Saggio sull'Iraq a partire dal contenuto del corso "Modelli di comunicazione storica nel Nord America" - docente Elena Lamberti. Nel corso del saggio vengono analizzati alcuni libri tra cui: "Ingannati e traditi: lettere dal fronte" di Micheal Moore (Mondadori, 2005), "Ammazzare il tempo in Iraq" di Colby Buzzell (Piemme, 2006) e "Imperial Life in the Emerald City" di Rajiv Chandrasekaran (Rizzoli, 2010).
Il saggio contiene anche l'analisi dei seguenti film: "Fahrenheit 9/11" diretto da Micheal Moore (2004), "The hurt locker" diretto da Kathryn Bigelow (2008) e "Green zone" diretto da Paul Greengrass (2010).
La missione americana in Iraq
di Isabella Baricchi
Saggio sull'Iraq a partire dal contenuto del corso "Modelli di comunicazione
storica nel Nord America" - docente Elena Lamberti. Nel corso del saggio
vengono analizzati alcuni libri tra cui: "Ingannati e traditi: lettere dal fronte" di
Micheal Moore (Mondadori, 2005), "Ammazzare il tempo in Iraq" di Colby
Buzzell (Piemme, 2006) e "Imperial Life in the Emerald City" di Rajiv
Chandrasekaran (Rizzoli, 2010).
Il saggio contiene anche l'analisi dei seguenti film: "Fahrenheit 9/11" diretto da
Micheal Moore (2004), "The hurt locker" diretto da Kathryn Bigelow (2008) e
"Green zone" diretto da Paul Greengrass (2010).
Università: Università degli Studi di Bologna
Facoltà: Lettere e Filosofia
Corso: Teorie della Comunicazione
Esame: Modelli di comunicazione storica nel Nord
America
Docente: Elena Lamberti1. Il discorso alla Nazione di Barack Obama del 31 agosto 2010
The Americans who have served in Iraq completed every mission they were given. They defeated a regime
that had terrorized its people […]. So tonight, I am announcing that the American combat mission in Iraq
has ended. Operation Iraqi Freedom is over, and the Iraqi people now have lead responsibility for the
security of their country.
Barack Obama - 31 agosto 2010 - discorso alla Nazione
La notte del 31 agosto 2010, il Presidente degli Strati Uniti Barack Obama ha annunciato dallo Studio Ovale
la fine delle operazioni militari in Iraq. Mantenendo la sua principale promessa elettorale, a tre mesi
dall’appuntamento con le elezioni di Midterm, il Comandante in Capo dell’esercito americano ha
richiamato in patria anche la quarta brigata della seconda divisione di fanteria. Lo ha fatto dopo sette anni e
cinque mesi di guerra, durante i quali sono morti 4.415 soldati americani, circa 35.000 sono stati feriti o
mutilati e almeno 100.000 Iracheni sono stati uccisi. È il bilancio più grave dai tempi della guerra del
Vietnam. In Iraq restano ancora 56.000 soldati statunitensi, con “compiti di addestramento”, oltre a 7.000
contractors, quei dipendenti delle multinazionali americane che hanno in appalto il settore della sicurezza e
che sono state in questa guerra al centro di gravissimi scandali, dalle torture dei prigionieri iracheni ai
massacri di civili.
L’ultima brigata combattente statunitense si è lasciata alle spalle un Paese in cui il sogno della democrazia e
del benessere modello U.S.A. - che l’amministrazione Bush sosteneva di potere e volere “esportare” - è
ancora ben lontano dall’avverarsi: l’economia stenta a decollare, con una produzione di petrolio che non ha
ancora raggiunto i livelli di prima della guerra – quando, tra l’altro, c’era l’embargo –, solo il 20% della
popolazione è allacciata alla rete fognaria, il 45% ha accesso all’acqua potabile, il 50% riceve corrente
elettrica per almeno dodici ore al giorno. Un Paese in cui i quasi due milioni di cittadini fuggiti all’estero – i
più ricchi e qualificati – non se la sentono di tornare in patria.
