Il documento di proprietà del monastero catanese
Nel documento si legge che i monaci erano venuti a conoscenza, per mezzo di un certo Giovannuccio de Anastasio, della morte di Rosa de Bunetto, la quale era stata in possesso di metà di detto vigneto, mentre l'altra metà apparteneva al monastero per volontà del defunto Pietro Lamerio. Il testo comunque non consente di sapere né che vincoli legavano donna Rosa al testatore né quali titoli aveva per possedere la metà di un vigneto che sarà poi concessa per intero al monastero. Va però osservato che la questione fu discussa davanti alla curia baiulare di Forza d'Agrò, luogo in cui è ubicato l'immobile, dunque non a Messina (a cui spettava la giurisdizione) e nemmeno a Catania (sede della diocesi di appartenenza del monastero di San Nicolò.
Questo documento oltre a garantire i diritti di proprietà del monastero catanese, offre una rara testimonianza della lingua usata nel quotidiano di questa area del territorio messinese, in cui la persistenza grecofona era certamente di più lunga durata rispetto ad altre zone dell'Isola.
La lingua in cui verga il notaio De Blasio è mediolatina, mentre la sentenza della curia baiulare era stata pronunciata in volgare dai giudici riuniti per decidere sulla questione.
Dal secondo documento, dell'11 aprile 1468, si viene a sapere che è l'abate del monastero di San Nicolò l'Arena, Battista de Platamone, recatosi personalmente in ospicium Sancti Alessi, in funzione di procuratore del suo ente religioso, a concedere in enfiteusi sive ad annum censum a Gregorio de Paone, de Fortilicio Agro, in perpetuo, locum cum terris scapolis et arboribus domesticis et silvestribus, ubicato anche in questo caso nel territorio di Forza d'Agrò nella contrada detta lu Liuni. Conta subito rilevare che il toponimo è preceduto dalla forma que dicitur che evidenzia la necessità da parte del notaio di ricorrere ad un generico “si dice” per l'individuazione della zona in cui si trova il possedimento fondiario ceduto dall'abate. Subito dopo il notaio ne descrive i confini, indicando il nome dei proprietari dei terreni circostanti senza tuttavia fornire alcun dato in termini quantitativi per quel che riguarda l'estensione dell'immobile.
L'atto era stato stipulato dal notaio Paolo de Lombardo, alla presenza della curia baiulare e di tre testimoni. Si rammenta che la scelta da parte degli enti ecclesiastici di concedere gli immobili di loro proprietà mediante l'adozione del contratto ad enfiteusi sive ad annum censum nasceva dalla necessità di rendere produttivi i possedimenti fondiari per incrementare ovviamente le risorse economico – finanziarie delle stesse comunità religiose.
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