Negli appunti si affronta il tema del problem solving sotto vari punti di vista.
Innanzitutto viene definito l'ambito di studio del problem solving, indagando il processo dal punto di vista dell'efficacia e della strategia più adatta da seguire.
Vengono poi presentati i contributi dei vari studiosi, che hanno affrontato il problem solving da più punti di vista: in primis il legame positivo tra problem solving interpersonale e apprendimento, ovvero tra la creazione e lo sviluppo della propria competenza sociale e l'affermazione di sé.
Viene quindi indagato il rapporto tra competenze cognitive e successo scolastico, soffermandosi sui relativi programmi scolastici creati appositamente per migliorare il problem solving degli studenti e le loro abilità sociali.
Il problem solving
di Domenico Valenza
Questo riassunto del libro 'Risolvere i problemi' affronta il tema del problem
solving sotto vari punti di vista.
Innanzitutto viene definito l'ambito di studio del problem solving, indagando il
processo dal punto di vista dell'efficacia e della strategia più adatta da seguire.
Vengono poi presentati i contributi dei vari studiosi, che hanno affrontato il
problem solving da più punti di vista: in primis il legame positivo tra problem
solving interpersonale e apprendimento, ovvero tra la creazione e lo sviluppo
della propria competenza sociale e l'affermazione di sé.
Viene quindi indagato il rapporto tra competenze cognitive e successo
scolastico, soffermandosi sui relativi programmi scolastici creati appositamente
per migliorare il problem solving degli studenti e le loro abilità sociali.
Università: Università degli Studi di Catania
Esame: Psicologia Generale, a. a. 2005/06
Titolo del libro: Risolvere i problemi
Autore del libro: D. Giovannini, S. Di Nuovo, S.D. Loiero
Editore: UTET, Torino
Anno pubblicazione: 199991. Il problem solving cognitivo
Secondo Bunker, un problema sorge quando una persona ha un obiettivo da raggiungeremo non ha subito
disponibile il modo per raggiungerlo. A questo proposito si può parlare di una situazione iniziale e di una
condizione desiderata che rappresenta l’obiettivo; invece la serie di operazioni da seguire rappresentano il
processo di soluzione.
Risolvere un problema significa attuare comportamenti secondo un percorso che porta ad una situazione
presente verso una meta da raggiungere. L’impegno nella soluzione comporta un’alterazione di stati
cognitivi, emozionali e motivazionali.
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Il problem solving 2. Le prospettive associazionista e comportamentista del problem
solving
L’antica teoria della disciplina formale della filosofia scolastica, in base alla quale la mente umana sarebbe
composta da facoltà, fu criticata da Thorndike, il quale teorizzò l’apprendimento come il risultato di
un’associazione che si stabilisce tra uno stimolo specifico e una risposta altrettanto precisa. Si tratta di un
apprendimento per tentativi ed errori, che viene realizzato più facilmente se le sue conseguenze sono
soddisfacenti per il soggetto.
Sulla base dell’esperimento del gatto in un puzzle box (dalla quale usciva dopo aver provato a premere la
leva un certo numero di volte), Thorndike e altri teorizzarono la legge dell’effetto, secondo la quale ogni
processo di apprendimento è influenzato dagli effetti che seguono una risposta (una ricompensa positiva
consoliderà l’associazione S-R). In quest’ottica, l’apprendimento può essere adeguatamente spiegato senza
far riferimenti agli stati interni, non osservabili.
Skinner riprese il concetto di rinforzo. La sua teoria del condizionamento operante sostiene che, quando un
individuo emette dei comportamenti in risposta a certi stimoli, se tali risposte sono seguite da un rinforzo,
aumenterà la probabilità che esse compaiano in situazioni successive.
Ne consegue che il nostro comportamento (modificabile, secondo Skinner, attraverso rinforzi positivi e
negativi) non è determinato da ciò che avviene dentro la nostra testa, ma dalle esperienze di rinforzo che ci
condizionano ad agire, come se fossimo delle macchine biologiche.
Un modello di apprendimento elaborato negli anni Sessanta, facente riferimento alle teorie
comportamentiste, è quello di Gagnè, un modello gerarchico che prevede otto tipi di apprendimento
(segnali, legami S-R, concatenazione tra essi, associazioni verbali, discriminazioni, concetti, regole e infine
modalità di soluzione di problemi).
