Riassunto del testo "Storia della musica". Nel riassunto viene fatto un breve excursus storico della storia della musica. Partendo dal periodo Barocco del settecento, viene accennato il periodo del romanticismo, del classicismo, del simbolismo e del decadentismo in Europa, oltre che un accenno ai maggiori esponenti del periodo ripreso. Infine si fa riferimento al peridodo delle avanguardie musicali, fino allla nascita del ragtime e del jazz in America.
Storia della musica
di Gherardo Fabretti
Riassunto del testo "Storia della musica". Nel riassunto viene fatto un breve
excursus storico della storia della musica. Partendo dal periodo Barocco del
settecento, viene accennato il periodo del romanticismo, del classicismo, del
simbolismo e del decadentismo in Europa, oltre che un accenno ai maggiori
esponenti del periodo ripreso. Infine si fa riferimento al peridodo delle
avanguardie musicali, fino allla nascita del ragtime e del jazz in America.
Esame: Storia della musica
Docente: Salvatore Enrico Failla
Titolo del libro: Storia della musica
Autore del libro: Barone - Fubini - Petazzi - Santi - Vinay -
Editore: Einaudi
Anno pubblicazione: 20051. Assolutismo e concetto di Barocco in musica
Questo corso generale di storia della musica parte dal periodo Barocco. La musica seicentesca obbediva,
direttamente o indirettamente, a quella visione politica assolutistica tipica del periodo in questione. Se,
infatti, il potere di controllo e di repressione si manifestava principalmente attraverso la punizione fisica,
raddrizzando pericolose deviazioni politiche o ideologiche, l’intervento prettamente traumatico non era
sufficiente per mutare profondamente i suddetti orientamenti. L’adesione al sistema politico di potere poteva
essere completa e netta solo con una sottile opera di persuasione, che facesse leva sul cuore più che sulla
ragione... che convincesse i sudditi della bontà del sistema.
L’arte del persuadere e l’arte del commuovere erano fondamentali per una gestione sicura del potere, e la
cultura, musica compresa, veniva abilmente sfruttata dai potenti tramite i capaci artisti dell’epoca, non più
demiurghi rinascimentali ma manovali coatti. Il senso di dipendenza dal potere non era avvertito in maniera
compiuta dagli artisti, e non sarebbe poi sbagliato individuare nell’inconscio senso di instabilità o di dubbio
di costoro, la ragione profonda dell’originalità stilistica barocca, che si manifestava o in forme potentemente
drammatiche, tortuose, o in un forte senso dell’effimero e della caducità della vita, e di conseguenza, del
piacere fine a se stesso, o ancora in una grandiosa manifestazione della maestà del potere e dello sfarzo. La
linea rossa che attraversa tutte queste manifestazioni rimane però sempre una: il senso dello spettacolo,
dell’artefatto, che deve persuadere e commuovere. La musica non fa eccezione.
In campo musicale, la retorica degli affetti è sicuramente l’invenzione più importante di questo secolo. Tutte
le altre brillanti manifestazioni del barocco musicale prendono spunto da questa idea, che cioè la musica
debba seguire una ben precisa retorica, con un repertorio di figure (vale a dire di artifici) ben individuabili e
codificabili atte a produrre gli effetti emotivi desiderati.
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Storia della musica 2. La nascita del canto monodico e del melodramma
Fissato il punto centrale del discorso, sarebbe comunque difficile elencare tutte le caratteristiche dello stile
musicale barocco. Ci limiteremo dunque a enucleare i tratti più vistosi e fondativi, tra i quali spicca quello
dell’inversione radicale del rapporto musica – poesia. La polemica nasce in seno alla Camerata Fiorentina,
un gruppo di nobili che nel XVI secolo si incontravano per discutere di musica, letteratura, scienza ed arti.
Prende il nome dal conte Giovanni Bardi, nella cui abitazione di Firenze si tenevano le riunioni.
Secondo gli accoliti della Camerata, la tradizionale musica polifonica aveva violentato l’istituto della parola,
della poesia, non rispettando la pratica dell’orazione, dando una ingiustificata priorità alla musica, che
nell’intreccio delle voci, con le regole e le tradizioni allora note, calpestavano il senso del discorso verbale,
annullando ogni effetto sul pubblico.
Il fine primo della musica barocca diventa dunque quello di subordinare parimenti musica e parola in un
nuovo linguaggio espressivo, inizialmente monodico, mirato all’espressione o all’imitazione degli affetti al
fine di soggiogare il pubblico, per commuoverlo o emozionarlo.
Questa rivoluzionaria teoria nasce in un periodo in cui prevalente era ancora lo stile polifonico, che aveva
grandissima diffusione nelle forme profane del madrigale, della villanella e della canzonetta. Ciò non vuol
dire che nel ‘600 (ma già due secoli prima) non esistesse una importante tradizione monodica, come ci
testimonia, ad esempio, Baldesar Castiglione, che nel Cortegiano dichiara di apprezzare il cantare alla viola
per recitare; o fonti di anonimi che ricordano come fosse uso anche allora il cantare ottave, vale a dire
cantare strofe dell’Orlando Furioso di Ariosto; o ancora i canti a solo usati nei famosi intermezzi musico –
teatrali usati fra un atto e un altro di commedie o tragedie, specie durante le feste principesche, come quelle
dei Medici.
