Scienze delle Finanze:
Appunti del Corso Scienze delle Finanze del Prof. Piperno - a.a. 2010/2011. L’approfondimento è dedicato ai temi delle relazioni finanziarie tra i livelli di governo, definito federalismo fiscale, termine talvolta usato con molte imprecisioni concettuali. Verrà fatta un’analisi della L. 42/2009, legge attuatoria del nuovo art. 119 della Costituzione, che ha rinnovato sostanzialmente il sistema, ma, essendo una legge delega cioè detta i principi, non è immediatamente autoapplicativa: chiede dei decreti che specifichino le modalità con cui le nuove norme – il nuovo ordinamento dev’essere messo in pratica. Il decreto sul federalismo municipale che appunto detta le nuove norme rispetto ai nuovi tributi comunali o a regime complessivo per le imposte immobiliari, è appunto un decreto che attua alcuni principi che sono contenuti nella L. 42 ma senza questo decreto ovviamente non sarebbe cambiato nulla.
Dettagli appunto:
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Autore:
Andrea Balla
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[Visita la sua tesi: "I Diritti Particolari del Socio nella Nuova S.R.L."]
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Economia
- Docente: Prof. PIPERNO
Indice dei contenuti:
- 1. Finanziamento degli Enti Locali
- 2. La legislazione esclusiva dello Stato
- 3. Legislazione non espressamente dello Stato
- 4. La teoria del federalismo fiscale
- 5. Il sistema di finanziamento dei governi regionali e locali in Italia
- 6. Tipologie della decentralizzazione
- 7. Le categorie giuridiche
- 8. I meccanismi centrovincolanti del federalismo e le misure di decentramento
- 9. I vantaggi del federalismo
- 10. Il Teorema di Oates
- 11. I vantaggi e gli svantaggi della decentralizzazione
- 12. Problema dell’attribuzione delle competenze: l’attribuzione fra livelli di governo
- 13. Complicazione del precedente modello (tre tipi di governo - tre tipi di beni pubblici)
- 14. Vantaggi e svantaggi del modello dell'ottima corrispondenza
- 15. Le comparazioni fra Enti Locali
- 16. I tre modelli di decentramento
- 17. Un caso di decentramento funzionale: l’istruzione
- 18. Le relazioni intragovernative
- 19. Finanziamenti dei Governi Locali
- 20. L’IVA
- 21. Il dettaglio dei finanziamenti locali
- 22. Differenziazione delle Entrate Tributarie
- 23. La responsabilizzazione dell’ente locale
- 24. La capacità fiscale
- 25. Imposta sugli immobili
- 26. Imposta sulle attività produttive
- 27. Imposta sulle auto e sulla proprietà
- 28. Imposte Ambientali
- 29. Servizi forniti a domanda
- 30. Applicazione pratica: i paesi industrializzati
- 31. Applicazione pratica: i paesi in via di sviluppo e in transizione
- 32. I trasferimenti degli enti locali
- 33. Tipologie di trasferimenti
- 34. Trasferimento di tipo generale
- 35. Trasferimento di tipo specifico
- 36. L’indebitamento degli enti locali
- 37. Il Fiscal Gap
- 38. La situazione italiana della finanza regionale locale
- 39. La finanza delle regioni
- 40. La finanza delle province
- 41. La finanza dei Comuni
- 42. I sistemi di finanziamento degli enti locali
- 43. La formula del finanziamento degli enti locali
- 44. La fiscalità dei comuni
- 45. Gli altri enti del sistema di governo locale
- 46. Il patto di stabilità interno
- 47. La frammentazione amministrativa e la gestione degli enti locali
- 48. La Legge ‘42
- 49. Determinazione dei costi e dei fabbisogni standard
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Scienze delle Finanze di Andrea Balla Appunti del Corso Scienze delle Finanze del Prof. Piperno - a.a. 2010/2011. L’approfondimento è dedicato ai temi delle relazioni finanziarie tra i livelli di governo, definito federalismo fiscale, termine talvolta usato con molte imprecisioni concettuali. Verrà fatta un’analisi della L. 42/2009, legge attuatoria del nuovo art. 119 della Costituzione, che ha rinnovato sostanzialmente il sistema, ma, essendo una legge delega cioè detta i principi, non è immediatamente autoapplicativa: chiede dei decreti che specifichino le modalità con cui le nuove norme – il nuovo ordinamento dev’essere messo in pratica. Il decreto sul federalismo municipale che appunto detta le nuove norme rispetto ai nuovi tributi comunali o a regime complessivo per le imposte immobiliari, è appunto un decreto che attua alcuni principi che sono contenuti nella L. 42 ma senza questo decreto ovviamente non sarebbe cambiato nulla. Università: Università degli Studi di Torino Facoltà: Economia Docente: Prof. PIPERNO1. Finanziamento degli Enti Locali L’oggetto del corso è il sistema di finanziamento degli enti locali, dei governi sub - nazionali; generalmente il prof. utilizza due citazioni per iniziare il corso che ci danno un’idea dell’importanza di questi aspetti che potrebbero sembrare puri aspetti tecnici: cioè ci sono i governi locali, ci sono le finanziarie, cioè studiamo le imposte e i trasferimenti che servono per finanziarli. Però il governo locale è qualcosa di molto importante nella vita collettiva degli ordinamenti politici. La prima citazione è quella di un grande storico, giurista, politologo: Alexis de Toqueville aveva fatto un viaggio in America, analizzato la struttura del governo locale e aveva scritto questa frase, che secondo il prof. coglie un aspetto importante del governo locale nelle collettività contemporanee, negli ordinamenti politici contemporanei: “ L’uomo crea i regni e le repubbliche ma i comuni sembrano essere forgiati direttamente dalla mano di Dio”. Questo è un tema che se pensiamo al dibattito che si è sviluppato sul decentramento politico non solo in Italia, ma in tutti i paesi del mondo negli ultimi 20/30 anni, periodo in cui abbiamo assistito al trasferimento di competenze dagli stati centrali alle amministrazioni sub-nazionali, definiamoli così in termini molto generali, perché poi ci sono molte tipologie variegate di amministrazioni sub-nazionali, ci rendiamo conto di come era preveggente questa definizione. C’è una domanda di governo vicino ai cittadini che può trovare le risposte adeguate attraverso la creazione di strumenti di governo locale che acquisiscono poteri che prima erano in capo esclusivamente ai governi nazionali. Un’altra citazione carina che risale al 1996, è una citazione dell’Economist dopo le elezioni locali che si tennero il 4/05/1996 in Inghilterra; c’era ancora il primo governo conservatore post-Thatcher di Major e in Inghilterra si stava ancora discutendo se per ragioni di efficienza, non convenisse abolire il governo locale e sostituirlo con delle agenzie funzionali di stretta diramazione del governo centrale che dovevano gestire i singoli settori di politica: sanità, le acque; iniziarono un processo di privatizzazione di tutta una serie di servizi locali. In realtà in quelle elezioni ci fu una elevatissima partecipazione dell’elettorato, contrariamente alle tendenze dell’Inghilterra del tasso di partecipazione relativamente basso, per cui l’Economist fece questa inserzione, a proposito della inaspettata partecipazione alle elezioni locali in Inghilterra a fronte dei tentativi di riduzione del ruolo del governo locale da parte del governo centrale: “nei film che vanno per la maggiore presso il pubblico giovanile, vengono particolarmente apprezzate le scene in cui si effettuano cruente mutilazioni. Un personaggio viene colpito, tagliato a pezzi, scotennato, sbudellato. I suoi occhi vengono cavati fuori; il suo sangue sgorga a rivoli. Ma – è qui è il divertente - egli si rifiuta comunque di morire. Qualche volta addirittura continua a vivere per vendicarsi dei suoi carnefici”. È una citazione molto divertente rispetto a questo fatto che anche lì ci si è resi conto che le istituzioni locali sono una realtà insopprimibile e in continuo sviluppo. Queste due citazioni iniziali sono per alleggerire il taglio, per dire che non dobbiamo mai dimenticare che quando noi parliamo di argomenti che possono sembrare aridi come quelli finanziari, noi ragioniamo per gli strumenti che servono per tenere in vita la realtà politica che nelle società contemporanee è di grande rilievo. Quindi l’organizzazione dei sistemi di governo multi livello, come vengono definiti oggi, è un fatto non solo tecnico, ma che se non è fatto ben può avere delle conseguenze molto pericolose per la funzionalità di una società collettiva. Perché diciamo questo? Il tema delle relazioni finanziarie tra i vari livelli di governo presenta alcuni aspetti ambivalenti nel senso che da alcuni punti di vista, se noi osserviamo l’evoluzione del concetto e pensiamo ai paesi europei, noi abbiamo assistito a processi di decentramento. Un determinato ordinamento politico ha Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze una sovranità converte sulla popolazione di un determinato territorio, però questa sovranità, questi poteri possono essere attribuiti anche a livelli di governo sub-nazionali sulla base di certi principi costituzionali, legislazione di attuazione, in maniera tale da dare origine a diverse tipologie di modelli di relazioni inter governative che cercheremo di individuare e definire con delle caratteristiche diverse. Certamente è vero però che c’è una certa ambivalenza, perché insieme a questi processi in atto di decentramento di funzioni; ripete pensiamo all’Italia e a tutti i processi che sono avvenuti soprattutto a partire dal 1990 anno della prima grossa riforma del governo locale con la L. 142 ma anche in tutti i paesi europei, compresi i paesi con più forte tradizione centralista come la Francia, dove negli ultimi 10/15 anni ci sono state profonde trasformazioni anche di natura costituzionale, che hanno adottato moltissimo il decentramento politico in quel paese anche se obbiettivamente meno che in altri paesi come il nostro, la Spagna dove noi abbiamo la grossa differenza di avere dei livelli decentrati di governo previsti dalla costituzione con poteri legislativi. In Francia questo non è anche se le regioni con la riforma costituzionale del 2003 sono state costituzionalizzate. Questo è stato un passaggio molto importante. Decentralizzazione dappertutto, non possiamo approfondire ma ci sarebbero tantissime analisi su quello che sta avvenendo nei paesi asiatici e nei paesi sudamericani nei quali ci sono stati processi di decentramento molto rilevanti. Dalla sua esperienza ci può dire che c’è una tendenza universale al decentramento. Nello stesso tempo soprattutto in Europa viviamo alcuni processi di centralizzazione, perché il processo di “unificazione europea” comunque sta andando avanti a rilento con contraddizioni, però certamente l’UE degli anni 2000 non è quella degli anni ’80: il prof. dichiara di aver seguito tutta la discussione sulle politiche regionali dell’unione europea che rispetto a quarant’anni fa, oggi il potere di decidere sulle scelte nazionali anche attraverso i trasferimenti legati ai fondi strutturali europei, sono cresciute enormemente e soprattutto le regole dell’Unione Europea hanno condizionato molto i governi nazionali anche sub-nazionali; però anche in questo caso c’è una certa ambivalenza, perché mentre all’inizio le politiche regionali europee si redigevano direttamente presso gli stati e questi gli attuavano, è stata poi la stessa UE che ha preteso dagli stati nazionali della gestione dei fondi per le politiche nazionali una gestione decentrata attraverso le amministrazioni regionali e in parte anche quelle locali. Quindi ci sono queste due tendenze, un po’ verso la centralizzazione e un po’ verso la decentralizzazione che contrassegnano l’attività di governo degli stati nazionali anche se probabilmente questa spinta alla decentralizzazione è un fenomeno più rilevante negli ultimi 10/15 anni. In questo quadro, cerchiamo di porci degli obiettivi rispetto al contenuto del corso; questo si può fare bene facendosi delle domande. Una prima domanda che ci si può porre rispetto alle problematiche di tipo finanziario; è evidente che non possiamo ragionare sulle problematiche di tipo finanziario, ovvero dare delle risposte alla domanda “come si finanziano i governi locali?” se non sappiamo che cosa devono fare i governi locali, se devono fare delle funzioni minimali è chiaro che hanno un’esigenza finanziaria diversa, se invece hanno moltissimi compiti e funzioni avranno esigenze finanziarie molto ampie e quindi si richiedono molte più risorse e quindi si va ad impattare violentemente sul disegno del sistema fiscale nazionale: l’imposta personale sul reddito dev’essere attribuita in buona parte agli enti locali, con una seria di difetti in termini di efficienza ed equità che possono mettere in difficoltà i principi che erano alla base del disegno di un sistema funzionale. Dobbiamo chiederci cosa fanno. Da questo punto di vista la teoria economica non si è occupata solo di finanza in senso stretto, vale a direi principi che devono stare alla base dell’acquisizione delle risorse degli enti locali che possono essere sia di tipo tributario – fiscale ma anche di tipo diverso, come ad esempio se trasferite direttamente dal centro o come risorse di natura non tributaria come le tariffe (biglietto dell’autobus). - Perché dobbiamo ripartire certe responsabilità in basso, in alto e a livelli intermedi? Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze - Come viene ripartita la responsabilità dell’offerta di beni e servizi pubblici e delle funzioni di regolamentazione tra governo centrale e governi locali? Qui ci sta tutto perché l’offerta di beni e servizi pubblici, anche qui dovremmo aver fatto la teoria dei beni pubblici, certi beni pubblici hanno carattere di tipo nazionale e altri beni pubblici, invece, che devono essere forniti dallo stato possono essere forniti a livello locale; dobbiamo sceglier quali. Siccome se facciamo un’analisi positiva, gli ordinamenti politici considerando l’europa, noi sappiamo, non è che l’italia, francia, svizzera, germania la distribuzione delle funzioni tra amministrazioni centrali e locali è uguale. No. In spagna l’istruzione è affidata ad organismi autonomi, mentre in italia è ancora affidata al Ministero dell’Istruzione a livello centrale. Quindi abbiamo delle situazioni molto diverse e quindi dal punto di vista della teoria economica dobbiamo cercare di individuare dei criteri per la produzione della responsabilità dell’offerta nei diversi servizi pubblici: sanitari, istruzione, tutela ambientale e così via. C’è poi un secondo aspetto che spesso viene dimenticato nel dibattito, che sono le funzioni non tanto di offerta di beni/servizi pubblici locali: anche noi sentiamo parlare in tv e dire: “mandiamo tutto agli enti locali così sono più vicini ai cittadini, più efficienti dal punto di vista dei servizi”; tutta la partita dell’attività di regolamentazione che anche questa può essere attribuita al centro o alla periferia secondo certi criteri e da un certo punto di vista effettuare scelte di distribuzione in materia di regolamentazione è più complesso di quelle relative alla distribuzione dell’offerta di beni e servizi pubblici come l’attività urbanistica: non è detto che l’attività urbanistica debba essere attribuita ai comuni, potrebbe essere attribuita alle province o alle regioni. In Francia i comuni non hanno poteri in materia urbanistica. Solo quando abbiamo risposto bene a questa domanda riusciamo bene. Gli diamo queste funzioni e vediamo come finanziarlo. Probabilmente anche la tipologia di funzioni dovrà essere correlata alla tipologia di entrate che devono finanziare. La seconda domanda ci specifica ancora meglio quella prima e quella che ci può fare un economista che dice: vabbè io ho questo problema e cerco di vedere: - Quali sono i principi economici che dovrebbero essere alla base dell’assegnazione delle competenze tra i vari livelli di governo? Vedremo che noi possiamo identificare i principi, soprattutto cercando di applicare la regola di scienza della distribuzione delle competenze. - Quando si può avere un decentramento efficiente delle decisioni in materia di fornitura e finanziamento dei servizi pubblici? Questo è un punto cruciale, perché se pensiamo al dibattito attuale, la linea è di dire: federalismo decentriamo tutto; siamo sicuri che ha senso decentrare tutto e magari invece il decentramento di un certo servizio ci porta a soluzioni più inefficienti che sono più costose. Sono questioni molto rilevanti sulle quali l’economia pubblica, e soprattutto quella specializzata nel mondo anglosassone. L’attribuzioni delle funzioni è la prima grande questione sulla quale dovremmo dire qualcosa. - Quali sono i principi economici che dovrebbero sottostare al disegno del sistema di finanziamento degli enti locali? In particolare in che modo il governo centrale può finanziare in maniera efficiente ed equa i governi locali? Il prof anticipa un esempio per spiegare che cosa vuole dire con questo: tutti sanno che una delle principali imposte che servono a finanziare gli enti locali è l’imposta immobiliare; al di là della vicenda storica italiana con il problema dell’eliminazione dell’ICI sulla prima casa, è immediata la percezione che quest’imposta dal punto di vista economico si presta bene a finanziare gli enti locali, perché rispecchia il principio del beneficio. Cioè l’imposta sugli immobili è quella realtà economica che risente immediatamente dei benefici delle Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze politiche locali, nel senso del miglioramento dei servizi nei comuni fa crescere il valore dell’immobile e quindi tu hai un beneficio dalle politiche locali. Ecco, questo è solo un esempio per dire cosa noi dobbiamo seguire per finanziare in maniera efficiente gli enti locali. C’è un secondo aspetto, il finanziamento degli enti locali può non essere esclusivamente un finanziamento di tipo tributario; anzi di fatto non lo è mai, perché è praticamente impossibile trovare un’imposta che sia in grado di finanziare complessivamente le attività degli enti locali enormemente cresciute negli ultimi cinquant’anni, in quanto richiederebbe lo smantellamento del sistema fiscale nazionale che è basato su un’imposta cardine che è l’Irpef che richiede una gestione nazionale soprattutto per ragioni di economie di scala nella amministrazione dell’imposta, soprattutto per ragioni ridistributive, nel senso che è un’imposta progressiva ed è l’unica ad avere una gestione unitaria a meno che non si voglia spezzare il sistema in 21 sistemi di progressività diversa, ma ci sarebbe un problema di tipo costituzionale. Non è possibile avere un’imposta locale che finanzi tutto, tutte le attività; quindi occorre un intervento suppletivo da parte dello stato con i trasferimenti e questo ci fa venir fuori il problema di come lo stato può e deve ripartire questi trasferimenti agli enti locali per completare il loro finanziamento. Nei dibattiti attuali si sente parlare di “punto perequativo, di equilibrio, di solidarietà”: è tutto un discorso che nasce rispetto alle modalità applicative dei trasferimenti statali agli enti locali per fare in modo che tutti abbiano un livello giusto di risorse. Che cosa sia questo giusto è molto complicato. La L. 42 pone tutta una serie di vincoli e di criteri, li approfondiremo, però l’aspetto oltre alle entrate tributarie locali dei finanziamenti è soprattutto quello dei trasferimenti. Ci sono poi altre entrate degli enti locali molto rilevanti, ma che non avremo il tempo di approfondire che sono l’indebitamento,ci sono poi altre entrate che