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Il fallimento per estensione


Ora trattiamo del fallimento per estensione, cioè il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, come conseguenza automatica del fallimento della società.
La norma di riferimento è l’Art 147: oggi il legislatore è intervenuto, apportando delle novità rispetto al testo precedente; l’argomento verrà così trattato:
- i casi in cui il fallimento della società determina in automatico il fallimento dei soci;
- la posizione dell’ex socio, cioè colui che era socio illimitatamente responsabile e che ha cessato di essere socio, e la posizione del socio che cessa di essere socio illimitatamente responsabile, diventando cioè socio limitatamente responsabile;
- il fallimento del socio occulto e della società occulta;
- il fallimento di una società regolare tra società di capitali e il fallimento di una società di fatto tra società di capitali.
- Oggi il legislatore ha individuato tre ipotesi di fallimento per estensione: il fallimento per estensione riguarda i soci illimitatamente responsabili di SNC, SAS e SAPA: l’Art 147 I comma recita infatti “La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI (cioè rispettivamente SNC, SAS e SAPA) del titolo V del libro quinto del Codice Civile, produce anche il fallimento dei soci…illimitatamente responsabili.”.
Perché il legislatore prevede il fallimento per estensione? Come si colloca il fallimento per estensione nel sistema fallimentare? Si colloca in una prospettiva di carattere eccezionale: il fallimento presuppone nel fallendo la qualifica di imprenditore commerciale sopra soglia, e presuppone lo stato di insolvenza; qui abbiamo il fallimento di un soggetto che di per sé non è un imprenditore commerciale sopra soglia, in quanto il socio non è un imprenditore commerciale sopra soglia, o almeno potrebbe esserlo nel caso in cui, oltre ad essere socio di una SNC, di una SAS o di una SAPA, fosse anche imprenditore per conto suo. Qui fallisce in quanto socio, indipendentemente dall’essere imprenditore o no; inoltre non è detto che il socio sia in stato di insolvenza: il socio fallisce in quanto tale.
La giustificazione si trova proprio nella logica delle società di persone, delle società con soci illimitatamente responsabili e nella volontà del legislatore di accollare a questi soci non solo il rischio della responsabilità illimitata, ma anche il rischio del fallimento, inducendo così i soci ad una gestione più attenta, vedendo il rischio del fallimento in proprio come una sanzione ulteriore alla responsabilità illimitata.
Non si applica mai questa regola alla società semplice, per il fatto che la società semplice non può svolgere un’attività commerciale, non è mai un imprenditore commerciale e quindi non fallisce.
Non fallisce mai il socio unico di una SpA o di una SRL: ricordiamo che il socio unico azionista è tenuto ad adempiere integralmente ai conferimenti in denaro e ad indicare nel registro delle imprese il fatto che è socio unico azionista, e se viola uno o l’altro di questi doveri, assume responsabilità personale per le obbligazioni sociali. In concreto comunque è difficile che si verifichi uno di questi due casi, in quanto è il notaio ad essere responsabile dell’atto costitutivo.
Fallisce per estensione non solo l’accomandatario di società in accomandita semplice, ma anche l’accomandante può assumere responsabilità illimitata se consente che il suo nome risulti nella ragione sociale, o se si ingerisce nell’attività gestoria. Quindi, se fallisce la società, fallirà anche l’accomandante.
Quindi il fallimento per estensione colpisce tutti i soci della SNC, in quanto soci illimitatamente responsabili, colpisce gli accomandatari della SAS, gli accomandanti della SAS nei due casi in cui diventino soci illimitatamente responsabili, colpisce i soli accomandatari della SAPA.
Supponiamo che esista una SNC α, e tale società abbia tre soci, A, B e C; supponiamo che la SNC α sia un imprenditore, un imprenditore commerciale, un imprenditore sopra le soglie e in stato di insolvenza: se il tribunale dichiara il fallimento della società α, contestualmente dichiarerà anche il fallimento dei soci A, B e C.
Sono quattro procedure fallimentari: si avrà così il fallimento della società α, il fallimento del socio A, il fallimento del socio B e il fallimento del socio C.