Alla fine del ‘500, dunque, il gusto per il canto solistico andava diffondendosi a macchia d’olio, e molti
personaggi dell’epoca, tra cui Giulio Caccini, erano anche ben pagati. La Camerata andò oltre, partendo
dall’idea, tipicamente umanistica, di studiare e ridare moderna circolazione sia alla concezione musicale
degli antichi greci, sia all’uso che della musica ne avevano fatto nello spettacolo tragico.
Iniziando i primi esperimenti di canto monodico teatrale, si arrivò alla nascita di quello che sarebbe
diventato uno dei generi musicali più importanti di sempre: il melodramma, o teatro in musica. Lo stile di
canto che derivò dalla Camerata fu chiamato recitar cantando. Era una sorta di declamazione musicale che,
pur non avendo poi molto a che fare con la musica greca, aveva molto da spartire con la melodia del
contemporaneo madrigale polifonico. Il canto recitativo, così d’ora in poi lo chiameremo, si caratterizzava
per le inflessione della parola recitata, che stilizzava musicalmente gli accenti e le durate delle sillabe, la
direzione ascendente o discendente dell’intonazione, il dosaggio dell’intensità e del timbro dell’emissione
vocale. In parola povere, la riproduzione, in modo intonato, dei contenuti e del ritmo dei testi poetici ed in
generale espressivi. Da affiancare allo stile recitativo c’è il cosiddetto stile strofico, che poi prenderà il più
conosciuto nome di aria. Si tratta di un brano, quasi sempre per voce solista, articolato in strofe o sezioni.
Nella storia dell'opera essa si contrappone allo stile recitativo e rappresenta, sin dalle origini, un momento in
cui la forma musicale, con le sue simmetrie e regole interne, prende il sopravvento sull'azione e sul dialogo.
Di conseguenza, essa coincide normalmente con un momento drammaturgicamente statico, se non
addirittura - specie nel primo Ottocento italiano - con un momento di sospensione del tempo durante il quale
lo spettatore ha accesso all'intimo sentimento del personaggio.
Il melodramma come spettacolo indipendente e autonomo (non più come mero intermezzo di una recita
teatrale), cantato con uno stile concepito espressamente per la recitazione, in cui l'azione scenica è
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Storia della musica sottolineata ed espressa attraverso, appunto, la musica ed il canto, nasce, nel senso più proprio e
consapevole, il 6 ottobre 1600 al Palazzo Pitti di Firenze, con l’Euridice di Peri e Rinuccini.
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Storia della musica 3. La nascita della monodia e dello stile concertato
Sia che si parli di polifonia, che di monodia, è innegabile che gli strumenti musicali accompagnassero quasi
sempre le performance. Se è vero che il nuovo monodico recitativo aveva necessariamente bisogno di un
sostegno musicale, è altrettanto vero che ciò faceva parte di una tradizione pregressa ampiamente
sperimentata.
Sensibili sono comunque le evoluzioni. Da libretti separati per ogni singola voce, si passa ad una partitura
vera e propria, con un unico libretto che nelle monodie segnalava – ed è questa la novità più interessante – in
maniera non integrale le parti strumentali che accompagnavano il recitativo, limitandosi ad indicare la sola
parte melodica del basso, presupponendo che i suonatori fossero in grado di aggiungere da sé gli accordi
necessari a sostenere la voce. È il cosiddetto basso continuo.
Il basso continuo, strettamente associato con tutti i generi di musica del periodo barocco, è il sostegno
armonico – strumentale che accompagna le parti superiori della composizione dal principio alla fine. Il
fortunato madrigale comincia a decadere, evolvendosi in forme più originali. Se il madrigale in origine era
una composizione polifonica per sole voci, talvolta seguite da qualche strumento musicale, passa poco a
poco a designare anche composizioni monodiche, certamente diverse dalla originaria struttura formale, ma
ancora piene di quello spirito declamatorio, di quel legame col testo poetico, congenito a questo genere.
Lo stile di canto dei nuovi madrigali monodici è assai vicino alla libertà ritmica e formale del recitar
cantando, e come esso è un continuo fluire di frasi melodiche sempre diverse, ogni tanto interrotto da
qualche ripetizione retorica o da qualche imitazione tra canto e basso continuo. È un madrigale che ha perso,
testualmente, la composta eleganza della tradizione petrarchesca, rivolgendosi ad autori che, in quanto
maestri della sonorità della parola, dei giochi verbali e della sensualità delle immagini, meglio si
confacevano allo spirito dell’evoluto genere madrigalesco: Torquato Tasso e Giovanbattista Marino.
