Skip to content

La satira e le vittime di Giovenale


Giovenale è cosciente del decadimento morale di Roma e della indifferenza dei letterati del tempo tutti dediti a comporre trite leggende mitologiche egli si eleva dunque a censore e utilizza la satira e l’arma della indignatio per fare valere la sua voce. Ma non concepisce una poesia paideutica anzi è fermamente convinto che alla corruzione e al decadimento non c’è rimedio! Egli si limiterà a denunciarne gli aspetti senza illusioni di riscatto.
Giovenale si oppone a tutta la tradizione satirica precedente che basava il suo pensiero moralistico sulle dottrine cinico – stoiche: il letterato non deve guardare il mondo delle cose concrete con ironia e distacco dedicandosi alla realtà spirituale.
Secondo lui lo stoicismo è un ridicolo palliativo! E giudica quantomeno ingiusto e ipocrita rimanere indifferenti ad un mondo dove i disonesti e i leccapiedi vengono premiati! Egli si giudica incapace di dissimulare e quindi di entrare in questo squallido circolo vizioso preferendo manifestare il suo rancore per la sua condizione di emarginato causatagli solo dalla sua onestà.
Se il mondo romano è diventato un  tragico palcoscenico dell’ipocrisia egli ribatterà con la satira.  

Le vittime di Giovenale.
Il suo rancore e la sua furia aggressiva non risparmiano nessuno! Donne, omosessuali, arricchiti, lecchini, liberti e orientali: uno sterminato palcoscenico del grottesco. Al di là delle apparenze Giovenale non è un poeta povero per i poveri; anzi egli polemizza contro gli strati bassi della società e per chiunque eserciti lavori manuali. Non ha certo pretese di solidarietà sociale! Egli invece tende all’idealizzazione del passato, della vecchia Roma agricole e morigerata dei tempi del primo Catone. In effetti questa allucinata utopia arcaicizzante è l’unico approdo della sua indignazione. Solo negli ultimi due libri Giovenale sembra riavvicinarsi all’antica dottrina stoica e i toni sembrano farsi più pacati. Ma anche qui spesso si abbandona a scatti di ira e di violenza tipici del primo Giovenale. Se la corruzione e il decadimento hanno assunto livelli iperbolici anche il suo stile sarà tale. Giovenale abbandona il classico sermo umile della tradizione satirica e si accosta più a toni epici e a coloriture tragiche. Della tragedia non prenderà la finzione certo ma i toni grandiosi si. Toni grandiosi che si esplicano nella narrazione di fatti irrisori: è questa la satira tragica. Nel libro IV ad esempio si parla del consiglio riunito da Domiziano per deliberare su una questione davvero grave: come cucinare un gigantesco rombo offerto all’imperatore.

Tratto da LINGUA E LETTERATURA LATINA di Gherardo Fabretti
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo riassunto in versione integrale.