"The great train robbery" di Edwin Porter
Il film racconta in 14 inquadrature la storia di una banda di rapinatori che assalta un treno. Il montaggio tenta di costruire una certa continuità spazio temporale fra le inquadrature e le azioni ma non riesce a rappresentare a pieno la simultaneità di queste ultime con un montaggio alternato.
Le inquadrature spesso esauriscono in sé stesse la durata di una scena ma in alcuni casi l’azione si sviluppa attraverso più inquadrature ( l’inseguimento, la fuga dei banditi). Si tratta del primo film a unire la spettacolarità al mito popolare del selvaggio e lontano West, sfruttando il contesto iconografico e narrativo maggiormente in voga a quel tempo: la ferrovia. Il film di Porter documenta meticolosamente ogni singola tappa del crimine, addirittura esagera nel mostrare scene di violenza anche feroce. Il treno, cavallo d’acciaio, è no spazio chiuso che attraversa uno spazio aperto. Consente di abbinare la violenza dell’azione alla velocità della locomotiva. Treno e cinema hanno molto in comune. Anzitutto lo spettatore di massa (viaggiatore immobile, passivo, anonimo, collettivo), ma anche lo spettacolo (viene modificata la percezione dello spazio e del tempo, della distanza). Lo spettatore di oggi può incontrare difficoltà a collocare in un tempo narrativamente coerente i vari momenti della storia. L’azione dei cattivi si snoda lungo nove inquadrature, l’azione dei buoni arriva solo dopo alla decima. Si può inoltre parlare di “sovrapposizioni temporali”: l’azione della terza inquadratura (vagone postale) è contemporanea a quella della quarta (locomotiva). Eppure nel film nulla ce lo fa capire. Nel cinema delle origini ogni azione veniva rappresentata nella sua interezza, solo dopo che un’azione si è conclusa si passa all’azione seguente (non necessariamente successiva nel tempo). Il pubblico di allora capiva il film senza difficoltà anche grazie alla presenza di un imbonitore che durante la proiezione commentava l’azione e chiariva l’identità dei personaggi. I movimenti di macchina vengono usati per seguire i personaggi ogni volta che stanno per uscire fuori campo, senza mai avvicinarli. Lo spettatore non sa nulla di loro, solo il capo dei fuori legge ha un nome: quello del suo interprete Barnes, che è anche il solo di cui si veda il volto da vicino. L’ultima inquadratura è emblematica e problematica. Si tratta di un mezzo primo piano, il personaggio è inquadrato fino al busto. Non rappresenta un momento dell’azione. Si tratta piuttosto di un’attrazione, un’immagine spettacolare, che rompe la distanza.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Marco Vincenzo Valerio
[Visita la sua tesi: "La fortuna critica italiana de I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli"]
- Università: Università degli Studi di Milano
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Teoria e analisi del linguaggio cinematografico
- Docente: Elena Dagrada
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