hanno quasi natura privata sono le entrate tariffe connesse alla gestione di certi servizi pubblici locali, per esempio acqua. Anche qui c’è un problema: strumenti di finanziamento in maniera efficiente ed equa dei governi locali. Qui dentro c’è di tutto, i grandi problemi degli enti locali sono questi. Se qualcuno vuole, e il prof ce lo può procurare, se noi andiamo a vedere e se uno volesse fare un mestiere di studioso delle relazioni finanziarie e volesse andare a fare il consulente in giro per il mondo, la struttura topica di un rapporto per individuare come informare un sistema di relazioni finanziarie fra livelli di governo, in genere, parte da una distribuzione dell’organizzazione territoriale costituzionale del sistema, un’individuazione delle funzioni attribuite ai governi locali, poi si passa a vedere l’attribuzione delle fonti di entrate, in genere si fa una parte, data la rilevanza degli equilibri complessivi sull’indebitamento, e poi l’ultima parte dedicata agli strumenti di governo di un sistema di relazioni finanziarie, perché è chiaro che dal punto di vista degli equilibri macroeconomici sarà necessario mettere determinate regole. Pensiamo al Patto di stabilità interno è un sistema messo in opera per coordinare le attività finanziarie di più livelli di governo e controllare degli equilibri generali di cui devono rispondere tutti. Il Patto di stabilità dell’UE lo deve rispettare il governo centrale, ma i governi locali non possono sottrarsi ai vincoli indiretti che ne derivano. Questo pone il problema che i giuristi chiamano di “coordinamento della finanza pubblica” che è previsto anche come funzione statale dall’art. 117 della Costituzione che è uno dei problemi più complessi soprattutto da un punto di vista procedurale-costituzionale che ci troviamo di fronte. La quarta domanda riguarda più da vicino il nostro paese e ci occuperà la seconda parte del corso: - Cosa sta succedendo in Italia (specialmente nelle Province e nei Comuni)? E come noi sappiamo le cose stanno cambiando profondamente da un punto di vista del disegno complessivo molto più lentamente dal punto di vista della sua applicazione pratica e quindi degli effetti che potremmo avere nel breve e lungo periodo, perché anche questi decreti delegati della L. 42 prevedono un cadenziamento nel tempo piuttosto lento, giustamente perché queste sono le riforme che non si possono fare in una notte (come dicono gli inglesi), richiedono tempo, acquisizione di capacità, competizione piena, è un Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze processo molto lungo. Tutti questi ragionamenti non sono statici, bisogna di fatto correre un rischio che a volte si corre di pensare che i processi di decentramento politico e fiscale sono un fatto ingegneristico di tipo statico cioè bisognerebbe fare una legge fatta bene, applicarla secondo criteri economici di efficienza ed equità; ma non è così, questi sistemi sono di tipo dinamico e quindi richiedono continue modifiche nel tempo ed aggiustamenti, revisioni e cambiamenti. Certamente bisognerebbe fare revisioni e cambiamenti di ogni tipo e in misura più limitata di quello che è avvenuto negli ultimi vent’anni in cui ogni anno c’è stato un cambiamento; per cui oggi da 20/30 anni l’amministrazione comunale, in realtà, non è mai stata in grado di fare un programma che avesse una dimensione temporale superiore all’anno per impostare e attuare le proprie politiche. Perché ogni anno gli cambiavano il quadro di contesto, gli cambiavano le risorse disponibili. È impossibile. Un tema alla ribalta nel nostro paese è quello che viene definito federalismo fiscale; il prof preferisce parlare di sistema di relazioni finanziarie tra i livelli di governo, per alcuni motivi. Il primo che quando in italia si parla di federalismo fiscale in genere l’interpretazione comune è che ci occupiamo delle entrate degli enti locali; in realtà il temine federalismo fiscale deriva dalla letteratura americana, fiscal federalism, e in particolare un economista americano che scrisse nel 1972 scrisse un libricino molto famoso dal titolo “fiscal federalism”. Ma fiscal federalism della lingua inglese implica tutti gli aspetti delle relazioni intergovernative: quindi non solo quelli finanziari, ma implica anche la distribuzione delle competenze oltre che di quelle delle entrate. Sapete che in inglese fiscal policy è riferito sia alle politiche di entrata sia di spesa, quindi c’è questo equivoco di fondo nel dibattito in cui si pensa solo alle entrate. La grossa novità che è stata introdotta nel nostro ordinamento deriva in prima istanza dal nuovo articolo 119 della Costituzione con la riforma che era stata approvata nell’aprile del 2001 poco prima delle elezioni politiche di quell’anno con la modifica del punto approvata a maggioranza e non come si auspica per tutte le riforme costituzionali (quasi) all’unanimità e però nonostante alcuni tentativi poi dei successivi governi di modifiche non è stata cambiata, anzi le successive modifiche costituzionali non sono state approvate definitivamente. Dopo di che a partire dal 2006-2007 anche tra le forze politiche c’è stato un sostanziale accordo sull’art. 119, cioè si è detto vabbè gli altri articoli, soprattutto il 117[La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze 2. La legislazione esclusiva dello Stato Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea; b) immigrazione; c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie; f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo; g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile e anagrafi; l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; n) norme generali sull'istruzione; o) previdenza sociale; p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno; s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze 3. Legislazione non espressamente dello Stato Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.] delle modifiche/dei chiarimenti soprattutto sull’attribuzione alle competenze che sono state eccessivamente decentrate, come per esempio i trasporti. Sarebbe richiesta una maggiore competenza da parte del centro, si sostiene abbastanza che ci si è sbilanciati troppo in favore delle regioni per quanto concerne alcune attività di interesse nazionale. Però sull’articolo 119 della Costituzione [ I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento. E' esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.] “le nuove regole di finanziamento” c’è un accordo di fondo, per cui è cominciato un lungo itinerario di predisposizioni, di disegni di leggi attuativi di questo articolo a partire dal 2007 prima con il Governo Prodi, con il Ministro Padoa Schioppa, e poi con il Ministro Calderoli si è discusso un ddl tra il 2008 e il 2009 fino all’approvazione dopo vari disegni di leggi e modifiche significative siamo arrivati alla L. delega 42/2009 che appunto è una legge che per essere attuata prevede una serie di decreti delegati che dovrebbero essere completati entro il maggio di quest’anno. Ci sono già dei decreti approvati, uno in corso di approvazione, poi ce ne sono altri tre ancora da discutere: c’è tutta una procedura parlamentare che dev’essere seguita per l’approvazione di questi decreti. All’interno di questi decreti delegati ritroveremo molti dei temi che affrontiamo tra cui le modalità, gli strumenti concreti con cui si deve risolvere il problema del finanziamento e i criteri da utilizzare per finanziare i governi locali. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze 4. La teoria del federalismo fiscale - I fatti: le tendenze mondiali della decentralizzazione; - Modelli di governo territoriale: che in sostanza vuol dire che noi possiamo avere diversi modelli di governo sub – nazionale e diversi sistemi di decentramento; - Perchè negli stati esistono diversi livelli di governo? - Come si formano i governi locali; - L’attribuzione delle competenze tra diversi livelli di governo; - Il finanziamento dei governi locali: le imposte, le compartecipazioni, le tariffe e i proventi dei beni che sono le entrate correnti, le cosiddette entrate ripetitive che ogni anno i governi possono assumere; - Il finanziamento dei governi locali: - i trasferimenti, che rientrano nel finanziamento corrente ma sono entrate non autonome degli enti locali ma che vengono trasferite da un livello superiore di governo: per esempio un comune riceve trasferimenti dall’unione europea, dallo stato e qual cosina anche dalla provincia che non sono prestazioni coattive come quelle tributarie, né da fornitura di servizi a fronte di tariffe come può essere il servizio di trasporto, l’acquedotto; - e il debito; - Altri tipi di entrata: - alienazioni patrimoniali, sarebbe interessante approfondire il tema perche molte amministrazioni locali dispongono di un patrimonio immobiliare e questo è uno degli aspetti dei decreti delegati attuativi della L. 42, il c.d. federalismo demaniale che prevede il trasferimento di buona parte del patrimonio pubblico statale immobiliare alle amministrazioni locali a fronte di scelte di procedure previste appunto. Questo è stato il primo decreto delegato approvato prima dell’estate del 2010; - e donazioni. Il processo di privatizzazione del patrimonio immobiliare comunale è stato rilevante e probabilmente in futuro sarà ugualmente rilevante stante alla situazione finanziaria non floridissima di buona parte dei comuni, potrà costituire una valvola di sfogo. All’interno delle alienazioni patrimoniali non dobbiamo pensare solo agli immobili, c’è tutto il discorso valido per i comuni più grandi della possibile dismissione di quote di partecipazione delle principali ex- aziende municipalizzate, molte delle quali sono state trasformate in SPA con vendita parziale del capitale ai privati e che potenzialmente potrebbero garantire un notevole afflusso di risorse soprattutto ai comuni. La prima parte è molto teorica, la seconda è più applicata ed è una veloce disamina del sistema di finanziamento dei governi regionali e locali in Italia. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze 5. Il sistema di finanziamento dei governi regionali e locali in Italia - Un pò di storia 1970-2010; Dobbiamo considerare che noi abbiamo avuto 40 anni di continui cambiamenti all’interno dei quali noi potremmo identificare alcuni cicli caratteristici; comunque la storia della finanza locale per certi aspetti è lo specchio della storia politico-istituzionale del paese. È molto complicato descriverla perché ci sono stati continui cambiamenti e quindi il tentativo è di estrarre alcuni aspetti di fondo che sono emersi nel corso di questi 40 anni con un minimo di occhio prospettico al 2011 proprio per il fatto dell’importanza della attuazione della delega della L. 42/2009. La possiamo definire “riforma senza fine”, poiché ci sono 40 anni in cui non siamo riusciti ad avere un assetto stabile del nostro sistema di finanza decentrata e in questo ci discostiamo nettamente da tutti gli altri paesi europei dove sicuramente ci sono state delle modifiche, ma molti periodi di stabilità molto più lunghi e all’interno dei quali sono maturate proposte di modifiche; qui invece abbiamo avuto proprio a volte delle trasformazioni che sono durate solo per il periodo di validità di un decreto legge per intenderci, anche dal punto di vista fiscale. - Approfondimento sul sistema attuale di finanza decentrata: “la riforma senza fine”; - Regioni a statuto ordinario e speciale; - Province; - Comuni; - Altri enti locali, ci riferiamo a soggetti che non hanno la natura di ente giuridico territoriale come le Camere di Commercio, o le stesse Università che secondo la riclassificazione dell’Istat rientrano nel sottocomparto delle amministrazioni locali all’interno delle amministrazioni pubbliche; - I nodi attuali: verso il federalismo (fiscale), perché anche qui una cosa è il federalismo e una cosa e il federalismo fiscale come lo intende la letteratura americana; il federalismo da solo è un ordinamento politico molto preciso che si discosta dal federalismo fiscale inteso come relazioni finanziarie tra diversi livelli di governo, ed esiste in tutti gli stati in cui ci può essere una larvata (giuro che dice così….) presenza di un amministrazione locale. Ci può essere uno stato in cui i comuni hanno pochissimo potere ultra-accentrato ma anche in quel caso non avremo un federalismo fiscale. In Grecia i comuni hanno poteri limitatissimi, però anche lì qualche finanziamento lo hanno per fare le minime attività che prevede il loro ordinamento. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze 6. Tipologie della decentralizzazione In questi processi di decentralizzazione molto rilevanti negli ordinamenti contemporanei, quello che è bene cercare di fare è di individuare alcune tipologie, perché come diciamo nelle analisi scientifiche questo ci aiuta a valutare alcuni processi rilevanti come quelli che stiamo analizzando. Il tentativo di classificazione che noi abbiamo cercato di fare è quello di individuare tre grandi modelli di decentralizzazione e che a loro volta possono avere delle sottodistinzioni al loro interno. Passando se andiamo da sx a dx da modelli più accentrati, a modelli più decentrati e basati sull’autonomia politica dei livelli di governo inferiori. Il primo termine viene definito il modello della deconcentrazione che in linea di massima è il modello meno decentrato, perché in prima ipotesi si basa sull’attribuzione da parte dell’amministrazione statale centrale di funzioni e di autonomie di responsabilità di poteri alle proprie amministrazioni deconcentrate; esempio: è il caso di un ministero centrale che attribuisce a una sua direzione regionale molti poteri, sia di spesa che decisionali; viceversa può esserci un modello in cui il ministero mantiene tutti i suoi poteri a livello degli apparati centrali burocratici. È un modello il cui esempio tipico è quello francese dove noi abbiamo un sistema in cui gli apparati periferici centrali hanno storicamente avuto moltissimo potere decisionale. In Italia questo è sempre stato molto meno rilevante, il potere è stato molto sempre accentrato nel ministero. Quindi questa è una forma di decentramento che viene anche definito come sistema funzionale nel senso che in teoria noi possiamo avere un settore pubblico strutturato neanche con dei ministeri, ma proprio degli enti pubblici separati che hanno competenza su tutto il territorio nazionale e hanno delle articolazioni periferiche con livelli maggiori o minori di decisionalità. Il problema che quindi sono funzioni separate che vengono gestite senza però attribuire nessuna forma di autonomia politica a questi sistemi funzionali, vale a dire senza garantire una rappresentatività politica per coloro che gestiscono queste amministrazioni. È sempre una catena di comando come se fosse una grande impresa gerarchica che ha delle sue diramazioni territoriali. Una banca il cui capo area regionale ha fortissimi poteri, oppure in certi casi per applicare un punto ci vuole una catena di firme fino all’amministratore delegato, in certi casi invece può essere responsabile l’agenzia o la filiale che sia. Il modello è essenzialmente questo. Perché ci sono le due sottodistinzioni: - sistemi prefettizi e – sistemi funzionali? Perché nel modello di deconcentrazione ministeriale, che non vede ancora la presenza di governi locali elettivi; le amministrazioni periferiche dei ministeri possono essere ricondotte a unità nel modello di sistema prefettizi e qualora ci siano un prefetto o un rappresentate di governo in periferia, che può coordinare le varie direzioni regionali: cioè c’è la direzione regionale dell’istruzione, finanze, economia, edilizia e il prefetto le può coprire perché ovviamente ci sono delle interazioni tra le attività svolte da queste direzioni. Oppure questo coordinamento può essere molto lasco, molto debole e in questo caso abbiamo un sistema funzionale puro nel senso che la direzione regionale dell’istruzione fa quello che vuole, non parla con la direzione regionale della cultura, dei musei, delle biblioteche e così via. La Francia è stato un tipico sistema prefettizio: il prefetto, rappresentante del governo, ha sempre contato di più dei nostri prefetti a livello periferico; cioè era quello che nel caso di presenza anche di amministrazioni locali colloquiava direttamente con l’amministrazione locale per fare degli accordi, fare delle politiche in comune e così via. L’Italia invece è stato un tipico rappresentante del sistema funzionale quello che concerne la riunificazione centrale e concentrata cioè ogni ministero faceva comparto a sé; i pochi tentativi di coordinamento avvenivano unicamente a livello nazionale. