Le procedure alternative al fallimento
Diciamo ora qualcosa sulle procedure alternative al fallimento, cioè quelle procedure dirette ad evitare il fallimento, puntando a risolvere la crisi dell'impresa: sono procedure che il legislatore del 2005 ha molto valorizzato, ma che per ora hanno ottenuto scarso successo.
Nel 2005 il legislatore ha introdotto ben tre procedure alternative al fallimento volte ad evitarlo: difatti il fallimento è una procedura spesso molto costosa e lunga, e quindi può essere preferibile una soluzione che eviti il fallimento e che possa portare velocemente ad una soluzione della crisi, soluzione che possibilmente possa conservare almeno in parte se non del tutto l'azienda, e magari anche ad una maggiore e più rapida soddisfazione dei creditori.
Se finora ci siamo sempre trovati di fronte a quel presupposto oggettivo classico legato allo stato di insolvenza (vista come una situazione irreversibile di impossibilità ad adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni), il legislatore, in merito a queste procedure alternative, prende come presupposto oggettivo lo stato di crisi: il legislatore era poi andato successivamente, tramite una di quelle chiamate “leggine”, a identificare che cosa intendesse per stato di crisi, e quindi con stato di crisi si include sia lo stato di insolvenza, sia lo stato di preinsolvenza.
Oggi gli strumenti alternativi al fallimento previsti dal legislatore sono:
- concordato preventivo;
- accordi di ristrutturazione dei debiti;
- il cosiddetto “piano idoneo”.
Tutti e tre questi strumenti sono stati previsti nel 2005: sia il concordato preventivo che gli accordi di ristrutturazione sono nati con dei grossi difetti, tant’è che il legislatore con il correttivo ha introdotto delle modificazioni.
I veri protagonisti sono l'imprenditore in crisi e i creditori, e nessuno meglio di loro può valutare la convenienza di queste procedure; il tribunale in linea di massima non può valutare la convenienza di queste procedure: queste procedure sono quindi sostanzialmente rimesse all'accordo fra l'imprenditore in crisi e i creditori; non si immagina quindi la necessità di una tutela da parte dell'autorità giudiziaria, se non in casi particolari.
Questo giudizio di convenienza non è tanto facile; sostanzialmente, i creditori, che cosa devono valutare? Poniamo il caso in cui ci sia tizio in crisi, ed offre la garanzia che, entro sei mesi, i creditori privilegiati avranno le somme che avrebbero avuto dal fallimento, mentre i chirografari, suddivisi in classi, avranno l'una il 30%, l'altra 15% e l'altra ancora il 5%. Prima della riforma il concordato preventivo era uno strumento che aveva un’enorme difficoltà di applicazione, in quanto presupponeva un'offerta totalitaria dei crediti privilegiati e un'offerta pari almeno al 40% dei crediti chirografari: questo era uno sbarramento spesso insuperabile, ma oggi non è più così, in quanto ai privilegiati bisogna offrire quanto meno quello che percepirebbero in sede fallimentare, mentre agli altri si possono offrire qualsiasi percentuali, magari ripartite in base alle classi.
Supponiamo che io appartenga alla classe B, che riceve il 15% e quindi, avendo un credito di 100, fra sei mesi riceverò 15. Se invece questo imprenditore fallisse, che cosa riceverei? Prima di tutto non riceverò nulla nei sei mesi perché sicuramente la procedura sarà molto lunga, e inoltre i beni venduti tramite la procedura fallimentare potrebbero dare vita a delle somme inferiori; è però possibile ottenere di più, in quanto attraverso la procedura fallimentare il curatore può esperire un'azione di responsabilità (che non sarebbe invece possibile nel caso del concordato preventivo), e in più il curatore può, tramite la procedura fallimentare, esperire l'azione revocatoria. Questa è in estrema sintesi la valutazione che ogni creditore deve fare, il giudizio di convenienza che devono valutare tutti i creditori: è una valutazione che tendenzialmente il legislatore lascia ai creditori.
