Riassunto del testo di Remotti che affronta il confronto tra la posizione universalista e quella relativista. La prima, che ricerca l'assoluto, il dogma, la possibilità di definire il giusto e lo sbagliato, la seconda che predilige il relativo, le differenze, la pluralità. In particolare la famiglia, che dal papa viene definita naturale solo se con certe caratteristiche, viene esplorata nelle sue molteplici forme e significati culturali.
Contro natura (una lettera al Papa)
di Anna Bosetti
Riassunto del testo di Remotti che affronta il confronto tra la posizione
universalista e quella relativista. La prima, che ricerca l'assoluto, il dogma, la
possibilità di definire il giusto e lo sbagliato, la seconda che predilige il relativo,
le differenze, la pluralità. In particolare la famiglia, che dal papa viene definita
naturale solo se con certe caratteristiche, viene esplorata nelle sue molteplici
forme e significati culturali.
Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
Facoltà: Scienze dell'Educazione
Corso: Scienze dell’Educazione
Esame: Antropologia
Titolo del libro: Contro natura (una lettera al Papa)
Autore del libro: Francesco Remotti
Editore: Laterza
Anno pubblicazione: 20081. Relativismo e universalismo: Descartes e Montaigne
Remotti in questo testo parte da una contrapposizione tra relativismo e universalismo.
La posizione universalista è anche quella della Chiesa.
Remotti fa risalire a Descartes la posizione universalista e a Pascal e Montaigne la posizione relativista.
Prospettiva universalista di Descartes, Benedetto XVI: esistenza di una natura umana stabile e permanente.
Descartes diceva che nel mondo osserviamo vari costumi, tuttavia sotto la diversità dei costumi, la natura
umana è sempre la stessa. Per comprendere la natura umana, secondo Descartes, bisogna fare astrazione dai
costumi. La natura umana è come la roccia che sta sotto a ciò che affiora in superficie.
Prospettiva relativista di Montaigne, Pascal: la natura umana coincide con i costumi (mutevoli, fluttuanti,
contraddittori). Ritenevano che anche la natura umana fosse un insieme di costumi e fosse condizionata
dalla cultura. Non esiste nessuna roccia. Pascal dice che per conoscere la natura umana è necessario
immergersi nei costumi, che sono la nostra seconda natura.
Pascal sosteneva che per quanto riguarda lo studio dell’uomo, non si può cercare in esso «né sicurezza, né
stabilità». Pascal presenta una visione opposta a quella di Descartes, per il quale dopo il viaggio tra i
costumi si può raggiungere la natura umana, lo strato della «roccia» sotto la sabbia, il luogo della
«sicurezza» e della stabilità.
Per Pascal non c’è la natura umana, intesa come roccia da Descartes, una roccia su cui costruire in modo
stabile e sicuro. Il costume è una seconda natura... Il costume è la nostra natura. In questa faccenda della
natura umana Benedetto XVI sta senza dubbio dalla parte di Descartes.
La prospettiva di Pascal fa assurgere l’incertezza a una condizione ‘naturale’ dell’uomo: ‘per natura’ gli
esseri umani brancolano nel buio, perché non dispongono di una natura umana stabile, certa, permanente. La
prospettiva di Descartes spiega invece il brancolamento nel buio come causato da ignoranza, da
superstizione, dal prevalere dei costumi sull’uso della ragione.
La prospettiva di Descartes compie infatti una separazione nell’umanità: da una parte gli illuminati, coloro
che affermano di aver finalmente scoperto la natura umana, dall’altra coloro che ancora brancolano nel buio
e che inevitabilmente hanno bisogno dell’aiuto dei primi. Gli illuminati possono vantare la loro superiorità a
cospetto dell’ignoranza dei non illuminati.
La prospettiva di Pascal riconosce invece nell’incertezza e nel brancolamento la condizione generale
dell’umanità. Non vi è la verità di alcuni e l’ignoranza degli altri, la superiorità dei primi e l’inferiorità dei
secondi. Secondo la prospettiva di Pascal ciò che emerge è un atteggiamento di comunicazione, di reciproco
interesse, rispetto e comprensione. La prospettiva di Descartes impone invece una netta separazione tra
forme di umanità diverse e opposte, secondo uno schema gerarchico.
