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A partire dai bambini. Scelte educative e integrazione interculturale.


La prima infanzia rappresenta un tempo cruciale ai fini dell’appartenenza, nello stabilirsi di legami affettivi, ristretti e allargati, della definizione del proprio posto nella geografia familiare e della comunità. Il bambino fra zero e tra anni riceve segni, stimoli, parole che lo informano del quotidiano; in questo tempo quindi si pongono le basi dell’appartenenza e si inaugurano i processi di identificazione. Scegliere di crescere un bambino al di fuori della famiglia allargata significa anche rompere con una tradizione millenaria ed infrangere un tabù. Una scelta difficile e sofferta che proprio perché fatta negli anni dell’ identificazione culturale può incidere sulla rottura o meno con le proprie tradizioni. I segni di questa rottura sono visibili nel cibo e nello sviluppo linguistico. I modi e i tempi dell’alimentazione sono diversi nel nido rispetto alle abitudini familiare ma il cibo rimanda alla memoria e alla storia familiare. Modificare queste abitudini significa modificare il legame cibo/cure materne/attaccamento ed è il luogo dove maggiormente possono verificarsi incomprensioni. Altro fattore di rottura è dato dalla lingua. Il bambino immigrato è nella condizione ideale per diventare bilingue simultaneo ma in molti casi la lingua materna viene relegata ai margini dove prevale invece quella del paese ospitante. Ci sono diversi motivi per cui questo accade; principalmente perché l’appropriazione via via più estesa e sicura della seconda lingua suscita nei genitori immigrati stupore ma al tempo stesso paura di perdere le radici, vissuto disorientamento. Il bambino porta a casa ogni giorno termini nuovi che i genitori spesso non comprendono e questo può lasciarli “ sull’altra riva” come afferma Beneduce. (beneduce, 1998 in Favaro, mantovani ecc nello stesso nido). Parlare di donne straniere in genere risulta molto superficiale; le loro biografie e le loro modalità di arrivo sono assai diverse così come sono differenti i progetti migratori. Ci sono le lavoratrici domestiche delle filippine o dello Sri Lanka, i latino americani in particolar modo i peruviani ma anche tante persone provenienti dalla Cina, Est Europa come Romania, Albania e i Paesi Arabi che, statisticamente, in Italia, sembrano essere la fetta maggiore. La presenza di donne immigrate anche se molto forte continua a rimanere nell’ombra così come le loro esigenze e bisogni. All’interno dei cambiamenti del ciclo di vita la nascita rompe questo isolamento delle donne immigrate le obbliga ad uscire di casa, a conoscere e frequentare strutture e servizi del territorio. Il bambino stesso modifica il progetto migratorio e obbliga a ripensare il proprio ruolo all’interno della geografia familiare, spostando la bilancia degli investimenti ( simbolici, affettivi, economici) verso il qui ed ora. Il senso di isolamento vissuto dalle donne immigrate è dovuto soprattutto alla mancanza di rete familiare di supporto invece presente nel paese di origine. La presenza della propria madre assicura continuità dei legami e il passaggio dei saperi, protegge dai timori e dai rischi. Essere soli in un paese straniero significa che pratiche e comportamenti possono venir riproposti, reinterpretati oppure abbandonati dalla donna immigrata ma comunque in completa solitudine elaborativa. Le donne che diventano madri nella migrazione hanno un ruolo fondamentale di mediazione tra mondi e culture dovendo trasmette alla nuova generazione la memoria e la storia e allo stesso tempo la variazione, la libertà dei movimenti.

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