Ciò che preme al legislatore è che i creditori siano informati, e che quindi attraverso le informazioni ricevute dall'imprenditore in crisi e dal curatore, possano effettuare le loro valutazioni al meglio.
E’ anche qui possibile una proposta concordataria che preveda più classi, che preveda trattamenti differenziati fra le classi, il pagamento percentuale a favore di creditori privilegiati purché non al di sotto di quello che avrebbero potuto ottenere facendo valere il privilegio in sede fallimentare; è inoltre possibile la transazione fiscale, cioè la possibilità di una proposta anche rispetto al fisco: si prevede qui una prima fase di ammissione alla procedura in cui subentra il tribunale, una seconda fase di approvazione (e qui il legislatore prevede che il concordato debba essere approvato dalle classi in base alla maggioranza dei crediti), e poi si prevede l'ultima fase di omologazione, e qui il discorso cambia a seconda del fatto se ci sia qualcuno o no a fare opposizione: se nessuno dei creditori fa opposizione, il tribunale omologa attraverso giudizio di mero accertamento formale, cioè verifica che il tutto sia stato fatto a norma di legge, non entra nella vicenda del concordato; se invece uno dei creditori fa opposizione (si ha una possibile opposizione ad esempio nel caso in cui un creditore faccia notare che dei beni sono stati sopravvalutati, e che quindi dalla vendita di tali beni non si ricaveranno determinate somme. Nel caso invece di concordato per assunzione la questione è diversa in quanto, laddove ci sia un assuntore che acquisca tutto l’attivo e garantisca il pagamento in percentuale, non ci sarà problema. Ma può anche esserci un concordato per liquidazione, cioè avviene la liquidazione e si dice che, attraverso questa liquidazione, verranno attribuite certe percentuali, e quindi bisognerà dimostrare che la vendita dei beni darà luogo a certi ricavi. Si può avere opposizione anche nel caso di un creditore che appartenga ad una classe che non ha votato a favore del concordato), al tribunale spetta di controllare se tale opposizione sia o no fondata.
Qualora vi sia una classe o più classi di creditori che votano contro al concordato, e qualora questi facciano opposizione, allora il tribunale valuta se la proposta concordataria sia più conveniente o no rispetto a quello che si realizzerebbe nella procedura fallimentare.
La transazione fiscale è una proposta che s'inserisce nell'ambito del concordato a favore del fisco con cui l'imprenditore in crisi si impegna ad esempio a pagare l'80% dei crediti privilegiati e il 15% dei crediti chirografari (normalmente il pagamento dei crediti privilegiati deve essere in una percentuale non inferiore a quella che il fisco avrebbe percepito in sede fallimentare): se il fisco accetta, il discorso si chiude.
Vi è comunque la possibilità che il fisco non accetti la proposta dell'imprenditore in crisi; difatti accettare una proposta di questo genere significa assumersi delle responsabilità, in quanto vorrebbe dire che ha ritenuto conveniente accettare questa soluzione rispetto alla soluzione fallimentare. Si tenga conto inoltre del fatto che la non accettazione, essendo un atto amministrativo, può essere soggetto ad impugnazione.
Siccome la transazione fiscale appartiene al concordato, si può supporre che attraverso la transazione fiscale si siano create delle classi, e quindi in questo modo il fisco rappresenta una classe, se non addirittura due (una classe in quanto privilegiato e una classe in quanto chirografario, a seconda della tipologia di crediti che vanta verso l’imprenditore), ma per semplicità ipotizziamo che rappresenti soltanto la classe chirografaria: il “cramdown” può servire a imporre al fisco la soluzione concordataria, perché immaginiamo a questo punto che la maggioranza delle altre classi accetti, e che quindi solo il fisco non accetti: il fisco potrà così far opposizione dicendo che il concordato è una soluzione che lo soddisferebbe meno rispetto alla soluzione fallimentare. In sede di omologazione, cioè di valutazione di questa opposizione, il tribunale può sostituirsi al fisco, cioè al creditore che fa opposizione, e fare una sua valutazione: potrebbe così rilevare tempi più lunghi, costi maggiori e la possibilità che magari i beni siano venduti a prezzi minori, e nessuna azione di responsabilità possibile in quanto gli amministratori hanno tenuto una buona condotta, e nemmanco alcuna azione revocatoria: in questo caso quindi il tribunale direbbe che la soluzione fallimentare non sarebbe sicuramente da preferire a quella concordataria, rendendo così obbligatoria la soluzione concordataria per tutte le classi, fisco compreso.