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze Sotto il sistema funzionale c’è una diramazione che è il c.d. modello delle autonomie funzionali che è un qualcosa che effettivamente sta emergendo dai sistemi funzionali puri e che in questo caso consiste nella concessione di una speciale capacità di autogoverno ad enti pubblici che operano a livello locale come diramazioni del livello centrale. Le autorità decentrate non sono governi locali, ma acquisiscono una sorta di personalità giuridica. Un caso tipico è proprio quello dell’università. La caratteristica dei modelli delle autonomie funzionali è che hanno una forma di autonomia basata su rappresentanze di autogoverni propri nominati dalle realtà associative a cui fanno riferimento, quindi l’università avrà un CDA di professori e studenti, la camera di commercio è un altro tipico esempio di autonomia funzionale, avrà amministratori composti da rappresentanti delle varie categorie scelte con dei criteri di proporzionalità, di cooperazione rispetto alla presenza delle varie categorie nel territorio. La caratteristica di tutti questi sistemi è la settorialità. Il modello funzionale, c’è una funzione e viene gestita anche articolata sul territorio settorialmente. Come in tutte le classificazioni, come noi sappiamo, non è che esistano mai i modelli puri; tutte le classificazioni è difficile che non lascino perdere alcuni spazi di sovrapposizione tra questi modelli; tra l’altro questo è un punto interessante dell’analisi dei vari sistemi dei diversi paesi e cioè trovare peculiarità di questi sistemi. Il secondo modello di governo territoriale è quello definito devoluzione ovvero sia di una forma di decentralizzazione spaziale del potere politico secondo a quale le competenze sono ripartite tra diversi livelli di governo e questi livelli di governo inferiori rispetto al livello di governo nazionale hanno la caratteristica di avere una legittimità politica derivante da elezioni, cioè sono governi elettivi. Quindi si creano delle giurisdizioni che cono responsabili di un certo numero di competenze, in più hanno un bilancio proprio ovvero hanno un’autonomia finanziaria di bilancio ed è di qui che nasce tutto il nostro problema di finanza locale, e dispongono anche di entrate proprie oltre che di trasferimenti dello stato. Quindi c’è certamente un rapporto tra il governo di livello nazionale e i governi regionali e locali, è molto complicato e noi sappiamo che in tanti paesi esistono più di un livello di governo; uno potrebbe dire “ma perché, ne basterebbe uno” lo stato e un livello di governo periferico. Proprio in considerazione del fatto che le funzioni da attribuire a diversi livelli di governo sono molto differenziate per il loro esercizio a volte richiedono delle invenzioni territoriali differenziate, la soluzione è stata trovata ed è quella di dire vabbè certe funzioni possono essere gestite a un livello territoriale minimo e le attribuisco a un ente rappresentativo della popolazione che insiste su quel livello territoriale minimo; certe funzioni le c.d. funzioni di area vasta, i grandi servizi chiedono un ambito territoriale molto più ampio e di caratteristiche tecniche, tecnologiche diverse del servizio; quindi posso creare un altro ente che si occupa di quelle funzioni. Per cui in genere non si superano i tre livelli. Il terzo livello, quello regionale, quello più ampio in genere è il livello che si assume in se competenze molto rilevanti da un punto di vista costituzionali tant’è vero che il terzo livello è tendenzialmente presente nei sistemi federali e ha comunque anche poteri legislativi. Però il punto fondamentale è che siamo in presenza di una distribuzione territoriale del potere politico, cioè vale a dire noi abbiamo una legittimazione politico-rappresentativa nei livelli locali di governo. I sistemi regionali sono quindi, come ci diceva prima, quelli che prevedono un livello intermedio dotato generalmente di una dimensione territoriale relativamente ampia e generalmente anche con poteri legislativi. Pensando al caso europeo le situazioni che rientrano in un modello regionale in senso stretto sono certamente l’Italia, la Spagna dove noi sappiamo, i livelli di governo hanno ambedue poteri legislativi riconosciuti dalla costituzione, non la Francia dove c’è tutto un dibattito in corso che vuole andare in quella direzione in Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze quanto non necessariamente la presenza di un governo regionale implica un ordinamento federale, cosa che i francesi ovviamente rifiutano per principio. Il terzo modello è quello del federalismo che è un sistema federale in cui la caratteristica principe è che esistono due sfere autonome di governo, non è più una sfera di governo quale può decidere di attribuire con le proprie leggi alcune funzioni ad altre sfere di governo politico che comunque possono essere continuamente modificate dalla sua legislazione. No, qui abbiamo due sfere di governo che agiscono in maniera autonoma e senza nessun rapporto di dipendenza gerarchica di uno dall’altro. Questo è diciamo è l’essenza del sistema di governo federale. È un sistema di governo che nasce da un accordo tra entità politiche autonome. Federale deriva da foeudus = accordo, patto; sono stati che si mettono insieme, ma non per questo rinunciano alla loro sovranità. Quindi il punto fondamentale di un ordinamento federale non è tanto che l’ordinamento federale abbiamo più competenze, più risorse negli stati che compongono la federazione ma è piuttosto nelle garanzie che questi hanno nel mantenimento delle loro competenze anche se sono minimali, cioè lo stato non gliele può assolutamente togliere e se fanno una modifica di questo ci vuole l’accordo degli stati che hanno fatto il foeudus originale (attenzione però, perché il nostro Parlamento può modificare l’art.117 della Costituzione senza che nessuno possa dire nulla; questo non succede negli stati federali in cui appunto ci vuole l’autorizzazioni degli stati membri). Noi abbiamo degli stati unitari in cui la distribuzione delle competenze ai governi sub-nazionali è maggiore rispetto a quella che noi possiamo trovare in alcuni stati federali. Quindi è un ambito diverso, magari abbiamo più risorse alla periferia in uno stato unitario di uno stato federale, caso dell’Australia è uno di questi casi. Quindi questo è un aspetto che sconfina molto nel campo giuridico. Il prof. lo ha imparato dai costituzionalisti, però gli sembra importante approfondire. Questo è il terzo modello. Se noi ipotiziamo questa come una scala che va dal minimo al massimo, in termini di autonomia, di rispetto delle competenze attribuite, andando dalla deconcentrazione al federalismo possiamo metterci un “min” “max”, poi è chiaro che nella realtà degli stati, dei variegati ordinamenti presenti nel mondo attuale è un continuo di questo. È difficile classificare esattamente ogni modello all’interno di questa retta. Questo è un primo tentativo di classificazione dei modelli della decentralizzazione. Decentramento e decentralizzazione sono la stessa cosa. Il decentramento (decentralizzazione) è il trasferimento dell’autorità e della responsabilità di determinate funzioni dal governo centrale ad altre entità più o meno indipendenti o al settore privato. Questa è una definizione molto generale senza per questo diventare generica. Rientrano in questa definizione i tre modelli appena visti e in più c’è un discorso che è venuto fuori negli ultimi vent’anni che decentramento a volte si parla anche del caso della privatizzazione cioè vale a dire il passaggio di certe attività svolte dal settore pubblico al settore privato che non necessariamente è il settore privato di mercato, può essere anche un settore di mercato c.d. no-profit, viene assimilato alla definizione di decentramento e questo è un fenomeno che è avvenuto negli ultimi vent’anni. Insieme al fenomeno di decentramento di poteri degli ultimi vent’anni c’è stato certamente un processo di trasferimento di funzioni prima svolte da soggetti pubblici al mercato. Anche qui è da dire che questo mega trend negli ultimi due anni ha visto un’inversione di tendenza significativa a causa della crisi e per cui noi abbiamo avuto un ritorno dello stato nel mercato con la pubblicizzazione di banche. Quindi i concetti di decentramento sono: - decentramento politico nel caso che le funzioni attribuite dal governo centrale vadano a dar autorità legittimate politicamente con le elezioni; - decentramento fiscale qualora le risorse per finanziare il decentramento politico derivino da attribuzione di Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze poteri fiscali ai livelli di governo sub-nazionale; - decentramento amministrativo nel senso di passaggio delle funzioni amministrative che sono finanziate dal decentramento fiscale; - decentramento economico o di mercato questo si accordi alla gestione di determinati servizi al settore di mercato o come diceva prima quello no-profit. Questa è un ulteriore specificazione delle categorie giuridiche che aveva già specificato nei tre modelli, per cercare di distinguere i tre modelli principali. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze 7. Le categorie giuridiche Noi eravamo arrivati al modello federale, poi in realtà dal punto di vista giuridico si tende a distinguere fra tre grandi tipologie di ordinamento: - Stati Unitari; - Stati Federali; - Confederazioni. Gli stati unitari : Le funzioni di governo possono essere attribuite ad unità politico-geografiche sub-centrali (elettiva, se no sarebbe detta deconcentrazione) che però non hanno il potere di partecipare alle decisioni concernenti l’attribuzione delle competenze e delle risorse necessarie al loro funzionamento. Anche questa è una definizione teorica, nel senso che uno stato unitario in parlamento può decidere quali imposte devono finanziare i comuni, poi il processo politico-decisionale, che poi le amministrazioni locali con il loro rappresentante non intervengano è un discorso tutto da vedere come molti di voi sanno, tutte le decisioni in Italia di questo caso vengono prese con la consultazione e la partecipazione anche attiva dell’A.N.C.I. che l’associazione nazionale dei comuni italiani. In teoria il potere lo stato centrale c’è l’ha; questo serve a far vedere la differenza con lo stato federale dove La federazione nasce da un accordo tra una pluralità di enti politici indipendenti, (la federazione americana nacque come confederazione, poi trasformata in federazione soprattutto per esigenze militari di mettere in comune risorse) ma ambedue i livelli di governo (federazione e stati) sono autonomi nell’agire all’interno delle competenze loro attribuite dalla Costituzione, con la conseguenza che i cittadini sono soggetti contemporaneamente all’autorità di due governi. Ogni modifica della Costituzione richiede la maggioranza degli stati o l’intervento di un organo terzo (Corte suprema negli USA). Più che modifica ci possono essere casi soprattutto nell’attribuzione delle competenze in cui è difficile capire chi è veramente competente in alcune materie trasversali o interdipendenti. Per esempio pensiamo ai rapporti tra politiche industriali e politiche ambientali, se lo stato fosse competente delle politiche industriali è chiaro che in certi casi ci sarebbero degli spazi di sovrapposizione in cui potrebbe intervenire la federazione per impedire un intervento di politica industriale; qui si potrebbe aprire un conflitto di competenza e quindi in genere gli stati federali hanno un forte organismo di garanzia tipo la nostra corte costituzionale che deve dirimere questi conflitti e del resto la corte costituzionale in Italia proprio a seguito della riforma costituzionale del 2001, negli ultimi 10 anni ha avuto un’esplosione di conflitti di attribuzione tra stato e regioni e quindi c’è stata una crescita enorme del livello di decisioni inerenti questi aspetti. Questo è lo stato federale. Richiama sempre le garanzie centro-vincolanti, cioè lo stato centrale non può fare qualsiasi modifica ma di fatto dev’essere concordata con gli stati della federazione. La Confederazione è un modello più leggero: derivano da un’alleanza su base stabile tra diversi stati sovrani, ed i suoi poteri sono esercitati solo sulla base di una delega che può sempre essere ritirata. Essa non ha quindi alcuna sovranità sui cittadini dei singoli stati i quali non hanno a loro volta diritti e doveri di cittadinanza nei confronti della Confederazione. È un livello di aggregazione molto più limitato. Viene messo in luce come le organizzazioni e le cooperazioni sono organizzazioni molto più deboli degli stati federali. Bisogna capire come questo aspetto abbia rilevanza nell’individuazione delle relazioni finanziarie tra questi soggetti. Nel caso di una confederazione è chiaro che sarà difficile che la confederazione abbia un potere unitario forte, a differenza della federazione. Probabilmente potrebbe essere finanziata solo attraverso Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze trasferimenti in questo caso dal basso, dai singoli stati oppure con una minima compartecipazione ad un’imposta comune dagli stati. Pensiamo al caso della piccola quota di compartecipazione i.v.a. che gli stati che fanno parte dell’UE danno all’UE per finanziare il bilancio europeo, ma è minima. Esiste poi un ulteriore livello di organizzazione, le c.d. organizzazioni sovranazionali che sono un qualcosa ancora di più limitato rispetto alle stesse confederazioni, per esempio l’ ONU che deriva da accordi tra nazioni per cercare di trovare soluzioni a problemi mondiali come la pace, dell’inquinamento. Ovviamente sono organizzazioni molto deboli, perché sono spesso soggette alla regola dell’unanimità per ogni tipo di decisione; mentre la confederazione nei rapporti iniziali con la delega già certe questioni le dirime; in più (le organizzazioni) non hanno nessuna capacità coattiva diretta , perché ad esempio l’ONU quando vuole mettere in pratica una certa deliberazione ha bisogno di uno o più stati membri che lo aiuti ad applicarla. Un principio importante che è collegato a tutti i discorsi che abbiamo fatto, è il c.d. principio di sussidiarietà. Perché ne parliamo? Perché poi in realtà quando noi ci chiediamo: ma perché esistono più livelli di governo? Vedremo come economisti che potrebbero esserci delle giustificazioni, la presenza di più livelli di governo da un punto di vista del principio di efficienza. Però c’è anche l’insieme politico e giuridico che ha elaborato il c.d. principio di sussidiarietà in base al quale si prevede che la decisionalità in genere è bene che sia il più possibile allontanata dallo stato centrale. Il principio in estrema sintesi afferma che: qualsiasi problema dovrebbe essere affrontato e risolto da parte dell’autorità competente collocata al livello più basso possibile della scala gerarchica di riferimento. Ha a che fare con il principio di decentralizzazione ma è comunque una cosa diversa perché è di fatto un principio di tipo filosofico; il concetto è in generale applicato ai rapporti tra individuo e società e istituzioni. L’idea di base è che il potere politico deve intervenire solo quando la società e le sue parte costitutive: individui, famiglie, comunità locali non sono in grado di soddisfare adeguatamente i loro bisogni. Questo è il punto fondamentale. È la base del principio di sussidiarietà. Sono queste tre fasi, che ci consentono di tipizzare il principio di sussidiarietà in due tipologie: - Sussidiarietà orizzontale; - Sussidiarietà verticale. La sussidiarietà orizzontale è quella da cui nasce il principio generale di sussidiarietà che deriva da un Enciclica Papale del 1931 che sosteneva che lo Stato non deve intervenire quando i corpi sociali intermedi, famiglia e istituzioni, sono in grado di svolgere le stesse funzioni autonomamente. Non casualmente è un principio che nasce in un epoca di sviluppo del totalitarismo è proprio un po’ il meccanismo di autodifesa della società rispetto alla dominanza totalitaria dell’organizzazione statale. Quindi la difesa del libero associazionismo da tutti i punti di vista, a difesa dei diritti fondamentali della persona umana. La sussidiarietà verticale è quella più vicino a noi e che è lo scopo del corso. Sostanzialmente è il principio anche nei tratti dell’UE che sta alla base delle relazioni intergovernative sia per quello che concerne i sistemi federali che quelli non federali in cui sia presente il decentramento, il principio di sussidiarietà cosa vuole significare? Che la decentralizzazione va preferita se non vi sono ragionevoli motivi per l’attribuzione delle funzioni al centro. Ad esso spetta l’onere della prova, esiste una presunzione di base in favore dell’attribuzione dei poteri a livello più bassi. Quindi il principio dice questo, però attenzione sulla base del principio di sussidiarietà noi potremmo anche scegliere di accentrare una funzione decentrata se lo stato centrale è in grado di dimostrare che vi sono ragionevoli motivi da un punto di vista della funzionalità del servizio, cioè le infrastrutture energetiche di un paese non ha senso che le gestisca un singolo comune. Ci sono molti motivi funzionali che possono giustificare e quindi se questo fosse fatto in base al principio di sussidiarietà noi lo attribuiamo allo stato centrale. Il principio di sussidiarietà può essere visto come un principio a favore delle amministrazioni locali, perché Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze si basa su questa presunzione di favore dell’attribuzione dei poteri a livelli più bassi. L’onere della prova dev’essere dato dall’amministrazione statale, se no perde forma una funzione che è decentrata al massimo. Quindi c’è una valenza politica e giuridica del principio di sussidiarietà. Politica per questi motivi, giuridica perché l’art. 5 del Trattato di Maastricht attribuisce agli stati tutte le funzioni che non abbia senso attribuire all’Ue sulla base del c.d. principio di non sufficienza cioè il fatto che gli interventi degli stati non sono funzionalmente adeguati allo snellimento delle funzioni di cui si sta discutendo. Principio di sussidiarietà dall’art.5 del Trattato di Maastricht: “solo se e nella misura in cui gli obiettivi che si prefigge con la propria azione non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri e possono dunque in ragione della loro dimensione o degli effetti dell’azione proposta essere meglio conseguiti dalla Comunità”. Riprendiamo un attimo il tema delle tipologie della decentralizzazione: nella classificazione ci sono tre grandi tipologie, già descritte la volta scorsa, cioè la deconcentrazione, la devoluzione e il federalismo. Va fatto notare che nel testo invece si parla di sistema funzionale, di sistema della decentralizzazione spaziale e infine di sistema federale. In realtà il sistema della deconcentrazione spaziale e il sistema funzionale sono stati utilizzati come sinonimi, soprattutto nel mondo europeo. Se volessimo essere corretti dovremmo parlare di sistemi funzionali, che si distinguono in sistemi prefettizi e in sistemi funzionali in senso stretto. Nel linguaggio europeo il modello della deconcentrazione sta a significare un modello di tipo funzionale, cioè in cui l’articolazione del settore pubblico è di tipo centralistico, però queste amministrazioni centrali, che lavorano in un’ottica settoriale - funzionale, hanno delle forme di decentramento funzionale rispetto ai loro organismi periferici; il modello tipico è quello del Ministero Centrale Direzione Regionale connesso all’istruzione, o ai lavori pubblici. Il concetto è quindi sempre quello: c’è un’organizzazione centrale che si occupa di una determinata funzione, e che viene articolata territorialmente con delle diramazioni periferiche (caso tipico dei Ministeri); se vogliamo prendere un caso tipico di un Paese europeo, abbiamo la Francia, tradizionalmente centralistica, ma in cui c’è una vasta deconcentrazione: il termine deconcentrazione è usato come alternativo al termine decentramento o decentralizzazione , in quanto il termine deconcentrazione è tipicamente un termine di tipo burocratico (è come una grande banca che ha delle direzioni regionali); queste diramazioni periferiche a loro volta possono avere maggiori o minori poteri delegati per quello che concerne l’autonomia di bilancio, le scelte di spesa e così via. Però rispetto ad un sistema di decentralizzazione spaziale o devoluzione implica un trasferimento di poteri agli organismi decentrati e che hanno una forma di rappresentanza politica basata sull’elezione diretta. In questo senso abbiamo un trasferimento di potere a degli organismi elettivi, che consistono in vere e proprie deleghe, con trasferimenti molto forti a livello di autonomia decisionale. Quindi il termine deconcentrazione è un termine molto europeo, mentre a livello internazionale (specie nei paesi del Sud America e del sud-est asiatico) si è assistito ad una grossa trasformazione da sistemi di tipo deconcentrato-funzionale a sistemi di decentralizzazione spaziale, il che ha comportato un aumento di trasferimenti di poteri a organismi elettivi. L’ultima volta avevamo visto il principio di sussidiarietà; è un principio molto generale che tocca tutti i rapporti fra individuo, società, istituzioni e corpi intermedi, e difatti si parla di sussidiarietà orizzontale e sussidiarietà verticale; noi ci concentriamo sulla sussidiarietà verticale, che implica le relazioni che si riferisce alle relazioni fra livelli di governo, e che ci dice come principio di base che l’ipotesi di gestione del potere amministrativo o legislativo, a seconda del modello di ordinamento in cui noi ci troviamo, deve essere generalmente preferito al livello più basso possibile. Il principio di sussidiarietà è un principio bivalente, cioè non è che ci impone di fissare i poteri dal centro alla periferia, ma ci dice solo che c’è una presunzione di base di attribuzione dei poteri alla periferia, ma se Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze esistono giustificazioni razionali dal punto di vista economico o funzionale, queste funzioni devono essere trattenute al centro o