Sono quattro procedure autonome, ma in qualche modo collegate: un primo collegamento è fissato dal legislatore, che dice che le quattro procedure sono accomunate dallo stesso curatore e dallo stesso giudice delegato, mentre è invece possibile costituire diversi comitati dei creditori: difatti il fallimento di α avrà una massa attiva costituita dal patrimonio di α, il fallimento di A avrà una massa attiva costituita dal patrimonio di A e via dicendo.
Siccome A, B e C sono soci illimitatamente responsabili, e quindi rispondono delle obbligazioni di α, se un creditore di α si insinua al passivo di α, automaticamente questa insinuazione viene fatta anche verso i passivi di A, B e C: quindi il creditore sociale che si insinua al passivo della società α, automaticamente risulterà insinuato ai passivi dei singoli soci illimitatamente responsabili, che in quanto tali rispondono delle obbligazioni della società.
Non vale invece il caso in cui ci siano dei creditori particolari nei confronti dei singoli soci A, B o C: difatti in questo caso i creditori particolari andranno ad insinuarsi esclusivamente al patrimonio di A, di B o di C.
Un concordato fallimentare di α riguarda anche A, B e C, ma non vale il contrario, cioè un concordato fallimentare che riguardi A, B o C tocca soltanto il singolo socio, non la società o gli altri soci.
Quindi, nel caso di fallimento per estensione, si hanno tante procedure quanti sono la società e i soci, e ognuna di queste procedure avrà una sua massa attiva, mentre per la massa passiva i creditori sociali sono considerati automaticamente insinuati ai fallimenti dei singoli soci, mentre i creditori particolari di un singolo socio non possono insinuarsi al patrimonio della società o a quello degli altri soci.
Tutto questo si ricava dall'Art 148:
Art 148.Fallimento della società e dei soci.
“Nei casi previsti dall’articolo 147 (quindi nei casi di fallimento per estensione), il tribunale nomina, sia per il fallimento della società, sia per quello dei soci un solo giudice delegato e un solo curatore, pur rimanendo distinte le diverse procedure. Possono essere nominati più comitati dei creditori.
Il patrimonio della società e quello dei singoli soci sono tenuti distinti.
Il credito dichiarato dai creditori sociali nel fallimento della società si intende dichiarato per l’intero e con il medesimo eventuale privilegio generale anche nel fallimento dei singoli soci. Il creditore sociale ha diritto di partecipare a tutte le ripartizioni fino all’integrale pagamento, salvo il regresso fra i fallimenti dei soci per la parte pagata in più della quota rispettiva.
I creditori particolari partecipano soltanto al fallimento dei soci loro debitori.
Ciascun creditore può contestare i crediti dei creditori con i quali si trova in concorso.”
- Che cosa succede se interviene una vicenda che modifica la posizione del socio? Il venir meno della posizione del socio di società di persone si può verificare in tre ipotesi: la morte del socio, il recesso del socio e l'esclusione del socio (rispettivamente gli Art 2284, 2285, 2286 e 2288).
Immaginiamo che per una di queste ragioni il socio cessi di essere tale: ipotizziamo che al 1 luglio il socio receda (avrà effetto nel momento in cui la notizia viene ricevuta dalla società): dal 1 luglio in poi il socio quindi non è più tale, e non risponderà più delle obbligazioni sociali; continuerà tuttavia a rispondere delle obbligazioni pregresse.
In realtà ciò che conta ai fini della responsabilità per le obbligazioni sociali non è il momento in cui si scioglie il rapporto con il socio, ma il momento in cui tale scioglimento è stato iscritto nel registro delle imprese. Supponendo che l'iscrizione sia avvenuta il 5 luglio, ciò significherebbe che dal 5 luglio il socio receduto non è più illimitatamente responsabile. Per le obbligazioni nate prima del momento in cui è stato reso pubblico il venir meno della posizione di socio, l’ex socio continuerà ad essere socio illimitatamente responsabile; per le obbligazioni nate dopo, cessa di essere socio illimitatamente responsabile.