La via di Pascal ci fa capire quanto sia importante studiare nelle culture umane non la ‘certezza’; non la
‘stabilità’, ma i processi di ‘stabilizzazione’.
Quello che i gruppi umani tendono a fare, di fronte alla variabilità dei costumi, è mettere in atto delle
stabilizzazioni, cioè cercare di fissare la variabilità delle pratiche e delle idee attraverso un modello, che può
essere:
1.Relativo: si ricorre alla natura, ma senza trasformare i propri costumi in modello universale -> c’è
riconoscimento delle diversità. (es. totemismo: istituzione, diffusa in parti del mondo lontane, che prevede
l’identificazione di gruppi umani con delle specie naturali)
2.Assoluto: monismo (riduzione della molteplicità) -> si prende come punto di riferimento il proprio gruppo,
insistendo sulla disparità noi/altri. È la stabilizzazione che domina il modo occidentale. Ad esempio:
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Contro natura (una lettera al Papa) a.Stabilizzazioni naturalistiche (Descartes, Kant): ritengono che l’ordine naturale porti stabilità, autorizzi
specifiche forme di vita e chiunque non si adegui a queste forme di vita, viene considerato parte di categorie
di umanità inferiore: “senza, fuori, contro natura”.
b.Stabilizzazioni storicistiche (Hegel, Marx): la legittimazione della propria forma di vita risiede nella
supposizione che vi sia una storia universale di cui l’Europa rappresenta l’apice; chi non si conforma al
modello di vita occidentale è considerato “senza storia”.
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Contro natura (una lettera al Papa) 2. Cosa comporta il relativismo
I processi di stabilizzazione sono senza dubbio necessari e inevitabili, se non si vuole cadere nel baratro. Ma
c’è stabilizzazione e stabilizzazione.
La problematica più ampia — in cui si collocano anche i casi del totemismo — coincide con il quadro delle
relazioni che gli esseri umani pongono tra sé e l’ambiente naturale che li circonda, allo scopo di meglio
definire il loro assetto sociale. Molti gruppi, infatti, fanno esplicito ricorso alla natura (o a parti di essa) per
organizzare in maniera più stabile.
Lèvi-Strauss ha dedicato un momento fondamentale della sua ricerca all’analisi di questi fenomeni, è giunto
alla conclusione che ciò che conta sono le differenze tra i vari gruppi che compongono una società, le
differenze che contraddistinguono i fenomeni naturali prescelti, e l’istituzione di un rapporto di somiglianze
tra il sistema di differenze sociali e il sistema di differenze naturali.
Gli esseri umani trovano nelle differenze presenti nel mondo naturale criteri, e addirittura modelli, per
pensare e quindi organizzare le differenze sociali, in vista di rapporti di complementarità e di cooperazione.
Ricercare delle corrispondenze tra il mondo sociale e il mondo naturale è un’operazione che consente di
agganciare la struttura del mondo sociale all’ordine del mondo naturale. La natura è, infatti, un potente
fattore di stabilizzazione; agganciare parti del mondo sociale o l’intera struttura della società alla natura
significa attribuire anche al ‘nostro’ mondo quella stabilità e permanenza che osserviamo più facilmente in
quello naturale.
Generalizzando i nostri usi e costumi al di là dei confini della nostra società e attribuendoli a una qualche
specie o elemento naturale, si ottengono alcuni importanti effetti: il primo è quello della stabilizzazione della
nostra forma di umanità; il secondo è quello di una sua giustificazione; il terzo è quello di una sua netta
relativizzazione, dal momento che la nostra stessa società è la dimostrazione vivente di una pluralità di modi
diversi di intendere e realizzare l’umanità. Su questa base di differenziazione concordata, è possibile
realizzare la cooperazione sociale.