Secondo Gagnè, l’apprendimento è un cambiamento nelle attitudini o capacità umane; egli sostiene che
l’acquisizione delle conoscenze è un processo nel quale ogni nuova capacità si costruisce sul fondamento
delle capacità apprese precedentemente. Pianificare l’apprendimento vuol dire pertanto specificare e
ordinare le capacità richieste come prerequisiti all’interno di un argomento da apprendere. Anche il problem
solving si fonda su regole già apprese, risolvere problemi significa usare regole già apprese per arrivare alla
soluzione di problemi nuovi.
Le attuali correnti della psicologia comportamentale hanno mutuato da Gagnè idee quali: l’apprendimento
come sequenza dal semplice al complesso, dal prima al dopo; la scomposizione di un compito di
apprendimento nelle capacità specifiche che implica; il concetto di transfer positivo, una capacità di ordine
superiore può essere appresa più facilmente se prima è acquisita una capacità di ordine inferiore (transfer
verticale); la progettazione di sequenze didattiche.
Secondo l’approccio comportamentale, i comportamenti cognitivi si riferiscono a tra tipi di condotte: le
abilità (che si acquisiscono in seguito a ripetute esperienze), le conoscenze, la soluzione dei problemi (che
include i repertori comportamentali dei primi due.
Il comportamento di problem solving può essere appreso dall’allievo a due condizioni: a) che egli possieda
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Il problem solving un ampio repertorio comportamentale a livello di abilità e conoscenze; b) che nel corso delle varie
esperienze abbia perfezionato quella attitudine alla gestione dei problemi che gli consenta di manipolare gli
stimoli della soluzione e di riorganizzarli in modo da raggiungerla.
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Il problem solving 3. L’approccio al problem solving della Gestalt Theorie
I gestaltisti (Wertheimer, Kohler, Koffka, Duncker) considerano il pensiero come un processo che consente
a un individuo di pervenire alla soluzione di un problema non affidandosi a tentativi casuali ma mediante un
comportamento intelligente. Si riferiscono al pensiero produttivo, intendendo quel tipo di pensiero umano
capace di trovare soluzioni intelligenti e di giungere alla soluzione di un compito seguendo percorsi nuovi
rispetto a quelli seguiti in altre situazioni, al contrario del pensiero riproduttivo, che si limita a ripetere
comportamenti già appresi.
Le più note ricerche furono intraprese da Kohler che, mediante degli esperimenti sull’intelligenza delle
scimmie (Sultan) e alla risoluzione di un loro problema in modo creativo, parlò in proposito di insight,
intuizione improvvisa. Ciò era stato possibile perché aveva organizzato in modo nuovo gli elementi della
situazione problematica, individuando in un lampo nuove relazioni tra i dati.
In uno dei suoi studi, Duncker ha analizzato i fattori che ostacolano la soluzione. Tra questi abbiamo la
fissità, vale a dire la resistenza alla ristrutturazione (l’esperimento in cui si chiedeva ai soggetti di fissare una
candela sulla porta), e l’abitudine: chi ha già utilizzato con successo in una situazione alcuni oggetti, li
sceglie come adatti in una situazione analoga.
Se sotto certi aspetti la fissazione di procedimenti di soluzione può presentare indubbi vantaggi in quanto
assicura un risparmio di tempo ed energia, per altri versi, configurandosi come una ripetizione mecanica dei
processi di soluzione, si contrappone alla flessibilità, rendendo così l’individuo incapace di rendersi conto
che esistono processi di soluzione alternativi e più proficui.
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Il problem solving 4. Percezione di auto-efficacia e aspetti motivazionali nel problem
solving. Gli studi di Bandura
In relazione al problem solving, meritano attenzione gli studi di Bandura, neo-comportamentista, secondo
cui gli individui possiedono un sistema de sé che permette loro di esercitare un controllo sui propri pensieri,
motivazioni e azioni. Il sistema del sé ha la capacità di simbolizzare, imparare dagli altri, progettare strategie
alternative, regolare il proprio comportamento, attuare una auto-riflessione.
