Questi appunti presentano diversi saggi sul tema del "sentire" in psicoanalisi clinica: cosa significa sentire per lo psicotico? E per l'anoressica? Vi sono molti modi di sentire, attraverso il corpo che si fa portavoce di un malessere psichico che non ha altra via per manifestarsi. E il corpo sofferente veicola i messaggi con modalità che l'analista deve saper riconoscere e interpretare. Dall'esposizione di numerosi casi clinici, alla teorizzazione del "sentire".
Sentire. Saggi di psicoanalisi clinica.
di Paola Alessandra Consoli
Questi appunti presentano diversi saggi sul tema del "sentire" in psicoanalisi
clinica: cosa significa sentire per lo psicotico? E per l'anoressica? Vi sono molti
modi di sentire, attraverso il corpo che si fa portavoce di un malessere psichico
che non ha altra via per manifestarsi. E il corpo sofferente veicola i messaggi
con modalità che l'analista deve saper riconoscere e interpretare.
Dall'esposizione di numerosi casi clinici, alla teorizzazione del "sentire".
Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
Facoltà: Psicologia
Esame: Psicologia clinica
Docente: Marinelli
Titolo del libro: Sentire. Saggi di psicoanalisi clinica.
Autore del libro: Marinelli S.
Editore: Borla
Anno pubblicazione: 20001. Psicosomatico e somatopsichico
La letteratura psicoanalitica ha operato una importante distinzione tra i fenomeni psicosomatici: fenomeni di
conversione su base isterica, del disordine profondo e dello sviluppo del pensiero verbale, inversione dei
processi di somatizzazione, espressione somatica di disturbi psichici dovuti a problemi dello sviluppo
(immaturità, mancato sviluppo, residui arcaici).
Un posto a parte merita la teoria bioniana, secondo la quale è possibile descrivere i movimenti del gruppo
(assunto di base di dipendenza, di attacco-fuga, di accoppiamento; loro alternarsi, contrapporsi, combinarsi,
impossibilità ad accedervi) per rintracciare gli aspetti caotici, indicibili e perturbanti, che intasano la
funzione analitica qualora non siano resi pensabili durante il processo analitico stesso o producono malattia
somatica, qualora non sia stato individuato il loro campo di appartenenza, come campo di elementi proto
mentali.
Un gruppo condotto da Marinelli, ha visto in soli sei mesi di vita, ben otto malattie diverse che hanno colpito
i suoi membri, senza soluzione di continuità. Un gruppo di sole donne, accomunate dal rapporto con
l’analista che aveva preceduto il gruppo e quindi un’unione con il femminino, ricercato come certezza e
appoggio per affrontare l’assenza maschile.
In gruppo vengono espresse le fantasie e i bisogni più arcaici, l’assenza del maschio ispira a immaginarsi
forti, indipendenti e potenziate come donne e madri. Il maschio diventa colui che strumentalizza, tradisce,
abbandona.
In questo ambiente emozionale rabbioso e infiammato compaiono numerose malattie, come se soltanto il
corpo, con il suo linguaggio concreto, potesse esprimere il dolore indicibile che il gruppo viveva e questa
condizione di malattia può fungere da esorcismo vaccinante contro il male e come legame di appartenenza.
In queste condizioni, la presenza maschile non potrebbe essere accettata, anzi finirebbe per essere espulsa.
Le malattie sembravano, da un lato, una risposta al dolore di sentirsi sole, dipendenti, bisognose, alla mercè
di una madre onnipotente che accudisce (l’analista), dall’altro la malattia individuale difendeva dalla
pluralità desoggettivante dell’essere riunite in gruppo per riempire il vuoto con stati eccitati, ricchi di
avvenimenti concreti e di simbologie variegate. La malattia psicosomatica si fondava sul bisogno di
fantasticare di formare un corpo unico, ancorchè malato, disponibile per tutti, che sostituisse
momentaneamente la mancanza di affetti e di immaginazione connessa con la mancanza di un sufficiente
senso di esistenza personale e con la possibilità di formare identificazioni e accoppiamenti.