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Contro natura (una lettera al Papa) 3. Cosa comporta l'universalismo
C’è chi non si accontenta di stabilizzazioni relative. C’è chi usa diversi ingredienti di stabilizzazione alfine
di raggiungere una stabilità che vuole essere definitiva.
È proprio delle stabilizzazioni assolute intendere la natura come mondo unitario, di cui si può parlare
secondo una categoria totale. Dal punto di vista delle stabilizzazioni assolute, la natura viene, infatti,
concepita come un mondo a sé stante, fornito dileggi stabili e di strutture permanenti: la stabilità viene
quindi raggiunta adeguando il mondo umano alle leggi naturali.
Ma non vi è un concetto unico e uniforme di natura, dato che questo è soltanto un mezzo culturalmente
inventato per provvedere a una stabilizzazione definitiva. Gli ingredienti di stabilizzazione definitiva sono
più di uno e non si riducono tutti alla natura. Qui ne proponiamo tre: natura, ragione, rivelazione divina.
La modernità offre esempi ragguardevoli di stabilizzazione e i suoi momenti più significativi coincidono con
processi di stabilizzazione assoluta (anziché relativa), a tal punto che potremmo persino avanzare l’ipotesi
che la modernità si prefigga di differenziarsi dalle altre società perché essa, grazie al tipo di mutamento che
ha innescato, pretende di approdare a qualcosa di assai più stabile e sicuro.
La scienza, come specchio della natura, è stata per la modernità il più importante e decisivo fattore di
stabilizzazione, sia sul piano intellettuale, sia sul piano sociale.
La liberazione dai costumi per la conquista di un terreno solido, su cui finalmente costruire in maniera
duratura, è una formula che troviamo in molti esponenti della modernità, i quali scelgono la natura come
ancoraggio solido e indiscutibile.
Tra i costumi e la natura in Descartes si fa strada un altro elemento, la ragione: è questa lo strumento che ci
consente di sfrondare i costumi e di raggiungere la natura. Per Descartes c’è un luogo privilegiato della
ragione, e questo è l”io”, inteso come una realtà naturale, non intaccata dalla società. Descartes individua
nell’io il luogo in cui natura e ragione si congiungono, formando così quel terreno sicuro di cui la modernità
si era posta alla ricerca: purificato e liberato dai costumi, l’io è, infatti, portatore di un pensiero naturale.
Il processo di stabilizzazione definitiva e assoluta si rivolge allora all’io; Kant prende questa strada.
Hegel sposta il progetto della stabilizzazione assoluta dalla natura alla storia; spostandosi dalla natura alla
storia, la stabilizzazione prende un’altra forma.
Si tratta di un sapere totale, assoluto, che conosce il procedere storico dell’umanità; con Hegel la modernità
si presenta al mondo con un sapere ‘compiuto’ e ‘certo’: non più specchio della natura, ma specchio della
storia universale, quella che riguarda l’umanità intera.
L’enorme ‘progresso’, le più elevate conquiste dello spirito, caratterizzano la cultura e la storia europea.
La stabilizzazione del movimento storico è perfettamente condivisa da Marx.
Marx ha formulato a proposito della colonizzazione europea un «giudizio storico positivo», in quanto, pur
con la violenza e la distruzione, ha costretto le altre società a uscire dai loro stagnanti angoli di mondo e a
immettersi nel fiume della «storia universale», di cui noi, moderni ed europei rappresentiamo il punto più
avanzato.
Hegel sosteneva che «dobbiamo ricercare nella storia un fine universale fine ultimo del mondo», ovvero è
indispensabile presupporre che «nella storia universale vi sia la ragione divina, assoluta». Per Hegel, il vero
gesto di umiltà da parte dell’uomo consiste nel «riconoscere Dio in tutto e principalmente nel teatro della
storia universale», non soltanto dunque nella natura, ma anche e soprattutto nella storia del mondo: è nella
storia che Dio si rivela all’uomo.
Le stabilizzazioni naturalistiche procedono a creare categorie di fuori natura o addirittura di ‘contro natura’,
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Contro natura (una lettera al Papa)