Si può avere un'altra ipotesi simile, in cui il socio non cessa di essere socio, ma cessa di essere socio illimitatamente responsabile: il caso più palese è quello che vede una trasformazione, cioè ad esempio una SNC che si trasforma in SRL con una deliberazione al 1 luglio, iscritta poi nel registro delle imprese al 5 luglio; dal 5 luglio in poi i soci diventano limitatamente responsabili e non risponderanno più delle obbligazioni sociali, tuttavia continueranno a rispondere soltanto per quelle pregresse.

Quindi abbiamo un socio illimitatamente responsabile che ha cessato di essere tale, e che da un certo momento in poi non risponde più delle obbligazioni sociali, oppure il caso di un socio che era illimitatamente responsabile, e da un certo momento diventa socio limitatamente responsabile: continueranno comunque entrambi a rispondere delle obbligazioni pregresse.
Fallisce per estensione? Il legislatore non aveva dato una risposta espressa nel sistema anteriore; oggi invece è stata data una risposta, assumendo l'orientamento della giurisprudenza recente e della stessa Corte Costituzionale: esiste una norma, che abbiamo già visto, che dice che l'imprenditore defunto e l'imprenditore che ha cessato l'attività di impresa rischiano il fallimento per il periodo di un anno dalla data della cancellazione dal registro delle imprese (Art 10 L.F.); la stessa regola viene applicata anche in questo caso.
Quindi il rischio di fallimento per estensione è un rischio limitato all'anno: il socio receduto il 1 luglio con pubblicità il 5 luglio, oppure il socio di una SNC trasformatasi in una SRL il 1 luglio con iscrizione il 5 luglio rischiano il fallimento per estensione per il periodo di un anno a decorrere dal 5 luglio, data della pubblicità; decorso l'anno, il rischio del fallimento per estensione cessa.
Immaginiamo che il socio, in una situazione un po' incerta, receda il 1 luglio con pubblicità al 5 luglio: una volta superato l'anno, cesserà il rischio di fallimento per estensione, ma ciononostante, se ipotizziamo il caso in cui la società fallisse il 10 luglio dell'anno successivo, l'ex socio illimitatamente responsabile risponderà ancora delle obbligazioni pregresse non adempiute, trovandosi così esposto ad un'azione giudiziaria del curatore. Il venir meno del rischio del fallimento per estensione non comporta il venir meno della responsabilità illimitata, che verrebbe meno solo se le obbligazioni precedenti il 5 luglio fossero state correttamente e totalmente adempiute.
Il socio illimitatamente responsabile potrebbe evitare il fallimento per estensione anche prima che sia decorso l’anno da quando ha dato pubblicità della cessazione della sua posizione di socio illimitatamente responsabile, in quanto per fallire per estensione non è necessario solo che la società fallisca entro l'anno, ma occorre anche che il fallimento, l'insolvenza, sia determinata dal mancato adempimento di obbligazioni sorte in data anteriore: immaginiamo ad esempio che il socio receda il 1 luglio, con pubblicità il 5 luglio e poi in un intervallo di tempo che vada dal 5 luglio al, per ipotesi, 10 settembre, vengano adempiute tutte le obbligazioni sorte fino al 5 luglio; quindi al 10 settembre non esistono più obbligazioni inadempiute sorte prima del 5 luglio, cioè prima che il socio illimitatamente responsabile non fosse più tale. Se il fallimento della società, che ipotizziamo avvenga a febbraio dell'anno successivo, sia dovuto ad obbligazioni successive al 5 luglio, allora il socio non fallirà per estensione.
Per fallire per estensione l'ex socio o il socio ex illimitatamente responsabile, devono concorrere entrambe queste due condizioni:
- il fallimento nell’anno della società dalla data della pubblicazione della cessazione del socio o della circostanza che ha fatto venire meno la responsabilità illimitata del socio;
- il fallimento, l’insolvenza deve essere determinata dall’inadempimento di obbligazioni almeno in parte sorte prima che il socio abbia cessato di essere tale o di essere illimitatamente responsabile.
Tutto questo è detto dall’Art 147 II comma “Il fallimento dei soci di cui al comma primo non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata anche in caso di trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati. La dichiarazione di fallimento è possibile solo se l’insolvenza della società attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata.”.
Si deve trattare quindi di insolvenza che derivi dall’inadempimento di obbligazioni pregresse rispetto al venir meno della posizione di socio o della posizione di socio illimitatamente responsabile.
