Avanguardia nel presente è un’indagine sull’avanguardia, concetto chiave della modernità e riportato nel vivo contesto contemporaneo attraverso la traduzione dei significati della sperimentazione odierna. Il saggio riflette sulle figure e sulle forme dell’avanguardia in un’ipotesi di praticabilità oltre la postmodernità. Lo scritto si dipana attraverso la critica degli ultimi venti anni di storia dell’arte, intesa come storia articolata del mondo: nella lettura riviviamo la struttura del sistema dell’arte dagli albori del postmodernismo sino alla complessità vitale dell’arte attuale. Un testo critico e teorico dedicato allo stato della ricerca e del sistema artistico dai primi anni Ottanta a oggi. Domenico Scudero analizza la condizione dell'arte contemporanea nel limbo del Postmoderno, definendo le ragioni e le possibilità di una avanguardia nel presente.
Avanguardia nel presente
di Alessia Muliere
Avanguardia nel presente è un’indagine sull’avanguardia, concetto chiave della
modernità e riportato nel vivo contesto contemporaneo attraverso la traduzione
dei significati della sperimentazione odierna. Il saggio riflette sulle figure e sulle
forme dell’avanguardia in un’ipotesi di praticabilità oltre la postmodernità. Lo
scritto si dipana attraverso la critica degli ultimi venti anni di storia dell’arte,
intesa come storia articolata del mondo: nella lettura riviviamo la struttura del
sistema dell’arte dagli albori del postmodernismo sino alla complessità vitale
dell’arte attuale. Un testo critico e teorico dedicato allo stato della ricerca e del
sistema artistico dai primi anni Ottanta a oggi. Domenico Scudero analizza la
condizione dell'arte contemporanea nel limbo del Postmoderno, definendo le
ragioni e le possibilità di una avanguardia nel presente.
Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
Facoltà: Scienze Umanistiche
Titolo del libro: Avanguardia nel presente
Autore del libro: Domenico Scudero1. La contrapposizione postmoderno -avanguardia
La contrapposizione postmoderno - avanguardia si riflette in un'ulteriore distinzione categorica: Moderno e
odierno. Se l'uno decreta "la corrosione dell'estetico", l'altro misura "le istanze etiche alla radice
dell'estetica". Decretando la fine alle istanze etiche ancora vive nel corso degli anni Settanta, il Postmoderno
ha chiuso la ricerca concettuale nel consueto avvicendarsi delle tendenze, travisandone il messaggio. Il
Concettuale, fagocitato nell'appropriazione indiscriminata della produzione postmoderna, è stato dunque
riconvertito nella logica edonistica: "un potere, quello del Postmoderno, fondato sull'estetica oggettiva, mai
interessata alla discussione dei contenuti, perché inessenziali alla sua forma, alla sua origine del bello".
L'operazione artistica scivola nel rapporto estetico e gli opposti si riconciliano sotto l'ala protettrice degli
interessi economici. Risalendo alle cause di questa aporia Scudero individua un momento critico nella
progressiva constatazione dell'inadeguatezza dell'analisi scientifica, che aveva guidato la ricerca e la critica
d'arte fino agli anni Sessanta, nella fiducia di un discorso basato sulla razionalità dell'evoluzione
tecnologica. A ciò subentra, già negli anni Settanta, quello scetticismo che accompagna la fine delle
ideologie politiche. L'autore non teme di affermarlo: l'attuale valore della produzione artistica esiste
unicamente in virtù dell'esistenza di un mercato. La svalutazione delle potenzialità critiche e di un contenuto
etico, sovversivo, ha determinato infine la coincidenza di istituzione e avanguardia: l'unica sua ragione di
esistenza, necessaria e sufficiente, è il suo esistere nel sistema di mercato.