Nella conversione isterica, un organo malato può divenire, con il suo funzionamento patologico, il
rappresentante simbolico di istanze psichiche represse o incomunicabili. In senso psicosomatico, l’organo
esprime, quando è investito di affetti primitivi non elaborabili psichicamente, una metaforizzazione di
processi e significati non altrimenti decodificabili, per cui la sua presenza acquisisce un valore dinamico ed
economico insostituibile.
Secondo Mc Dougall, la malattia psicosomatica reclama in modo concreto quel diritto ad esistere che
un’antica inadeguatezza materna, relativamente al bisogno del neonato di risolvere la duplice tendenza alla
fusione e al distacco, aveva messo in pericolo.
In seguito il gruppo, si arricchì di apporti maschili, finalmente accolti, e l’analisi delle fantasie espresse in
questa fase consentì, oltre alla scomparsa dei sintomi fisici, anche il rafforzamento dei legami e della fiducia
e il senso di un’esperienza trasformativa molto intensa, che preparava alla possibilità di fare altre esperienze
creative e stabilizzanti.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Sentire. Saggi di psicoanalisi clinica. 2. Assenza di sentire e limite all’analisi psicologica
L’aggregato funzionale è l’insieme delle figure che emergono nel campo analitico, costituite dalla sintesi di
elementi eterogenei (verbali, emotivi, corporei) provenienti sia dall’analizzando che dall’analista, correlate
al funzionamento mentale della coppia e alle necessità comunicative del momento.
CC: un paziente si rivolge all’analista perché tormentato dall’insonnia e dalla paralisi notturna che segue gli
incubi. Ha un fratello defunto (morto nel sonno), una madre in lutto, una nonna che si occupa di lui, un sé
assimilato al vicinissimo fratello perduto e un’area familiare intrisa di elementi vuoti, aggressivi e
colpevolizzanti. Nei suoi sogni e nel sintomo del risveglio, il paziente rinscena in sé la morte del fratello e la
ripete, forse per riuscire a rispondere ad essa in modo meno impotente.
La relazione corporea è una delle aree di transito e di espressione degli elementi profondi, da iscrivere in una
regione individuabile della vicenda trasferale che si può svolgere nei trattamenti di alcuni pazienti, i quali
ospitano in sé tracce sensibili di una vita primitiva, al livello della differenziazione mente/corpo, che
richiede di essere accolta e promossa, prima che interpretata.
Per aspetto corporeo di una relazione intendiamo la difficoltà di un soggetto, di un gruppo o di una relazione
fra soggetti, ad attraversare e a sintetizzare uno o più fra i numerosi versanti di ciò che intendiamo per
corporeo; la relazione terapeutica, rappresentandoli in sé, avrebbe il compito di fare un percorso dagli aspetti
non simbolici e perduti al legame, a quelli viventi e accessibili alla relazione, al pensiero verbale.
CC: una paziente, prima e dopo la morte del padre, sogna la ringhiera di casa, prima mancante, poi caduta
ora dentro casa poi fuori al piano inferiore, ma senza mai arrecare danno a nessuno. La ringhiera rappresenta
l’argine protettivo paterno e un limite da porre al lutto e alla curiosità, relativa agli aspetti della morte. Un
oggetto perduto può anche non precipitare all’interno della persona o dell’analisi o la persona in esso, ma si
possono escogitare strategie misteriose verso un corpo nuovo, con cadute meno acrobatiche, per poterne
immaginare l’incolumità.
