Neorealismo. De Santis, Lattuada, Blasetti e Camerini
Già dal film d’esordio Caccia tragica (1947) mette in risalto il gusto verso le visioni d’insieme, il racconto corale ed una narrazione epicizzante. Il secondo è Riso amaro (1949) con cui raggiunge il maggior successo nazionale ed internazionale e appare come una perfetta ibridazione di modelli cinematografici, cultura alta e popolare si mescolano nella ricerca di un pubblico di massa. Caratterizzante è l’attenzione al linguaggio del corpo e al suo rapporto con il paesaggio che porta a promuovere l’esordiente Silvana Mangano a prima diva italiana del dopoguerra. Prendendo posizione diversa dalle linee generali, pur muovendosi all’interno del neorealismo, sceglie di far sentire la macchina da presa con i suoi movimenti e creare un montaggio che tenda a rendere più verosimile una storia. Nei film successivi il suo sguardo punterà sempre a stabilire una perfetta corrispondenza tra ambiente e corpo femminile. Quando negli anni cinquanta abbandonerà l’ambientazione rurale a favore di nuove storie che riportano la nuova realtà di urbanizzazione, perderà l’appoggio di pubblico e critica seguiti da un duro ostracismo che lo condannerà a uscire di scena.
Il neorealismo per qualche tempo è la carrozza di tutti; Guerra e Resistenza diventano tematica preferita. Non vi sono grandi epurazioni tra i registi ed il passaggio da fascismo ad antifascismo avviene senza grandi rotture, il non aver aderito a Salò funge già da assoluzione di massa. Blasetti affronta il tema bellico con Un giorno nella vita (1946) adeguando il suo stile ai nuovi modelli; l’incontro con Zavattini ed i kolossal Fabiola (1949) e Prima comunione (1950) gli offrono la possibilità di inserirsi nell’ambito neorealista. Si cimenterà poi nel cinema a episodi ottenendo successi. Anche Camerini propone qualche nuova regia ma la sua produzione è più rivolta al passato piuttosto che tentare di esplorare nuove strade. Lattuada sente il bisogno di guardare con ottimismo all’Italia distrutta, ispirandosi al cinema francese di Renoir e Claire. Propone due tipologie di sguardo, una volta alla adorazione della giovinezza e bellezza e un'altra che presenta figure di umiliati e offesi che lo porterà a realizzare Il cappotto (1952), il furto del cappotto dopo quattro anni da quello della bicicletta, diventa metafora di un incubo sociale. Nell’ottica più femminile sono da iscriversi La lupa (1953) nella quale la storia di amore e passione femminili deve fare i conti con i pregiudizi sociali e Guendalina (1957) in cui a fronte della modernizzazione, Lattuada offre una panoramica sulla scoperta dell’amore e della sessualità negli adolescenti.
Luigi Zampa situato nell’area della commedia, subordina la ricerca stilistica e formale alla trasmissione di un contenuto e una protesta che spesso nasce dall’indignazione civile soprattutto con Anni difficili (1949) e L’arte di arrangiarsi (1953)
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Autore:
Asia Marta Muci
[Visita la sua tesi: "Panoramiche d'interni. Approfondimenti e divagazioni sul cinema e l'unità di luogo"]
- Università: Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM)
- Esame: Storia del cinema italiano
- Docente: Gianni Canova
- Titolo del libro: Guida alla storia del cinema italiano
- Autore del libro: Giampiero Brunetta
- Editore: Einaudi
- Anno pubblicazione: 2003
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