Il comportamento umano deriva dall’interazione fra questo sistema del sé e le fonti esterne di natura
ambientale. In tale quadro, dunque, le convinzioni che la gente ha su stessa sono elementi chiave. Infatti,
secondo lo studioso, le auto-valutazioni dei risultati dei propri comportamenti informano e modificano sia il
proprio ambiente che le proprie auto-convinzioni, le quali, a loro volta, informano e modificano i
comportamenti successivi.
Bandura considera questa capacità di auto-riflessione come una possibilità unicamente umana, trattandosi di
una forma di pensiero auto-referente, che permette agli individui di valutare i propri pensieri e
comportamenti. Tali valutazioni includono le percezioni di auto-efficacia, che Bandura definisce come la
credenza dell’individuo nelle proprie capacità di organizzare ed eseguire le azioni necessarie per determinati
tipi di prestazioni.
Essa influenza le scelte dei comportamenti che ognuno di noi mette in atto e le linee di condotta che segue:
ci si impegna infatti in quei compiti nei quali ci si ritiene capaci e si evitano quelli in cui non ci si sente
sicuri, e influenza inoltre lo sforzo che gli individui fanno in un’attività e la perseveranza di fronte ad
ostacoli e fallimenti. Un individuo con alta self-efficacy è come se dicesse: sono sicuro di potercela fare a
risolvere questo problema.
Le fonti di informazioni della propria auto-efficacia sono:
1) esperienze precedenti e risultati raggiunti (il successo fa aumentare l’autoefficacia, il fallimento la fa
diminuire);
2) l’esperienza vicaria, indiretta e riferita all’osservazione degli effetti prodotto dalle azioni degli altri
mediante il processo di apprendimento per modelli;
3) i giudizi espressi verbalmente dagli altri;
4) stati emozionali e fisiologici (stanchezza, ansia, stress, livello di attivazione dell’organismo (arousal) di
fronte a questi stadi).
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Il problem solving 5. I passi del processo di problem solving
Numerosi studiosi hanno studiato i problem solving e i suoi passi. Polya mette a fuoco un metodo euristico
(cioè un espediente che consentiva di arrivare rapidamente verso la soluzione ma la sua descrizione è stata
poi superata da studi successi, che avrebbero dimostrato la maggiore complessità di tale processo. Tra gli
autori in questione abbiamo D’Zurilla: l’idea di base del suo modello è che le tecniche di risoluzione
possono essere considerate come abilità di coping, cioè abilità volte a fronteggiare situazioni nuove.
L’orientamento più recente identifica il processo per la soluzione di un problema come un ciclo costituito da
sette passaggi:
1. L’identificazione del problema;
2. La definizione e la rappresentazione del problema;
3. La formulazione di una strategia per la soluzione
4. L’organizzazione delle informazioni;
5. L’allocazione delle risorse;
6. Il controllo del processo di soluzione;
7. La valutazione dell’efficacia della soluzione stessa.
Tra queste fasi particolare importanza assume quella iniziale, che comprende elementi quali la percezione
del problema, la sua accettazione, il tipo di valutazione che si fa del problema. L’identificazione di una
situazione come problematica è un momento cruciale perché se il problema si rappresenta in modo inesatto
si è molto meno abili nel risolverlo.
Un ulteriore passaggio consiste nel progettare una strategia per risolvere il problema. La strategia può
richiedere: 1) l’analisi/scomposizione del problema in elementi più semplici; 2) la coppia complementare del
pensiero divergente e convergente. Dopo aver generato diverse possibili alternative con il pensiero
divergente, si procede con il pensiero convergente per ridurre e selezionare la soluzione più probabile. Nei
problemi della vita reale abbiamo bisogno di analisi e sintesi. Si passa poi all’organizzazione strategica delle
informazioni disponibili.
Si ha poi bisogno di conoscere quali risorse allocare e quando. Studi dimostrano che solutori più esperti
tendono a impiegare più risorse mentali temporali per un quadro globale nella fase iniziale. Ancora, un
solutore efficace controlla se stesso lungo tutto il percorso, controllando così se c’è stata una falsa partenza.
Attraverso la valutazione della soluzione sarà poi possibile ridefinire il problema o riconoscere nuovi
problemi. Tale processo, per essere condotto a buon fine, necessita di flessibilità nei casi in cui sono
necessari alcuni aggiustamenti per procedere meglio.
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Il problem solving