Le interferenze
Le interferenze dei soci che interferiscono sulla gestione.
Già abbiamo parlato di qualche interferenza: es. diritti particolari dei soci, ma ne abbiamo parlato solo dal punto di vista del contenuto, non come riflesso sulla responsabilità del titolare del diritto. Riflessi: cioè se l'interferenza del socio non amministratore comporta, per questo, la responsabilità.
Nella SRL abbiamo per le ipotesi dell'art. 2468 c.3 (“Resta salva la possibilità che l'atto costitutivo preveda l'attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili”) e art. 2479 c.1 (“I soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall'atto costitutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione”) una soluzione, cioè la responsabilità prevista dal legislatore.
Nelle SPA, un norma analoga non c'è.
Non c'è nemmeno nelle società di persone, pensando a quei soci non amministratori ed in particolare, agli accomandanti.
Se il socio non amministratore interferisce, risponde? Si può dichiararlo responsabile? Le soluzioni sono:
- Non risponde e allora non risponde nessuno, non c'è un colpevole probabilmente, salvo certe ipotesi; il danno non sarebbe possibile ristorarlo
- Risponde e allora si fa giustizia
L'attribuzione del potere gestorio: società di persone → l'amministratore può non essere nominato, perché è il socio; però il socio ha scelto la società e sa che segue, in quel tipo di società, il fatto di essere amministratore. Quindi in realtà ha accettato di essere amministratore. L'accettazione è fondamentale.
Nelle spa l'accettazione è formale: si viene nominati ed occorre accettare l'incarico. Perché è fondamentale l'accettazione dell'incarico? Perché la funzione gestoria implica un dovere, implica un a responsabilità e quindi l'incarico di amministratore impone un consenso (implicito, in certi tipi societari; esplicito in altri).
Qual è lo strumento che hanno i soci rispetto agli amministratori? La revoca. Il socio non può intervenire per indirizzare l'amministratore, il socio ha il potere di nominare gli amministratori, dopodiché ha solo il potere di revoca. Il socio, di norma, non può interferire nella gestione.
Cosa succede nelle società di persone? C'è una compenetrazione tra soci e amministratori. Ad accezione dell'accomandante e delle ipotesi che deviano dal modello legale, cioè nelle ipotesi in cui non si applica il modello proposto dal legislatore.
Sicuramente nell'ambito delle società di persone, l'autonomia statutaria consente di derogare alle competenze degli amministratori; quindi è possibile, attraverso l'autonomia statutaria, che le competenze degli amministratori siano convenzionalmente limitate e quindi si può immaginare che nelle società di persone venga costruito un meccanismo simile all'art. 2364 c.1 n.5, cioè sottoporre all'autorizzazione dei soci il compimento di un atto gestorio, nulla lo vieta. Così come è possibile attribuire dei diritti particolari di gestione a singoli soci, competenze specifiche.
Nel primo caso, se creiamo un sistema di autorizzazione del compimento di un atto gestorio, avremo come risultato che l'autorizzazione non è l'atto gestorio, non è una decisione, ma è un'integrazione (integra/completa l'atto gestorio).
Nel secondo caso, avremo un'amministrazione diretta, perché al socio fa capo un diritto particolare di amministrazione e quindi, per quella specifica materia, ha una competenza diretta.
Tutto questo è possibile, quindi è possibile rimettere alla proprietà della società delle competenze tipicamente gestorie.
Trasferire competenze gestorie ai soci significa restringere le competenze degli amministratori, derogare il sistema della competenza gestoria legata alla connaturale compenetrazione tra amministratori e soci, significa limitare i poteri gestori.
C'è una situazione particolare: quella del socio accomandante.
Il socio accomandante è un socio a responsabilità limitata che, in base all'art. 2320, non può ingerirsi nella gestione della società. E se si ingerisce, risponde illimitatamente, non diventerà accomandatario, non avrà i benefici dell'essere accomandatario, ma diventa socio che risponde verso i terzi illimitatamente.