Il ritiro dalla campagna irachena, che Obama aveva sempre definito «stupida» – perché basata
sull’invenzione della ricerca di armi di distruzione di massa in un Paese che non aveva mai costituito una
minaccia terroristica per gli Stati Uniti - avviene in un momento in cui l’opinione pubblica ha già
fortemente preso le distanze dal sogno neoconservatore della superpotenza americana che primeggia sul
mondo come Impero del Bene1. Del resto, come nota Lucio Caracciolo2 «del cambio di paradigma si erano
già accorti nel 2006 due tra i più acuti critici della campagna di Mesopotamia, John Hulsman e Anatol
Lieven: “ciò che è fallito in Iraq non è stata solo la strategia dell’amministrazione Bush, ma tutto un modo di
vedere il mondo, ovvero la fede che l’America sia insieme tanto potente e tanto ovviamente buona da poter
diffondere la democrazia; che questa la si possa ottenere con la guerra; che così si proteggano anche
specifici interessi nazionali americani; e che tale combinazione sarà naturalmente sostenuta dalla gente di
buona volontà dovunque nel mondo, a prescindere dalle tradizioni politiche, dall’appartenenza nazionale,
dagli interessi nazionali”».
Questa crisi di fiducia nei confronti della politica estera americana (in Iraq, ma anche in Afghanistan) da
parte della maggioranza degli Americani nasce dall’altissimo numero di morti e feriti di un’operazione
Isabella Baricchi Sezione Appunti
La missione americana in Iraq militare di cui George W. Bush aveva già proclamato la fine il 1° maggio 2003, dopo soli due mesi di
combattimenti. Certamente anche da una situazione di «debito pubblico fuori controllo e disoccupazione
quasi a due cifre3». Ma anche dagli spunti di riflessione provenienti dai “mediatori di memoria”4 che in
questi anni di guerra hanno informato i cittadini in merito alle storture dell’operazione Iraqi Freedom, dalle
infondate motivazioni della dichiarazione di guerra, agli interessi economici delle multinazionali degli
appalti legate all’amministrazione Bush, anticipando una nuova chiave interpretativa della campagna
irachena, ormai ampiamente condivisa.
Alla base di queste considerazioni sul ruolo dei “mediatori” sta un’idea della memoria come «“campo di
battaglia”, dove niente è neutrale e ogni cosa viene continuamente ridiscussa5». Ciò significa che, così come
la classe egemone ha i suoi mediatori di cultura6 (potremmo ad esempio citare Edward Luttvak come
mediatore “ufficiale” del discorso americano in politica estera?7), a questi corrispondono controcanti
culturali provenienti “dal basso” che contribuiscono a sensibilizzare l’opinione pubblica su nuovi temi e
prospettive, riuscendo talvolta a produrre grandi cambiamenti nelle idee dominanti di una società.
Isabella Baricchi Sezione Appunti
La missione americana in Iraq 2. Operazione Iraqi Freedom. Contro memorie
C’è stata una grande produzione di “contro memorie” nel periodo intercorso tra l’11 settembre 2001 –
l’attacco all’America che offre a George W. Bush una motivazione per attaccare l’Iraq - e il 31 agosto 2010,
ovvero l’annuncio della fine delle operazioni militari da parte di Obama. Di questa enorme offerta di fonti
ho scelto di analizzarne solo alcune (senza avere chiaramente la pretesa che esse siano le più significative),
cercando comunque di fornire una panoramica di vari media: film, documentari, libri.
Si tratta in gran parte di testimonianze di militari, giornalisti, funzionari che hanno vissuto l’esperienza
irachena “on the ground”: per loro «la memoria diventa un atto di sopravvivenza, di consapevolezza e di
creatività, fondamentale per la formazione e ri-scrittura dell’identità come atto individuale e politico
insieme. In questa prospettiva la memoria e il ricordo diventano […] una forza critica, perché fanno
emergere i nodi problematici e irrisolti della storia e rappresentano la protesta più efficace contro la
sofferenza e l’ingiustizia»8. Ed è proprio perché vengono dall’interno del sistema (amministrativo e
militare) che queste denunce di corruzione, impreparazione, superficialità, menzogna, sono così forti da
bucare il muro del consenso dell’opinione pubblica americana alla guerra in Iraq.
