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Il rapporto tra giurisdizione federale e statale nel diritto americano


Il Congresso federale ha la possibilità di legiferare solo le materie espressamente attribuitegli dalla Costituzione e, in tutti i casi in cui tale attribuzione non avviene, il potere legislativo risiede nei singoli Stati.
Similmente per ciò che concerne il rapporto tra giurisdizione statale e federale, è configurabile la prima come regola e la seconda come eccezione.
L’art. III della Costituzione prevede la competenza federale in due ipotesi fondamentali: la prima trova origine nella natura della controversia e il giudice federale è competente quando debba essere applicata la Costituzione o un legge federale (federal question jurisdiction); la seconda trova origine nelle persone dei ricorrenti e il giudice federale è competente quando parte in causa sono il Governo degli Stati Uniti, i rappresentanti diplomatici stranieri e quando la controversia (di valore superiore a $ 75000) sorge tra cittadini appartenenti a Stati diversi dell’Unione (diversity jurisdiction).
Raramente, tuttavia, tale competenza è esclusiva: il più delle volte le parti possono adire le giurisdizioni statali, con eventuale ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti contro la decisione dell’organo statale di ultima istanza, e la Corte Suprema accetterà di conoscere la causa solo se questa rientra nelle sue competenze.
Apparentemente dunque la distinzione tra giurisdizione statale e federale è chiara, ma la situazione si complica se si considera che in alcune ipotesi, e principalmente dei frequenti casi di diversity jurisdiction, le corti federali sono chiamate ad applicare il diritto statale.
L’applicazione del diritto statale da parte della Corte Suprema nei casi di diversity jurisdiction è stabilita dal Judiciary Act del 1789, il quale parla generalmente di “law” degli Stati.
La sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Swift v. Tyson del 1842 porta ad interpretare “law” come legge in senso tecnico e quindi impone alle corti federali di applicare lo statute law dello Stato territoriale nei casi di diversity jurisdiction, ma in assenza di questo (cioè in casi di vuoti di tutela) tale interpretazione impedisce alle corti federali di ricorrere alla common law di quello stesso Stato, autorizzandole in pratica a creare una common law generale.
L’impostazione adottata in Swift v. Tyson crea tuttavia numerosi problemi sia sul piano pratico, sia sul piano costituzionale.
Per quanto attiene al primo profilo, può verificarsi un ingiustificato dualismo di soluzioni giuridiche a seconda che si investa del giudizio un organo statale oppure un organo federale.
La situazione è tanto peggiore in quanto può dipendere da una delle parti porre le condizioni (cambiando, per esempio, residenza da uno Stato ad un altro) perché gli organi federali possano, o meno, essere aditi.
Nel secondo profilo, prevedendo la competenza delle corti federali tra soggetti di diversa cittadinanza, si vuole assicurare pari giustizia alle parti di Stati diversi e non autorizzare la creazione di un diritto federale in materie in cui il Congresso non può legiferare.
In considerazione dei vari problemi che la soluzione adottata in Swift v. Tyson pone, tale precedente viene superato nel 1938 con Erie Railroad Co. v. Tompkins: la Corte Suprema degli Stati Uniti afferma in modo chiaro che “fuorché nelle materie regolate dalla Costituzione federale e dalla leggi del Congresso, il diritto che deve essere applicato in ogni fattispecie è il diritto di uno Stato particolare. Che il diritto di questo Stato sia formulato dal suo Parlamento con legge scritta o dalla sua corte suprema in una decisione non è cosa che riguarda le autorità federali”.

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