 4. L'uccello Muni
Un uccello di importanza primaria è muni, uno degli uccelli più piccoli nel suo genere. Dell’uccello si
conoscono due richiami diversi: uno acuto, rapido e ripetitivo e l’altro più lento, distinto e discendente,
entrambi rappresentati nella storia del mito muni. Nella storia l’adozione della voce di muni da parte del
bambino è sia un’espressione simbolica della morte sia una metafora sonica del suono di un bambino
affamato, isolato e abbandonato.
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