Può succedere che fallisca una società, che fallisca una SNC o una SAS e che quindi falliscano i soci A, B e C: può capitare che durante l'iter della procedura fallimentare il curatore scopra che esistono altre persone fisiche che erano nascoste, che non comparivano all'esterno ma che in realtà erano effettivamente soci perché di nascosto gestivano attraverso gli altri soci la società e partecipavano agli utili, alle perdite, ai finanziamenti. Sono questi dei soci occulti, e il legislatore prevede che il fallimento si estenda anche a questi soci.
Possiamo anche avere l'ipotesi in cui fallisca un imprenditore individuale, e in realtà successivamente si scopre che non era un imprenditore individuale, ma che era un socio di una società occulta, e che quindi esistevano uno o più altri soci occulti: quindi si fa fallire la società, e per estensione falliranno il socio che fingeva di essere imprenditore individuale e gli altri soci occulti.
Il legislatore ha previsto bene questa parte nell'Art 147 IV comma “Se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi.”. Prosegue poi al V comma “Allo stesso modo si procede, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l’impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile.”.
Ora trattiamo un tema delicato, che è stato portato per la prima volta dopo la riforma all'attenzione del Tribunale e della Corte d'Appello di Torino, che hanno dato una risposta in un certo senso, mentre una pronuncia successiva del Tribunale di Forlì ha dato risposta completamente opposta, ma poi la Corte d'Appello di Bologna ha riformato questa pronuncia, attestandosi sulle posizioni del Tribunale e della Corte d'Appello di Torino. Il tutto nasce da una norma che vuole riprendere uno schema proprio del diritto tedesco.
Leggendo prima l'Art 147, abbiamo tralasciato alcune parti: ad esempio, al I comma si aveva “La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI (cioè rispettivamente SNC, SAS e SAPA) del titolo V del libro quinto del Codice Civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili.”: quindi il legislatore ci dice che oggi la riforma societaria ha previsto che i soci di società di persone possano essere non solo persone fisiche, ma anche persone giuridiche, e in particolare società di capitali.
Ricordiamo l'Art 2361 del Codice Civile, che ha un impatto notevole sul piano fallimentare: disciplina le partecipazioni della SpA in altre società (siamo nell'ambito della disciplina delle azioni delle SpA, sezione V del Codice Civile rubricata “delle azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi”): il legislatore ci dice che non possono essere assunte partecipazioni che possano modificare l'oggetto sociale, e aggiunge, tramite una nuova norma, che “L'assunzione di partecipazioni in altri imprese comportante una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle medesime (cioè l'acquisto di una posizione di socio in una società di persone, cioè l'ipotesi in cui una SpA stipuli un contratto di società di persone con altri soggetti o acquisti una partecipazione in una società di persone) deve essere deliberata dall'assemblea...”. Questa è una norma che concerne i rapporti di competenza fra assemblea e amministratori; questo è un caso eccezionale di competenza gestoria attribuita all'assemblea; l'acquisto di una partecipazione in una società di persone che comporti la responsabilità illimitata è un atto gestorio, e come tale dovrebbe competere agli amministratori, ma il legislatore lo attribuisce all'assemblea. Non è chiaro però se in questi casi l'assemblea decida l'operazione o semplicemente autorizzi gli amministratori a compiere l'operazione, come sembrerebbe più plausibile.
Perché il legislatore introduce questa regola? Perchè l'acquisto della posizione di socio illimitatamente responsabile sottopone la società al rischio della responsabilità illimitata, ma soprattutto al rischio del fallimento per estensione: se la SpA α costituisce con la SpA β la SNC “pinco pallino”, se per caso questa SNC fallisse, falliscono per estensione anche α e β in quanto soci illimitatamente responsabili, falliscono indipendentemente dal fatto di essere o no insolventi. Prosegue difatti il II comma dell'Art 2361 dicendo “... di tali partecipazioni gli amministratori danno specifica informazione nella nota integrativa del bilancio.”: è un'operazione che deve essere inserita nella nota integrativa, proprio per consentire anche ai creditori di avere notizia di questa operazione.