Oltre al mutato madrigale, nasce un genere ibrido: la cantata. Potremmo definirla come una forma musicale
vocale, formata da una sequenza di brani come arie, recitativi, duetti, cori e brani strumentali; in realtà è così
forte la contaminazione di generi nel ‘600, che attribuire definizioni più rigidamente tassonomiche sarebbe
rischioso.
Lo stile monodico inizia a inserirsi nell’ambito ecclesiastico, e non poco rilievo in ciò ebbe la novità del
basso continuo, che offriva facilitazioni pratiche agli esecutori. Il basso continuo, infatti, permetteva di
riassumere con lo strumento alcune delle linee vocali, lasciando all’esecuzione cantata solo un numero
limitato di voci (da uno a quattro). Il vantaggio era notevole, specie per le piccole cappelle, che dovevano
faticare per adattare a poche persone testi concepiti per un gran numero di cantori.
La raccolta fondamentale in questo senso fu quella di Lodovico Grossi da Viadana, Cento concerti
ecclesiastici, che tira in ballo per la prima volta il termine concerto. La parola assume la strana forma di
termine chiave di cui però non si è ben capaci di delinearne i tratti semantici, finendo per essere utilizzata
genericamente per indicare tutti i nuovi tipi di sonorità di quegli anni. I teorici la facevano risalire alla sua
origine latina (concertare nel senso di combattere insieme) e nell’uso quotidiano la si usa per definire l’atto
di riunire più componenti sonore diverse, vocali e strumentali, o solistiche e corali, o organizzate sulla base
di stili compositivi differenziati, o cori contrapposti.
Roma non accoglie invece le nuove tendenze, fatta eccezione per l’uso del basso continuo nell’organo.
Troppo forte era ancora il modello cinquecentesco di Giovanni da Palestrina, che pur concependo uno stile
improntato alla chiara comprensione delle parole e alla chiarezza musicale, lo applicò esclusivamente al
genere polifonico.
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Storia della musica
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Storia della musica 4. Claudio Monteverdi e la musica monodica barocca
Il lavoro di Claudio Monteverdi segna più di ogni altro il passaggio dalla musica rinascimentale polifonica a
quella monodica barocca. Nel corso della sua lunga vita ha prodotto opere che possono essere classificate in
entrambe le categorie, e fu uno dei principali innovatori che portarono al cambio di stile.
Seguendo il movimento generale dell’epoca, basato sulla concentrazione espressiva della singola voce,
aveva fatto proprie le nuove teorie secondo le quali la musica doveva illustrare i contenuti espressivi della
parola, potenziandoli e traducendoli in immagini sonore. Per dirla come lui: l’armonia serva dell’orazione.
L’evoluzione dell’opera monteverdiana si dipana nel periodo del suo soggiorno a Mantova, presso i
Gonzaga. Tra il 1587 e il 1606, Monteverdi pubblica cinque libri di madrigali, ancora polifonici e concepiti
secondo la logica cinquecentesca, ma rivelanti elementi di forte originalità. Nel primo libro emergono
inaspettati ritmi di danza, di fresca ispirazione popolaresca, o atmosfere arditamente sensuali, come quelle di
Baci soavi e cari, sul testo del famoso Guarini. Nel secondo e nel terzo, confrontandosi spesso col Tasso, fa
emergere con evidenza la singola voce, continuando la ricerca di individualità solistiche nel quarto libro.
Ma è nel quinto libro, del 1605, che si apre pienamente l’ideale Monteverdiano di una musica che non si
chiuda mai nel gioco astratto dei rapporti sonori, ponendosi invece come manifestazione e riproduzione
delle passioni umane. È in questo libro che si riassume compiutamente la seconda pratica, col basso
continuo (che favorisce l’impiego di dissonanze senza preparazione, grazie alla sua chiara indicazione
armonica) e lo stile concertato, che contrappone il solista al coro o gruppi di voci di diverso peso, registro e
timbro, creando una atmosfera drammatica, caravaggesca.
Nell’Orfeo Monteverdi riversa tutta l’esperienza accumulata con la composizione dei madrigali,
aggiungendovi la sontuosità e la spettacolarità tanto desiderata dal suo protettore, il duca Vincenzo, senza
che venisse meno l’armoniosità del macro testo, servito benissimo dal libretto di Alessandro Striggio figlio.
L’Orfeo alterna magistralmente pregnanti episodi in stile recitativo, andamenti madrigalistici e strofici, cori
con o senza dance, brani di grande virtuosismo vocale.
Il finale a lieto fine, in vece dell’uccisione di Orfeo da parte delle Baccanti del libretto di Striggio, è da
considerarsi come funzionale alla riuscita pubblica dell’opera. Monteverdi supera il recitar cantando della
Camerata, e non è difficile da vedere se si confronta l’Orfeo con la Dafne di Marco da Gagliano, su libretto
di Rinuccini.