Il mito edipico narra in modo corporeo la nascita e la distruzione dell’identità soggettiva, generazionale e
collettiva; individui, generazioni e popoli colpiti dall’ira divina, si tramandano tradizioni di pestilenze,
guerre, uccisioni, rappresentati nel corpo e non solo; solo riflettendo sulla concatenazione degli eventi, il
poeta trova accenti tragici e solenni che perdono la qualità e la prossimità corporea, pur contenendole, per
assumere orizzonti più complessivi di carattere universale e profondo che la parola può riferire. Lo
svelamento del corpo e degli elementi corporei e la loro riformulazione all’interno di una condizione che li
riconosca e restituisca loro proprietà perdute, potrebbe produrre occasioni di svolgimento e maturazione
prima mancate.
Nei colloqui preliminari con un paziente, ci formiamo un’opinione sulle sue aree disponibili all’analisi,
individuiamo le sue barriere inconsce e antianalitiche, ci interroghiamo sull’utilità di un’economia nuova e
di una nuova strutturazione che potremmo ottenere. Arriviamo a conoscere lo spazio che abbiamo a
disposizione, ma non quello difeso e segreto dell’inconscio che non desidera né intrusi né ospiti, né
comprensione o mutamento, ma con il quale forse è possibile dialogare. Possiamo riuscire a sviluppare
sentimenti creativi e di amore, a riconnettere l’amore narcisistico di sé con le fiducia nelle proprie capacità
di rinuncia e di riparazione, di fare un sensato esame di realtà e di condurre l’esperienza costruttiva della
vita con un sistema immunitario adeguato, tale che non risenta del tutto la vicinanza minacciosa della
catastrofe incombente.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Sentire. Saggi di psicoanalisi clinica. 3. Passioni anoressiche
Non esiste una psicopatologia anoressico-bulimica se non come stile o moda prescelta, per esprimere un
disturbo non propriamente alimentare, ma soprattutto relativo all’identità o ad un nucleo fragile del sé. Una
condizione spesso presente è una condizione di fallimento dei processi di integrazione di parti della
personalità in sviluppo, nel processo di costruzione e individuazione dell’identità relativa al periodo di
acquisizione del corpo sessuato (adolescenza).
L’aspetto alimentare è espressivo di paure che contengono qualità alimentari: essere smembrati, divorati ed
evacuati; sembra un modello che la mente infantile non è stata in grado di evolvere, trasformare, sublimare;
ad esse sono rimaste legate fantasie, pensieri primitivi, terrori impensabili, che hanno preferito la via
corporea e sintomatica all’espressione verbale e allo scambio.
In una famiglia in cui si trova almeno un caso di anoressia-bulimia, si ritrova un serio difetto di
comunicazione umana e intersoggettiva. Il sintomo viene scambiato per un problema dietologico e
gastroenterologico, non gli viene assegnato alcun valore espressivo, e viene confinato in uno spazio isolato,
privato delle emozioni e dei sentimenti.
La rinuncia anoressica al cibo o l’ingordigia irrefrenabile sembrano equivalere alla rinuncia per la delusione
(di sé, della famiglia, del reale intero). Sembra che la delusione sia quella di accorgersi di aver lottato
strenuamente per un falso ideale: quello di difendere il vero sé dalla plasmazione familiare, sentita come
colonizzazione nociva, e sentire che durante la lotta il vero sé si è svuotato o atrofizzato per mancanza di
alimenti.
I fallimenti dell’esperienza infantile, ricorrendo al momento cruciale del massimo impegno nella costruzione
di sé, nell’adolescenza, possono produrre una serie di comportamenti regressivi, difensivi, sintomatici, che
servono a schermare l’esperienza di insicurezza profonda, l’idea di aver fallito, la cognizione di affetti
familiari vuoti o troppo appassionati, la fantasia di essere non amati o rifiutati, portatori di contenuti
mostruosi, l’illusione di nascondere, svuotando il corpo o riempiendolo troppo, il sentimento di indigenza e
di umiliazione.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Sentire. Saggi di psicoanalisi clinica. 4. Terapia di gruppo per l'anoressia
Il gruppo anoressico può essere paragonato ad un acquario, una situazione in cui è indispensabile la
preparazione e il sedimento dell’ambiente, l’humus, la sua storia e il suo deposito organico. L’uso del
gruppo è più confacente nella cura dell’anoressia rispetto all’assetto duale, per la sua maggiore capacità di
sviluppare funzioni molteplici e simultanee, una maggiore frequenza di attività e di concentrazione di fattori
sociali e generazionali.