addirittura ricentralizzate. Quindi la valenza pro-centralizzazione del principio di sussidiarietà è solo basata sul fatto che questa presunzione di base è soggetta all’inversione dell’onere della prova, cioè se non c’è una giustificazione adotta dal centro valida, automaticamente le funzioni devono essere attribuite alle amministrazioni locali. Ci devono quindi essere adeguate motivazioni basate su ragionamenti di tipo economico-funzionale per giustificare le scelte di accentramento, di centralizzazione. Il principio di sussidiarietà lo ritroviamo nell’Art. 5 del Trattato di Maastricht: essendo quest’ultimo un trattato fra Stati, il principio viene riferito nei rapporti fra la Comunità e gli Stati, ma evidentemente diventa un principio ispiratore negli ordinamenti giuridici per quel che concerne tutti i rapporti fra gli Stati e le entità politiche dei livelli inferiori, e a maggior ragione nei rapporti diretti che ci sono fra Unione Europea ed enti subnazionali che ci sono nei vari Paesi che la compongono. L’Art. 5 del Trattato di Maastricht recita “… la Comunità svolgerà la propria azione secondo il principio di sussidiarietà, solo se e nella misura in cui gli obiettivi che si prefigge con la propria azione non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri e possono dunque in ragione della loro dimensione o degli effetti dell’azione proposta essere meglio conseguiti dalla Comunità”. Questo principio implica che la giustificazione di un certo tipo di iniziativa della Comunità Europea in termini di accentramento di funzioni e di sottrazioni di compiti agli Stati membri deve essere giustificata e basata su questo principio della non sufficienza. Questa valenza del principio di sussidiarietà è anche certamente di tipo giuridico, e nella sua applicazione pratica certamente presenta delle problematiche; ad esempio in caso di conflitto di attribuzione occorre l’intervento di un organismo terzo di tipo giudiziario, che è la Corte di Giustizia Europea, con un compito di mediazione. La scorsa volta avevamo parlato della difficoltà di trovare una differenza fra modelli di Stato di tipo unitario, di tipo più o meno decentrato per arrivare alla soluzione di modelli di tipo federale o confederale, e si era detto che importante era la differenza fra due concetti base che vengono utilizzati nella analisi dei sistemi di relazione fra i diversi livelli di governo; abbiamo un problema di natura della ripartizione del potere come costituzionalmente definita, è questo a differenziare il sistema accentrato da quello federale (nel sistema federale il centro non può cambiare l’assetto delle competenze fra i livelli di governo e le stesse relazioni finanziarie senza un’approvazione esplicita da parte delle organizzazioni politiche che compongono la federazione). Là dove ci sono queste garanzie, il sistema è di tipo federale, c’è un fedus che deve essere rispettato fra gli Stati. È importante sottolineare che questa natura non necessariamente si accoppia ad una ripartizione di poteri ugualmente rilevante, nel senso che possiamo avere un sistema di forti garanzie rispetto alle autonomie locali, ma allo stesso tempo queste autonomie locali, a causa dell’accordo iniziale, hanno mantenuto poteri relativamente limitati, o comunque magari poteri più limitati di quelli che troviamo in un modello ordina mentale di tipo unitario o di tipo regionale. Se noi studiamo un sistema di federazioni intergovernative, dovremmo andare a vedere da un lato la natura delle relazioni, cioè in che misura i governi subnazionali sono tutelati dall’ingerenza del potere centrale, e dall’altro lato dovremmo andare a valutare la quantità del potere che viene ripartito fra i livelli di governo in termini di distribuzione di competenza per un’analisi del potere effettivo che viene gestito a livello locale, sia dei sistemi unitari che federali. Questo è stato definito come il problema della misurazione del grado di decentramento. Quando studiamo il federalismo fiscale, abbiamo dei grossi problemi oltre a quello di gestione del sistema in termini di coordinamento complessivo della finanza pubblica, è cioè quello di misurazione in termini Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze comparati. La differenziazione per natura della ripartizione territoriale del potere e qualità del potere ci serve per comprendere come a volte possa emergere un evidente paradosso di modelli di Stato federale in cui magari c’è una distribuzione del potere delle varie funzioni pubbliche più accentrata rispetto a quella che troviamo negli Stati decentrati come ad esempio la Francia. La Svezia ad esempio non è un Paese federale, ma i poteri attribuiti alle amministrazioni locali, rendono la distribuzione del potere più accentuata che i Germania. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze 8. I meccanismi centrovincolanti del federalismo e le misure di decentramento Quali sono quindi i meccanismi centro vincolanti essenziali nel federalismo? Il primo è quello riferito alla ripartizione delle competenze: ma non è un problema di numero di competenze che noi attribuiamo, ma è quanto a livello di completezza nella gestione delle competenze che il livello subnazionale di governo può avere, cioè soprattutto all’esclusività di gestione di quel potere da parte del governo subnazionale; la letteratura parla di due modelli all’interno degli stati federali, cioè il modello duale (in cui c’è una chiara distinzione all’interno della costituzione di ciò che fa lo stato federale, e di cosa fanno invece i singoli Stati), ognuno fa quello che vuole, non ci sono intermittenze. In realtà negli stati contemporanei, con la crescita dell’intervento pubblico è diventato sempre più difficile fare delle distinzioni fra le materie da attribuire a uno o all’altro livello di governo; in realtà tutte le politiche sono per loro natura intergovernative, in misura maggiore o minore tutti i livelli di governo tendono ad avere attribuzioni delle varie politiche pubbliche. Ciò non toglie che nelle costituzioni ci possa essere un riferimento più o meno accentuato all’attribuzione dei poteri; l’esclusività del potere certamente ci dà un connotato di natura che lo avvicina più o meno ad un modello federale. Altro criterio che si può utilizzare è quello cosiddetto dell’attribuzione dei poteri residuali: se prendete una costituzione, questa può essere basata (come lo era quella italiana prima della riforma del 2001, al precedente Art. 117) sull’attribuzione di una serie di poteri alle Regioni; per definizione, tutti gli altri poteri non attribuiti, risultavano attribuiti allo Stato. Nel nuovo Art. 117 c’è stato un ribaltamento, in quanto si sono elencati i poteri attribuiti allo Stato, e gli altri poteri, definiti poteri residuali (non chiamati così perché meno importanti, ma in quanto non richiamati direttamente dalla costituzione). L’attribuzione dei poteri residuali alle amministrazioni locali è un altro sintomo di garanzie centro vincolanti, nel senso che per modificare o arrivare ad un’interpretazione autentica della costituzione, serve un intervento di un organo terzo quale potrebbe essere la Corte Costituzionale, oppure una riforma costituzionale. Nel caso italiano non siamo proprio in presenza di una garanzia centro vincolante, che richiederebbe per una modifica costituzionale l’intervento degli enti nazionali di governo, però comunque siamo già in forte direzione di un modello con garanzie centro vincolanti. Il primo indicatore, il primo meccanismo che serve a verificare queste garanzie è la ripartizione delle competenze a livello costituzionale; il secondo è una rappresentanza territoriale delle autonomie che garantisca la partecipazione delle entità federate all’esercizio della sovranità nazionale. E qui stiamo parlando del problema di avere una camera rappresentativa della autonomie locali che interviene sia nei processi legislativi federali nazionali per tutto ciò che concerne le materie di interesse regionale e locale, sia per le eventuali riforme costituzionali. Nei modelli federali ci sono diverse tipologie di camere di rappresentanze territoriali che oscillano tra camere di rappresentanze basate su elezioni in cui vota tutta la popolazione oppure, come nel caso tedesco, la seconda camera vede dei rappresentanti eletti dagli esecutivi degli stati federali tedeschi. Come si può passare da un discorso come questo, di tipo prevalentemente giuridico, ad un tipo di valutazione di tipo quantitativa? Un primo passaggio è cercare di riempire quei due criteri principali che abbiamo visto, cioè la ripartizione di competenze esclusive fra livelli di governo e la presenza di una camera territoriale, dando un valore, un peso di queste garanzie da 0 a 2 a seconda che non ci siano garanzie centro vincolanti (valore 0), siano presenti in forma parziale (valore 1), siano presenti in forma piena (valore 2). Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze Si possono così ottenere due risultati: si riesce a costruire un ordinamento di Paesi che va da un massimo di centralismo ad una situazione di federalismo pieno, e quindi si può arrivare a distinguere fra sistemi unitari e sistemi federali, costruendo delle categorie. Questa descrizione è parzialmente soggettiva, in quanto non è facile dare queste valutazioni, però è importante, perché ci dice che non è possibile fare una distinzione rigida, ma è tuttavia possibile dire qualcosa, dare una valutazione sul grado di accentramento di un sistema. Non è semplice anche perché bisogna andare a vedere come si esplicano questi poteri, in quanto molto spesso un potere che è attribuito ad un’amministrazione centrale in realtà viene poi gestito solo sulla base di un consenso preventivo delle amministrazioni locali (questo sistema lo abbiamo avuto in Italia negli anni ’70 e ’80: è il caso dell’edilizia pubblica, per cui quando si doveva decidere il livello di reddito in base al quale assegnare l’alloggio ad un inquilino, se accentrato il compito esecutivo di identificare gli inquilini veniva delegato ai comuni, però i livelli di reddito potevano essere determinati dal Ministero dei Lavori Pubblici o possono essere determinati sulla base dei suggerimenti che arrivano dalle associazioni dei comuni); per cui, se un’amministrazione centrale per decidere si basa in termini relazionali con le rappresentanze delle autonomie locali, un potere formalmente al centro in realtà viene esercitato poi solo con ‘input che parte dalla periferia. I sistemi di relazione intergovernativi non sono statici, ma dinamici, cioè c’è un continuo cambiamento. Vediamo altre misure di decentramento: qual è un set possibile di indicatori di decentramento che devono essere analizzati in parallelo a quelli che abbiamo visto sulla natura del decentramento (quindi le garanzie centro vincolanti)? Prendiamo come base i Paesi dell’Unione Europea (15), per i quali si ipotizza comunque che ci sia una certa omogeneizzazione dei sistemi, della struttura dei governi locali: la distinzione che viene fatta è tra paesi unitari e paesi federali. Un primo indicatore che può essere interessante analizzare deve tener conto del fatto che le amministrazioni locali svolgono determinate funzioni, e per fare questo occorrono risorse, bisogna spendere, e quindi un primo indicatore importante che possiamo prendere è quello di dire che esiste un settore pubblico, composto dal comparto delle amministrazioni pubbliche (distinto a sua volta in amministrazioni centrali, che comprendono i Ministeri, i grandi enti nazionali, poi ci sono le amministrazioni locali, dove in Italia rientrano le amministrazioni regionali sia a statuto ordinario che a statuto speciale, le amministrazioni provinciali e le amministrazioni comunali e tutti i cosiddetti altri enti locali, che sono sia le autonomie funzionali, come ad esempio le camere di commercio, le università, e poi rientrano le varie forme di associazioni intercomunali, e poi il terzo grande comparto sono gli istituti di previdenza sociale). Si punta a vedere quanto pesano e come si evolve nel tempo il loro peso per evidenziare il grado di decentramento: è chiaro se ad esempio il peso delle amministrazioni locali in un Paese pesano per il 5% di tutta la spesa pubblica di tutte le amministrazioni pubbliche, mentre in un altro Paese pesano al 50%, si può dire che il primo è molto accentrato, mentre l’altro è parecchio decentrato, oppure posso correlarmi ad un valore medio di questo indicatore e fare il misuramento. Esistono dei Paesi, prendendo il periodo 1985-2001, in cui il peso della spesa pubblica per le amministrazioni locali è molto rilevante: ad esempio la Danimarca, con quasi il 54% della spesa pubblica nel 1985, e si è arrivati a quasi il 58% nel 2001. Un confronto con l’Italia ci permette di vedere che anche nel nostro Paese siamo saliti di 4 punti, ma partivamo da molto più in basso: oggi siamo al 30%. Anche la Svezia è cresciuta notevolmente. Un altro aspetto di un certo rilievo porta a vedere che il Paese più accentrato d’Europa è la Grecia, con solo il 4% della spesa pubblica gestita dalle amministrazioni locali, salito al 5% nel 2001. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze Probabilmente sarebbe più corretto fare questi confronti al netto del comparto delle amministrazioni che si occupa della spesa pubblica date le differenze esistenti fra i vari Paesi. Si dovrebbe prendere solo il totale delle amministrazioni locali e centrali e prenderne il peso relativo. Se facessimo questo, in Italia ormai le amministrazioni locali coprono un po’ più del 50% della spesa pubblica, al netto degli enti previdenziali. L’altro aspetto rilevante è il fatto che non è detto che uno Stato federale sia più decentrato in termini di assegnazione di potere rispetto ad uno Stato unitario: è il caso dell’Austria, dove abbiamo un peso della spesa delle amministrazioni locali pari al 28%, quindi più basso anche dell’Italia, e molto più basso di Svezia e Danimarca. In effetti in Svezia e Danimarca il valore è molto più alto, ma ci sono molte meno garanzie centro vincolanti, vale a dire che in quei paesi stanno per fare una legge per riattribuire una serie di funzioni al centro senza nessun problema costituzionale. Un indicatore analogo che viene utilizzato è la spesa delle amministrazioni locali sul PIL, che fornisce un’altra idea del peso del settore pubblico all’interno di un sistema economico: qui emerge che Danimarca e Svezia si trovano in testa. Il peso è soprattutto dovuto a grosse competenze in materia sociale e sanitaria. Dopo aver valutato le spese ora andiamo a vedere come queste spese vengono finanziate: le percentuali delle entrate delle amministrazioni locali sulle entrate delle amministrazioni pubbliche sono le voci che derivano da tributi propri (ICI, IMUP, addizionale Irpef). Anche qui c’è una graduatoria che rispetta sostanzialmente quella delle spese; in questo caso la cosa interessante da vedere nei casi dei paesi federali, ad esempio la Germania e l’Austria, è che la percentuale delle entrate è superiore a quella della Danimarca, che risultava primo nel caso della spesa: questo vuol quindi dire che i livelli di autonomia si possono misurare più dal peso delle entrate autonome rispetto alle entrate totali che rispetto al peso delle spese, e questa differenza viene coperta tramite l’intervento dello stato centrale con trasferimenti. Si evidenziano due cose importanti: accentramento e decentramento, in termini di spesa o di poteri, non è direttamente collegato al modello federale; inoltre in tutti questi paesi emerge che la percentuale della spesa delle amministrazioni locali sulle amministrazioni pubbliche è sempre superiore alla percentuale delle entrate, e quindi se assumiamo che le entrate e le spese pubbliche devono pareggiare. Questo vuol dire che in Danimarca abbiamo il 58% della spesa, però le entrate sono il 21% delle entrate totali e il 27% delle spese totali, e ciò vuol dire che abbiamo un 36% di entrate rispetto alle entrate locali che mancano per pareggiare che arriveranno dallo stato centrale tramite finanziamenti. Un argomento rilevante toccato è proprio la teoria dei trasferimenti, perché se noi apriamo questi gap, queste differenze, che nel linguaggio economico vengono chiamati squilibri fiscali verticali: vuol dire che non si riesce a fare in modo che le amministrazioni locali possano avere un livello di entrate autonome capace di finanziare tutte le loro competenze di spesa. Non esiste la possibilità di attribuire alle amministrazioni locali delle competenze in materia tributaria tali da garantire il pareggio di bilancio, con tutta una serie di problemi. È il problema della gestione dei trasferimenti, cercando di riequilibrare le risorse delle amministrazioni locali più povere, tramiti interventi perequativi, un fondo perequativo. Gestire i trasferimenti implica identificare dei criteri per distribuire questi soldi, ad esempio in Italia fra 8.000 comuni. Le entrate delle amministrazioni locali sono tutte le entrate autonome: quando si parla di entrate autonome, non ci si riferisce solo ai tributi in senso stretto (cioè a prestazioni coattive imposte per Legge dallo Stato), ma ci sono tutta una serie di alte entrate di enorme importanza, e le più importanti dal punto di vista economico sono le entrate tariffarie, cioè i corrispettivi a fronte di servizi forniti su domanda dei cittadini, non sono prestazioni coattive. Molto spesso le tariffe non coprono tutti i costi per ragioni di esternalità Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze positive che coinvolgono l’intera collettività, e non solo che fa domanda del servizio. Andare a vedere solo le entrate tributarie è importante perché queste sono quelle più direttamente collegate alla responsabilizzazione delle amministrazioni locali. Risolvere il problema con la giusta via di mezzo è un problema squisitamente politico, ma questa risoluzione deve essere fatta in maniera molto trasparente, ed è quindi anche un problema di informazione di base. C’è poi chi sostiene che un vero indicatore di autonomia locale è dato, più che dal peso delle entrate autonome sul totale delle entrate di tutte le amministrazioni pubbliche, è dato solo dal peso delle entrate tributarie locali rispetto al totale delle entrate del settore pubblico; effettivamente guardando i dati si vede subito che i paesi federali hanno livelli relativamente elevati, però abbiamo il caso del modello nordico (Danimarca e Svezia) che colpisce per via del fatto che hanno un livello elevato di entrate tributarie locali sul totale perché storicamente per questi paesi il finanziamento degli enti locali è stato garantito da una forte compartecipazione all’imposta personale sul reddito. Guardando le dinamiche, si osserva che c’è una tendenziale crescita: il livello medio del peso delle entrate tributarie locali sulle entrate tributarie totali sale dal 12,6 al 15%. Però se andassimo a fare i tassi di crescita di tutti i paesi, la cosa interessante che vediamo è che quello che cresce di più è l’Italia, che partiva sì da livelli bassissimi, tant’è che nel 1985 eravamo di poco superiori alla Grecia; di conseguenza, in seguito alla prima riforma tributaria avvenuta nel ’70-73, furono accentrati tutti i tributi riducendo ai minimi termini l’autonomia finanziaria locale in previsione di istituire altri tributi, cosa che poi non avvenne, e quindi per molti anni il nostro paese insieme alla Grecia