Nel 1608 esce anche Il ballo delle ingrate, sempre su libretto di Rinuccini, unico esempio sopravvissuto
(perché inserito nell’ottavo libro dei madrigali) di balletto di corte, un misto di danza e canto sullo sfondo di
prodigiosi meccanismi scenici e sfarzosi costumi.
Nel 1614 esce un sesto libro di madrigali, in cui Monteverdi affianca a composizioni con solo basso
continuo, madrigali concertati arricchiti da un elaborato impiego della monodia. Nell’ultimo madrigale
aumenta a sette il numero di voci, accentuando i caratteri barocchi del pezzo coi testi del Marino (usati
anche nei precedenti tre testi).
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Storia della musica 5. Le nuove forme musicali di Monteverdi
Dall’ottavo libro di madrigali, nel 1638, è quasi scomparsa la forma tradizionale. Monteverdi presenta una
raccolta fatta di voci e di strumenti tra i più svariati, sia per le forme sia per il numero di parti, ponendo
particolare attenzione all’architettura generale, che intende offrire un compendio delle maniere di far
musica, che dovevano essere di tre tipi: oratoria, armonia e ritmica. Erano forme che già allora rispondevano
alle moderne forme sociali di consumo che nel ‘600 venivano chiamate da teatro, da camera, da ballo, e che
oggi chiameremmo da opera, concerto e balletto. Nel libro ottavo compaiono tutte: musica da ballo (tutto il
gruppo di composizioni che chiudono la prima parte), canti senza gesto, destinati al puro ascolto (ad
esempio Il lamento della Ninfa) e i lavori drammatici (due: Il combattimento di Tancredi e Clorinda e Il
ballo delle ingrate). Il combattimento di Tancredi e Clorinda è tutto basato sul contrasto tra la passione
guerriera e quella amorosa. Proprio per sottolineare meglio il contrasto, Monteverdi dice di avere inaugurato
un nuovo tipo di stile, da affiancare al temperato e al molle: lo stile concitato, che si riconosce per la rapida
sillabazione sopra una nota, o per la veloce ripercussione di questa da parte dello strumento, secondo la
figura metrica greco – latina del pirrichio.
Monteverdi si dedicò anche alla composizione di musiche liturgiche, in particolare dal 1613 in poi, quando
divenne maestro di cappella di San Marco a Venezia. Il 1610 è però importante, perché compaiono due suoi
importanti lavori, ispirati, come spirito tridentino voleva, al culto mariano: Sanctissimae Virgini Missa e
Vespro della Beata Vergine. Il secondo, in particolare, ha un particolare carattere di visionaria drammaticità.
Della monumentale opera religiosa monteverdiana abbiamo poco. L’unica raccolta che Monteverdi fece in
tempo a pubblicare fu Selva morale e spirituale, una sorta di corrispettivo sacro dell’Ottavo Libro di
Madrigali.
Di Monteverdi possediamo anche due importanti opere teatrali: Il ritorno di Ulisse in patria (1640) e
L’incoronazione di Poppea (1642). Sono opere che si liberano delle ritualità aristocratiche dello spettacolo
di corte, diventate ormai mature per poter affrontare i gusti e i giudizi di un pubblico più vasto e meno
selezionato. In particolare nella Poppea, Monteverdi dipinge la situazione storica contemporanea, attraverso
il filtro della metastoricità, giudicandola e criticandola. A conti fatti, tra la società seicentesca e la Roma di
Nerone, non c’erano poi tutte queste differenze.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia della musica 6. Il genere oratorio a Roma
L’ambiente romano e l’oratorio
A Roma gli spettacoli religiosi battono particolarmente sulla scenografia e sulla macchinistica teatrale, ad
esempio quella di Gian Lorenzo Bernini. Estendendo in profondità lo spazio prospettico, collegandolo a
quello reale della sala per mezzo di un unico asse visivo centrale, la scena riusciva ad indurre un artificioso
scambio tra verità e finzione. Anche la musica cerca uno stile accattivante: le linee si fanno più morbide, si
mischiano toni tragici e comici, si alternano monodie a polifonie omoritmiche. Il genere musicale che più
risponde alle esigenze controriformistiche della chiesa romana è l’oratorio.
L’oratorio, alter ego religioso del melodramma, è un genere che trae spunto per i suoi soggetti dalla
tradizione religiosa. Nasce in Italia. Il nome deriva dagli edifici della seconda metà del
Cinquecento destinati agli esercizi spirituali di laici e religiosi, la cui funzione mirava a ripristinare i valori
originali della cristianità. Composizione drammatica al pari del melodramma, sia per struttura sia per
coinvolgimento di pubblico sia per evoluzione storica, si articolava tramite personaggi e dialoghi diretti,
mentre la scena e l’azione venivano sostituite da una narrazione svolta dalla figura di uno storico.
