Sul sentire psicotico
Vi sono pazienti psicotici in cui l’esistenza di un versante non danneggiato della personalità e di una sufficiente capacità di relazione oggettuale, indicano come possibile l’instaurarsi di una relazione terapeutica. L’uso del modello kleiniano per analizzare alcuni tipi di pazienti psicotici, di comprendere le loro risposte e rifornirle in un senso condivisibile, si rende possibile solo se viene inteso che la posizione schizoparanoide include un grado di violenza disorganizzante ed esplosiva tale che non potrà evolvere verso una elaborazione depressiva che ne ricomponga la gravità luttuosa. L’esperienza della posizione depressiva dovrà assumere il peso di tale concretezza offensiva e fornire una elaborazione che includa il valore reale della morte, del lutto materiale. Solo il ricorso agli elementi fisici, materiali del morire riesce a contenere un sé, a restituire, a trasformare l’esperienza di disordine e deprivazione del paziente fragile e psicotico e a corrispondere alle sue esperienze mancate, mancanti e caotiche e al vuoto distruttivo da esse prodotto.
Nell’analisi del transfert psicotico non c’è posto per l’ordine delle preferenze e questa astinenza analitica costituisce il rischio che la mente psicotica la vanifichi o la controlli con manovre tiranniche e svuotanti, che potrebbero esaurire il tentativo di auto differenziazione dell’analista.
CC: Hans è un giovane psicotico ossessionato dai deliri sui servizi segreti e sulla mafia. Nonostante il suo stato psicotico, gradiva di buon grado che l’analista avesse opinioni contrarie alle sue e che potesse, talvolta, elargire i suoi consigli, interpretazioni, che accettava, in cambio del rispetto della sua libertà di comportarsi e dei suoi convincimenti. Sembrava che la sua psicosi fosse correlata ad una sua condizione di fragilità, che impedisce alla personalità un uso propulsivo e coesivo delle risorse del narcisismo primario e la condanna a rifugiarsi in ogni tipo di aberrazione per sfuggire alla intolleranza della frustrazione, che perde la sua funzione stimolante e evolutiva, a favore di una perdita progressiva della fiducia di base e della capacità di contatto e esperienza.
Nel paziente psicotizzato, vi è un’esperienza nella quale è stato impossibile correlare la gravità delle frustrazioni vissute con una rappresentazione di sé che avrebbe spinto al ritiro, alla scissione e alla falsificazione, o ad altri espedienti che servono a celare la perdita di sé, quali il ricorso all’identificazione proiettiva con il persecutore, l’autoinnalzamento ad eroe negativo, l’impoverimento e lo svuotamento. La psicosi è dovuta a due fattori: il mancato sviluppo o la mancata nascita che produce fobia di sé e autoaggressione, l’insieme delle concause dinamiche ed economiche, per le quali le esigenze di un gruppo familiare o sociale impongono un certo ruolo ad un suo membro; in questo caso, un individuo deve scegliere di mantenersi in contatto con un nucleo folle ereditato e di cui è portatore per non sentire se stesso danneggiante e causa di devastazioni ulteriori o per immaginare di vivere un lutto troppo esteso, concreto, profondo.
Un soggetto che si sente troppo solo, inabissato e castrato nel suo progetto di sviluppo può vivere esperienze di sprofondamento, collassamento o di esplosione nel vuoto.
Il delitto può costituire un’attività eccitante per un soggetto molto solo e spento; la sua unica possibilità di ritrovare fonti di vita, quelle che lo hanno distrutto e con le quali ha potuto rappresentare, a suo tempo, il se stesso colpito, incapace o cattivo.
Per ottenere una riparazione depressiva in uscita da una posizione schizoparanoide disorganizzante e disgregante è necessario fare ricorso all’esperienza reale e fisica della morte. E’ come se il lavoro analitico fosse continuamente ipotecato da una minaccia di fragilità, di friabilità della costruzione analitica stessa e della possibilità di produrre introiezioni salde e durature. Sono necessari transiti analitici più radicali e concreti, allo scopo di ricreare una scena utile a rivivere e rappresentare la grandiosità della scena originaria e la grandiosità della sua perdita.
Se un paziente è portatore di una situazione troppo grave da condividere in un gruppo, egli chiederà al gruppo ci comprendere e tollerare la indicibilità della propria condizione, o di affrontarla sul piano delle realtà inconsce, attraverso un sistema di identificazioni incrociate tra i membri, allo scopo di rendere più diffuso il materiale temuto e di rendere reale lo stato della sua frammentazione, nella speranza che in tal modo si possano elaborare quelle angosce più profonde e disarticolate che il soggetto da solo non saprebbe sostenere.
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Dettagli appunto:
- Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
- Facoltà: Psicologia
- Esame: Psicologia clinica
- Docente: Marinelli
- Titolo del libro: Sentire. Saggi di psicoanalisi clinica.
- Autore del libro: Marinelli S.
- Editore: Borla
- Anno pubblicazione: 2000
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