Lo stesso art. 2320, a certe condizioni, consente all'accomandante di ingerirsi.
Art. 2320: “I soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e può essere escluso a norma dell'articolo 2286.
I soci accomandanti possono tuttavia prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori e, se l'atto costitutivo lo consente, dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni e compiere atti di ispezione e di sorveglianza.
In ogni caso essi hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, e di controllarne l'esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società”. E poi ci sono delle ipotesi in cui l'accomandante ha un evidente potere di veto, perché: se l'accomandante è uno, oppure se la maggioranza detenuta da un accomandante è così elevata, può incidere sulle scelte della società o porre il veto sulle scelte della società. Quindi in realtà l'accomandante (idealmente ce lo immagineremmo come un socio privo di poteri) potrebbe avere grossi poteri, potrebbe averli in base alle attribuzioni che gli consente la legge, ma potrebbe averli anche nel caso in cui sia l'accomandante unico (se serve sempre l'approvazione degli accomandanti oppure se serve una maggioranza e l'accomandante unico la ha, la sua posizione è forte per tante delibere: per l'approvazione del bilancio nel quale si ritiene che partecipa, per la nomina/revoca degli amministratori dove serve il consenso di tutti gli accomandatari e la maggioranza degli accomandanti). Oltre a queste, ci sono le prerogative che consente il legislatore: procura speciale per singoli affari, l'accomandante può essere dotato di una procura speciale che gli consente di compiere singoli affari (art. 2320 c.1 “I soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari”), art. 2320 c.2 “I soci accomandanti possono tuttavia prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori e, se l'atto costitutivo lo consente, dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni e compiere atti di ispezione e di sorveglianza”.
Quindi, può dare la propria collaborazione alla società, sotto la direzione degli amministratori e quindi svolgere un ruolo ausiliario degli amministratori; può dare autorizzazioni e pareri se lo prevede l'atto costitutivo, ma è necessaria una previsione statutaria innanzitutto ed è necessario che le operazioni per le quali l'accomandante deve dare autorizzazioni o pareri, siano determinate: per determinate e ben specifiche operazioni. Così come la procura speciale deve essere per determinati atti.
Se è previsto che l'accomandante debba dare dei pareri e autorizzazioni obbligatorie, gli amministratori non hanno solo la facoltà di ascoltarlo, ma hanno il dovere; agli amministratori, di fronte ad una ingerenza prevista dall'atto costitutivo degli accomandati, attraverso pareri e autorizzazioni, sorge il dovere di sentire gli accomandanti, verificare il loro parere e la loro autorizzazione.
Qui sorge il PROBLEMA → se pensiamo alle autorizzazioni: l'accomandante deve dare l'autorizzazione al compimento di un atto, cosa può fare? Negarla, non dare l'autorizzazione o concederla.
Se l'accomandante concede l'autorizzazione, gli amministratori possono decidere: compiere o non compiere l'atto e la responsabilità resta loro; l'atto è stato autorizzato, ma per il suo compimento sono gli amministratori che hanno l'ultima parola e quindi anche la responsabilità.
Se l'autorizzazione viene negata, gli amministratori non possono compiere l'atto e se l'atto sarebbe stato vantaggioso per la società, chi ne risponde?
La stessa cosa si può dire per il parere → il parere può essere non obbligatorio, non vincolante e non crea problemi oppure può essere obbligatorio (gli amministratori devono ascoltarlo). Se è obbligatorio e vincolante, gli amministratori devono seguirlo.
Se il parere è obbligatorio e vincolante in positivo → mira ad una decisione gestoria di amministrazione e se è obbligatorio e vincolante, dovrebbe imporre un atto di gestione e ciò non pare possibile nel sistema delle società in accomandita, che un accomandante attraverso un parere obbligatorio e vincolante in positivo, vincoli ad una fare di un atto gestorio, perché sarebbe un'intromissione nella gestione; quindi il parere obbligatorio e vincolante in positivo, non sarebbe in armonia col sistema.