Il più importante compositore di oratori è Giacomo Carissimi, che compone in latino presso la Compagnia
del Crocefisso. La sua è una produzione che mostra più la genesi che lo sviluppo del genere, ancora legato a
grande varietà di forme ed ampio numero di voci. Il coro aveva la funzione di rendere la storia del
protagonista vivibile soggettivamente a tutto il pubblico. I suoi dialoghi concitati con il solista, infatti, hanno
la funzione di desoggettivizzare la storia per renderla di insegnamento e sensibilità generale.
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Storia della musica 7. Le composizioni per gruppi strumentali del XVII sec.
Il XVII secolo è caratterizzato anche dalla sempre più ampia diffusione di tipi di composizione
espressamente concepiti per l’esecuzione strumentale. Fino ad allora gli strumenti musicali godevano di
funzione esplicita e di indipendenza dichiarata solo in particolari occasioni, quali solennità rituali varie; di
norma, invece, supportavano le voci umane.
Le prime infrazioni a queste regole cominciarono quando il gusto per il puro suono strumentale fu
legittimato da una codificazione in forma scritta, indipendente, e quindi diversa da quella utilizzata per le
voci umane. I primi strumenti a dotarsene furono quelli a tastiera e a pizzico, e la codifica scritta fu chiamata
intavolatura. L’intavolatura era un sistema di scrittura che indicava al suonatore, attraverso speciali simboli,
la posizione delle dita sullo strumento. Le prime intavolature risalgono agli inizi del XV secolo.
Ben presto iniziarono a comparire intavolature per gruppi di strumenti. Le composizioni per gruppi
strumentali inizialmente presero il nome di fantasia.
Si presentò, a questo punto, il problema dell’organizzazione formale della musica strumentale autonoma. In
musiche di tipo funzionale, come le marce o le danze, l’organizzazione formale era spontanea, perché data
direttamente dai movimenti che il suono doveva accompagnare; in musiche di tipo vocale l’organizzazione
era data dal testo verbale, dalla metrica e dalle strofe; in musiche puramente strumentali era necessaria una
sorta di architettura astratta che in qualche maniera le desse una forma concreta e giustificabile.
I primi tentativi di architettura sonora si appoggiarono a due grandi modelli preesistenti, quelli della
polifonia vocale e della danza.
Riguardo il primo: premesso che era pratica consueta l’esecuzione strumentale di polifonie vocali, intorno
alla metà del ‘500 comparve un genere strumentale che tendeva ad organizzarsi sullo schema del mottetto [=
composizione musicale, polifonica, con o senza strumenti, di ispirazione sacra] e che si strutturava per
sezioni, ciascuna delle quali introdotta da un ingresso delle voci [= degli strumenti] in imitazione. Era il
ricercare.
Cerchiamo di definirlo in maniera più comprensibile. Il ricercare era un pezzo, realizzato a sezioni, sullo
schema del mottetto, in cui ognuna di queste iniziava con una imitazione – vale a dire una frase musicale
che viene ripetuta nello stesso pezzo in forma differente ma mantenendo il carattere originale – in forma di
variazione. Perché variazione? Perché i testi dei mottetti non erano lunghi abbastanza per un pezzo
strumentale, e vennero introdotte le variazioni sul tema per allungare la durata dei pezzi. Possediamo dei
ricercare per liuto, per organo e per complessi strumentali. Il ricercare andrà man mano per limitare il
numero delle sezioni, cercando di elaborare più a lungo possibile il tema che lo caratterizza, e introducendo
ciascuna delle sezioni. Si passerà poi a rafforzare i legami tematici, fino a quando tutti gli episodi non si
baseranno sul medesimo spunto iniziale.
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Storia della musica 8. Le forme musicali strumentali del '600
Il ricercare è l’antenato della fuga.
Parliamo poi di un’altra forma strumentale importante: la canzone o canzone da sonar. Stessa struttura del
ricercare ma carattere diverso. Non era infatti legata alla polifonia sacra ma al profano genere della chanson
francese.
Parliamo ora delle architetture derivate dalla danza. Gli originari schemi di musica per danza, finiscono per
perdere la loro originaria funzione pratica, finendo per diventare schemi di musica per danza non danzata.
Ecco allora il genere della suite. la suite (in francese successione) è un insieme di brani, strumentali o
orchestrali, correlati e pensati per essere suonati in sequenza. I pezzi che compongono una suite vengono
chiamati tempi (o movimenti) e nella musica barocca sono tutti nella stessa tonalità. I movimenti obbligatori
che compongono la suite sono, in ordine: allemanda, corrente, sarabanda e giga. È presente quindi una
alternanza tra tempi moderati o lenti (allemanda, sarabanda) e tempi mossi o rapidi (corrente, giga).
Altra forma importante derivata dalla musica per danza è la variazione. La variazione si realizza impiegando
in maniera strutturale le variazioni, o un tema e variazioni, dove un tema viene ripetuto in forma modificata
o accompagnato in modo diverso. Ne distinguiamo una “ornamentale”, che presenta più volte la stessa
melodia, conservandone la riconoscibilità, ma alterandola con figurazioni rapide di carattere virtuosistico, e
una “ostinata”, che consisteva nel ripetere più volte un frammento melodico mantenendolo rigorosamente
intatto, ma cambiando ogni volta la struttura ed il carattere delle altre voci che l’accompagnavano.