Da questa norma si desume che il legislatore considera possibile che una SpA diventi socio illimitatamente responsabile di una società di persone: prima il legislatore non diceva nulla, mentre l'orientamento della giurisprudenza era assolutamente negativo, cioè prima dell'introduzione di questa norma era pacifico che una società di persone non potesse avere come soci illimitatamente responsabili delle società di capitali; anzi, la giurisprudenza impediva anche alle società di capitali di poter essere soci limitatamente responsabili di società di persone, cioè neppure con il ruolo di accomandanti, e quindi prima della riforma una società di persone poteva avere come soci solo persone fisiche.
Ciò significa che tutto ciò che abbiamo visto in precedenza sul fallimento per estensione, prima della riforma, riguardava solamente le persone fisiche.
Se esiste una SNC “SpA α” (in quanto se una SNC è formata da società di capitali, deve indicare nella ragione sociale il nome di uno dei soci) formata dalla SpA α e dalla SpA β, è chiaro che se fallisce la SNC, falliscono per estensione le due SpA soci illimitatamente responsabili.
Questa norma è dettata per le SpA, mentre non esiste una norma parallela per le SRL, ma non c'è nessun dubbio che valga anche per le SRL.
Immaginiamo quindi che la SpA α e la SpA β decidono di costituire la SNC “SpA α & C.”: i due consigli di amministrazione ottengono l'approvazione delle rispettive assemblee, si preparano a comunicare ai creditori l'effettuazione di questa operazione e quindi verrà ad esistere questa SNC formata da SpA, società a responsabilità limitata. Se dovesse fallire, falliscono per estensione le società di capitali come soci illimitatamente responsabili. Ma perchè la SpA a responsabilità limitata α e la SpA a responsabilità limitata β, se intendono costituire fra di loro una società, devono utilizzare il paradigma delle società di persone rischiando una responsabilità personale, il fallimento per estensione, mentre non possono costituire fra di loro una SpA o una SRL? Nel diritto tedesco vi è questa possibilità, mentre nel nostro no.
Se la SNC è costituita tutta da società di capitali, chi sono gli amministratori? O si ritiene che una società di capitali possa essere amministratrice, oppure si deve arrivare alla conclusione che gli amministratori debbano essere dei non soci, facendo così saltare i cardini della disciplina delle società di persone, che prevede che gli amministratori di società di persone siano soci illimitatamente responsabili.
Questa particolare fattispecie della società di persone formata da società di capitali, in ambito fallimentare, può avere un effetto dirompente tale da modificare sensibilmente il sistema fallimentare e il sistema societario ove si prenda in considerazione una particolare fattispecie: il Tribunale e la Corte d’Appello di Torino, il Tribunale di Forlì e la Corte d’Appello di Bologna hanno preso in considerazione proprio questo aspetto: che cosa succede se più società di capitali costituiscono fra di loro una società di persone senza formalizzazione? Ricordiamo difatti che le società di persone devono nascere tramite atto costitutivo formale per essere iscritti nel registro delle imprese (atto costitutivo redatto dal notaio oppure con sottoscrizione autenticata da un notaio): questo per le SNC e per le SAS regolari.
Ma esistono anche la SNC o SAS irregolari, non iscritte nel registro delle imprese, che possono derivare dal semplice comportamento delle parti: è la cosiddetta società di fatto.
E’ l’esempio di due amici che aprono un bar, senza stipulare alcun contratto, ma si comportano come soci, gestendo insieme il bar e dividendosi utili e perdite: c’è un comportamento tacito da cui deriva il sorgere di un rapporto societario. Operativamente la società di fatto è sempre una società occulta, perché se i soci vogliono operare palesemente di fronte ai terzi, come società di fatto non possono riuscirci: difatti, se non è una società formalizzata, regolare, non potrà avere partita IVA, non potrà emettere fattura, non potrà avere un conto, un affidamento…
Possiamo però avere una società di fatto occulta: questa è l’ipotesi che abbiamo già visto prima, con un imprenditore individuale che si presentava essere tale, ma che ha alle spalle una società di fatto, perché ha uno o più soci occulti: falliva così difatti la società occulta e anche tutti gli imprenditori per estensione.