L’accordo di ristrutturazione dei debiti è definibile una sorta di “concordato preventivo minore”: la diversità sostanziale sta nella prima fase, che nel caso dell'accordo di ristrutturazione dei debiti è del tutto extra processuale, mentre con il concordato si ha una proposta che deve passare al vaglio del tribunale, il quale deve dichiararne l'ammissibilità. L’accordo di ristrutturazione è una proposta che, da un lato è meno formalizzata in quanto manca tutta la prima fase, e dall'altra presenta delle rigidità tant’è che ha avuto scarsissima applicazione.
Si propone ai creditori una certa soluzione che può essere di vario tipo: anche qui sono comunque possibili più classi e offerte diverse dal denaro; l'importante è che questo accordo sia accettato almeno da tanti creditori che rappresentino il 60% dei crediti. A questi creditori si può offrire qualsiasi cosa purché accettino, ma occorre però, e questa è un'ulteriore rigidità, che i creditori dissenzienti siano integralmente soddisfatti.
Questa procedura può avere un senso laddove i creditori siano pochi, in particolare banche o fornitori e questi siano disposti ad accettare la proposta.
Vi è poi una fase di omologazione che ricorda quella del concordato: è la fase di controllo da parte del tribunale, che dovrebbe essere un controllo limitato alle parti puramente formali, salvo i casi in cui ci siano delle opposizioni.
Una novità è data dal fatto che la proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti deve essere pubblicata nel registro delle imprese: dalla data di pubblicazione, per 60 giorni, i creditori anteriori non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive: quindi, per 60 giorni, tutte le azioni dei creditori sono bloccate.
Le soluzioni migliori, alla fin fine, potrebbero essere:
- un accordo extragiudiziale, ove sia possibile, tra l'imprenditore in crisi e i creditori;
- la strada del concordato preventivo;
- la terza strada è un po' “balzana”, ed è la strada del piano idoneo, inteso come idoneo a riportare in equilibrio l'impresa; è un'ipotesi di lavoro che non deve essere accettata da nessuno, un piano astrattamente idoneo a riportare in equilibrio l'impresa previsto all'Art 67 III comma lett. d). L’unica conseguenza di questo piano è quella di porre al riparo gli atti esecutivi di questo piano dall'azione revocatoria: quindi, se la fattibilità di un piano a riportare in equilibrio l'impresa è certificata da un professionista, gli atti esecutivi di questo piano sono messi al riparo dall'azione revocatoria.
Continua a leggere:
- Successivo: Il fallimento delle società
- Precedente: Il concordato fallimentare
Dettagli appunto:
-
Autore:
Andrea Balla
[Visita la sua tesi: "Analisi delle principali tecnologie applicate al settore automotive"]
[Visita la sua tesi: "I Diritti Particolari del Socio nella Nuova S.R.L."]
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Economia
- Docente: Prof. Cagnasso
Altri appunti correlati:
- Diritto Fallimentare
- Diritto privato
- Finanza d'azienda
- Manuale di Diritto Tributario
- Diritto fallimentare
Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:
- L'Istituto dell'Esdebitazione e la Tutela Creditorum
- La crisi d'impresa e le procedure concorsuali
- L'Esdebitazione
- L’azione revocatoria fallimentare e la recente riforma del 2005: disciplina, accadimenti storici e conseguenze sulle operazioni bancarie
- Il procedimento di esdebitazione nella nuova legge fallimentare
Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.