Abbiamo poi il genere della toccata, più lontano da ispirazioni derivate da polifonia e danza, e
maggiormente legato all’uso dello strumento puro. La toccata è una forma musicale, inizialmente applicata
al liuto e in seguito agli strumenti a tastiera — in particolar modo all'organo —, che aveva la funzione di
breve introduzione. Il termine significa proprio toccare lo strumento e consiste perlopiù in ripetute scale e
arpeggi ascendenti e discendenti con variazioni.
Concludendo, le forme strumentali protoseicentesche sono “fluide”, magmatiche, e non sempre definibili
chiaramente. Da questo punto di vista è emblematica la figura di Girolamo Frescobaldi. Nelle sue opere per
organo e cembalo, i termini fantasie, ricercari, canzoni, capricci, variazioni, toccate, sono tutti generi trattati
ampiamente dalla tradizione cinquecentesca, ma adesso permeati di una nuova inquietudine semantica a cui
non era abituata. Spesso questi generi finiscono per mischiarsi e sovrapporsi, perdendo i loro confini
distintivi e assumendo spesso significanti sinonimici. Solo più in là col tempo, verso la metà del ‘600, si
troverà una tassonomia più ordinata e compatta.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia della musica 9. L’affermazione del sistema tonale nel '600
Nel seicento inizia quel complesso fenomeno di organizzazione dei suoni che va sotto il nome di tonalità.
Possiamo definire la tonalità come l'insieme dei principi armonici e melodici che regolano i relativi legami
tra accordi e/o note in un brano musicale. In precedenza la musica era definita modale ed era basata sugli
otto modi di origine benedettina, suddivisi in quattro modi autentici (Dorico, Frigio, Lidio, Misolidio) e
quattro modi plagali (Ipodorico, Ipoionico, Ipofrigio, Ipomisolidio). Nel corso dei secoli i compositori hanno
concentrato la propria attenzione armonica sui gradi "più forti" in senso tonale. Le note della scala, e gli
accordi costruiti su di esse, obbediscono a delle leggi che li pongono necessariamente in relazione rispetto
alla tonica (tonica è la nota che da il nome alla tonalità). Ciascuna nota o accordo della scala si trova quindi
ad essere in qualche modo subordinata alla nota (o accordo) principale che appunto è la tonica. Tuttavia
questa "subordinazione" non è univoca, ma vi sono gradi della scala paradossalmente più armonicamente
forti della tonica stessa: la dominante (il V grado della scala) è capace di determinare o ribadire la tonalità in
maniera assai più efficace della tonica. La successione dominante - tonica nella cadenza è considerata la
successione armonica più importante di tutto il periodo tonale. Le scale fondamentali del sistema tonale
sono la scala maggiore e la scala minore, nelle sue diverse forme: minore melodica e minore armonica. Una
scala musicale è il susseguirsi di intervalli tra le note, ovvero di distanze tra suoni misurate in toni e
semitoni. La scala maggiore è basata su un succedersi di note distanziate tra loro da un tono, tranne che tra
la terza e la quarta nota e tra la settima e l'ottava nota, separate tra loro da un semitono. La scala minore
armonica è basata su un succedersi di note distanziate tra loro secondo questi intervalli: I (un tono), II (1/2
tono), III (un tono), IV (un tono), V (1/2 tono), VI (un tono e mezzo), VII (1/2 tono), VIII.
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Storia della musica 10. La musica vocale di tradizione italiana (Alessandro Scarlatti)
Dopo Monteverdi e le esperienze romane, parliamo dell’ opera veneziana. Se a Firenze si deve la
valorizzazione del testo e del racconto, e a Roma la valorizzazione della musica, a Venezia vengono in
primo piano gli elementi connessi alla messa in scena. In questo senso, possiamo dire che è con l’opera
veneziana che per la prima volta tutti gli elementi dello spettacolo lirico vengono riuniti.
I più importanti personaggi, oltre a Monteverdi stesso, che a Venezia scrisse quattro sue opere (tra cui
L’incoronazione di Poppea e Il ritorno di Ulisse in patria), sono Pier Francesco Cavalli e Pietro Cesti. Il
primo, dopo Monteverdi, fu il primo grande rappresentante della scuola operistica veneziana. Organista a
San Marco e maestro di cappella dal 1668, scrisse musica sacra con e senza strumenti, alcune cantate e
soprattutto 39 opere. Le opere erano molte legate al gusto del tempo: destinate ad un pubblico che affollava
teatri adesso a pagamento, puntava all’immediata ricezione, tramite contrasti drammatici, rappresentazioni
efficaci degli affetti e attenta ricerca della novità. Il suo stile procedeva dalla declamazione all’aria, per
espansione graduale del canto. Privilegiava il legame musica – testo; la drammaticità di Cavalli
presupponeva sempre una adeguata ed imprescindibile realizzazione scenica. Di lui citiamo Le nozze di Teti
e Peleo e La Didone.