Se il parere è obbligatorio e vincolante in negativo → siamo nella stessa situazione dell'autorizzazione negata. L'amministratore non può compiere l'atto e se l'atto poteva essere vantaggioso per la società, a questa ne deriva un danno. Chi risponde del danno? Dovrebbe essere l'accomandante, cioè il soggetto dal quale è partito il blocco dell'atto gestorio.
Se il parere è obbligatorio, prevede l'adempimento di un dovere del socio amministratore e la violazione provoca degli effetti endo societari, cioè l'esclusione del socio o l'applicazione di sanzioni previste dall'atto costitutivo.
Se il parere è obbligatorio e vincolante, impone di non compiere un atto gestorio, è un parere negativo ed è equiparabile ad una negata autorizzazione ed ha come conseguenza che gli amministratori non possano essere responsabili dei danni derivanti alla società (perché loro non hanno compiuto l'atto, perché c'era un parere obbligatorio e vincolante negativo o una mancata autorizzazione). E quindi bisogna stabilire chi è responsabile.
Se il parere è obbligatorio e vincolante positivo o l'autorizzazione viene concessa, gli amministratori possono decidere cosa fare; e quindi, in base a come si comporteranno, la responsabilità ricade su di loro.
Questo meccanismo viene ripetuto nelle spa e nelle srl.
Quindi di fronte ad un'autorizzazione o ad un parere, si hanno due ipotesi:
- Parere positivo, parere negativo
- Autorizzazione concessa, autorizzazione negata
La stessa cosa capita in caso di astensione → se l'accomandante non dà il parere, l'autorizzazione e si astiene, blocca la procedura e si verifica la stessa problematica.
Tutto ciò vale per l'accomandante, ma anche per gli amministratori non soci (sarà possibile, attraverso l'autonomia statutaria, attribuire autorizzazioni e pareri anche agli amministratori non soci di snc, ad esempio).
SPA
C'è una netta separazione tra proprietà e gestione.Ci sono però una serie di materie che appartengono alla sfera della gestione, ma sono attribuite dalla legge all'assemblea e quindi sono sottratte all'organo amministrativo.
Un gruppo di ipotesi riguarda l'acquisto di azioni proprie o della società controllante, l'assunzione di partecipazioni a responsabilità illimitata, il progetto di fusione e scissione, modalità della liquidazione.
Sono ipotesi attribuite ai soci, ma che integrano fattispecie gestorie.
La stessa cosa capita nel caso di profonde ristrutturazioni della società.
Poi ci sono certe competenze degli amministratori che, per potere dei soci, possono essere sottratte agli amministratori; un'ipotesi è l'emissione di obbligazioni ordinarie, non quelle convertibili.
L'emissione di obbligazioni ordinarie, ex art. 2410 (“Se la legge o lo statuto non dispongono diversamente, l'emissione di obbligazioni è deliberata dagli amministratori.
In ogni caso la deliberazione di emissione deve risultare da verbale redatto da notaio ed è depositata ed iscritta a norma dell'articolo 2436”), è una competenza degli amministratori, ma se lo statuto lo prevede, può essere attribuita ai soci, all'assemblea.
Ci sono delle operazioni gestorie che sono limitate dall'autorizzazione dei soci: acquisto di azioni proprie. È una decisione gestoria, ma che necessita un'integrazione assembleare, di una autorizzazione assembleare. La società non può acquistare azioni proprie se non ci sono determinate condizioni, tra le quali un'autorizzazione che può essere data anche preventivamente per 18 mesi da parte dell'assemblea.
Così come per gli acquisti potenzialmente pericolosi per la società, effettuati in un certo periodo iniziale della società, art. 2343 bis:
“L'acquisto da parte della società, per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale, di beni o di crediti dei promotori, dei fondatori, dei soci o degli amministratori, nei due anni dalla iscrizione della società nel registro delle imprese, deve essere autorizzato dall'assemblea ordinaria.
