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Il combattente in guerra: disgusto e morte


Un altro aspetto fondamentale dell’esperienza del combattente, un moto di disgusto per ciò che la guerra ha fatto conoscere al soldato, iscrivendolo nel raggio della sua quotidianità: la spaventosa mescolanza tra corpo e materia, la contaminazione e il contagio di materiale biologico (escrementizio, ematico, cerebrale), terra e fango.
Confusione, promiscuità e lordura sono segnalate con sorprendente frequenza come connotati tipici dell’ambiente delle trincee e come fattori di destabilizzazione dell’equilibrio mentale.
Promiscuità e contaminazione, perdita di distinzione tra uomini e cose, vita e morte, corpo e materia sono le caratteristiche dominanti del paesaggio specialmente nella «terra di nessuno» che separa le trincee contrapposte.
Incorporati al paesaggio, i morti si stratificano, a segnalare la durata interminabile del massacro.
L’esperienza del vedere i propri compagni cadere attorno a sé segnala quotidianamente l’alto grado di probabilità della morte.
La morte di massa non è solo questione di numero e di frequenza. C’è un altro elemento che la qualifica, ed è l’anonimato. A partire dalla guerra, anche la morte diviene un evento senza qualità, che inghiotte subito le sue vittime cancellandone in maniera subitanea l’identità.
Condizione centrale dell’uomo nella società di massa, l’anonimato si impone per la prima volta all’esperienza di milioni di persone nella guerra, come caratteristica dominante della morte. Nasce da qui, ossia dal tentativo estremo di arginare questo processo di annientamento, il febbrile scambio di indirizzi tra i soldati che si preparano all’assalto.
Se l’annientamento dell’identità vivente è un evento breve, istantaneo, la decomposizione dei suoi resti corporei è invece un processo lento, che si svolge tutto sotto gli occhi dei soldati. L’uomo si tramuta in materia, si confonde con essa: un passaggio, una metamorfosi dall’individuo al cadavere, dall’organismo vivente alla materia, dalla carne al fango che, violando le distinzioni proprie all’esperienza comune, appare ai più indicibile.
Con questi morti si sviluppa una sorta di convivenza, talora di contatto fisico diretto: estremo limite dell’esperienza di contaminazione che peraltro costituisce un dato comunissimo della vita di trincea. Coi morti si dorme, si mangia, si beve, si interloquisce come se fossero vivi.
La convivenza coi cadaveri genera effetti ora osceni, ora grotteschi e ironici, che vengono registrati nella scrittura e fissati nella memoria appunto in virtù del loro carattere paradossale.
Nel contesto di un simile paesaggio reale e mentale i soldati smarriscono la loro identità. E qui che essi vivono l’esperienza tipicamente moderna dello sdoppiamento della personalità.

Tratto da L'OFFICINA DELLA GUERRA di Anna Bosetti
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