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Plinio il Giovane: L'epistolario e il Panegirico


Plinio nasce come lo zio a Como nel 61 o 62. Alla morte del padre viene adottato dallo zio da cui prenderà il nome. Scala tutto il cursus honorum e la sua carriere forense non fu mai scossa dalla turbolenta successione degli imperatori. Fu nominato nel 111 legato in Bitinia da Traiano e morì probabilmente due anni dopo, nel 113. Di lui ci rimane il Panegyricus e un epistolario di dieci libri.

Il panegirico


Il panegirico in origine indicava una grande assemblea; poi il termine passò ad indicare il discorso di lode verso il principe tant’è vero che si chiamava anche gratiarum actio. Il panegirico di Plinio fu composto nel 100 in occasione della sua nomina a console: in esso ritrae l’imperatore ideale, colui che garantisce ordine e giustizia. Plinio si atteggia a consigliere del sovrano, sulla scia di Seneca, ma egli non ha un potere effettivo, è solo un funzionario. Tra l’altro chiede sempre consigli all’imperatore anche su questioni secondarie, specie quando diventa legato in Bitinia (vedi provvedimenti coi Cristiani).  In una lettera scrive a Traiano iubes nos liberos esse cioè ci ordini di essere liberi, quasi a esemplificare con un ossimoro il rapporto del tempo tra libertà e autorità.
La sua fama è però legata soprattutto all’Epistolario. Raccolta in dieci libri delle lettere che parlano degli avvenimenti che vanno dal 97 al 103. Anche se Plinio dichiara di non averle organizzate secondo un ordine prestabilito è chiaro l’attento ordinamento interno che è basato sull’alternanza di temi e motivi per non annoiare il lettore; l’epistolario era infatti destinato alla pubblicazione.

33.2 L'epistolario.

Le lettere somigliano a brevi saggi su una grande varietà di argomenti: affari pubblici (specie quelli in cui era coinvolto), descrizione delle sue ville, del paesaggio o del modo in cui occupa il tempo, rimproveri ad amici, questioni letterarie o retoriche, interpretazione di sogni, storie di fantasmi, acquisti di statue o tenute (Plinio era ricchissimo), assassinii.
 I destinatari sono soprattutto amici verso i quali mostra una cerimoniosità a volte fastidiosa, specie nei confronti di Traiano; da uomo ricchissimo e ben inserito nella vita pubblica egli non mostra preoccupazione né avverte, come il maestro Quintiliano e l’amico Tacito, una vera e propria crisi della cultura e dei costumi. Avverte al massimo un calo dell’interesse letterario dei contemporanei che disertano le manifestazioni letterarie. Ma del resto anche lui si dedicava alla composizione di operette frivole e destinate all’intrattenimento. Gli stessi rapporti sociali tradiscono una formalità e una cerimoniosità vuota e agghiacciante, sintomo dell’impoverimento avanzato della grande tradizione culturale romana.  Lo stile si adatta ai toni della lettera, grave o leggero, e seguono uno stile a metà tra l’ampollosità ciceroniana e l’immediatezza senecana. A prescindere dal loro carattere piacevole e discorsivo le lettere sono una fonte importantissima del quadro storico sociale della Roma alta dell’epoca imperiale e della vita sociale del tempo.  

Tratto da LINGUA E LETTERATURA LATINA di Gherardo Fabretti
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