presentava una finanza di tipo derivato, cioè basata principalmente sui trasferimenti statali, comportando una spesa senza controllo della spesa pubblica. Difatti a partire dagli anni ’80 si è assistito a continui tentativi di controllo della spesa pubblica locale. Abbiamo poi un’ulteriore analisi riferita all’Italia, interessante perché è un’analisi dinamica aggiornata al 2006 che tiene conto del peso della spesa delle amministrazioni locali sul totale della spesa delle amministrazioni pubbliche, ma al netto del comparto previdenziale; ciò significa che l’unica spesa pubblica di cui dovremmo tenere conto, per quello che concerne il settore pubblico complessivo, sono i trasferimenti dello Stato agli enti pubblici previdenziali. Se eliminiamo la spesa previdenziale, e guardiamo alla sola spesa finale per sevizi, ovviamente il peso relativo cambia nettamente. Sempre per avere un’idea più precisa del peso relativo, si potrebbe decidere di eliminare dalla spesa pubblica centrale la spesa per interessi; questo perché il debito pubblico è compito solo dello stato centrale, però non corrisponde ad una fornitura diretta di beni e servizi pubblici e inoltre, essendo compito solo dello stato centrale, in una situazione di così forte indebitamento come nel caso italiano, la spesa per interessi è una spesa un po’ fuorviante, in quanto non è una spesa per servizi diretti, ma è dovuta ad un debito storicamente accumulato. Se facciamo questa operazione, si può osservare che fra il ’93 e il 2000 il peso della spesa delle amministrazioni locali è passato dal 32% al 57%, crescita che non riusciremmo a cogliere se considerassimo sia il comparto previdenziale sia gli interessi sul debito pubblico: quindi questo indicatore ci permette di notare meglio come abbiamo dei grossi problemi, e il culmine è stato all’incirca all’inizio del nuovo millennio, per poi scendere intorno al 55% nel 2006. Gli ultimi anni, al di là della riforma costituzionale del 2001, sono stati gli anni di grandi sforzi verso il decentramento, ma il vero periodo di decentramento è avvenuto fra il 1994-95 e il 2000. Ad esempio l’istituzione dell’Irap è del 1998, mentre nel senso opposto si è andato negli ultimi anni, con l’eliminazione dell’Ici sulla prima casa e il blocco delle aliquote discrezionali dei comuni sulle addizionali. Un altro dato rilevante e desumibile dal secondo tipo di statistiche sulle amministrazioni pubbliche in Italia si basa sempre sul fare la percentuale delle spese delle amministrazioni pubbliche complessive e vederla Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze rispetto alle varie funzioni delle amministrazioni pubbliche: esiste una classificazione europea delle funzioni, dei servizi generali (difesa, ordine pubblico, ambiente, funzioni economiche, sanità…), è la cosiddetta classificazione COFUG, e dai dati dei conti delle amministrazioni pubbliche per funzione è possibile vedere il peso della spesa delle amministrazioni locali nelle varie funzioni, e la loro evoluzione nel tempo dal ’90 al 2002. Si può notare che i maggiori cambiamenti all’interno di una crescita complessiva sono spiegati maggiormente da interventi in campo economico, nel campo di abitazione e assetto del territorio, un po’ nell’istruzione e soprattutto nel campo della previdenza sociale. Sono tutte statistiche presenti nel sito dell’Istat, e si riferiscono ai dati dell’anno precedente la pubblicazione. Che cosa dire quindi di questi indicatori complessivi del decentramento? Sono un po’ la cassetta degli attrezzi per discutere sulle relazioni intergovernative, tenendo sempre conto della relazione fra entrate e spese, in cui le prime sono necessarie per il finanziamento delle seconde. Una fonte di entrata sono i trasferimenti dallo Stato, o dalle regioni agli enti locali nel caso italiano, e occorre identificare dei criteri per stabilire chi ha più bisogno e chi meno bisogno, tenendo ad esempio conto della spesa, oppure andando a finanziare chi ha entrate tributarie correnti inferiori alla media nazionale. In quasi tutti i paesi, la quota di spesa delle amministrazioni locali sul totale di spesa di tutte le amministrazioni pubbliche è cresciuta in quasi tutti i paesi, e quasi sempre eccede la quota delle entrate, creando uno squilibrio verticale e alimentando il problema dei trasferimenti. Nell’ultimo grafico si misura in maniera dinamica il cambiamento della quota delle spese totali sulle ascisse e la quota di entrate delle amministrazioni locali sul totale delle amministrazioni pubbliche: in un quadrante si ha un tendenziale e forte decentramento, in quanto cresce la quota di spesa pubblica. L’Italia presenta inoltre una crescita forte delle entrate, fatto di rilievo legato ad un cambiamento strutturale del nostro sistema. Va inoltre fatto notare che certi cambiamenti si possono avere solamente nel medio lungo periodo; bisogna considerare serie storiche un po’ lunghe per poter bene interpretare la finanza pubblica locale. L'ultima volta abbiamo parlato delle misure di decentramento; abbiamo visto come si possano individuare diverse tipologie di decentramento; siamo ancora ad un livello di analisi preliminare, prima di andare dentro i contenuti concreti dell'analisi dei principali strumenti di finanziamento dei governi subnazionali. Come avete capito ci sono spesso negli ordinamenti più livelli di governo, quindi c'è un grosso problema di coordinamento finanziario, tra quello che fanno i diversi livelli di governo; questo è proprio ciò di cui si occupano gli studiosi di scienza delle finanze per tutto ciò che concerne la branca che si occupa di tributi locali, come si possono inserire i sistemi tributari locali nei sistemi tributari complessivi di un paese. Limitandosi al discorso degli indicatori di decentramento, voglio sottolineare, come è molto complesso trovare degli indicatori di decentramento e come non è sempre agevole la loro lettura ; rispetto agli indicatori che possiamo trovare, i più agevoli, i più comprensibili sono legati a variabili finanziarie, variabili sostanzialmente di entrata e di spesa. Noi misuriamo il peso, il livello di decentramento dei vari paesi, utilizzando la spesa che effettuano le amministrazioni subnazionali rispetto alla spesa totale di tutte le amministrazioni pubbliche. Ricordate che abbiamo visto come i conti delle pubbliche amministrazioni legati al sistema di contabilità nazionale sono sostanzialmente simili. Se prendiamo tutto il set dell'UE notiamo che i principali indicatori utilizzati sono indicatori di spesa ed entrata attraverso i quali vediamo il peso delle spese ed entrate delle amministrazioni locali rispetto al totale delle pubbliche amministrazioni. E' evidente che questi indicatori ci dicono qualcosa, ma non tutto, se non ci agganciamo ad un'analisi di tipo ordinamentale qualitativo, vale a dire che possiamo avere un paese in cui il peso della spesa delle amministrazioni pubbliche subnazionali è pari all'80% di tutte le spese pubbliche, un altro in cui lo stesso indicatore è pari al 50% di tutte le spese pubbliche; a prima vista potremmo dire che il primo è molto più Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze decentrato del secondo. Se però andiamo a corredare quest'analisi di indicatori puramente quantitativi, con un'analisi delle modalità effettive con cui queste spese vengono gestite dai livelli inferiori di governo, quindi il livello di autonomia effettiva che hanno i livelli subnazionali di governo nelle scelte connesse a queste spese, possiamo arrivare a conclusioni diverse. Facciamo un esempio, assumiamo che le spese per l'edilizia pubblica in un paese siano gestite per l'80% dai livelli subnazionali di governo, in un altro, lo stesso indicatore è pari al 50%. Non possiamo dire che il primo è più decentrato del secondo perchè potremmo scoprire che nel primo paese questa spesa è predeterminata dal Ministero dei lavori pubblici centrali, il quale dice ai comuni che gli dà 100 € da impiegare per costruire alloggi popolari, in una determinata zona, il cui affitto non può superare il 10% delle famiglie affittuarie, che vanno seguite le regole per gli appalti pubblici fissate dallo stato... Un altro caso può essere invece, quello che lo Stato ti dà 100 € per costruire alloggi di edilizia pubblica, ma lascia libertà per quanto riguarda la scelta dei criteri di reddito, di localizzazione, di caratteristiche ambientali, di procedure di scelta per gli appalti pubblici. Non sempre quindi si può utilizzare un indicatore di spesa di questo tipo per valutare il grado di decentramento, intendendo per grado di decentramento una attività che implica la valutazione del margine di autonomia decisionale. Discorsi simili li possiamo fare dal punto di vista delle entrate, che è un tema molto importante in questi giorni. Facendo un'analisi delle entrate possiamo vedere le entrate tributarie delle amministrazioni subnazionali; abbiamo visto il confronto del peso delle entrate tributarie locali rispetto alle entrate tributarie statali; in genere succede che avviene il fenomeno dello squilibrio verticale, che è la differenza tra il peso della spesa pubblica locale rispetto al totale delle spese di tutte le pubbliche amministrazioni, che non corrisponde al peso delle entrate: questo vuol dire che le spese delle pubbliche amministrazioni non sono finanziate al 100 % dalle entrate autonome. Occorre qualcosa che copra questo gap che si chiama proprio squilibrio verticale, perchè è uno squilibrio tra diversi livelli di governo in termini di autonomia di finanziamento che deve essere coperto dallo Stato con i trasferimenti, che devono essere ripartiti secondo determinati criteri. Per queste entrate autonome, a loro volta, così come abbiamo fatto il ragionamento della spesa con l'esempio dell'edilizia pubblica, abbiamo analoghi problemi; un discorso è un finanziamento derivante da una compartecipazione all'irpef che è un'entrata tributaria autonoma del comune, ad esempio il comune prende il 2% dell'iperf incassata in un certo territorio, ma è un'entrata molto diversa dal punto di vista dell'autonomia decisionale in termini di politica tributaria comunale, rispetto ad un'entrata come può essere a livello regionale l'IRAP, oppure la vecchia ICI che adesso si chiamerà IPU, in cui il comune poteva manovrare l'aliquota e non solo, perchè poteva individuare livelli diversi di base imponibile a seconda degli utenti. Già i decreti che riguardavano l'autonomia tributaria comunale nel 97 avevano previsto una fortissima autonomia regolamentare locale per l'ICI, tant'è che qualcuno aveva criticato questa decisione, dicendo che c'era troppa differenza nelle regole locali e che questa può creare problemi, ad esempio per la gestione delle imprese multimpianti che si trovano costrette a rispondere a regolamentazioni profondamente diverse. Un altro esempio. Le regioni a statuto speciale hanno un regime tributario autonomo, in genere il grosso del loro finanziamento deriva da una compartecipazione totale o al 80-90 % delle principali imposte erariali. Questi valori di entrata vanno a finire nelle entrate tributarie; questo vorrebbe dire che queste regioni sono autofinanziate con entrate tributarie proprie al 90%, a prima vista. Se andiamo a vedere quante sono le entrate tributarie, viste come le abbiamo definite prima, questa autonomia si colloca a livelli molto inferiori, in quanto la compartecipazione, se su di essa non c'è capacità di intervento normativo da parte degli enti locali, è una sorta di trasferimento mascherato. Lo dimostra anche la storia delle regioni a statuto speciale, che non si sono mai esercitate nella gestione di una politica tributaria autonoma, che si sarebbe dovuta svolgere attraverso la manovra delle aliquote e della base imponibile. Diverso è il discorso in caso di compartecipazione attraverso possibilità di forme diverse di compartecipazione alla stessa base imponibile, Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze potendo avere una sovranità locale come è l'addizionale irpef adesso. Il punto è che il dato è immediato, ma è bene fare sempre un'ulteriore valutazione, per arrivare a quella definitiva. Le banche dati internazionali, l'ocse, da molti anni fanno approfondimenti specifici, andando a studiare sui tributi locali, quali sono veramente autonomi in base ai criteri che abbiamo citato prima; da quel punto di vista è molto interessante perchè le statistiche cambiano significativamente se teniamo conto dei tributi veramente autonomi. Sostanzialmente i tributi veramente autonomi sono quelli per cui l'amministrazione locale ha qualche potere sulla definizione della base imponibile e delle aliquote. L'ultimo punto è la messa in luce del fenomeno dello squilibrio verticale, che è un po' il problema topico del finanziamento degli enti locali. Siccome il decentramento è una tendenza che, abbiamo visto, può avvicinare i cittadini alle politiche pubbliche attribuendo sempre maggiori funzioni, dovremmo attribuire sempre un maggior gettito tributario; questo non è possibile e quindi c'è un grosso problema di coordinamento finanziario tra livelli di governo, attraverso il sistema dei trasferimenti e soprattutto nella gestione delle compartecipazioni. Il sistema fiscale tende a mantenere i tributi delle imposte personali sul reddito a livello centrale, anche per un discorso di economie di scala. Si tende di più a fare un discorso di coordinamento tra amministrazioni delle imposte per livelli. In Italia siamo rimasti molto indietro, a partire dalla riforma tributaria del '70, quando con lo smantellamento sostanziale degli uffici tributari dei comuni, si è distrutto un patrimonio di esperienza che esisteva da prima. Negli ultimi 40 anni si sta cercando di ricostituirlo. Avrete sentito che è uno dei principi che è stato finanziato negli ultimi decreti, compreso in questo sull'autonomia tributaria dei comuni. E' una maggiore partecipazione delle amministrazioni locali all'accertamento delle imposte, garantendogli una maggior partecipazione al gettito accertato e riscosso dalle amministrazioni centrali. Si tratta comunque di una strumentazione che con la sua razionalità è complessa, metterla in pratica non è semplice, ci vorrà tempo. C'è stato certamente un decentramento delle funzioni, anche qui la cautela è d'obbligo, rispetto a quello che abbiamo detto prima, che bisogna vedere i livelli di autonomia che esistono rispetto a questa spesa decentrata. Ad esempio la Grecia sembra aver avuto una crescita nella spesa, ma magari la spesa pubblica locale della Grecia può avere una minore autonomia locale rispetto a quella della Svezia. Stiamo ragionando in tassi di incremento, non in quota di spesa. La Grecia avevamo visto è uno dei paesi meno decentrati d'Europa. C'è un discorso di struttura da tenere sempre presente. L'Italia si è esposta molto rispetto a questa retta di diversificazione, grazie a questa grossa crescita del peso dell'autonomia tributaria, crescita avvenuta dal '93 al 2000, dopodichè è rimasta sostanzialmente costante. Questa è una dinamica che ho presentato per il problema posto, di come misurare il decentramento secondo gli studiosi di finanza pubblica. Un altro profilo di queste analisi basate su indicatori di spesa e di entrata, ma magari corredati da valutazioni qualitative, rispetto alle tendenze della decentralizzazione, si basa su due assi di riferimento: uno è quello che ci indica il passaggio da sistemi centralizzati a sistemi decentralizzati. Potrebbe essere misurato da indicatori semplici, come quelli visti prima, ad esempio il peso delle spese delle amministrazioni locali sul totale delle spese delle amministrazioni pubbliche. Un'altra possibilità è sommare, fare la somma del peso delle entrate con quello delle spese, per avere un indicatore aggregato. Quando abbiamo parlato di decentramento, l'abbiamo inteso anche come passaggio di funzioni da pubblico a privato, non solo da pubblico a privato di mercato, come si legge nel concetto di privatizzazione. Pensiamo Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze alla vendita di aziende a partecipazione statale, come Enel, il sistema bancario..., che sono state privatizzate quasi del tutto o del tutto. C'è un discorso di passaggio al privato non solo di mercato, più o meno si aggancia alla tematica della sussidiarietà, c'è stata la tendenza a trasferire la fornitura di alcuni servizi prima a livello pubblico, a livello privato, creando istituzioni di tipo no profit. L'asse verticale indica il passaggio di un'allocazione pubblica ad un'allocazione privata, che non riguarda solo il mercato, ma tutto il settore no profit sviluppatosi molto negli ultimi anni non solo in Italia. Anche qui facendo un'analisi, (al di la della confusione di frecce) l'Italia la vediamo due volte, perchè a inizio anni '90 poteva essere collocata in via di sviluppo, ma ha poi avuto una crescita notevole negli anni '90. Tutto ciò per dire che c'è stata una grossa tendenza al passaggio da modelli di welfare state che andavano verso la decentralizzazione, a modelli basati sulla decentralizzazione intesa nel senso stretto del termine, nel senso proprio di passaggio di poteri a livelli inferiori di governo, ma anche verso un'allocazione di risorse non pubblica, non solo in senso di privatizzazione con il passaggio di servizi ad un mercato, magari regolamentato. Sta avvenendo con molta lentezza tutto quello che concerne i servizi pubblici locali come acqua, rifiuti... Si cerca di creare meccanismi in cui ad una gestione puramente pubblica, si sostituisca una gestione in cui ci sono anche elementi di mercato che consentono una maggiore efficienza nella fornitura di questi servizi. Anche questo è un esempio per far vedere come il fenomeno delle relazioni intergovernative è molto dinamico, è un sistema in continuo movimento e per monitorarlo occorre fare delle riflessioni. E' un'analisi che richiede strumenti multidisciplinari, che poi vedremo analizzando gli aggiornamenti delle politiche verso la decentralizzazione, che riguardano sicuramente l'economia, ma anche altre discipline, come ad esempio la sociologia. Tutto questo ci porta al discorso sul perchè si decentra e quali sono i vantaggi. C'è un po' la tendenza oggi a dire che è giusto decentralizzare, ma è interessante capire come si configura da un punto di vista normativo, richiede uno sforzo analitico che può essere supportato da più discipline. C'è una prima riflessione che deriva dal pensiero politico che identifica alcune ragioni di tipo politico che suggeriscono l'esigenza di avere più livelli di governo e di attribuire più poteri a livelli inferiori di governo. La questione della vicinanza di questi livelli di governo ai cittadini, rende più semplice il controllo sui governanti ( ad esempio incontro il sindaco per strada e gli faccio notare che c'è una buca e sarebbe necessario ripararla), nello stesso tempo più livelli di governo offrono più opportunità di scelta ai cittadini, i quali possono votare per più livelli, possono scegliere di più; magari non si è contenti del governo nazionale, c'è la possibilità anche di votare per altri. Questo è un secondo punto. C'è un terzo punto che è molto rilevante, che è quello dell'educazione all'amministrazione della cosa pubblica. Adesso ci sono carriere politiche veloci, ma tempo fa si faceva gavetta partendo dal consiglio comunale di un piccolo comune; queste sono esperienze apprezzate da tutti coloro che hanno avuto il piacere di provarle, sia a livello personale che a livello formativo. Un altro aspetto messo in luce dagli studiosi delle istituzioni politiche è quello della tutela delle minoranze, perchè siccome certe minoranze sono presenti solo in alcune parti del territorio, ci deve essere una maggioranza che tiene conto delle tradizioni linguistiche-culturali ed anche religiose di queste minoranze. Le Regioni a Statuto Speciale, in particolare la Valle D'Aosta e il Trentino Alto Adige, nascono anche per queste ragioni di tutela delle minoranze. Questo aspetto può essere ambivalente perchè qualcuno degli studiosi classici, metteva in luce il rischio che il governo locale potesse consentire la prevaricazione di piccoli, ma potenti gruppi di pressione, che potrebbero essere più potenti a livello locale, mentre a livello nazionale sarebbe più facile garantire appoggi per evitare la prevalenza di questi gruppi di pressione. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze A volte la tutela delle minoranze può essere utilizzata come ragione contro il decentramento. Basta pensare alla questione delle minoranze razziali negli USA, solo grazie all'intervento del governo federale ( con amministrazione Kennedy), si riuscì ad imporre agli stati di non avere legislazioni con discriminazioni razziali, concedendo a tutti l'accesso ai servizi pubblici, a cominciare dalla scuola. In questo caso c'è la dimostrazione che la decentralizzazione non sempre può essere la soluzione ottimale, ci possono essere problemi di relazione tra livelli di governo e l'assetto costituzionale diventa cruciale per tenere insieme il paese. Il tema dell'accentramento/decentramento è una tematica importante di cui sicuramente ognuno di noi avrà sentito parlare nei nostri studi di economia aziendale. La teoria dell'organizzazione partiva dai vantaggi di efficienza che possono derivare dall'accentramento dalla divisione del lavoro. La teoria dell'organizzazione classica privilegiava le grandi organizzazioni. Progressi nei sistemi di comunicazione hanno reso necessari i modelli accentrati di organizzazione, anche le ragioni della piccola dimensione possono garantire addirittura maggiore efficienza. Si possono trovare dimensioni efficienti anche senza avere necessariamente la grande organizzazione. Se è vero che il problema della divisione del lavoro e dell'efficienza che si possono avere sulla grande o piccola organizzazione sono sempre ambivalenti, vanno attentamente valutati. Pensiamo ai comuni, è evidente che c'è un discorso di livelli minimi di ampiezza delle amministrazioni comunali. E' chiaro che le ragioni in favore di una sorta di accentramento per le organizzazioni, che qui vuol dire un raggiungimento di livelli di dimensioni minime essenziali, non è che vada contro al decentramento,ma va contro una modalità di strutturazione del decentramento. In effetti sono 20-30 anni che si insegue questo problema di organizzazione delle amministrazioni comunali. Probabilmente adesso i nodi verranno al pettine perchè con la nuova legislazione verranno richieste dimensioni minime di almeno 5.000 abitanti, bisogna vedere cosa questo comporterà rispetto all'impossibilità di fusione tra comuni. C'è un terzo punto (forse è addirittura il più importante) delle ragioni addotte dalla sociologia dell'organizzazione che suggerisce che il decentramento favorisce l'innovazione del settore pubblico. Questa diventerà una delle ragioni più importanti perchè è il ponte di passaggio a quelle che sono le ragioni economiche sul perchè è efficiente decentralizzare. La presenza di più amministrazioni da un punto di vista economico è possibile perchè rende più vicina la dimensione della fornitura di servizi pubblici a quella di un mercato, perchè abbiamo più soggetti che producono gli stessi servizi. Pensiamo al comune di Torino e di Milano: devono fornire gli stessi servizi; questo ci rende possibile ipotizzare che il cittadino italiano potrebbe scegliere qual è il comune che svolge i migliori servizi ed andarci ad abitare. Questo in termini generali, vediamo una forzatura entro certi limiti, perchè se io sto a Torino non è che se penso che a Palermo i sevizi siano migliori mi ci trasferisco, ma questo modo di pensare può essere applicato tenendo in considerazione i comuni limitrofi. La dimensione della capacità di innovazione e di fornitura efficiente di servizi pubblici, è la capacità che questa possa indurre i cittadini a muoversi sul territorio, ma non solo i cittadini, anche le imprese ed a localizzarsi laddove trovano non solo incentivi fiscali, ma proprio servizi e qualità della vita, che stanno diventando aspetti sempre più rilevanti. Avere più enti piace agli economisti perchè dovrebbe mettere in atto dei meccanismi concorrenziali anche nel settore pubblico. Concorrenza e capacità di innovazione. Anche questo è un fenomeno presente, qualcuno avrà seguito il dibattito sui servizi pubblici locali; negli ultimi anni con la crisi fiscale della finanza pubblica purtroppo il dibattito è più sul come mantenere certi servizi, ma un tempo abbiamo avuto fenomeni come ad esempio l'asilo nido di Reggio Emilia, che era diventato un benchmark a livello internazionale, erano venuti gli americani a studiarlo per applicarlo negli USA. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze Effettivamente il comune si proponeva di copiare quel modello. Ci sono anche attività che hanno stimolato la circolazione di questi successi innovativi. La teoria economica dell'innovazione dell'impresa può in certi casi essere proposta all'interno del settore pubblico; però sperimentazione e innovazione vengono favorite del fatto che ci sono pluralità di enti che si possono confrontare. Rispetto ad anni fa, la rivoluzione degli strumenti delle informazioni di massa e internet, ha cambiato tutto, perchè si può andare sul sito di un comune e reperire le informazioni necessarie. Questo è un fatto positivo, va a favore di una sempre maggiore decentralizzazione grazie a queste connessioni che possiamo avere. Abbiamo visto quindi che le spiegazioni economiche sono quelle legate al meccanismo competitivo. Ci sono tre ambiti di spiegazioni economiche che daremo, due le vedremo velocemente per dare un'idea dei principali filoni di letteratura economica, una un po' meglio, il teorema della decentralizzazione di Pauly, economista americano che ha elaborato questa teoria negli anni '70. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze 9. I vantaggi del federalismo La teoria del federalismo è il filone di analisi più interessante sviluppato in ambito economico negli ultimi 20 anni. Il maggior vantaggio del sistema di governo decentralizzato sta nella concorrenza che questo crea tra i poteri pubblici. In questo modo evitiamo che il confronto sia solo tra il singolo cittadino ed uno stato unico centralizzato, rende bilaterali questi rapporti dando più valvole di sfogo al cittadino nei suoi rapporti con il potere pubblico. In genere rende migliore il funzionamento del settore pubblico; quanto sia vero è molto difficile da stabilire, ma molti studi hanno verificato che in certe condizioni la fornitura di certi servizi pubblici garantisce maggiori livelli di efficienza se decentrato. Il punto di partenza dunque è che più livelli di governo garantiscono una maggior competizione nel settore pubblico e quindi ne garantiscano una maggiore efficienza. La competizione nel settore pubblico è varia, c'è competizione tra partiti, tra istituzioni politiche....... Se andiamo a vedere solo l'oggetto della nostra analisi, i livelli di governo, intanto è bene precisare che la concorrenza tra i diversi livelli di governo può essere di tipo verticale o di tipo orizzontale. La concorrenza verticale è molto rilevante, deriva dal fatto che oggi le politiche pubbliche sono talmente complicate e richiedono una tale complessità di intervento che sono quasi tutte politiche multi-governative. E' difficile trovare una politica pubblica dove c’entra un solo livello di governo. Anche qualsiasi politica pubblica di livello comunale magari ha qualche riferimento o qualche regolamentazione di tipo nazionale. Le politiche dei servizi pubblici fondamentali, in base alla Costituzione, richiedono la definizione dei livelli essenziali dei servizi, quindi la fornitura è vincolata a che più soggetti rientrino nella politica ambientale delle regioni; le regioni non avevano competenze in materia industriale prima della riforma costituzionale dell'art. 117 del 2001 che ha assegnato competenze in materia di politica industriale, anche se concorrenti; prima non avevano queste competenze, ma di fatto con le competenze in materia ambientale influivano sulle politiche industriali dello stato perchè imponevano certe regolamentazioni di livello locale, per cui certe imprese non potevano localizzarsi se non rispettavano le regole ambientali locali. Da questo puto di vista implica che ci possa essere concorrenza di poteri anche a livello verticale, tra livelli di governo. Quella orizzontale è quella di cui dicevo prima. Quella tipica, se voi avete seguito qualche dibattito sulle politiche locali, quelle che abbiamo avuto a Torino, se voi vedete le grandi strategie della Regione Piemonte sono quelle che garantiscono lo sviluppo del territorio attraverso la localizzazione di nuove imprese o attirando imprese localizzate in altre regioni. Questa è concorrenza nel senso proprio del termine. Per cui o c'è una capacità di iniziativa di sviluppo che porta ad una crescita complessiva per tutti, ma oggi questo è molto difficile, oppure qualsiasi nuova localizzazione se viene qui non va in un altro posto e vuol dire che sono in concorrenza con altre aree in Italia ed in Europa per localizzare, non solo imprese, oggi c'è anche il discorso di localizzare capitale umano, di favorire l'arrivo di studenti bravi dall'estero per portare uno sviluppo economico basato sulla conoscenza. Il Politecnico di Torino ha contato un 15% di studenti stranieri. E' chiaro che questi studenti se vengono qua non vanno in altre università....è concorrenza. La concorrenza quindi da un certo punto di vista richiede mobilità di imprese e cittadini. Oggi probabilmente sui cittadini la mobilità di lungo raggio è più limitata, al netto di una certa quota di popolazione che per capacità o per caratteristiche professionali è di rango elevato; sulle imprese invece negli ultimi 20 anni la mobilità è cresciuta molto, i fattori di localizzazione che ancorano l'impresa ad un territorio sono molto più limitati rispetto a quello che si poteva dire 50 anni fa. Uno dei problemi più grossi delle imprese era proprio la delocalizzazione dove o ci sono incentivi migliori o ci sono costi minori di lavoro e materie prime. Poi ci Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze sono alcune attività non delocalizzabili come il turismo, tant'è vero che si cerca di solito di incentivare queste attività. La cosa interessante è che la concorrenza grazie al decentramento non è legata solo alla mobilità. C'è una concorrenza implicita che deriva da una valutazione comparata delle performance dei vari soggetti locali, nel senso che se io sto a Torino non è necessario se mi trovo male che io vada a Milano (che fornisce servizi migliori), esiste anche una competizione basata su meccanismi politico-elettorali, per cui è importante che io sia in grado di confrontare la gestione dei servizi del comune di Torino con quella del comune di Milano. Se nel comune di Milano sono forniti servizi migliori è chiaro che terrò conto del meccanismo politico- elettorale del comune di Milano e punirò (o premierò) i miei amministratori. C'è un economista francese che ha elaborato la teoria della competizione politica senza mobilità; c'è un fattore positivo perchè effettivamente costringe gli amministratori a fare più attenzione soprattutto oggi che ci più sono strumenti di informazione, che sono cresciuti in maniera esponenziale. Al di là della comunicazione diretta e della verifica diretta, ci sono più modi per verificare questo. In più c'è una tendenza legislativa; l'Italia con risultati ancora molto risicati, con la legge e con le riforme sul pubblico impiego di Brunetta, imporrebbe a tutte le amministrazioni di offrire a tutti i cittadini molte misure sulla performance comparata ed anche alcune norme attuative del federalismo fiscale, a partire dai decreti delegati attuativi della legge '42, che offrono una strumentazione di questo tipo. La concorrenza può esistere in questo senso anche senza mobilità dei cittadini; una concorrenza senza mobilità esiste anche nel caso di concorrenza verticale, in cui se noi abbiamo ad esempio un sistema con una struttura tradizionale i risultati che alcuni di questi partiti possono ad esempio avere nelle amministrazioni locali, possano essere usati anche nelle scelte di voto a livello nazionale. Se ad esempio mi rendo conto che un partito amministra molto bene in certe aree del paese, posso tenerne conto nell'elezione a livello nazionale per favorirlo. E’ un fenomeno che in Italia è stato presente negli anni ’70 in città come Bologna e Reggio Emilia. Concorrenza da tutti i punti di vista. La teoria del federalismo competitivo è un po’ tutte queste sfaccettature, è quella che ha avuto l’evoluzione più interessante negli ultimi anni per quanto concerne la letteratura economica. Quello che è importante è che se noi vogliamo che questi meccanismi competitivi di amministrazioni locali funzionino bene, occorre che tutti siano posti in condizioni di parità concorrenziale, cioè innanzitutto che nessuno possa scaricare costi delle proprie decisioni su altre amministrazioni locali e poi che tutti abbiano condizioni di partenza non dico uguali, ma almeno similari. La concorrenza tra amministrazioni locali, del resto questo vale anche nel sistema imprese private, deve partire da situazioni di parità concorrenziale. Questa è una descrizione della teoria del federalismo competitivo. C’è una seconda teoria che può essere richiamata con degli accenni: è quella del governo come contratto tra politici e cittadini. Questa teoria si basa sulla teoria dei contratti e cerca di rispondere ad una domanda che in pochi si fanno, ma è importante: ma perché anche il governo centrale non può in teoria essere redatto con un decentramento, una concentrazione, con degli uffici periferici e rispondere anche lui alla domanda locale? Ci possiamo riferire alla teoria dei contratti che sostiene che i contratti tra governo e cittadini siano contratti incompleti, cioè non possano mai essere tali da essere osservati e certificati da autorità e quindi garantire, anche al politico che mantiene le proprie promesse, di farsi riconoscere il suo operato e quindi sostanzialmente di essere rieletto. Non possono essere intraprese azioni legali da parte di un politico non eletto che sostiene di aver fatto di tutto nel suo operato, ma i cittadini non glielo hanno riconosciuto. C’è solo il sistema elettorale. La seconda motivazione che ci porta a dire perché un governo centrale non è in grado di differenziare le proprie politiche, quindi di rispettare le incidenze locali, deriva dal fatto che la centralizzazione, anche se noi abbiamo un sistema elettorale su base regionale, attribuisce ad ogni regione un potere limitato di rieleggere Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze il governo centrale. Quindi avremo una probabilità di rielezione bassa, dall’altro lato il politico ha più interesse ad essere eletto a livello nazionale che a livello locale. Questo dovrebbe indurre il politico ad aver interesse a rispettare i bisogni locali. Se però ogni regione ha un peso limitato nell’elezione del governo locale, questo viene portato a rispondere alle dicenze di ogni elettore. Viceversa se abbiamo un sistema decentrato questo implica che si trasferisca all’elettore di ogni regione il potere di decidere la rielezione del proprio governo. In questo caso la probabilità che ogni singolo governo locale sia decisivo per la rielezione è pari a 1. Questo è un fattore forte che spinge il politico locale a rispettare e differenziare le esigenze nelle politiche locali. Su questi due meccanismi e contrappesi si fa una riflessione per rispondere alla domanda. Ci sono casi in cui la regione è decisiva per la rielezione e che il valore attribuito all’elezione sia elevato con politiche differenziate, ma è raro perché oggi ha un peso limitato nella rielezione; il politico centrale può disinteressarsi nella differenziazione. Viceversa la decentralizzazione trasferisce all’elettore di ogni regione il potere di decidere la rielezione, quindi la probabilità che un merito locale sia decisivo è pari a uno, al 100%. Nello stesso tempo, essendo l’interesse dei politici alla rielezione a livello locale minore, da questo punto di vista si potrebbe presumere, dice la teoria, che lo sforzo del politico locale sia minore rispetto allo sforzo del politico nazionale. Ci sono diversi articoli su questo tema. Nel testo l’abbiamo messo per far vedere alcuni filoni dell’analisi economica rilevante, un approccio un po’ diverso rispetto a quello tradizionale per quello che concerne la differenziazione delle politiche locali sul perché un governo nazionale ha più difficoltà, è un meccanismo di tipo politico, analisi economica delle scelte politiche sostanzialmente. Veniamo al terzo profilo di analisi economica sulla decentralizzazione. Qui la spiegazione economica dei vantaggi della decentralizzazione ci deriva dalla teoria del decentramento di Oates, che ha avuto grande popolarità negli istituti di economia; è un po’ la fase di tutti gli istituti della teoria della teoria del federalismo fiscale del mondo anglosassone. Ci giustifica la decentralizzazione sulla base della dimostrazione che partendo da alcune ipotesi molto semplici e lineari, il decentramento garantisce la soddisfazione delle preferenze di un maggior numero di cittadini rispetto ad un sistema centralizzato. Se noi prendiamo tutte le ipotesi che assume Oates, certamente il risultato è facilmente dimostrabile con una rappresentazione grafica di quello che è stato definito il teorema del decentramento, appunto il teorema che giustifica il decentramento secondo cui si garantisce la soddisfazione di un maggior numero di cittadini. Ecco alcune delle ipotesi principali: un governo centrale non è in grado di differenziare la sua politica, è in grado solo di produrre una politica indifferenziata a livello nazionale; per creare una differenziazione è necessario un sistema decentrato, quello centralizzato non può farlo. Una seconda ipotesi è quella per cui le giurisdizioni sono disegnate in modo tale da contenere al loro interno cittadini con le stesse preferenze rispetto ai servizi pubblici locali forniti. Mentre la prima ipotesi ha degli elementi accettabili, la seconda ipotesi può valere solo nel caso in cui avessimo un sistema decentrato basato su elementi linguistico- culturali molto omogenei, cosa molto difficile da trovare nel mondo reale; pensiamo a tutta l’immigrazione attuale! I modelli si basano su assunti esemplificatori ovviamente. Se oltre a questa ipotesi noi ipotizzassimo che la collettività nazionale è basata su due giurisdizioni con due gruppi di persone omogenei, il problema è produrre una certa quantità del bene, rappresentato in ascissa, un servizio pubblico che può essere fornito sia dallo stato centrale che dalle amministrazioni locali. Un’ ulteriore ipotesi è