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La relazione tra voce e ruolo in Giuseppe Verdi


A partire dal 1844, con Ernani, Verdi codifica anche le relazioni fra il tipo di voce e il tipo di ruolo

- soprano e tenore: coppia eroica dei protagonisti amorosi
- basso e baritono: coppia antagonista o autoritaria, come re/regine o padri/madri.
- mezzo soprano: generalmente funzioni di antagonista o di autorità familiare femminile.

Macbeth, del 1847, mette in luce un’altra particolarità di Verdi: la minuziosa cura per l’aspetto registico e scenografico. Con Macbeth, inoltre, per la tematica rappresentata, Verdi sfida le convenzioni più diffuse, alterando l’allora dominante gusto per le opere classicheggianti.
Dal 1851 inizia la carriera del Verdi maturo, con la famosa trilogia ideale di Rigoletto, Il trovatore e La Traviata. Qui l’approfondimento psicologico delle figure dei protagonisti assume maggiore rilievo e originalità, e il linguaggio musicale si rivela compiutamente capace di ricreare mobilissime e complesse situazioni drammatiche.
Rigoletto (da Hugo su libretto di Francesco Maria Piave) scandalizzò per l’elevazione a protagonista di un gobbo e per l’inclusione di scene di paesaggio notturno di una suggestione del tutto inedita. La Traviata (da Dumas su libretto di Francesco Maria Piave) tocca temi di attualità scottante, dove Verdi spezza una lancia a favore del libero amore, presentando in termini appassionatamente positivi il personaggio di Violetta Valery, a cui la morale corrente proibisce di vivere assieme all’uomo che ama.
Il Trovatore (da Gutièrrez su libretto di Salvatore Cammarano) si ispira ad una famosa opera di Gutièrrez, El Trovador.
Dopo la trilogia Verdi accentua gli aspetti da grand – opera: maggiore articolazione delle trame narrative, aumento del numero di personaggi, grandi insiemi collettivi e di massa, episodi coreografici, scenografie più sontuose, cura particolare dell’orchestra e personaggi con maggiori sfaccettature psicologiche. Appartengono a questo periodo Simon Boccanegra (1857), Un ballo in maschera (1859), La forza del destino (1862), Don Carlos (1867) e Aida (1871). A partire da Un ballo in maschera Verdi rompe con l’ambiente italiano che lo accusa di disinvoltura manageriale, scarsa professionalità nelle orchestre e negli allestimento scenici, schematismo culturale nei confronti del pubblico, eccessivo predominio divistico dei cantanti. Così le ultime tre opere citate avranno la loro prima rispettivamente a Pietroburgo, Parigi e al Cairo.
Non mutano invece i fondamenti del suo pensiero morale, col suo ideale irraggiungibile di una società capace di assicurare giustizia e piena dignità a tutti i suoi membri. Ma la società sta cambiando anche in Italia, e presto si inizia a scavare un profondo solco tra gli interessi degli intellettuali e gli interessi dei detentori del potere. Iniziano a diffondersi modelli decadentistici come la scapigliatura, che Verdi non condivise mai, perché estraneo a lui era il rifiuto della società borghese, la solitudine esistenziale, il dialogo fra io e inconscio, l’arte per l’arte.
Le ultime opere verdiane rimangono fedeli alla sua ideologia. Nel 1874 esce la Messa da Requiem, ispiratagli dalla morte di uno dei grandi protagonisti dell’epopea risorgimentale, a cui Verdi si sentiva legato dai medesimi vincoli ideali: Alessandro Manzoni. Le sue due ultime opere, su libretti di Arrigo Boito, sono ispirati a Shakespeare e ai temi della follia, la stessa follia che, probabilmente, sentiva ormai soffiare sulla sua patria: Otello (1887) e Falstaff (1893), unica commedia composta da Verdi.

Tratto da STORIA DELLA MUSICA di Gherardo Fabretti
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