Il codice dei beni culturali è stato approvato con d.lgs il 22/01/2004, ed è stato presentato il 29, con entrata in vigore dal 1 maggio, da parte dell’allora ministro per i beni e le attività culturali Giovanni Urbani, come “il primo nella storia del nostro paese”. In realtà il codice si presenta come una riproposizione ed evoluzione del sistema giuridico normativo che aveva regolato questo settore per almeno 100 anni di storia del nostro stato.
La prima legge organica in materia di tutela del patrimonio artistico risale infatti al 1902. Si tratta della legge Nasi n. 185 che in sostanza regolava l’inserimento delle opere d’arte, dei monumenti, all’interno di un catalogo preventivo, che raccoglieva opere i sommo pregio o rilevante interesse. Si trattava di una legge sia pure dalla portata innovativa ma dall’incisività relativa data proprio dalla difficoltà della catalogazione, specie se posta nei confronti di un vasto patrimonio storico culturale quale il nostro e quindi dai tempi di attuazione quasi inammissibili.
Per questo la legge Nasi venne presto sostituita dalla legge Rosadi n. 364 del 1909, che non fa altro che sostituire al catalogo la dichiarazione dell’interesse culturale per le opere appartenenti a privati e l’inserimento in un elenco per quelle di appartenenza pubblica. L’oggetto della tutela viene esteso dai monumenti indicati nella legge Nasi a tutte le cose mobili e immobili che abbiano interesse storico, artistico, archeologico, paleontologico. Inoltre l’oggetto della tutela verrà successivamente ampliato, nel 1912, a tutti quei parchi, ville o giardini per cui è stato ottenuto il riconoscimento storico artistico, e dunque si avrà per la prima volta anche una normativa in materia di tutela delle bellezze naturali. Si tratta comunque di leggi emanate successivamente l’unità di Italia, ma che comunque scaturiscono dalla lunga tradizione degli stati preunitari, che vede i suoi albori già nel XV, XVI secolo, nello stato della chiesa, nel Granducato di Toscana…
Due leggi fondamentali vengono emanante nel ventennio fascista: si tratta delle leggi Bottai n. 1089 e 1497, entrambe emanate nel 1939 nel mese di giugno, rispettivamente il 1 e il 29.
Con la legge 1089 lo stato ottenne un testo organicamente maturo per la tutela dei beni culturali; in sostanza Bottai volle sottolineare l’importanza che il regime attribuiva all’arte quale strumento utile per l’educazione della collettività; inoltre con questa legge si pose l’attenzione su temi fino ad allora mai esplorati, spaziando dalle cose d’interesse storico artistico a tutti gli oggetti d’arte contemporanea, alle manifestazioni, alle istituzioni sportive, il diritto d’autore e di stampa, nonché la tutela, la valorizzazione, la gestione e promozione dei beni culturali; qualsiasi altra legge emanata successivamente, pur abrogante di questo o quell’articolo della legge 1089, comunque ne terrà sempre presente l’impianto e la costruzione logica.
La legge 1497 invece ha per oggetto la tutela delle bellezze naturali. Con questa legge il concetto di paesaggio viene definitivamente inserito all’interno della nozione di patrimonio culturale, comprensivo quindi delle due categorie di beni culturali e beni paesaggistici. Inoltre Bottai volle sottolineare l’importanza del paesaggio ai fini della determinazione dell’identità nazionale, come tra l’altro già era stato affermato dall’estetica crociana. Ricordo infatti che Benedetto Croce, ultimo ministro del governo Giolitti nel 1922, aveva definito il paesaggio come “manifestazione materiale e visibile dei caratteri di una patria, con i suoi aspetti fisici particolari, fiumi, rive, montagne, pianure, cioè con i molteplici e vari aspetti del suo suolo”. L’impianto di questa legge verrà messo in discussione solo nel 1985 con la legge Galasso n. 431 che rilancia la pianificazione paesaggistica con il concorso di tutte le regioni (un’operazione lungimirante stante la recente riforma del Titolo V della Costituzione all’artt. 117-118, che prevedono proprio il concorso di tutte le regioni in materia di “governo del territorio”).