Pietro Cesti si ricollegò ai modi della scuola operistica veneziana, modificandoli in modo personale,
influenzato dalla frequentazione degli ambienti romani e fiorentini, e inserendoli in una sintesi artistica più
ampia che influenzerà poi la scuola napoletana. Cesti accentuò la tendenza ad articolare l’opera in pezzi
chiusi, con brevi arie melodiche e cantabili, spesso patetiche. Non risalta molto per la caratterizzazione dei
personaggi. La sua maggiore opera è Il pomo d’oro.
Tra gli ultimi due decenni del Seicento, e i primi due del Settecento, in campo operistico si distinse il
palermitano Alessandro Scarlatti, che si conquistò ampia fama tra Firenze, Roma, Venezia e Napoli. I
mutamenti stilistici di Scarlatti riassumono il lungo itinerario storico che porterà l’opera italiana dai
predominanti modelli veneziani alle soglie dell’opera napoletana, che fiorirà poi nel Settecento.
Scarlatti padre stabilizza la forma dell’aria nella variante detta col da capo, che diventerà poi canonica, e che
serviva ai cantanti castrati e agli altri divi del momento per mettere in luce le loro doti decalamatorie. Il
recitativo intanto si era ridotto alla sola variante “secca”, accompagnato dal solo basso continuo. Scarlatti
però volle sostenere le voci anche con altri strumenti d’orchestra, quando la situazione drammatica lo
richiedeva. Era il cosiddetto recitativo accompagnato. Ma l’utilizzo dell’orchestra divenne importante anche
nella sinfonia di apertura [ricordiamo infatti che fino ad adesso il termine sinfonia indicava una
composizione strumentale introduttiva ad un’altra] che assunse una forma definita all’inizio del settecento
con la famosa ouverture all’italiana, che consisteva in una sinfonia di tre movimenti: allegro, adagio,
movimento di danza.
In Inghilterra intanto il melodramma italiano non sfonderà fino all’inizio del Settecento. Forte era infatti la
diffusione del masque, la prima forma di opera inglese, fatta di azioni recitate, danze e pantomime su
soggetti mitologici o allegorici, che finirà poi per essere condizionata dall’imperante stile operistico italiano.
Domina su tutti la figura di Henry Purcell (1659 – 1695) che operò una felicissima sintesi fra stile
strumentale italiano, melodramma francese e tradizione inglese. Lo ricordiamo prevalentemente per il suo
“Dido and Aeneas”, del 1689, scritto per una rappresentazione privata.
Un altro genere diffusissimo, oltre al melodramma, è la cantata. La cantata non è altro che una serie di
recitativi e di arie legate da un soggetto comune. Spesso recitativi e arie finivano per confondersi.
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Storia della musica 11. La musica strumentale italiana : il concerto ('600)
Il primo tratto principale delle vicende della musica strumentale italiana nel corso del Seicento è la
definizione più puntuale del termine concerto, e in particolare del concerto grosso. Con il termine Concerto
grosso si intende una forma musicale del medio barocco italiano, basata, sull'alternanza tra movimenti lenti
e veloci, ma caratteristica per il suo organico strumentale, che ne determina anche l'originalità strutturale.
L'organico strumentale infatti è suddiviso in due sezioni, di diversa consistenza: il Concertino e il Concerto
grosso. La prima è composta di norma, come nella sonata a tre, da due violini e un violoncello come basso;
la seconda da vari strumenti ad arco in uso all'epoca (violini, viole, violoncelli, talora una viola di basso o un
contrabbasso), e dallo strumento a tastiera che realizza il basso continuo. L'andamento del concerto grosso è
basato sulle due sezioni strumentali, che alternano frasi ed episodi musicali come in un dialogo; il
Concertino può ad esempio proporre un tema che il Grosso varia o sviluppa, creando il tipico effetto di
alternanza dinamica tra piano e forte, che è stato talvolta accostato alle volumetrie delle architetture
barocche. Poteva essere composto in stile dotto (richiamandosi alla Sonata da chiesa, senza che questo ne
supponesse necessariamente l'uso liturgico) oppure in stile di danza (Sonata da camera), destinato cioè
all'intrattenimento in un contesto profano. In ogni caso, rimase sempre una composizione di carattere nobile.
Nel concerto grosso, come nella sonata a tre, i due violini del Concertino si trovavano in condizione di pari
dignità, limitandosi a duettare tra loro; ma col tempo il primo violino prende il sopravvento, anche grazie al
rafforzamento tecnico dello strumento (operato in particolare da Antonio Stradivari a partire dal 1690 circa),
trasformandosi in una vera e propria parte solistica, contrapposta al Concerto Grosso, e dando vita al
Concerto a solo. Quest'ultimo rappresenta l'archetipo da cui si è evoluto il concerto vero e proprio, quello,
cioè, basato sul dialogo tra uno strumento solista e un complesso strumentale, generalmente l'orchestra.
