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Culture d'infanzia. Modelli educativi e rappresentazioni a confronto.


I modi, i ruoli e le azioni attraverso cui passa la genitorialità mutano nel tempo e dipendono strettamente dai contesti sociali culturali. I modi della genitorialità infatti variano da cultura a cultura, rappresentazioni sedimentate che si esplicano attraverso diverse modalità; nella consapevolezza che non è possibile generalizzare distinguiamo due grandi modalità una di tipo “condiviso” e l’altra di tipo “personale”. Nelle comunità tradizionali, pur presentando al loro interno diversità notevoli, generalmente la genitorialità, proprio in quanto legata ad una visione comunitaria, è distribuita e condivisa: i compiti educativi e le responsabilità genitoriali sono cioè spartite fra tutti i componenti del gruppo familiare esteso. La stessa responsabilità dei figli è quindi condivisa. In questo modo la madre può “contenere” il figlio con maggiore tranquillità perché lei a sua volta è contenuta da una rete di supporto. La genitorialità è vissuta in modo molto più naturale che nelle nostre società post moderne quindi non è “pensata”ma basata sulle esigenze del qui ed ora. Essere genitori in un contesto del genere significa trasmettere i saperi da una generazione all’altra in base alla propria esperienza e storia familiare. Nelle società moderne invece ciò non accade. (Il termine “società” è volutamente contrapposto a quello di comunità. Mentre la comunità è un ambito ristretto in cui legami siano essi familiari, amicali sociali sono molto forti e vige una solidarietà di tipo meccanico, secondo la classica distinzione sociologica di Durkheim, per cui i gruppi danno importanza alla parentela e alla cooperazione tra le genti, nella società i legami tra le persone sono molto meno forti e i valori sono legati all’individualismo e alla competizione secondo una solidarietà di tipo organico. (A. Sobrero, Antropologia della città, Firenze, Nuova Italia, 1992).
Nelle società diversamente dalle comunità, la genitorialità è “concentrata”, ovvero riferita alla sola coppia. Le responsabilità genitoriali sono di tipo personale e quindi non condiviso rispetto ad una famiglia che è nucleare e non allargata come nel case delle comunità tradizionali. L’attesa è progettata ed elaborata e i saperi allevanti non dipendono dalla storia o dalle tradizioni familiari ma appresi attraverso i libri ed i servizi dedicati. Il vivere una genitorialità completamente diversa non è dovuta solo al fatto che nel paese di origine c’è tutta la famiglia pronta ad offrire supporto ma anche  mille altri problemi legati ad esempio agli spazi angusti e sovraffollati che porta molte donne immigrate a mitizzare la casa e i luoghi dell’abitare del paese di origine. Le mamme immigrate intervistate infatti rimpiangono un “laggiù” in cui i bimbi sono più liberi di muoversi di stare insieme. L’asilo nido rappresenterebbe un prolungamento ideale della casa perché un posto protetto, pieno di colori, giochi con la possibilità di esplorazione, insomma a misura di bambino. All’asilo dunque il bambino potrebbe trovare ciò che non trova a casa, uno spazio efficacemente sostitutivo dei giardini pubblici che a causa delle condizione abitative anguste sono sempre frequentati da mamme e bambini stranieri. Per quanto riguarda le rappresentazioni mentali che le donne immigrate si fanno sui genitori italiani per loro i nostri bambini sarebbero al centro della famiglia come un piccolo despota che non ha rispetto dei grandi e che è troppo dipendente. Per le donne immigrate intervistate i piccoli dovrebbero essere più autonomi, interdipendenti, dovrebbero cioè crescere con tutta la famiglia dove l’uno impara ad essere il punto di riferimento dell’altro e viceversa, interiorizzando le regole tipiche del proprio gruppo proprio perché sempre a contatto con vari coetanei e adulti. Infatti nelle comunità tradizionali c’è un forte senso di gerarchia e di autorità che non deve essere messo in discussione ne messo alla prova.

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