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Esistono modi tipici per dire le menzogne?


La comunicazione menzognera fa parte del fenomeno definito come discomunicazione, ossia quell’ambito comunicativo in cui gli elementi impliciti e indiretti prevalgono su quelli espliciti e diretti.
La discomunicazione, a differenza della comunicazione normale, accentua gli aspetti di opacità, per cui si ha una specie di copertura intenzionale, che conduce ad un messaggio plurivoco, dotato di molti significati.
E’ compito dell’interlocutore sciogliere l’ambiguità e scegliere una possibile interpretazione di ciò che il parlante dice.
Tuttavia tra discomunicazione e comunicazione standard esiste una soluzione di continuità e i processi e i meccanismi che valgono per la comunicazione standard, valgono anche per quella menzognera e viceversa. Dunque così come esistono molti modi per dire il vero, esistono anche molte modalità di dire il falso. Infatti la comunicazione menzognera aumenta i gradi di libertà comunicativi a disposizione dei partecipanti.
Possiamo capire quindi che non esistono modalità tipiche di mentire, ma la comunicazione ingannevole si confonde con quella veritiera e onesta.
Questo aspetto è accentuato dal fatto che la comunicazione menzognera comprende sia aspetti propriamente linguistici (le frasi dette) sia aspetti extralinguistici (modalità non verbali), che aumentano nel parlante la difficoltà ad essere coerente e non contraddittorio.
Nella comunicazione menzognera è possibile fare ricorso a diversi stili linguistici (Per stile linguistico si intende l’organizzazione di micro e macrocomponenti del linguaggio, attuata dal parlante per produrre specifici effetti sul destinatario in un dato contesto):
stile linguistico del “dire per non dire” -> improntato all’ambiguità e alla prolissità, viene usato soprattutto se si ha dinanzi un interlocutore silenzioso e acquiescente. E’ uno stile linguistico caratterizzato da molti modificatori con valenza dubitativa (“circa”, “quasi”, “forse”) e da predicati epistemici (“penso”, “suppongo”). Le frasi sono molto lunghe e complesse con uso specifico di affermazioni vaghe e generali. Si assiste a un grande impiego di informazioni secondarie, irrilevanti e fuorvianti. Facendo ricorso a frasi lunghe e complesse, ridondanti ma povere di contenuti, il mentitore dice una cosa e un’altra diversa a proposito della medesima realtà, per disorientare il destinatario. L’ambiguità e la vaghezza degli enunciati consente al parlante di mentire senza correre il rischio di esporsi eccessivamente. Egli può sempre far riferimento ad affermazioni fatte in precedenza che gli permettono di giustificarsi e assicurarsi una condizione di buona fede.
Stile linguistico dell’“esimersi dal dire” -> stile linguistico che fa ricorso ad una modalità comunicativa caratterizzata da evitamento, e risulta particolarmente efficace in presenza di un interlocutore sospettoso e inquisitore. Questo stile si basa su un elevata riduzione e semplificazione delle frasi. Il parlante pur dicendo una menzogna, cerca di definire i confini del discorso nel modo + stretto possibile, senza fornire elementi che potrebbero indurlo a contraddirsi. In particolare il mentitore usa frasi brevi spesso incomplete sul piano sintattico (soggetto e verbo impliciti). Sono frequenti e lunghe le pause piene (mh..ah..emh..) e le pause vuote (silenzio).
Stile linguistico del “si dice che...” -> stile caratterizzato da impersonalizzazione del discorso. Il mentitore si astiene dal parlare in prima persona, così da evitare di assumersi la responsabilità di quanto sta comunicando. Qualora venisse scoperto è sempre in grado dissociarsi da quanto detto, perché si giustifica sostenendo di aver riportato solo quanto ha sentito. Dunque egli fa ricorso soprattutto a terze persone (lui, lei mi ha detto che..) e a forme impersonali (si dice che..).

Tratto da MENTIRE di Anna Bosetti
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