Alessia Muliere Sezione Appunti
Avanguardia nel presente 2. L'ideologia nell'arte
E l'ideologia? "L'ideologia si svuota dai contenuti socio-politici e diviene ideologia esistenziale, volontà di
potenza, necessità esistenziale; la prima coscienza dell'essere nell'arte". Discernere e distinguere le istanze di
una reale avanguardia, definendone le possibili strategie, è il proposito di questo saggio. Dopo le visioni
escatologiche della storia che hanno caratterizzato non solo le avanguardie artistiche del '900, ma persino, in
certa misura, le concezioni postmoderne riferibili alla "fine della modernità", o alla cosiddetta "fine della
storia", o all'"ultima avanguardia possibile" o addirittura all'"ultimo Dio" (si tratti qui del dio della Tecnica,
come sostengono molti esegeti della nostra epoca, oppure di ciò che potrebbe risultare da quella "mutua
comprensione" tra culture diverse evocata speranzosamente da Gadamer in una recente intervista) eccoci
comunque giunti, a quanto pare, ad una strana fase di passaggio tra il vecchio e il nuovo secolo. Scudero
evoca tale condizione già nel titolo del suo libro: Avanguardia nel presente. Egli non è certo un neofuturista,
pur essendo indubbiamente interessato all'avvenire dell'arte. Ma non è neppure un nostalgico della "presenza
perduta", pur dichiarandosi favorevole alla ricerca di uno "stacco classico" rispetto all'odierno tempo
frenetico in cui ogni scritto tende invece a consumarsi nel mito di una presunta leggerezza e trasparenza del
linguaggio. Egli, insomma, non è classificabile tra i ragionieri del sistema dell'arte, ma neppure tra quei
nuovi apocalittici che ci ripropongono ancora qualche usurato effetto speciale da fine del mondo simulata al
computer. Abbiamo qui un testo molto denso che è l'esatto contrario, appunto, di quel linguaggio
giornalistico reso in genere (forse dalle stesse caratteristiche del medium usato, oppure dalla fretta,
dall'incuria o dall'insipienza degli scriventi) così "automatico" da provocare una sorta di anestesia totale nel
destinatario. Testi che perlopiù si distruggono durante la loro stessa lettura. Tali, dunque, da non lasciare
quasi mai tracce durevoli nella mente del lettore. Dato che nel caso in questione non si tratta di un testo
puramente promozionale, ma di un lavoro propriamente critico, mi chiedo se la complessità del testo di
Scudero non sia anzitutto dovuta alla difficoltà oggettiva di afferrare in termini logici il senso di questo
curioso paradosso: è infatti molto difficile, se non impossibile, prendere la parola in nome dell'Altro, senza
che proprio in virtù di questo medesimo discorrere di un "altrove" (le cui tracce però, in qualche misura,
possono mostrarsi già qui ed ora) si tenda fatalmente a ricondurre tale alterità intravista a partire da questo
"guardare avanti a sé" (tipico, appunto, dell'avanguardia), alla semplice identità e prevedibilità del
Medesimo. Il rischio, dunque, è sempre quello di far coincidere la visione dell'altro con la nostra stessa
immagine riflessa in uno specchio. Occorre qui fare molta attenzione alle persistenti insidie della dialettica,
al fascino del dialogo tranquillizzante, ossia al sogno ermeneutico della "fusione di orizzonti", o alla
spensierata celebrazione odierna di quella convivialità gastronomica che in nome di una comunicazione
facile o che si presume perfettamente vicendevole e simmetrica - ad esempio tra i navigatori della Rete -
finisce spesso per eludere il problema tipico di ogni avanguardia: quello di essere pur sempre affermazione o
testimonianza del radicalmente eterogeneo anziché del sempre uguale a se stesso.
Alessia Muliere Sezione Appunti
Avanguardia nel presente 3. L'incontro con l'opera d'arte
Occorre bensì farsi ancora oggi interpreti di un porsi-in-opera dell'arte nel trauma dello stupore. Stupore
sempre rinnovato per la flagranza di un incontro necessariamente imprevedibile e dunque sempre "libero" e
inatteso. Il quale implica, per altro, una singolare compresenza relazionale del "qualcosa" che si mostra e del
riguardante che ne accoglie e custodisce le tracce. Desidero evocare qui una sorta di "poetica dell'incontro",
per così dire, tra differenze non riducibili. Incontro che a sua volta produce altre differenze. Incontro
potenzialmente destabilizzante, il quale può certo avviare una fase dialogica tendente a ripristinare la
condizione "omeostatica" di partenza, ma non esiste nessuna garanzia a priori che l'esito di tale dialogo sia
la semplice riconferma delle identità iniziali o il mero approfondimento di esperienze già collaudate.
