Sequenza della zia Fanny in "L'orgoglio degli Amberson"
La sequenza, ad esclusione della prima immagine che funge da emblematic shot e avvolge casa Amberson, in una cupezza temporalesca che preannuncia la tensione che scoppierà più avanti, è realizzata in Piano-Sequenza. Un ruolo assai importante in questa fase del film è ricoperto da zia Fanny, donna zitella la cui condizione è evidenziata visivamente anche da elementi simbolici che la attorniano: esemplari in tal senso sono le batterie di pentole, mostrate in profondità di campo, che sono sfondo inquietante e al tempo stesso sinonimo di più livelli di conversazione.
In questa sequenza la macchina da presa segue l’azione, abbiamo infatti due movimenti simmetrici uno verso destra che segue zia Fanny che si siede al tavolo, l’altro verso sinistra che segue il movimento di zio Jack che si sposta ritornando nella posizione di inizio sequenza. In questa scena è possibile distinguere tra un’azione reale e un’azione pretesto, secondo una definizione di Andrè Bazin. La prima è l’inquietudine trattenuta di zia Fanny – che come sappiamo è segretamente innamorata di Eugene Morgan – la quale cerca con finta noncuranza di sapere se George – che appena rientrato in casa dal viaggio con sua madre si è precipitato in cucina per mangiare le torte preparate da sua zia – e sua madre hanno viaggiato con Eugene. La seconda, l’azione pretesto, che invade lo schermo e ci tiene concentrati, è l’ingordigia di George. A queste due scene corrispondono altrettanti dialoghi. Quello vero, fatto di poche domande insidiose e mascherate in qualche modo nell’altro, quello falso e insignificante. Trattata in modo classico, questa scena sarebbe stata frammentata in diverse inquadrature allo scopo di permetterci di distinguere con chiarezza l’azione reale dall’azione apparente. Le poche parole rivelatrici di Fanny sarebbero state messe in rilievo da un primo piano, che ci avrebbe anche consentito di apprezzare la recitazione di Agnes Moorehead in quel preciso momento. Insomma, la continuità drammatica sarebbe stata l’opposto di quella che Welles ci impone qui, con dura oggettività, al fine di condurci con il massimo di efficacia alla crisi di nervi finale di Fanny, che esplode brutalmente durante il dialogo insignificante.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Marco Vincenzo Valerio
[Visita la sua tesi: "La fortuna critica italiana de I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli"]
- Università: Università degli Studi di Milano
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Teoria e analisi del linguaggio cinematografico
- Docente: Elena Dagrada
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