Come accennato sopra, l’analisi riguarderà mezzi di comunicazione diversi, con differenti potenzialità
espressive9, che utilizzano vari artifici narrativi per dare un’impressione di obiettività o piuttosto per
scatenare nel pubblico forti reazioni emotive.
Dopo aver offerto una breve scheda descrittiva per ognuno dei testi10 presi in considerazione, proseguirò
con l’analisi delle tematiche comuni a tutte le fonti, identificando cioè i filoni principali di critica su cui si è
basata l’opposizione culturale alla missione irachena voluta dall’amministrazione Bush.
Isabella Baricchi Sezione Appunti
La missione americana in Iraq 3. Micheal Moore: Farhenheit 9/11 (2004)
Dall’inizio della guerra i media americani fanno gli straordinari per dipingere le nostre coraggiose armate
come una macchina compatta di uomini uniti nell’intento di liberare l’Iraq dai cattivi e portare nel Paese la
bontà dello zio Sam. È stato solo con Fahrenheit 9/11 che un bel po’ di gente ha iniziato a sospettare che
molti soldati non fossero d’accordo con ciò che sta facendo Bush12
Forse è proprio con Fahrenheit 9/11 che si apre una serie di denunce, nella letteratura e nel cinema
americano, che cercano di bucare il muro della propaganda dell’amministrazione Bush per svelare le storture
della guerra in Iraq. Nel film di Moore, in particolare, si affronta il tema della menzogna su cui si basa la
dichiarazione di guerra all’Iraq (ovvero la ricerca delle armi di distruzione di massa) e si mettono in luce i
legami tra la famiglia Bush e quella di Bin Laden, dimostrando come l’idea di attaccare l’Iraq fosse
precedente all’11 settembre 2001. Fahrenheit 9/11 ci spiega come l’amministrazione Bush, creando un clima
di terrore negli Stati Uniti dopo l’attacco alle Torri, abbia costruito il consenso degli Americani alla guerra.
Nella seconda parte del film, viene affrontato il tema del reclutamento dei soldati che, secondo Moore,
indossano la divisa per permettere a noi di fare altre cose chiedendo solamente che la loro incolumità non sia
messa a repentaglio a meno che non sia assolutamente indispensabile. Si fideranno ancora di noi?13
Isabella Baricchi Sezione Appunti
La missione americana in Iraq 4. Micheal Moore: Ingannati e traditi: lettere dal fronte (2004)
Il libro esce poco dopo il film Fahrenheit 9/11 ed è una raccolta delle lettere ricevute da Moore sul suo sito,
molto spesso come commento al film, da parte di soldati in missione in Iraq o in altri siti di guerra, dei loro
familiari e di veterani che hanno partecipato a precedenti campagne militari americane (ad es. il Vietnam).
Subito dopo l’uscita di Fahrenheit, infatti, Moore riesce a distribuire la pellicola ai soldati americani sui
fronti di guerra ed inizia attraverso Internet un dialogo costante con loro. La posizione di Moore, espressa in
Fahrenheit come nell’introduzione di questo libro, è di denuncia nei confronti di Bush, sia per le menzogne
raccontate agli elettori per giustificare l’operazione Iraqi Freedom, sia per il modo in cui vengono condotte
le operazioni, e di grande solidarietà nei confronti dei militari:
Certo che state con i soldati! Chi sono i soldati? La maggior parte di loro appartiene alla classe più povera o
a quella dei lavoratori […] molti di voi hanno votato rappresentanti che promettevano di farsi carico dei
problemi di chi cresce nei bassifondi14
Chiaramente, trattandosi di una raccolta di testimonianze dirette, il libro suscita forti reazioni emotive nel
lettore, di empatia con i soldati al fronte o con i familiari che hanno perso i loro congiunti in guerra.
Isabella Baricchi Sezione Appunti
La missione americana in Iraq