L'alienante deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal tribunale nel cui circondario ha sede la società ovvero la documentazione di cui all'articolo 2343 ter primo e secondo comma (1) contenente la descrizione dei beni o dei crediti, il valore a ciascuno di essi attribuito, i criteri di valutazione seguiti, nonché l'attestazione che tale valore non è inferiore al corrispettivo, che deve comunque essere indicato.
La relazione deve essere depositata nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea. I soci possono prenderne visione. Entro trenta giorni dall'autorizzazione il verbale dell'assemblea, corredato dalla relazione dell'esperto designato dal tribunale ovvero dalla documentazione di cui all'articolo 2343 ter, deve essere depositato a cura degli amministratori presso l'ufficio del registro delle imprese.
Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli acquisti che siano effettuati a condizioni normali nell'ambito delle operazioni correnti della società né a quelli che avvengono nei mercati regolamentati o sotto il controllo dell'autorità giudiziaria o amministrativa.
In caso di violazione delle disposizioni del presente articolo gli amministratori e l'alienante sono solidalmente responsabili per i danni causati alla società, ai soci ed ai terzi”.
In queste ipotesi c'è un a sorta di imposizione di un freno dell'attività degli amministratori, attraverso un'autorizzazione dei soci.
Dal lato opposto, ci sono delle ipotesi di decisione assembleari che possono essere attribuite agli amministratori, tra cui l'aumento del capitale sociale; l'indicazione di quali tra gli amministratori hanno la rappresentanza, è una modifica dell'atto costitutivo che sarebbe di competenza dell'assemblea straordinaria, ma attraverso lo statuto può essere attribuita agli amministratori; l'emissione di azioni convertibili.
In questo caso, al contrario, c'è uno spostamento dai soci ai gestori, prima c'era una competenza dei soci per scelte tipicamente gestorie (perché il legislatore lo vuole).
In questo discorso, si inserisce anche la questione dei patti parasociali.
I patti parasociali, ed in particolare nelle società quotate, i patti di consultazione.
I patti di consultazione sono dei patti che, a differenza dei sindacati di voto, mirano ad una mera consultazione tra un gruppo di soci.
Come si interpone l'esito della consultazione con la gestione? Ha un rilievo l'esito della consultazione rispetto al compimento degli atti gestori? Probabilmente ha un rilievo di raccomandazione, l'esito della consultazione diventa una raccomandazione rivolta agli amministratori e quindi una raccomandazione sembrerebbe non facilmente disattendibile e né immotivatamente disattendibile. Se i soci hanno suggerito una certa direzione/comportamento, probabilmente gli amministratori dovranno motivare se sceglieranno diversamente.
Una interferenza gestoria più subdola, sono le cosiddette delibere assembleari consultive. L'assemblea potrebbe essere convocata dagli stessi amministratori al fine di deliberare in sede meramente consultiva.
Le delibere assembleari consultive, un po' come i patti di consultazione, non impongono agli amministratori un comportamento, ma raccomandano un comportamento. Non è vietato convocare un'assemblea al fine di sentire le opinioni dei soci. L'esito dell'assemblea consultiva comporterà per gli amministratori l'opportunità di motivare un eventuale disaccordo, tanto più se sono stati loro a convocare l'assemblea consultiva.
Viceversa, se i soci hanno suggerito un certo comportamento e gli amministratori hanno fatto ciò che hanno voluto, i soci svilupperanno una fiducia verso gli amministratori che potrebbe portare ad una revoca.
Altro problema: gli amministratori sono nominati dai soci, tra gli amministratori e i soci c'è normalmente una certa interferenza fisiologica e quindi è fisiologico che se i soci, in sede di consultazione, suggeriscano qualcosa ed è fisiologico che gli amministratori debbano accodarsi al suggerimento.
Viceversa, si innesca un meccanismo di sfiducia che potrebbe portare alla revoca degli amministratori.
Sicuramente, i patti di consultazione e le delibere consultive rappresentano una pressione verso le scelte degli amministratori.
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