La forma musicale del concerto grosso è stata portata alla sua massima espressione da compositori quali
Arcangelo Corelli, Giuseppe Torelli, Tomaso Albinoni e Georg Friedrich Händel. Corelli, legato agli
ambienti razionalizzanti dell’accademia dell’Arcadia, non fu tanto un innovatore quanto un professionista
del settore che si approcciò all’argomento con metodo scientifico. Il Concerto grosso si affermò soprattutto a
Venezia, dove, con Dell'Abaco e soprattutto con Antonio Vivaldi (1678 – 1742) acquistò una maggiore
definizione nella forma e nella varietà ritmica e timbrica. Vivaldi era violinista e compositore, ordinato
sacerdote più per necessità che per vocazione. Si distinse per il suo rifiuto di ogni concezione astrattamente
architettonica della partitura, in favore di uno stile aperto alle suggestioni di una soggettività sempre
altalenante tra dramma e lirismo, che rimane però sempre fedele alle esigenze di ordine, chiarezza e
semplicità allora diffusa dall’Arcadia. Come per la sinfonia, anche il concerto assume definitivamente la
struttura in tre tempi allegro, adagio, allegro.La produzione di Vivaldi, fu presa a modello per molto tempo
in Italia e fuori: lo stesso Johann Sebastian Bach, lo studiò in maniera approfondita, riprendendone la
struttura nel suo Concerto nello stile italiano, col quale probabilmente voleva rendere omag
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Storia della musica 12. La musica francese nell’epoca dell’Assolutismo (XIII-XIV)
In Francia il processo di formazione di uno stile musicale nazionale si svolge parallelamente alle vicende
assolutistiche della monarchia di Luigi XIII e XIV.
In campo operistico il teatro musicale francese nasce propriamente con J. B. Lully (1632 – 1687) che fu
ballerino, compositore e direttore d’orchestra. Nel 1661 fu nominato sovrintendente e compositore della
camera reale e iniziò la collaborazione con Moliére, Racine e Corneille. Nel 1672 diventa direttore
dell’’Académie Royale de Musique, ruolo che gli permise di detenere un assoluto monopolio della musica
drammatica francese. Lully inventa due nuovi generi: la Tragédie – lirique e la comédie – ballet. Nella prima
riversa molti elementi derivati sia dalla tradizione francese sia da quella italiana, fondendoli per creare un
originalissimo recitativo che stilizza i tratti caratteristici della dizione francese. Fonda l’Ouverture alla
francese, diversa da quella italiana: adagio, allegro, adagio. Nelle comedie – ballet si avvale della stretta
collaborazione di Moliere e crea un genere misto di scene in prosa e interventi danzati.
In campo strumentale Luigi XIV si avvalse del famoso complesso dei 24 violons du roi, costituito da grandi
virtuosi che eseguivano sinfonie di ouverture alla francese che lo stesso Lully creava. Tra tutti i musicisti
spiccò Francois Couperin, che nelle sue musiche strumentali equilibrava abilmente la grandiosità di Lully
all’asciutta concezione formale di Corelli. Il massimo contributo di Couperin alla storia musicale rimangono
i quattro libri di Pièces de clavecin.
Ricordiamo infine Rameau per il suo trattato sull’armonia.
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Storia della musica 13. La musica sacra e strumentale in Germania (1600)
La musica in Germania dall’epoca di Heinrich Schutz all’epoca di Johann Sebastian Bach.
In Germania forti erano gli influssi italiani, mediati originalmente con le tradizioni nazionali e coesistenti
con altre influenze francesi. È un periodo di altissima fioritura, specie per la musica sacra e strumentale.
Nella prima generazione furono fondamentali H. Schutz e S. Scheidt.
Schutz amava rinominarsi Sagittarius. Fu un grande ammiratore della musica italiana, e amava Gabrieli e
Monteverdi, i cui stili riadattò alla lingua tedesca. Fu fedele alla tradizioni polifonica cinquecentesca, al
gusto della declamazione espressiva all’italiana e attento alle innumerevoli forme di elaborazione polifonica
del corale luterano. Diede il meglio di sé nello stile concertato e fu l’autore della prima opera in lingua
tedesca, la Dafne, oggi perduta. Di lui ricordiamo le Sinfonie Sacre.
Ricordiamo anche Dietrich Buxtehude, famoso compositore e organista danese. Bach fece 400 chilometri a
piedi per ascoltarlo, tanta era la sua magistrale bravura nella composizione organistica. Massimo esponente
della scuola settentrionale, assieme a Froberger trasformò radicalmente le composizioni per organo,
diffusissime in Germania. Da una forma che ammetteva l’esistenza di più temi che si alternano, o anche di
un solo tema che veniva modificato nel corso
delle successive comparse, si arriva gradualmente a fissare uno schema monotematico. Tutte le forme
musicali inoltre finiranno per confluire nel genere della fuga.
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