Questo è anche possibile oggi nell’ambito delle società di persone costituite da società di capitali: in precedenza questa fattispecie era inammissibile, in quanto non si poteva avere una società di persone costituita da società di capitali. Oggi invece questa fattispecie almeno teoricamente è possibile: è l’ipotesi di uno o più società di capitali che svolgono insieme una attività, dividendosi utili e perdite e che apparentemente si presentano come un’impresa individuale, ma in realtà esistono altre società occulte.
Se gli amministratori di due società si accordano fra di loro senza avere alle spalle l’autorizzazione delle assemblee e pongono in essere in comune una società, una società di fatto: se questa società di fatto risulta insolvente, fallisce la società di fatto e anche quelle di capitali? E’ vero che il legislatore consente che più società di capitali costituiscano una società di persone, ma da questa norma (Art 2361) si ricava anche un’ammissibilità della società di persone di fatto tra società di capitali?
La giurisprudenza tende ad utilizzare parametri piuttosto ampi per immaginare l’esistenza di una società di fatto; è sufficiente che una persona finanzi, o gestisca la società perché questa persona venga qualificata come socio di fatto, e quindi fallisca la società occulta, e falliscano per estensione anche i soci di fatto. E’ chiaro che se si applicassero queste regole ad una presunta società di fatto tra società di capitali, il rischio sarebbe quello di considerare i gruppi come delle società di fatto, perché nei gruppi la capogruppo finanzia, dà delle direttive, e quindi sarebbe abbastanza facile immaginare che il gruppo diventi una sorta di società di fatto: se all’interno di un gruppo di dieci società una fallisce, se si ritiene che in realtà fra quelle dieci società non ci fosse un rapporto di gruppo, ma un rapporto di società di persone di fatto tra società di capitali, fallirà questa super società di persone e per estensione tutte le società del gruppo.
L’opinione che è stata proposta in dottrina anche da Galgano, accolta dal Tribunale e dalla Corte d’Appello di Torino, contrastata dal Tribunale di Forlì e poi accolta dalla Corte d’Appello di Bologna, è quella che prevede che la società di persone di fatto tra società di capitali è inammissibile, per una semplice e delicata ragione, desumibile dal diritto societario: si prevede oggi che, se gli amministratori pongono in essere degli atti che vanno al di là dell’oggetto sociale, o atti che vanno al di là dei limiti statutari, questi atti sono sempre validi.
Da questa norma si ricava invece che, qualora gli amministratori vadano al di là dei limiti legali per gli atti che pongono in essere, questi sono inefficaci; sono quindi sempre validi ed efficaci gli atti che vanno al di là dell’oggetto sociale o al di là dei limiti statutari, mentre sono inefficaci quelli che vanno al di là dei limiti di legge.
Se partiamo da questo presupposto, se gli amministratori di due o più società di capitali stipulano un contratto di società di persone anche solo attraverso comportamenti, cioè si comportano come soci pur non avendo l’autorizzazione delle assemblee (si ha difatti una situazione di società di fatto nel momento in cui non si sia interpellata l’assemblea), vanno al di là dei limiti legali in quanto la necessità dell’autorizzazione delle assemblee è prevista esplicitamente dal legislatore, tale contratto sarà inefficace, e quindi la società di fatto non verrà ad esistenza.
Ad avviso del prof inoltre tale soluzione risulta essere tutelante per i creditori della SpA: difatti i creditori della SpA potrebbero vedersi, attraverso comportamenti di fatto degli amministratori a loro sconosciuti, la società rispetto alla quale loro sono creditori tramutare in una società di persone, quindi illimitatamente responsabile, e quindi soggetta a fallimento per estensione.
Ne è un’ulteriore prova il fatto che il legislatore si preoccupi di tale rischio per i creditori sociali, richiedendo che “... di tali partecipazioni gli amministratori danno specifica informazione nella nota integrativa del bilancio.”. E’ chiaro che nel caso di una società di fatto la nota integrativa sarebbe silente.
Quindi gli amministratori quando pongono in essere un comportamento al di là dei limiti di legge, pongono in essere un atto inefficace: è questo il caso di una società di fatto.

Tratto da DIRITTO DELLE PROCEDURE CONCORSUALI di Andrea Balla
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