L'interesse dell'iniziativa muove dalla maturità politica delle amministrazioni locali, cresciute a interpretare lo sviluppo di quel territorio, in un'ottica che vuole recuperare il passato e la storia. I percorsi privilegiati sono due: uno è quello della geolinguistica che restituisce la geografia dialettale dell'area, l'altro è quello del vissuto religioso da ricostruire attraverso gli insediamenti monastici, la struttura delle parrocchie, la vicenda agiografica e i culti.
La valle d'Agrò
di Gherardo Fabretti
L'interesse dell'iniziativa muove dalla maturità politica delle amministrazioni
locali, cresciute a interpretare lo sviluppo di quel territorio, in un'ottica che vuole
recuperare il passato e la storia. I percorsi privilegiati sono due: uno è quello
della geolinguistica che restituisce la geografia dialettale dell'area, l'altro è
quello del vissuto religioso da ricostruire attraverso gli insediamenti monastici,
la struttura delle parrocchie, la vicenda agiografica e i culti.
Università: Università degli Studi di Catania
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: Storia medievale
Docente: Prof.ssa Claudia Guastella
Titolo del libro: La Valle d'Agrò. Un territorio, una storia, un
destino. Atti del Convegno Internazionale di
studi
Autore del libro: Atti del convegno 2004
Editore: Officina degli studi medievali1. Gioacchino Volpe, i poteri dell'Italia comunale
Gioacchino Volpe tracciava i lineamenti essenziali del complesso insieme di rapporti che intercorsero tra
città e territorio nella fase della nascita e del consolidarsi del Comune Civitatis, spiegando come il Comune
che voleva assicurarsi la propria sussistenza sottometteva in vario modo i feudatari circostanti, facendone
dei cittadini, demolendo i castelli, francando le strade al traffico, rendendo possibile ai cittadini
l'assorbimento e la tutela di molta parte della ricchezza fondiaria e dando piena libertà alle relazioni
economiche tra città e campagna. Secondo Volpe questa lotta col mondo feudale e i procedimenti di
acquisto del contado sono fatti dominanti nella storia delle città italiane tra 1100 e 1200 perché solo con tale
acquisizione si rende possibile lo sviluppo demografico, economico, costituzionale del Comune e si crea in
Italia, e solo in Italia, lo Stato di città, idealmente limitato ma indipendente di fatto.
Questo quadro di Volpe è stato complessivamente confermato e in particolare risultano notevolmente diffusi
i patti di fedeltà tra signori territoriali e cittadinanza organizzata in Comune, aventi come oggetto per il
signore la difesa della città in caso di guerra, l'obbligo di residenza per una parte dell'anno e il servizio
militare in qualità di civis. In altre occasioni le città ricorsero allo strumento del feudo oblato che permetteva
al signore di cedere il suo territorio e riprenderlo in cambio di un giuramento di fedeltà al Comune. In altre
occasioni il feudo oblato o la concessione beneficiaria vennero utilizzati, a favore della città, da parte dei
vescovi, originari titolari dei poteri sul centro abitato, come ad Asti e Tortona, dove i vescovi concedettero
ai consoli dei castelli nel contado in riconoscimento della capacità militare del Comune.
In tutti questi casi comunque le formule sono feudali e dichiaratamente, poiché si tratta pur sempre di un
servitium militare, anche se sono del tutto inconsueti i soggetti del rapporto vassallatico, individuabili nei
consules in quanto rappresentanti della città.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
La valle d'Agrò 2. La fidelitas eporediese per Vercelli
Uno degli esempi più noti è quello relativo a Ivrea e Vercelli. Il documento più antico risale al 1141, gli
anni in cui è attestata la prima organizzazione comunale di Vercelli: un certo Guglielmo di Mercenasco cede
ad uno dei consoli, nella qualità di rappresentante totius universitatis, la sua porzione del castello di
Sant'Urbano, riottenendola come vassallo del Comune, obbligato al cittadinatico e a tenere a disposizione il
castello a uso e consumo dei vercellesi e di scendere in guerra al loro fianco su richiesta dei consoli. Un
anno dopo, il 12 luglio 1142, i signori di Bollengo (attiguo ad Ivrea) cedono al comune la loro parte del
castello omonimo ricevendolo di nuovo con le medesime clausole.
È chiaro come in entrambi i casi l'uso del feudo oblato era servito ai vercellesi per assicurare la loro
estensione nella zona di influenza che era attenzionata anche dagli eporediesi, che rischiavano di minacciare
i possedimenti dei signori del Castello di Sant'Urbano e di Bollengo.
In un quadro politico mutato, risalente più o meno al 1170, il potente comune di Vercelli decide di investire
la comunità di Ivrea dei due castelli e due atti di conferma, uno del 1181 e uno del 1192 chiariscono cosa
comportasse ciò. Con il giuramento del 1181 gli eporediesi si riconoscevano, in cambio della concessione
feudale, vassalli dei Vercellesi non solo limitatamente ai due castelli ma contro tutti gli aggressori che non
fossero imperatore e il vescovo. Con il giuramento del 1192 si chiedeva un impegno più stringente degli
eporediesi nelle operazioni condotte dai vercellesi in tempo di guerra. Dunque il comune di Vercelli ha
approfittato della condizione di debolezza degli eporediesi per assumere una posizione di supremazia. Nella
seconda metà del 1200 Vercelli lascerà cadere l'antico e ormai inutile modello vassallatico per regolare i
rapporti secondo il più moderno modo dell'accordo pattizio tra istituzioni pubbliche di tipo statale.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
La valle d'Agrò 3. La vita del Regnum Siciliae
Quello detto finora è un percorso tipico dell'Italia centro – settentrionale, dove l'indebolimento progressivo
del potere imperiale consentirà l'affermarsi delle città – stato. Ma la conquista normanna e la costituzione
del Regnum Siciliae al meridione, farà sì che qui si crei una situazione molto diversa. Già quando Ruggero
II fissa delle leggi regie ma al contempo stabilisce delle eccezioni ad esse quando non contrastano
apertamente con le prime, il re mostra di tenere in conto le autonomie locali siciliane funzionalmente ai suoi
progetti di stabilità. La vita del Regnum Siciliae vive sempre combattuta tra due opposte polarità: quella
centripeta della visione monarchica che vorrebbe annullare ogni diaframma tra re e sudditi e quella
centrifuga delle autonomie feudali che gli stessi normanni avevano contribuito a installare. Succede così che
le magistrature locali che nei primi decenni della conquista avevano ampliato il loro orizzonte di conquista
sino alle campagne circostanti, ora da una parte vedono ridurre le loro prerogative, prevaricati dai vari
funzionari regi, e dall'altra perdono domini a causa dell'infeudamento dei territori circostanti. L'istituzione
poi di funzionari maggiori come i giustizieri e i camerarii e di funzionari minori come i baiuli e i capitanei
sottrae alle universitates i diritti di cui avevano goduto per qualche tempo. Ora rimangono solo iudices
minori a ricoprire cariche di giudizio civile, ma solo nelle città demaniali. Il diritto pubblico normanno –
svevo comunque non riuscirà a ridurre al proprio giogo tutta la Sicilia e ci saranno sempre feudi
indipendenti, consorterie ribelli e altre manifestazioni di larvato dissenso capaci di riunirsi in una forza
compatta al momento dello scontro con la Corona.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
La valle d'Agrò