che questo bene non produca effetti esterni, cioè che questo bene produca effetto solo all’interno delle giurisdizioni. Un’ulteriore ipotesi è che la produzione del bene avvenga in condizioni di rendimenti di stato costanti, cioè con un costo medio uguale al costo marginale. La situazione può essere rappresentata dal grafico dove Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze abbiamo le due collettività locali che esprimono due curve di domanda diverse , D1 e D2 ; due curve di domanda diverse nel senso che la collettività locale ha una maggiore domanda per servizi perchè a parità di prezzo ne chiederebbe di più e a parità di quantità sarebbe disposta a pagare un prezzo maggiore. Se noi avessimo una soluzione centralizzata probabilmente il livello di fornitura del servizio si porrebbe ad un livello intermedio tra le due curve di domanda delle due collettività locali, per un livello di quantità pari a Q3. Vediamo la soluzione a livello decentralizzato. Chiaramente la soluzione a livello decentralizzato si pone al punto di incontro tra curva di domanda e curva di costo marginale; nel caso della prima collettività avremo la quantità pari a Q1 e per la seconda collettività una quantità pari a Q2. Rispetto alle due soluzioni decentralizzate, cosa succederebbe con quella centralizzata? Avremmo una perdita di benessere pari ad ABC per la collettività 1 che è costretta ad utilizzare una quantità maggiore di servizio ed una perdita di benessere pari ad ECD nella collettività 2 che è costretta ad avere un livello di servizio inferiore rispetto a quello che lei avrebbe fornito se l’avesse potuto fornire a livello decentralizzato. Voi vedete è una teoria molto semplice, lineare che è stata un po’ il padre della teoria economica del federalismo fiscale, però il problema, come quello di tutti i teoremi semplici, è quello che si basa su una serie di ipotesi esemplificative. Quando vi può essere chiesto che cosa dice il teorema del decentramento di Oates, bisogna sempre agganciarsi alle ipotesi. Nella soluzione centralizzata, il governo centrale non può variare le caratteristiche della produzione a livello territoriale; per questo abbiamo voluto inserire anche la teoria dei contratti, perché ci si potrebbe chiedere il perché non è possibile una soluzione di questo tipo. Una risposta è quella che abbiamo visto nel caso precedente, anche se mi rendo conto, molto velocemente e con molte approssimazioni. L’ipotesi di offerta costante è un’ipotesi che ci ritroviamo molto spesso, abbiamo sia costi decrescenti che costi crescenti; soprattutto se abbiamo costi di offerta decrescenti abbiamo un problema, perché questo vorrebbe dire che se io avessi una soluzione accentrata, avrei un grosso risparmio e già questo ci farebbe saltare il teorema del decentramento di Oates. Se ipotizzassimo che i piccoli comuni piemontesi, se messi insieme, non sono in grado di rispondere, di far fronte alle preferenze di quei pochi cittadini di ciascuno, andremo contro il risultato del teorema di Oates e alla decentralizzazione perché avremmo una perdita di benessere della collettività; ma se questa perdita di benessere fosse compensata dal fatto che c’è una riduzione dei costi, noi avremo che la perdita di benessere sarebbe più che compensata grazie ai risparmi, alla riduzione dei costi. Ci salterebbe tutto l’assunto. L’applicazione del principio di corrispondenza è un problema che troveremo in seguito: l’area dei benefici è uguale all’area dei costi. Se noi abbiamo delle esternalità è chiaro che dobbiamo tenere in considerazione queste esternalità e la produzione fatta a livello decentrato non ne tiene conto, tiene conto solo degli effetti all’interno della sua giurisdizione. L’esternalità, sia essa positiva o negativa, non viene compensata e quindi il livello di produzione non raggiunge il livello di decentramento. Ipotesi di preferenze identiche degli individui nelle due comunità: in caso ciò non sia vero, la soluzione resta indeterminata in termini di benessere. Sostanzialmente se ci salta l’ipotesi di omogeneità di preferenze, possiamo arrivare ad una soluzione in cui probabilmente avremo un numero di cittadini soddisfatti maggiore nel caso di una soluzione decentralizzata, misurata però in termini di benessere. Se noi abbiamo amministrazioni locali molto differenziate, in ognuna di esse avremo una soluzione mediana come quella ipotizzata nella soluzione centralizzata, quindi qualcuno non sarà più soddisfatto. Facendo le ultime ipotesi sulle curve di domanda dei vari cittadini, noi potremmo avere che in termini di benessere la soluzione centralizzata potrebbe essere migliore. Questo è il passaggio successivo del teorema di Oates. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze 10. Il Teorema di Oates Abbiamo visto qual è la spiegazione delle principali discipline sociali circa i vantaggi e svantaggi, perche abbiamo visto che qualche volta c’è anche qualche svantaggio, della decentralizzazione, del trasferimento dei poteri alla periferia, fenomeno comune in gran parte dei paesi del mondo attuale. Tra le spiegazioni economiche abbiamo parlato dei contributi più recenti della letteratura che concerne il federalismo competitivo e per quello che concerne la possibile applicazione della teoria dei contratti, per cercare di spiegare perche la decentralizzazione è necessaria in quanto si presuppone che un governo centralizzato, proprio sulla base di quello che ci dice la teoria dei contratti non sarebbe in grado di adeguare la sua fornitura, produzione di beni pubblici rispetto alle preferenze delle varie collettività presenti all’interno di un paese. Per riprendere il discorso che avevamo fatto all’inizio, un sistema deconcentrato, cioè un sistema che si basa sull’articolazione territoriale su cui il potere centrale mantiene un livello di rapporti di tipo gerarchico con i livelli periferici, questo non consentirebbe comunque di adeguare la fornitura di beni e servizi pubblici alle preferenze locali delle diverse articolazioni territoriali in cui può articolarsi anche uno stato unitario con le diramazioni periferiche come ad esempio i ministeri. Abbiamo poi visto il terzo profilo di analisi economica rispetto alle spiegazioni economiche, alla spiegazione dei vantaggi della decentralizzazione e abbiamo presentato il teorema della decentralizzazione di Oates che è un teorema classico degli studi economici sulla decentralizzazione, tema molto lineare, molto chiaro, molto semplice, che però si basava su alcune ipotesi limitatrici, che noi avevamo visto: ricordo la soluzione centralizzata non può variare le caratteristiche della produzione a livello territoriale, da questo punto di vista voi vedete che il teorema della decentralizzazione di Oates tutto sommato è coerente con quello che ci veniva fuori dalla teoria economica dei contratti. Poi abbiamo le ipotesi che troverete spesso nelle analisi di economia pubblica locale, cioè il costo marginale di offerta costante, di assenza di esternalità, di preferenze identiche degli individui nelle due comunità, ecco questo è importante e ora lo vedremo in un secondo passaggio di analisi del teorema di Oates, cioè cosa succede quando le preferenze delle individui non sono identiche in ogni collettività , questo vuol dire che per quella collettività possiamo assumere una curva di domanda unica per quello che concerne i beni e servizi pubblici locali. Quando questo non è vero noi ci troviamo in una soluzione indeterminata e è quello che appunto adesso possiamo andare brevemente a vedere. Assumiamo che non abbiamo più un’ ipotesi di totale uniformità dei gusti in ogni giurisdizione e quindi vediamo nel caso in cui abbiamo una differenziazione dei gusti e ipotizziamo che abbiamo quattro coppie di individui, quindi collettività formate da più individui con quattro coppie che hanno preferenze identiche, abbiamo la coppia dell’individuo 1 e dell’individuo 3, che hanno uguale curva di domanda, la coppia dell’individuo 2 e dell’individuo 4, l’individuo 5 unico, quindi per definizione avrà una funzione di curva di domanda unico, un 6 un 7 e l’8 e il 9. Se noi che abbiamo queste quattro coppie con gusti identici che però sono ripartite all’interno delle giurisdizioni in maniera differenziata, cioè la tendenza di questi cittadini è differenziata all’interno di tre giurisdizioni e le tre giurisdizioni le chiamiamo comuni: nel comune uno avremo l’individuo 1, l’individuo 2 e l’individuo 9, quindi sono tre individui che hanno tre curve di domanda diverse, nella seconda collettività avremo l’individuo 4, l’individuo 5 e l’individuo 6, anche qui ognuno con la sua curva di domanda differenziata, nella terza avremo l’individuo 3, l’individuo 7 e l’individuo 8, quindi abbiamo un’articolazione di individui con preferenze differenziate in ogni giurisdizione e questo è un problema che ci troveremo spesso di fronte e che ci deve portare a una forma di processi decisionali per stabilire la quantità di servizi e beni pubblici da produrre. In un sistema decentralizzato cosa Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze succederà se noi andremo a scegliere la quantità di bene da produrre con una procedura elettorale. Bene la teoria ci dice che in questo caso la decisione, quando più individui votano, si viene a collocare all’interno della scelta del cosiddetto elettore mediano, cioè l’elettore che si colloca a metà nella distribuzione delle preferenze. Quindi nel caso del comune 1, che votano l’individuo 1, 2 e 9 il risultato sarà la quantità Q1, nel caso del comune 2 dove votano gli individui 4-5 e 6 la mediana della distribuzione delle preferenze si colloca al livello della quantità Q2, nel comune tre si colloca al livello della quantità Q3. Completiamo l’analisi dei risultati dell’applicazione del modello di Oates nel caso di situazione con preferenze disomogenee. Con questi risultati, noi ci possiamo porre sostanzialmente due domande, primo è quanti cittadini sono soddisfatti, la seconda domanda è qual è il guadagno in termini di benessere, cioè la rendita del consumatore rispetto alla soluzione centralizzata. Se noi avessimo una soluzione centralizzata ovviamente la decisione si collocherebbe all’interno della scelta dell’elettore mediano rispetto a tutti gli elettori, quindi nella quantità Q2 cioè la quantità preferita dall’individuo numero 5. Rispetto al primo quesito, noi ci possiamo porre quantii cittadini sono soddisfatti, la soluzione decentralizzata indubbiamente risulterebbe da un punto di vista puramente numerico, cioè rispetto al numero di persone soddisfatte, migliore perché noi avremo un totale di 6 persone soddisfatte, due che votano a favore di Q2 rispetto a tre che restano insoddisfatti. In una soluzione centralizzata avremo 5 persone soddisfatti e 4 scontente perché sul totale di 9 elettori 5 voterebbero a favore della quantità Q2 e 4 sarebbero sfavorevoli. Quindi da questo punto di vista possiamo dire che la soluzione decentralizzata è migliore. Cosa succede però se noi cerchiamo di valutare il grado di benessere che ci comporta. Qui il tema si complica, perché è molto difficile valutare in forma quantitativa il benessere degli individui attraverso valutazione della rendita del consumatore o attraverso studi empirici applicati, o attraverso questionari. Però noi ipotizziamo che in presenza di questo insieme di individui cosa potrebbe succedere e si può facilmente dimostrare che il risultato da questo punto di vista non è assolutamente predeterminato, dipende dalla distribuzione degli individui e dalla disomogeneità delle preferenze degli individui all’interno delle singole giurisdizioni. Se noi prendiamo come punto di partenza la soluzione centralizzata, con una fornitura di un livello di servizi pari a Q2 andiamo a vedere cosa succede nelle varie giurisdizioni. Nella seconda giurisdizione non c’è differenza rispetto alla soluzione centralizzata perche si sarebbe votato comunque Q2. Nella prima giurisdizione noi avremo una perdita di benessere per l’individuo 1 e per l’individuo 2, perchè sono due individui obbligati a consumare più bene rispetto alla quantità domandata rispetto alla loro curva di domanda. Però l’individuo 9 ha invece un vantaggio riesce a consumare di più rispetto a quello che avrebbe consumato nel caso della scelta se fosse stata centralizzata, perché avrebbe consumato Q1. Il problema è cercare di valutare le aree sottese alle curve di domanda che ci identificano la crescita di benessere dei vari individui e vedere cosa succede in totale. Allora la perdita di benessere di 2 è pari a triangolo ACD, per l’individuo 1 la perdita risulta pari al triangolo ACEF perche le curve sono tutte parallele alla stessa curva di domanda alla stessa distanza. Essendo parallele queste curve, la perdita totale di benessere di 1e 2 risulta uguale all’area AHIC che è la somma delle due. Se noi andiamo a vedere la situazione dell’individuo 9, cioè l’aumento di benessere che lui ha rispetto alla situazione centralizzata l’area sarà questa. Questo vuol dire che il vantaggio di benessere del’individuo 9 attraverso una soluzione centralizzata è superiore alla perdita di benessere degli altri due individui comportata proprio dalla soluzione centralizzata . Quindi da questo punto di vista il benessere totale crescerebbe con una soluzione centralizzata. E questa è una situazione che si può configurare anche all’interno del modello di Oates , quando noi Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze abbiamo preferenze differenziate. Il problema della decentralizzazione è valido solo con quella ultima ipotesi delle quattro che abbiamo visto prima. Quindi in termini numerici noi però sappiamo che attraverso il teorema della decentralizzazione viene fuori che comunque c’è un numero maggiore di individui. In termini di benessere noi non possiamo essere in grado di dare una risposta definitiva tra soluzione centralizzata e soluzione decentralizzata, perché questo dipenderà sostanzialmente dalla distribuzione delle persone all’interno delle varie ripartizioni territoriali e dalle loro differenze in termini di preferenze. E’ chiaro che se voi vi divertite a simulare alcune ipotesi in cui alcune persone si spostano da una giurisdizione all’altra, per esempio se individuo 9 (che ha preferenze molto differenziate rispetto al 1 e 2) si spostasse nella giurisdizione 3, varierebbe molto le preferenze, quindi se si calcolasse in termini di benessere i risultati potrebbero cambiare e si potrebbe andrebbe a favore di una soluzione decentralizzata. Quanto più ci si avvicina a preferenze identiche, o molto vicine, all’interno delle tre giurisdizioni quanto più la soluzione in termini di benessere diventa a favore della soluzione decentralizzata. Però è chiaro che questo non è realistico perché presuppone una completa mobilità dei cittadini in base alle loro preferenze. La mobilità dei cittadini sta alla base di quasi tutte le teorie economiche della decentralizzazione che è quella che consente l’applicazione di strumenti concettuali, noi generalmente usiamo sistemi di mercato concorrenziale ma la realtà come dicevamo l’altra volta il modello del federalismo competitivo parte dall’ assunto che la mobilità delle persone è molto positivo perché consente di avere molto più concorrenza a livello sia governo locale sia tra gli stessi livelli di governo. Se voi vedete i dibattiti sulle politiche urbane delle grandi città, compresa Torino, ci sono state dei piani strategici di sviluppo in cui si sfruttava molto di incentivare la localizzazione sia di attività economiche ad alta intensità di ”intelligenza”, ad alto valore aggiunto, sia la localizzazione di centri, non solo di imprese,ma anche di autorità pubbliche, di regolazione (si parla anche di spostare i ministeri in alcune altre città,anche Antitrust, Consob) perché questo porta attività, porta benessere. Questo è un po’ il punto di partenza. Volevo richiamare il teorema della decentralizzazione con preferenze disomogenee, vi ricordo perche la teoria delle decisione con regole a maggioranza ci porta alla scelta dell’elettore mediano, se noi abbiamo 7 individui con 7 curve di domanda differenziata , nell’ipotesi di una fornitura di un bene pubblico con costo medio e marginale costante, il costo medio viene distinto e ripartito tra questi 7 individui e qui l’equilibrio è sempre dato dai punti di incontro tra la domanda e quella del costo marginale, la valutazione marginale pareggia il valore del costo se noi sottoponiamo a un processo decisionale questa quantità di bene pubblico voi vedete che il punto di equilibrio con una precisione successiva con cui si sottopone la decisione successiva la quantità a partire dalla quantità pari XA rispetto alla quale tutti e 7 voteranno a favore . nella quantità XB avremo 6 persone a favore e una a sfavore, con la quantità pari a XC e via via fin a che arriveremo quando questa maggioranza non ci sarà piu quando passiamo alla quantità XE. Quindi si dice che in caso di votazione a maggioranza con quantità che vengono sottoposte una dopo l’altra a una decisione, la decisione si collocherà all’interno della scelta del cosiddetto elettore mediano che è l’elettore che si colloca nella mediana della distribuzione delle preferenze e questa è un’analisi rilevante che è stata la base di studi applicati di economia pubblica locale perché se noi conosciamo da quale fattore derivano le differenze dei beni pubblici, immaginiamo il reddito, i vari tipi di beni pubblici cosi come i beni privati sono direttamente collegabili al reddito, quindi se assumiamo che ci sia un determinato bene pubblico, ad esempio la sicurezza pubblica, che è direttamente collegata al reddito, quindi le persone più ricche domandano più sicurezza pubblica noi potremmo ipotizzare che siamo in grado di prevedere quanta sicurezza pubblica viene prodotta in una collettività, in questo caso non è necessario conoscere le preferenze di tutti i cittadini. Basta conoscere alcuni fattori costitutivi, caratteristiche costitutive di ogni cittadino come la sua disponibilità di Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze reddito e quindi la sua domanda di sicurezza pubblica è direttamente collegata alla distribuzione dei redditi, cioè chi è più ricco, domanda più reddito e quindi chi si colloca nella distribuzione mediana del reddito sarà l’elettore decisivo. Importante : il teorema dell’elettore mediano dice che per conoscere il risultato di una votazione non è necessario conoscere le preferenze di tutti i suoi membri ma solo di chi ha una posizione mediana, quindi questo è il punto importante che ha consentito anche di fare degli studi per spiegare le differenze dei livelli di spesa pro capite osservate nello stesso momento in diversi collettività locali perché a quel punto posso prendere la spesa di tutti e correlarla al reddito mediamo di ogni collettività locale. Dietro c’è un spiegazione teorica forte perché è un’applicazione del teorema dell’elettore mediano che ci dice che se noi ipotizziamo che quel bene pubblico viene domandato in funzione de reddito, non devo conoscere le preferenze di ogni elettore, mi basta sapere qual è il suo reddito mediano e so che quelle sono le preferenze che vengono accettate. Questo è in estrema sintesi il ragionamento che sta dietro il teorema dell’elettore mediano, che viene dato per acquisito negli studi di finanza pubblica locale ed è la teoria di processi decisionali pubblici fatta dagli economisti, un branco dell’economia pubblica che è la pubblic choise. Ricordatevi che il punto serve per capire come arriviamo a quei risultati nel teorema di Oates con preferenze diseguali. E poi l’elettore mediamo, immaginate che vengano poste a voto quelle quantità sono riferite a quelle curve di domanda, è chiaro che sottoposte una dopo l’altro avremo questi risultati. perche si sottopongono a voto una dopo l’altra? Perché gli elettori che vogliono un aumento di quella chiederanno al voto altre quantità finchè non si arriverà a un equilibrio nel punto XB. Con questo noi abbiamo fatto una veloce analisi dell’importanza della decentralizzazione e quindi perché è decentrato. Dovendo fare un piccolo riassunto che tenga conto di quello che abbiamo visto, cioè se qualcuno vi chiedesse di elencare vantaggi e svantaggi della decentralizzazione. E’ bene parlare anche degli svantaggi perché quello che si sta percependo è che tutto sommato oggi c’è un grande orientamento a favore della decentralizzazione, però quando si va a giustificarla, non è che tutto vada solo a vantaggio della decentralizzazione, lo stesso principio di sussidiarietà, principio di tipo politico- filosofico, non è che necessariamente ci giustifichi soluzioni solo decentralizzate, lui ci dice che quando si può lo si faccia, ma ammette che a volte una soluzione decentralizzata non è la migliore. Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze 11. I vantaggi e gli svantaggi della decentralizzazione Andiamo a elencare i vantaggi che si ricollegano alle varie scienze sociali: il primo è l’esigenza di democratizzazione del sistema, che avviene soprattutto dopo alcuni shock istituzionali quindi possiamo pensare ai percorsi istituzionali dei paesi dell’Europa dell’est, dove fino alla caduta del muro del 1989 vi erano situazioni di regimi molto accentrati, anche se formalmente c’erano delle autorità locali, c’erano regimi sia di tipo totalitari senza le elezioni sia anche poteri molto concentrato nel governo nazionale anche perche all’interno del governo nazionale operavano i ministeri economici che gestivano tutto il sistema delle grandi imprese statali degli imperi socialisti. In sud America dopo la caduta delle dittature degli anni 90, in parallelo alle fasi di democratizzazione, c’è certamente una spinta a ricostruire gli organi decentrati come è avvenuto in Italia dopo la caduta del fascismo. Quindi la spinta alla decentralizzazione è collegabile anche a questi processi alla fine dei sistemi socialisti da un lato e alla democratizzazione, soprattutto in sud America e dell’Asia sud orientale. C’è poi un’esigenza di rispondere a conflitti etnico- regionali per mantenere un’unità del paese, noi abbiamo avuto sicuramente problemi di questo tipo nei processi di decentramento e in alcuni casi di federalizzazione in sud africa, nello sri lanka, nella stessa Indonesia, paese da considerarsi unitario formalmente e costituzionalmente ma che in realtà ha visto una crescita del potere decentrato. Un terzo grosso vantaggio è una Migliore informazione sulle politiche locali con minori costi di informazione. È dato dalla maggiore vicinanza tra elettorato e strutture amministrative che forniscano i servizi pubblici. Questo a sua volta ci porta a un Miglioramento potenziale del livello dei servizi dovuto alla maggiore vicinanza tra amministratori e cittadini. I cittadini lo sapete che anche per promuovere gli ultimi decreti delegati, attuativi della legge 42 sul federalismo fiscale dove è stato portato avanti lo slogan che si basa sulle tre parole “VEDO VOTO PAGO”, io vedo direttamente quando i servizi mi vengono forniti, voto in base a quello e pago. Se non sono contento non pago volentieri e il mio strumento massimo per ribellarmi è il voto e quindi la penalizzazione dell’amministrazione locale più vicino a me. Da questo punto di vista ci possiamo anche ricollegare al discorso che abbiamo fatto sulla teoria dei contratti e al fatto che il politico locale vede la sua probabilità di rielezione pari a 1 perché ha un rapporto diretto con il cittadino a livello locale. Un quinto punto, è la competizione, qui torniamo al discorso del federalismo competitivo, promuove la competizione tra enti locali che stimola l’efficienza e l’innovazione anche attraverso la sperimentazione. Questi ultimi due punti ne abbiamo parlato a lungo nella scorsa lezione, era un tema di rilievo anche promosso dal pensiero politico istituzionale anche del secolo scorso, questo fatto dell’incentivo all’innovazione, dell’esempio del comune che ti sta accanto può portare stimoli all’innovazione di processi produttivi, può portare anche dei prodotti forniti. E infine la mobilità degli elettori maggiore tra governi locali che tra Stati. Cosa vuol dire questo: abbiamo sempre detto che l’analisi economica del governo locale si basa molto su l’assimilazione nella presenza di più governi locali a quelle che è la situazione di concorrenza più o meno perfetta nel campo della produzione di bene e servizi privati e qui il vantaggio per i consumatore è che quanta più concorrenza quanti più benefici io ho. Uno potrebbe dire a cosa ci servono i governi lo cali? Se io in Italia avessi un regime completamente accentrato, non sono soddisfatto dei servizi pubblici, vado a stare in Francia, in svizzera o negli USA. Ma i vincoli alla mobilità di un cittadino elettore sono molto maggiori tra stati che all’interno di un singolo stato. Se io ho più soggetti che producono beni e servizi all’ interno di uno stato posso dare più garanzia al Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze cittadino contribuente di avere più margini di scelta di potersi muovere da un’amministrazione locale ad un’altra, e lo stesso vale a livello provinciale (un pochino più difficle) o livello regionale (ancora più difficile) ma certamente spostarsi da Torino a Bologna è piu semplice che spostarsi da Torino a New York anche se come abbiamo detto più volte, oggi da questo punto di vista la globalizzazione consente più facilmente la mobilità, di quello che poteva consentire 30 o 40 anni fa. Però bisogna ogni tanto pensare a quelli che possono essere anche dei possibili svantaggi, quindi tante volte si dice si al decentramento ma bisogna farlo bene; come dire tutto e niente, però serve a dire che farlo bene noi dobbiamo stare attenzioni perche ci sono degli effetti negativi che possono derivare da un trasferimento con funzioni e gestione di risorse finanziarie non fatto con tecniche e soprattutto non fatto con dei criteri economici. Dal punto di vista costituzionale a volte a volte diciamo, un decentramento portato avanti con modalità non graduali, ci può accentuare le tendenze centrifughe di secessione di parte del paese. Questo a volte può essere un fattore di rottura abbastanza dirompente con conseguenze negative dal punto di vista economico e sociale, che si sarebbe ben potuto evitare con maggiore gradualismo, utilizzando strumenti istituzionali di concentrazione di tipo diverso e cosi via. Questo ci porta a dire che in effetti il trasferimento di competenze, se voi vedete i primi due tipi di vantaggi, sono quelli che hanno portato al fenomeno del cosi detto decentramento assimetrico, che è molto importante da un punto di vista finanziario. Il decentramento assimetrico è una soluzione tale per cui a tutte le amministrazioni sub nazionali, di un determinato livello (pensiamo alle regioni d’Italia), non vengono attribuite a tutte le stesse funzioni ma si attribuiscono funzioni in maniera differenziata, vale a dire a certe amministrazioni si attribuiscono più poteri a altre invece meno. Questo è un sistema che viene utilizzato giustificandolo dicendo che sarebbe sbagliato non attribuire adeguate funzioni ad alcune amministrazioni, che sarebbero in grado di gestirle bene probabilmente meglio dell’amministrazione statale, solo perché siamo in presenza di altre amministrazioni più in ritardo che non sarebbero in grado di svolgerle. allora è venuta fuori questa teoria del federalismo assi metrico differenziato secondo la quale appunto si dice mah cerchiamo di fare i processi di decentramento differenziato a chi è in grado diamo subito delle funzione e questo garantirà probabilmente maggiori efficienze perché saremo in grado di ottenere tutti i vantaggi del decentramento senza rischiare gli svantaggi che stiamo vedendo. Il decentramento differenziato, in Italia noi ce l’abbiamo perché la situazione delle regioni a statuto speciale non è altro che un’applicazione di un modello di decentramento assi metrico, e presenta molte complicazioni dal punto di vista del sistema di finanziamento, perché è chiaro che noi dobbiamo tenere conto del costo del finanziamento delle maggiori funzioni, però all’interno di un sistema di finanziamento di tutte le amministrazioni sub nazionali, quindi è molto complicato andare a quantificare i costi adduttivo e identificare in che misura le forme di finanziamento attraverso compartecipazioni o finanziamenti dalla stato possa essere dato a queste, rischiando poi soluzioni un po frettolose come ad esempio è stato fatto per le regioni a statuto speciale per le quali ( Sicilia, Sardegna, Vale d’Aosta) fu deciso in alcuni casi prima della nuova costituzione del 48 di attribuirgli una compartecipazione al gettito dei comuni interni, pressoché totalitaria prima addirittura di aver valutato il costo delle funzioni che venivano attribuite questa è una soluzione molto pericolosa perche intanto a queste regioni è stato dato un eccesso di risorse rispetto ai loro fabbisogni che poi si sono tenute, ma soprattutto si è creata una premessa per cui se si volesse applicare questo regime a tutte le regioni italiane avremo un senso di insostenibile dal punto di vista finanziario quindi oggi uno dei grossi problemi applicativi anche del la legge 42 è come fare in modo che anche le regioni a statuto speciale partecipino un po’ a una politica di riequilibrio finanziario e a una politica di perequazione tra tutte le amministrazioni locali, che implica che la distribuzione di risorse, abbiamo parlato nelle scorse lezioni che uno dei sistemi di finanziamento più importante per le amministrazioni locali è dato dai Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze trasferimenti statali, che devono dati secondo criteri perequativi, cioè garantire a tutti anche a quelli più poveri di fornire un livello minimo di servizi. Il fatto che ora ci troviamo di fronte a una situazione costituzionalmente garantita, difficile da modificare andare magari a dire ad esempio alle regioni a statuto speciale: guardate non prendete più il 100% dell’irpef che incassate nel vostro territorio ma solo il 70; si è risolto, per almeno alcune regioni a statuto speciale come il Trentino, che poi in realtà c’è la regione con poche funzioni e le due province autonome Bolzano e Trento che sono di fatto due piccole regioni, ecco con queste due province autonome e con la Valle d’Aosta lo stato ha trovato degli accordi per cui ha gradualmente passato ulteriori funzioni, senza garantire ulteriori finanziamenti, in questa maniera c’è stato un accordo per cui la regione ha mantenuto un regime privilegiato di finanziamenti però si è sobbarcato l’onere per le spese, questa è una via meno traumatica che complicare il sistema . Ecco quindi il finanziamento assi metrico è molto dibattuto attualmente, è molto complesso da gestire e la nostra costituzione prevede la possibilità di un modello assimmetrico, nel senso che le regioni a statuto ordinario possono chiedere funzioni aggiuntive differenziate e alcune regioni del nord (Veneto, Lombardia,Piemonte) nella scorsa legislatura regionale hanno fatto queste richieste, ci sono state trattative con il governo che dovevano essere recepite da una legge ordinaria però non siamo riusciti ad arrivare a una conclusione. Ecco parlavo di vantaggi e svantaggi, quali altri svantaggi? Non è detto che il livello dei servizi migliori, perche possiamo avere situazioni in cui la capacità amministrativa a livello locale è bassa e poi il problema della tutela delle minoranze, questo problema si può avere anche dal punto di vista di cattura degli interessi locali rispetto ad una fornitura efficiente dei servizi, cioè attività locali che finiscano per essere dominati da gruppi di interesse organizzati che non gestiscano in maniera efficiente i servizi pubblici locali e soprattutto in una situazione come viene detto nel terzo punto, di soft budget constraint, cioè di relazioni finanziarie che comunque garantiscono l’intervento dello stato con copertura del deficit in assenza di attuati meccanismi di responsabilizzazione nelle amministrazioni locali, ci può portare a crisi finanziarie. Il quarto svantaggio possibile è quello che poi ci viene riportato maggiormente dalla letteratura economica è I’impossibilità di raggiungere economie di scala e di tener conto delle esternalità. Ne abbiamo già parlato nel modello di Oates, nelle ipotesi semplificatrici e questa dal punto di vista economico è molto importante, ci sono certi servizi che se non vengono attribuiti a entità territoriali sufficientemente ampie da garantire il raggiungimento del punto di minimo nella curva dei costi di produzione oppure che non siano gestite da un livello tale che tiene conto delle esternalità positive e negative che derivano da quel servizio, la soluzione sarà sicuramente inefficiente e in quel caso bisognerebbe accentrarlo non necessariamente a livello statale ma magari a un livello come la provincia o regione. Un altro svantaggio possibile è conflitto di obiettivi tra centro e periferia, nel senso che quelli che possono essere gli obiettivi delle amministrazioni locali, per quello che concerne la spesa pubblica locale possono configgere con quelle delle amministrazioni centrali, facciamo un semplice esempio: voi pensate al conflitto che si ha tra le esigenze di finanzia pubblica a livello macro, quindi rispetto ai vincoli di alimentamento che ci derivano dall’appartenenza all’unione europea, e il fatto che l’amministrazione locale non si sente tanto vincolata a un equilibrio nazionale che è un impegno del governo nazionale. Questa differenza tra obiettivi è quella che è stata alla base del porre il problema della responsabilizzazione degli enti locali per farsi carico 49.40 perchè fino al 1998 lo stato rispondeva di questo ma non gli enti locali, Ma siccome parte del deficit di bilancio dello stato deriva anche in parte dai trasferimenti alle regioni io voglio che anche tu partecipi allo sforzo della riduzione della spesa pubblica o dell’aumento delle entrate, poi in realtà si è parlato soprattutto di riduzione della spesa, e quindi da qui nasce il problema che se io non avessi questi vincoli da dare alle amministrazioni avrei dei conflitti tra l’esigenza di mantenimento di equilibri economici a livello nazionale e il ruolo che devono avere le amministrazioni Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze locali. Certo questo non ci sarebbe, o ci sarebbe in misura molto minore, se non esistesse lo squilibrio verticale, nel fatto che la percentuale di spesa pubblica nelle amministrazioni locali rispetto al totale delle spese di tutte le amministrazioni pubbliche è superiore alle entrate autonome delle amministrazioni locali rispetto al totale delle entrate di tutti i livello di governo. Quindi questo vuol dire che loro non sono in grado di coprire le spese con i propri ricavi. Questo è un problema strutturale, che vedremo meglio in seguito, che va risolto con i trasferimenti. La presenza di trasferimenti rende, la situazione di squilibrio strutturale della finanza pubblica, necessario l’introduzione di un principio che possiamo chiamare di coordinamento. Il coordinamento delle finanza pubblica che si può esplicare in tantissimi modi, dal patto di stabilità con le sue regole, dalla costituzione di un sistema comunitario coordinato. La legge 42 che dice che la base imponibile del centro non può diventare la base imponibile di un’imposta autonoma. Se le amministrazioni locali vogliono applicare tributi autonomi devono andare a trovare basi imponibili che non siano già state colpite da imposte statali e cosi via. Il coordinamento della finanza pubblica è un po’ la nuova forma di controllo degli enti sub nazionali di questo secolo, che ha sostituito tutta una serie di controlli di tipo gerarchico che esistevano in passato di tipo burocratico. amministrativo, negli anni del secolo scorso fino a metà degli anni 90 esistevano forme di controllo delle amministrazioni locali da parte di strutture di controllo delle regioni e delle amministrazioni regionali locali da parte di ministeri o autorità interministeriali che sono state completamente abrogate dopo la modifica della costituzione del 2001. Quindi si sono ridotti molto i controlli e quinidi i livelli di autonomia, però di fatto il coordinamento finanziario ha introdotto dei controlli da un certo punto di vista più rigidi, perche voi sapete che complicazioni ha creato il patto di stabilità all’interno delle amministrazioni locali, di fatto in teoria possono fare tutto ma non hanno le risorse per farlo, quindi era quasi più semplice non avere questi controlli di tipo finanziario pur trattando con gli organismi amministrativi di controllo. Ecco l’altro punto è che in presenza di un forte decentramento, di forte autonomia tributaria, l’amministrazione centrale non sia più in grado di fare svolgere politiche sulla distribuzione del reddito; la funzione distributiva era da assegnare al centro e quindi questa assenza ci da un grosso problema. Una politica di decentramento richiede di tenere presenti sia i vantaggi che gli svantaggi. Ulteriori riflessioni su alcuni nodi nelle relazioni intergovernative che derivano da questi principi di tipo generale ci dicono anche altri punti importanti: il decentramento, quindi la crescita dell’autonomia politica dei livelli inferiori di governo è direttamente correlato all’emergere di un principio di contrattazione dei diversi livelli di governo, cosa vuol dire questo, questo ve lo sottolineo perche un po’ perche me ne sto occupando in questo periodo per alcuni studi che stiamo facendo per la regione Piemonte, cioè se ci pensate autonomia politica vuol dire decisionalità autonoma questa si potrebbe avere al 100% se noi non avessimo il problema delle squilibrio verticale e il fatto che le amministrazioni locali non ce la possono fare a autofinanziarsi. Nel secolo scorso il testo unico della finanza locale nel 1931, quindi fatto in regime fascista, era un testo che dal punto di vista finanziario dava la massima autonomia, non c’erano trasferimenti, ma c’era un livello di attribuzione di competenze più basso e c’era un controllo da parte delle amministrazioni statali più decorosi di quelli che oggi abbiamo. Però oggi qui maggiori funzioni implicano un livello di trasferimenti, da parte dello stato, notevole, quando le amministrazioni centrali vogliono condizionare le politiche delle amministrazioni locali, diventa piu rilevante un discorso di contrattazione paritaria e quindi lo stato all’interno dei trasferimenti che abbiamo detto deve erogare alle amministrazioni locali per consentire un equilibrio di bilancio, all’interno di questi trasferimenti sono emersi tutta una serie di trasferimenti vincolati che vengono erogati non tanto predefinti Andrea Balla Sezione Appunti Scienze delle Finanze
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