Il terapeuta non può essere soggetto curante del dolore anoressico, ma può riuscire, con molto sforzo, a
sviluppare funzioni di ascolto e di accoglimento, sopravvivenza, pazienza perché lentamente si formi quel
sedimento utile a contenere e promuovere nuclei di pensiero, di vita e di mutamento. La mentalità di base
del gruppo anoressico è correlata con lo stile del rifiuto del nutrimento e con gli assunti di base legati alla
persecutività e all’impossibilità del dipendere e dell’accoppiarsi. Un gruppo di pazienti anoressici ha
bisogno di molto tempo per sentirsi esistere, sentirsi contenuto e rappresentato da se stesso, per affidarsi
senza che il sospetto corroda, espella o distrugga le piccole germinazioni verso la vita e la coscienza.
Nella prima fase, i legami hanno una qualità magmatica e caotica, la produzione inconscia è mitica, nella
seconda essi acquisiscono qualità creative e realistiche e vi è un aumento della conoscenza e
dell’individuazione.
L’emergere durante le sedute dei contenuti pulsionali e fantasmatici legati alla scelta originaria del sistema
di negazione, scissione e autoesclusione, si presenta continuamente nel tempo, con caratteri sempre nuovi,
più sostanziati dall’esperienza collettiva; promuove e seleziona movimenti identificativi e sentimenti di
solidarietà e senso di possedere la propria attività di ricerca singola e comune, che si rivelano nel tempo
notevolmente terapeutici.
L’appartenenza prima sintomatica e istituzionale, si trasforma nel tempo in appartenenza alla cura,
attraverso il riconoscimento di un proprio mondo personale e soggettivabile.
Il gruppo ha 3 funzioni terapeutiche: la possibilità di appartenere, sentirsi esistere, la possibilità di migliorare
l’autostima, connessa con la sensazione di essere capaci di dare vita ad un gruppo competente, l’opportunità
di sentirsi aiutati, dall’esistenza di un gruppo valido, nell’affrontare le questioni quotidiane.
In un esempio clinico di gruppo terapeutico di pazienti anoressiche, fin dal primo istante la nascita del
gruppo sembra già avvenuta, nonostante le pazienti non si conoscano e la terapeuta è immediatamente
inclusa. Le prime sedute si svolgono con la condivisione della descrizione del sintomo e dei suoi orrori;
l’istituzione era sentita come un luogo certo e amico, che non avrebbe tradito e a cui tutte appartenevano. In
questa “società segreta delle anoressiche” il rituale da compiere era quello di descrivere il sintomo ed
occupò tutte le prime sedute. Solo lentamente si consentì l’ingresso a nuovi temi, riflessioni
sull’ambivalenza, sul sentirsi doppie, sul terrore dell’abbandono, sulla certezza di non valere nulla, sulle
passioni artistiche, sulla rievocazione penosa di eventi o abusi familiari, di lutti, di predilezioni materne
mancate.
Ad ogni nuovo ingresso, il cerimoniale della descrizione del sintomo aveva lo scopo di fare da levatrice alle
nuove nate, con la sollecitudine della memoria e la sapienza dell’essere anziano e di far ricevere alle pazienti
più anziane nuovi elementi e riconoscimenti di sé. Il gruppo diveniva un corpo buono e condiviso, alla cui
formazione ognuna aveva dato il suo contributo. Terminato il periodo di uso del rituale, il gruppo avrebbe
dovuto ammettere di aver compiuto un’esperienza di nascita e di corporeità prima negate e che tale
esperienza non era poi così impossibile o rovinosa. Secondo Anzieu, immaginare il gruppo come un corpo
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Sentire. Saggi di psicoanalisi clinica.