Occorre insomma affrontare il rischio di un reale cambiamento. Di quel completo e talora durevole
rivolgimento dei paradigmi dominanti in virtù del quale, come sappiamo, ogni volta nell'arte può rimettersi
in questione il senso dell'intero esistente. Intendo alludere, perciò, all'etica dell'eversione poetica, dello
spaesamento continuo, dell'incontro straniante. L'incontro con l'opera andrebbe quindi sottratto al puro e
semplice atto notarile del riconoscimento dell'identità di un oggetto più o meno originale, a quella
sostanziale indifferenza verso le verità dell'arte che è tipica del mero rispetto pluralistico delle opinioni
altrui. L'empatia conversazionale è certo una risorsa utile per il buon venditore, ma la ricerca di un consenso
immediato non può essere anche lo scopo primario del filosofo o dell'artista. Scudero, infatti, non si lascia
sedurre da quella mitologia del gioco senza frontiere che si ripropone oggi sotto il segno omologante della
globalizzazione, ennesima versione tecnologica dell'opera totale wagneriana, vera trasposizione simulacrale
su scala planetaria di quell'Eros platonico in cui l'Uno non incontra mai, di fatto, qualcosa o qualcuno che sia
realmente altro da Sé. Sappiamo infatti che per Platone l'amore era idealizzabile come pura sintesi degli
opposti, approdo pacificante, riunione definitiva delle parti separate dell'androgino primordiale, dunque
estasi ego-centrica e transito circolare dallo stesso allo stesso.
Alessia Muliere Sezione Appunti
Avanguardia nel presente 4. L'avvenire dell'arte nel presente
Ma ora possiamo forse affermare che se si dà un'avanguardia nel presente è proprio perché la storia non è
ancora finita e perché nessuna profezia escatologica può esorcizzare la possibilità di un'irruzione
puntualmente inattesa e imprevedibile dell'evento dell'arte (e non solo dell'arte, ovviamente). Allora, forse,
con il libro di Scudero siamo già introdotti nell'orizzonte dischiuso da una singolare eterologia critica che
prepara uno spazio nel presente per l'a-venire dell'arte (l'arte dell'altro, come direbbe forse Patrizia Mania)
sapendo che per far questo deve rinunciare ad ogni maldestra fuga prospettica verso il futuro. Non si tratta di
una ennesima forma di lassismo qualunquista, ma di un preciso impegno critico-operativo che però, in
qualche modo, si richiama qui all'idea heideggeriana della Gelassenheit ("Abbandono"), o magari a quel
principio levinassiano e derridiano che chiama in causa un'etica dell'ospitalità: in altri termini, il luogo
dell'evento deve essere lasciato aperto, sgombro, vuoto, libero da ogni aspettativa prematura o rimembranza
nostalgica, proprio affinché ciò che è, kantianamente, libero e "disinteressato" per definizione, possa
realmente venire accolto nel suo darsi come tale all'interno della stessa eterogeneità del presente. Anche
ammesso che, sul piano critico, si possa o si voglia prevedere in anticipo il corso degli eventi, occorre bensì
comprendere che in ogni caso non si dovrebbe farlo, se non altro perché una simile anticipazione
risulterebbe comunque fallace e controproducente proprio in quanto pregiudiziale, soggettivistica e
tendenzialmente mistificatoria. Ma questo lasciar-essere non implica un atteggiamento di pura passività né
una pretesa obiettività scientifica, bensì presume una sorta di ritegno maieutico, nonché un impegno
energico e costante volto alla rimozione di tutti quegli ostacoli teorici e pratici riferibili alla stessa possibilità
di un'avanguardia nel presente in senso lato. D'altronde come potrebbe, di per sé, il principio scontato,
seppure ragionevole, facilmente comprensibile e sostenibile, relativo al valore democratico della cosiddetta
reciprocità di ogni rapporto paritario tra soggetti (interlocutori che già in partenza si riconoscono come
"simili" proprio in quanto appartenenti ad un medesimo orizzonte culturale), predisporci davvero all'incontro
con quel "radicalmente altro" che può irrompere nella 'nostra' casa in qualunque momento? Come affrontare
la sempre rinnovata imminenza di tale evento senza chiamare in causa l'idea, ben poco armoniosa e
tranquillizzante, di un nostro essenziale sbilanciamento verso l'ignoto? Può darsi allora che si debba
condividere la seguente affermazione di Derrida: "Il problema etico è fare in modo che l'incondizionato
accada".
Alessia Muliere Sezione Appunti
Avanguardia nel presente