APPROFONDIMENTI
Intellettuali di Calabria, dove siete?
Fino agli anni settanta, anche per una spinta marxista, l’intellettuale si sentiva obbligato ad intervenire in questioni di vita pubblica indicando, a suo modo, la giusta via che la società e i suoi governanti avrebbero dovuto seguire. Questo modo di fare non era solo un’abitudine sollecitata dal marxismo, ma è sempre esistito, almeno fin dai tempi del filosofo greco Platone (quasi 2500 anni fa). Anzi, più vicini al nostro tempo, nel ‘700, gli intellettuali illuministi intesero la cultura, quella che si fa e si studia sui libri, come un servizio dovuto al popolo, perché lo si aiuti a sollevarsi dallo stato di ignoranza. Non si trattava di una “crociata” della cultura per la cultura, ma di una guerra degli uomini più aperti di coscienza (illuminati) contro lo “stato di minorità intellettuale” di tutti gli uomini della terra, o quasi, che li rendeva facili vittime dei soverchiatori, spregevoli della dignità umana.
Ebbene, mi domando io, quanto c’entra tutto ciò con la vita intellettuale calabrese? Ho l’impressione che in Calabria l’intellettuale verace, quello che pensa e scrive per rivoltare sin dalle viscere la stasi cronica di un popolo, non sia mai esistito. Anzi non è un’impressione, è una certezza.
D’altronde cosa c’è da aspettarsi da una regione che negli ultimi duemila anni non ha mai avuto uomini (per non parlare di donne!) che hanno fatto la Storia, o la Letteratura, o la Filosofia, o l’Arte? Vi prego, non affacendatevi a fare certi nomi, come Tommaso Campanella o, venendo in qua con i tempi, Alvaro, Repaci, Cilea… Tutta gente che ha potuto affinare il proprio talento fuori dai confini calabresi, dove c’era vero scambio culturale. E se c’è stato qualche profeta in patria è stato l’eccezione che conferma la regola. Tutto questo perché? Un popolo incapace di “produrre” grandi personaggi, è un popolo che non ha niente di grande da dare ai suoi figli. E’ una povertà di spirito che taglia trasversalmente tutta la storia della Calabria degli ultimi duemila anni. Siamo un popolo che non ha mai detto o fatto qualcosa di grande, perché non siamo stati grandi. Chi ha voluto la grandezza l’ha dovuta cercare altrove.
Gli intellettuali calabresi sono stati sempre dei professorini assorti tra le scartoffie impolverate intenti a riesumare i cadaveri di un passato mediocre, senza mai farsi carico dell’impegno di criticare il nulla che ci ha circondati e rimboccarsi le maniche per diventare illuministi. Noi calabresi, forse unici in Europa, non abbiamo mai conosciuto l’Illuminismo. I nostri professori, o dottori, si sono sempre sentiti superiori e distaccati dal popolo, fatto di gente ignorante e infima che non può capire la cultura. Ma questi professorini hanno sempre stagnato in una cultura plasmata solo da tardivi colpi di coda che giungevano dalle regioni più fervide d’Europa, tant’è che in Calabria, dopo duecento anni, deve ancora arrivare l’Illuminismo.
Eppure sono ottimista, sento una maggiore presenza di uomini e donne che in qualche modo possono farci recuperare il tempo perduto.
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